ADALINDA GASPARINI PSICOANALISI E FAVOLE |
DA ALADINO E LA LAMPADA MERAVIGLIOSA VIAGGIO PSICOANALITICO Firenze: Ponte alle Grazie 1993 (Rist. 1996) |
CAPITOLO
PRIMO
LA FIABA COME RAPPRESENTAZIONE EIDOPOIETICA La fiaba della ricerca Fiaba e apologo
Fiaba e leggenda Fiaba e novella Fiaba e mito Fiaba e fiaba d'autore Fiaba e la fiaba di Aladino e la lampada meravigliosa Tra metodo e sogno Per il bambino incantato L'incanto della fiaba come relazione profonda LA FIABA DELLA RICERCA Mentre si pronuncia la parola «fiaba», il pensiero va a una forma aerea, tessuta di ricordi d'infanzia e di pagine stampate, di ingenue figure di boschi intricati e di castelli dalle alte torri, di leggiadre prinipesse in fuga e di principi eroi che non s'arrestano neppure di fronte al drago dalle tredici teste. L'immaginazione prende corpo seguendo il viaggio sul tappeto volante, a mano a mano che il genio delle Mille e una notte prende corpo come fumo che si condensa, incontra il perturbante incantesimo di cui sono vittima i giovani trasformati in statue di marmo, e lo scintillare della magia che fa rifluire la vita. Nell'antica fiaba che Apuleio incastona come una gemma nelle Metamorfosi si legge di Psiche che deve separare in tanti mucchi ordinati un'immensa quantità di semi confusi assieme . E in altre fiabe si racconta di una fanciulla che in una sola notte deve ordinare secondo le specie degli uccelli tutte le piume variopinte contenute in una stanza. Psiche, il cui nome, come è noto, in greco significava anima, si accora, certa che il compito sia impossibile, eppure, per magia, al mattino il lavoro è fatto, e la fiaba prosegue. Chi ricerca nelle fiabe è mosso dal senso che esse siano rette da un ordine mirabile e che la loro struttura possa rivelare un' armonia certa e preziosa, il segreto dell' arte antica di intrecciare vicende e figure. Di fronte al lavoro ci si sente come la fanciulla delle fiabe: la loro semplicità ha la leggerezza delle piume, la loro varietà è pari a quella degli abitanti dell'aria. È impossibile fermarle: in seno al vento si muovono tra oriente e occidente, e attraverso il tempo, narrandosi con la stessa grazia in culture diverse. È proprio della fiaba il viaggio, il movimento che collega funzioni e motivi, simboli e luoghi metaforici, che avvicina e allontana attanti umani e figure magiche. Mentre ha in comune col Paese dei sogni notturni la complessità di articolazione e la ricchezza simbolica, il Paese della fiaba ha una comprensibilità così immediata e vasta che lo stesso racconto, con lievi variazioni, è gradito al bambino come all' adulto, in un pubblico che accomuna letterati e analfabeti. La complessità della fiaba è nella raffinata articolazione dei suoi sensi, stratificati, polimorfi, la sua semplicità è nella grazia dei suoi ritmi e delle sue figure, umili e comuni come vecchi burattini di legno, inerti se dimenticati in un angolo, pronti a ridare vita a storie di magia appena un narratore e un ascoltatore li ritrovano. La fiaba è una forma narrativa autonoma, dotata cioè di leggi sue proprie, un organismo poetico vivente in comunicazione con altre forme, come l'espressione rituale o il mito. La narrazione è la scansione armonica di queste immagini, che al suo interno dispiegano il loro senso, e risuonando una con l'altra compongono un insieme evocativo e polisemico che raggiunge e muove diversi piani di Psiche. Le immagini possono essere intese secondo ermeneutiche diverse. Applicando la concezione junghiana riconosciamo nelle figure gli archetipi dell'inconscio collettivo, e nella vicenda un percorso analogico al processo di individuazione. Negli attanti e nelle loro vicende si può riconoscere una rappresentazione della storia della libido attraverso le fasi di sviluppo descritte da Freud, e riconoscere le immagini degli ostacoli e delle soluzioni che rendono difficile e possibile il fluire dell'energia psichica verso la soddisfazione dei bisogni e verso la realtà. Gli alchimisti ritenevano che le fiabe, come i miti, fossero racconti creati dal loro fondatore per velare la conoscenza segreta della loro arte. Come la morte o la separazione indicherebbero la divisione degli elementi, le nozze regali sarebbero l'immagine della conjunctio alchemica. Se si viaggia tra le fiabe come in un terreno archeologico, vi si trovano resti e brani intatti di miti, di canzoni, di rituali perduti, di modi di dire, connotazioni antropologiche e sociologiche, e perfino spunti utili a ricerche di carattere storico. Le fiabe contengono preziosi reperti archeologici, ma non sono quei resti; possono essere interpretate secondo concezioni psicoanalitiche diverse, ma non sono quelle concezioni; hanno mille corrispondenze con l'arte alchemica, ma non sono alchimia. Le interpretazioni sono preziose, perché nella fiaba molti elementi rimandano a qualcosa di lontano e quasi perduto, come i sogni. Senza cercare le analogie con campi diversi, troppe domande restano senza risposta: sembra che l'arbitrio sia sovrano nella loro armonia, quando si rappresenta improvvisa una perdita, una fuga, una metamorfosi. L'interpretazione deve aderire al suo oggetto, essere parte della descrizione, cercando di offrire spazi di risonanza al racconto e renderne gli echi con la massima fedeltà, unita alla consapevolezza che l'eco varia a seconda dello spazio che riproduce la parola. Se ermeneutiche diverse e apparentemente divergenti posso trarre letture altrettanto coerenti e significative dalla fiaba, siamo portati a riconoscere che la fiaba è aderente alla natura di Psiche, sia come anima, sia come oggetto di cura, di studio e d'indagine della psicoterapia psicoanalitica. Dire che la fiaba è una forma narrativa autonoma significa riconoscere la sua specificità di linguaggio di Psiche. Un sogno notturno, una fantasia o un racconto personale, che contengano gli stessi elementi simbolici di una fiaba, sono altro dalla fiaba. Essa è caratterizzata da una valenza comunicativa della massima estensione: non c'è una forma espressiva verbale altrettanto traducibile in lingue diverse. In tutto il mondo si trovano fiabe così simili che gli studiosi si sono a lungo interrogati per comprendere se questo fosse da spiegare con migrazioni di popoli che diffondevano le loro storie o se non si dovesse credere che gli stessi intrecci potevano nascere spontaneamente sotto diversi cieli. L'esercizio poetico e quello del narrare sono l'operare dell'uomo sul terreno collettivo della comprensione, del linguaggio vivo. Questo terreno ha senso, ritmo e risonanza; in esso si coltivano legami sociali e culturali, coniugando il sentimento e l'esperienza personale con la storia di tutti. La fiaba è il luogo d'incontro delle rappresentazioni che compaiono nei sogni, con le loro valenze archetipiche, infantili, arcaiche, e del ritmo fluido del narrare cosciente. Nelle fiabe i fantasmi, siano mostri o fate, entrano in scena secondo una regia accettabile per la coscienza, offrendo una rappresentazione ricca di segreti e piena di contrasti e colori, come il giardino sotterraneo di Aladino, dove i frutti degli alberi sono gemme di ogni genere. Viaggiando in seno al vento, o nel cuore di un popolo di nomadi o di conquistatori, viaggiando nel tempo, dalla corte del Califfo di Baghdàd al palazzo del Re Sole, la fiaba muta vesti e ornamenti, come Aladino e la sua principessa, e come loro resta fedele a se stessa, fedele alla sua natura, tanto che ascoltandola diciamo: «È questa fiaba». Ci sono motivi fiabeschi che vengono da contesti diversi, e possono fluire in nuove forme. La storia di Amore e Psiche è allo stesso tempo un mito e una fiaba: dalle storie di dèi prende nomi, caratteri, e l'apoteosi finale, mentre contiene motivi di prove e di magia che ricompaiono in innumerevoli fiabe successive. Ogni forma espressiva specifica corrisponde a un livello di significazione di Psiche, a una particolare area rappresentativa. Non riconoscerla significa trascurare un Paese, una Terra della mente, e implica il rischio di colonizzarla e spogliarla dei suoi tesori, che diventano reperti archeologici recisi dalla loro vita, o di trascurarla e lasciarla inaridire come una lingua morta e dimenticata. La specificità formale ed espressiva della fiaba può essere sottolineata se la confrontiamo con altri generi, come il mito o la novella. Una ricerca in questo senso potrebbe descrivere l’interazione tra la fiaba e altre forme letterarie; noi ci limitiamo a poche osservazioni. FIABA E APOLOGO Nell'una e nell'altro incontriamo gli animali parlanti, che possono vivere tra loro in un consesso dotato di regole e rotture come quello umano. Nell'apologo la tensione narrativa e l'effetto retorico enfatizzano la sentenza finale, di cui il breve racconto sembra la figura. Nelle fiabe possiamo trovare una morale finale, ma la sua presenza è un ornamento o una giustificazione dell’autore, che può essere lasciata da parte senza che la fiaba muti. Se all’apologo si toglie la morale finale, la sua intenzione di insegnare qualcosa, insieme all'ammaestramento, esso perde senso. Gli eventi delle fiabe di magia e dei miti a volte sono coincidenti, e certo fra i due generi non c'è una netta linea di separazione. La differenza consiste nell’orizzonte in cui si dispiegano i movimenti narrativi: umano e magico per la fiaba, mentre quello del mito si origina e si conclude toccando l'orizzonte divino. Gli eroi del mito ricevono un compito di civilizzazione da una divinità, mentre gli attanti fiabeschi si mettono in movimento seguendo un bisogno o un desiderio inelusibile. All' attante fiabesco non viene mai tributato un culto è uomo tra gli uomini; conosce la magia durante il cammino: come ne era privo all’inizio, alla fine se ne separa e torna pienamente umano. Mentre l'eroe mitico ha spesso un destino di morte o di divinizzazione, l'attante fiabesco, come Aladino, percorre un cammino che lo porta all'unione, alle nozze regali. FIABA E LEGGENDA Tra le leggende si trovano racconti .molto simili alle fiabe di magia, nelle quali incontriamo Gesù, san Pietro o altri santi al posto di attuanti, maghi o eroi. La differenza è nell'esplicito riferimento all'orizzonte della dottrina religiosa, mentre il dispiegamento della fiaba di magia ,non presuppone codificazioni ufficiali. Le numinose presenze della fiaba, i maghi, la baba-yaga, la fata di Cenerentola e la strega dì Biancaneve, non hanno residenza in Paradiso, né sull'Olimpo. Escono a volte semplicemente disturbati da un contadino che sbarba una rapa, da sottoterra, dove vivono in sorprendenti palazzi, o giungono in volo dai Paesi ai confini della terra, come le Isole Waq, e vi tornano appena gli attanti hanno compiuto il loro percorso. FIABA E NOVELLA Anche tra queste due forme, come tra fiaba e il mito, si possono trovare analogie e coincidenze molto vaste. Userei i1 termine «fiaba» col valore del tedesco Märchen, per racconti in cui compare la magia. Si può dire che si tratta di novella quando l’orizzonte umano non tocca quello divino e resta umano, concreto per tutta la narrazione, senza la metamorfosi e i dispiegamenti numinosi della magia. Ci sono racconti che si snodano come fiabe, come queste iniziano con un desiderio o un bisogno, ma anziché un talismano entra in campo una facoltà straordinariamente sviluppata, come l'astuzia mercuriale o la dolcezza paziente. Non ci sono più le fate o gli gnomi nel momento del rischio e della prova, non sono più i geni a dare ricchezza, ma l'uso accorto e fortunato di un tratto specificamente e dichiaratamente umano, esistente e visibile sul piano della realtà quotidiana. La fiaba unisce nel suo percorso doti umane e paesaggi comuni a ierofanie magiche, popolari, legate ai luoghi e agli uomini, ma altre dalla realtà che si misura e si scandisce ogni giorno. FIABA E FIABA D’AUTORE Riconoscendo alla fiaba la sua autonomia stilistica, Max Lüthi riteneva che si dovesse ipotizzare l’esistenza di un Poeta, restato incognito. Preferisco immaginare una formazione collettiva, una composizione a più mani e in più tempi. L’Autore viene al momento della codificazione scritta, e non subito, visto che i primi narratori scrittori, come Basile o Galland, dichiaravano di mettere sulla carta storie manoscritte o raccolte dai narratori popolari, riconoscendosi semmai l’intento, comune del resto a tutti i veri narratori, di rendere le fiabe comprensibili e gradite al loro pubblico. Galland o Basile prestavano la loro penna alla tradizione, come il narratore orale prestava la sua voce. Per fiabe d'Autore intendo quei racconti che si trovano in Andersen, o in Hesse, che attingono consapevolmente al materiale della tradizione firmando la loro opera come creatori di racconti, e non solo come narratori. Il loro mondo psichico e il loro romanzo personale si coniugano volontariamente alla rappresentazione collettiva, e noi ne possiamo rintracciare la presenza. Il protagonista della fiaba d'Autore si avvicina al protagonista del romanzo, è più mobile di quello della fiaba. L'attante fiabesco ha la fissità delle figure collettive che, consentendo un grado massimo di identificazione, ne garantiscono l'universalità. Il desiderio nella fiaba è immediatamente vicino al bisogno dì cui costituisce la rappresentazione cosciente, e altrettanto immediatamente l'attante lo segue, affronta prove, subisce sconfitte e incontra la buona sorte e la magia, spesso senza alcuna riflessione. Ciò che muove il protagonista del romanzo è un’oscura inquietudine, quasi una distanza dai suoi stessi desideri, un distacco moderno dai bisogni. Si può osservare infine che mentre il protagonista del romanzo, come Don Chisciotte, riconosce facilmente il suo rapporto con la letteratura, l’attante fiabesco la ignora. La scrittura all’interno delle fiabe è messaggio immediato o iscrizione magica. La storia di Aladino, di cui recentemente è apparsa una riscrittura francese col titolo Le Roman d’Aladin non appartiene a un solo genere, né a una sola tradizione. È un piccolo capolavoro che non si lascia neppure mantenere in una sola raccolta, come vedremo nell’appendice al quarto capitolo, relativa alla storia della storia... In questo senso è tra le fiabe meno adatte a essere descritte come tali, oppure la più adatta, perché forse nessuna fiaba si lascia definire. Colta la specificità di una forma narrativa, la relazione tra un motivo e un’area culturale, o la ricorrenza universale di un personaggio ben caratterizzato, si può parlare di una rappresentazione e delle sue caratteristiche. Ma non tarderà ad affacciarsi un nuovo racconto, una nuova figura magica, che sembra fatta apposta per mettere in crisi la definizione faticosamente raggiunta, ricordando che per ogni forma viva la classificazione è a rigore impossibile. Viaggiare con sensibilità psicoanalitica nella fiaba di Aladino porta a formulare ipotesi, lasciando spazio a ogni nuovo elemento, che non può che arricchirne la comprensione. Così accade per ogni fenomeno psicologico: come tra sogno e veglia, esiste un confine, ma mobile, elastico, quanto le fluide realtà che in qualche modo delimita. TRA METODO E SOGNO Racconta Platone che, avvicinandosi la sua morte, Socrate si mise a fare poesie «...mettendo in versi e in musica le favole di Esopo...», cosa che non aveva mai fatto prima. Agli amici che gliene chiedevano la ragione, Socrate aveva risposto che non era stato per cimentarsi in una gara di poesia, «...ma solo per
sperimentare certi miei sogni che cosa volessero dire,
e per togliermi dal cuore ogni scrupolo nel caso che
proprio questa fosse la musica che mi ordinavano di
fare. Perché mi capitava questo: più volte nella vita
passata veniva a visitarmi lo stesso sogno,
apparendomi ora in uno ora in altro aspetto; e sempre
mi ripeteva la stessa cosa: - O Socrate, - diceva, -
componi ed esercita musica -. E io, allora, quello che
facevo, codesto appunto credevo che il sogno mi
esortasse e mi incitasse a fare; e, alla maniera di
coloro che incitano i corridori già in corsa, così
anche a me il sogno incitasse a fare quello che già
facevo, cioè a comporre musica, reputando che la
filosofia fosse musica altissima e non altro che
musica io esercitassi. Ma ora, dopo che ci fu il
giudizio, e la festa del dio impediva che io morissi;
dato che fosse questa, nel significato ordinario della
parola, la musica che il sogno mi comandava di fare;
mi parve non dover disobbedire al sogno ma appunto
fare di questa; e fosse più sicuro e tranquillo non
partirmi di qui se non prima di essermi tolto ogni
scrupolo componendo poesie e obbedendo al sogno. E
così, prima di tutto, feci un inno al dio di cui era
allora la festa; e dopo l'inno al dio, pensando che il
poeta, se vuol esser poeta, ha da comporre favole e
non ragionamenti, e io non ero favoleggiatore, ecco
perché quelle favole che avevo più alla mano e che
sapevo a memoria, quelle di Esopo, mi misi a poetare
di codeste, le prime che mi
vennero in mente».
La festa in onore di Apollo, dio della divinazione e della musica, ha fatto dono a Socrate di un giorno di vita. In questo giorno il filosofo lascia la sua precedente interpretazione dei sogni, cerca il ritmo musicale della poesia, e afferma che il poeta ha bisogno delle immagini. Come ogni narratore, attinge alla tradizione così come la ricorda, e nel dialogo ci dona una meravigliosa connessione tra sogno, musica, favola e poesia. L'uomo che ascolta i sogni e riconosce il dono di un giorno di vita, sente il desiderio e il bisogno di cercare il ritmo, della poesia o della narrazione, e le immagini della favola, dove gli animali e gli uomini parlano tra loro. «Poesia» viene dal verbo greco poièo, che significa «fare, preparare, costruire, formare con arte». Nel suo etimo la poesia è compresa come un fare, un forgiare con le parole. C'è una parola greca che si può tradurre con «rappresentazione»: eidopoìa. Mentre il termine «rappresentazione» indica qualcosa che si protende e manifesta una sua forma, come l'azione teatrale sul palcoscenico, il termine greco contiene il fare, poièo, e il sostantivo èidos. Come il sanscrito veda deriva dalla radice indoeuropea WEID, «vedere, sapere,», e della stessa famiglia sono le nostre parole «idea» e «visione». Èidos in greco significava allo stesso tempo «forma, immagine, idea». Nella antica matrice etimologica del frutto del pensiero e della vista noi ritroviamo la caratteristica fondamentale di Psiche. Nessuno può affermare di essere totalmente privo di immagini, anche quando sia nel terreno più astratto della filosofia o della matematica, né possiamo parlare di figure che non evochino immediatamente un nome, chiedendolo o proponendolo alla coscienza. Chiamiamo «attività rappresentativa eidopoietica» l'incessante lavoro della mente, che in un intreccio inestricabile di concetti e visioni, di figure e sentimenti, offre le sue forme, le nostre rappresentazioni personali e quelle collettive, che accomunano le culture dell'uomo nello spazio e nel tempo, scaturendo dalla stessa fonte e scorrendo nella stessa vita. Le figure della fiaba come rappresentazione eidopoietica portano echi passati, e creano echi nuovi in chi le ascolta. Incontreremo le figure della fiaba di Aladino come presenze psicologiche pronte a colorarsi con la tavolozza di chi narra e di chi ascolta, di chi legge e di chi scrive. Quando Propp, molte decine di anni fa, preparava il suo libro Morfologia della fiaba, volle aprirlo con queste parole di Goethe: La
morfologia deve ancora essere accettata come
scienza particolare, che considera suo oggetto
fondamentale ciò che nelle altre scienze
particolari viene trattato occasionalmente e di
passaggio, raccoglie ciò che in esse è disperso
istituisce una nuova prospettiva che permette di
considerare in modo facile e agevole le cose della
natura. I fenomeni da essa trattati sono di grande
importanza; le operazioni intellettuali mediante
le quali essa raffronta tali fenomeni sono
conformi alla natura umana e ad essa gradite, così
che anche un esperimento non riuscito non sarà per
questo privo di utilità e bellezza.
Un grande merito di Propp è quello di aver considerato la fiaba di magia come oggetto in sé degno di attenzione, un altro è nella sua ipotesi che la stessa fiaba di magia possa costituire un luogo privilegiato d'osservazione per il folklorista come per lo studioso di letteratura. Ciò che muoveva Propp era la natura comune e insieme estremamente varia delle fiabe, e la domanda sull'origine di una forma narrativa così diffusa. E scriveva: ...è assolutamente
infruttuoso occuparsi della loro origine senza aver
risolto il problema della loro descrizione, come
invece si fa di solito. È chiaro che prima di
chiedersi donde abbia origine la favola bisogna
chiarire in che cosa essa consista.
L'epigrafe tratta da Goethe-scienziato, non separabile da Goethe-Faust, aiuta a comprendere il sogno del ricercatore che considera fondamentale il suo oggetto e non intende utilizzarlo come banco di prova per teorie elaborate in ambiti diversi. La fiaba deve essere vista nel suo insieme: l'ermeneutica servirà a spiegarla e comprenderla nelle sue parti, che ricevono significato l'una a contatto con l'altra, come le gemme e l'oro di un gioiello di squisita fattura. I simboli, i motivi, i personaggi delle fiabe, non sono disponibili a diventare illustrazioni per nessuna concezione, per quanto giusta. Nel sogno del ricercatore c'è la speranza di ordinare tutte le piume e i semi secondo .un criterio di cui Intuisce la validità e al quale la fiaba sembra aderire, tanto che si sta per indicare la soluzione definitiva della prova. Ma basta che una finestra si apra a oriente e lasci entrare nuove piume colorate, nuove fiabe, e tutto si scompiglia, irridendo l'ottimismo del ricercatore e lasciandolo nello stato d'animo di Faust, deluso dai suoi alambicchi. La magia della fiaba è diffusa in chi la narra, in chi l'ascolta, si diffonde anche intorno a chi la studia, purché non pretenda di metterla in una gabbia interpretativa: in questo caso sembra di possedere e di osservare la fiaba, mentre in realtà ci si occupa delle sue spoglie, del suo cadavere. La fiaba se n'è andata in seno al vento, o sulle sue ali di carta e di magia, portando con sé la vitalità di Aladino e il misterioso fascino del genio della lampada. Da molti anni studio le fiabe, e da sempre le leggo, le ascolto e le racconto, da alcuni anni studio la fiaba di Aladino. Molte volte ho avuto il senso di sfiorare la sua realtà ineffabile, di conoscere la sua origine, la sua struttura, e almeno altrettante volte ho pensato di essere in errore, e di dover ricominciare daccapo. Ammesso che fosse possibile, per conoscere a fondo una fiaba come quella di Aladino, accanto allo psicoanalista occorrerebbero studiosi di discipline diverse, un arabista, un filologo, un esperto di letteratura e semiologia, uno storico ... Eppure Aladino è un personaggio comune, la magia della lampada si dispiega in innumerevoli riduzioni e in pagine infantili, mantenendo proprio cosi la sua fama e il suo incanto. È anche vero che non basta una lettura veloce, anche delle prime versioni scritte, per conoscere il suo valore, come non basta una visita per sentire la ricchezza di una galleria d'arte. Cercherò di essere una buona guida, affinché il viaggio sia fonte di piacere per il lettore, che possa riconoscerne i movimenti e vi torni quindi da solo, per visitarla secondo la sua propria sensibilità. Intendo la fiaba come sogno collettivo. Essa è per la viva comunità in cui si racconta ciò che per ogni persona è un certo sogno notturno. Come il sogno è costituito da materiali della veglia, da piccole, dense figure dell'infanzia, e da strutture archetipiche e simboliche sovrapersonali, cosi la fiaba è costituita da motivi presi dal contesto storico in cui si racconta e da valori simbolici cosi antichi che possiamo definirli atemporali. Come il sogno, la fiaba ha una specifica sintassi e una retorica che la legano all'inconscio e che la rendono adatta ad abitare la coscienza. Come ogni persona sogna, cosi in ogni cultura fiorisce la fiaba. E come i sogni personali hanno tra loro rimandi, analogie e brani del discorso comuni, cosi è per le fiabe. Per la sua doppia cittadinanza, che coniuga nomi e paesaggi della realtà concreta e figure psichiche dalla sostanza inafferrabile, la fiaba, come il sogno che ricordiamo durante il giorno, muove e forma la linea viva che separa e unisce il sonno e la veglia, la notte e il giorno, l'inconscio e la coscienza. PER IL BAMBINO INCANTATO En la Casa de los Ninos
Espositos, e1. nino se va poniendo triste, y mucho
de ellos mueren de tristeza.
(Dal diario di un vescovo spagnolo del Seicento) Qualcuno racconta la fiaba di Aladino, di quando è chiuso nel sotterraneo e si dispera perché ha paura di morire, e del genio dall'aspetto spaventoso .che appare strofinando senza volere l'anello magico. Il bambino è incantato dal racconto, partecipa all'angoscia di Aladino e esce alla luce con la sua stessa magia. Una volta, tanti anni fa, quando ascoltavamo le fiabe, o le leggevamo in un nostro libro, c era una storia che amavamo più delle altre e che tornavamo sempre a cercare. Aladino o l'Ammazzasette, Cenerentola al ballo del principe, Biancaneve che riapre gli occhi e sorride tra le pagine o nell'arte della voce vivevano la loro esistenza virtuale, pronti animare la nostra stanza con la loro magia. Forse c’era anche una strega vecchia e laida, dalle mani adunche, che c’impauriva, e tornava a spaventarci nel bosco incantato di buio e angoscia dove non ci si poteva addormentare Quando. da adulti sappiamo bene che la strega non può uscire dalla realtà poetica della sua fiaba per ghermirci nel sonno, certi che gli oggetti della nostra stanza non si trasformano con l'assenza della luce noi spesso ignoriamo cosa tema, cosa veda il bambino stretto nella sua paura, che continua a chiamare, e a piangere. Chiunque abbia provato a quietarlo, sa che non basta mostrargli i confini stabili delle pareti, né fa alcun effetto affermare che la strega non esiste, che il buio non é nulla, dirgli che non si deve avere paura. Le fiabe sono state accusate di incrementare certe paure irrazionali del bambino. Certo il genitore che ha messo tutto il suo impegno per farlo crescere sereno farà il possibile per trovare una causa esterna di quella strana angoscia, accusando i racconti superstiziosi della nonna o il film trasmesso dalla televisione. La tendenza ad attribuire ad altri la responsabilità del fantasmi perturbanti del bambino deve essere di vecchia data, se Freud scriveva: Si sopravvaluta
l’effetto sui bambini di tutti gli spauracchi e dei
racconti orripilanti delle bambinaie, quando le
accusiamo di determinare la loro pavidità. Solo i
bambini che tendono alla pavidità accolgono quei
racconti che in altri non lasciano traccia alcuna.
Incantato all'interno della fiaba è il personaggio che imbattendosi in una forza magica accelera o rallenta al di là dei limiti comuni a tutti il suo cammino, la sua vita, incrementa o diminuisce altrettanto sproporzionatamente, sempre rispetto alle misure concrete, una sua facoltà: fa sette leghe. a ogni passo, oppure ha il corpo dalla cintola in giù trasformato in pietra. Incontrando la fata, il principe più brutto e sgraziato che si fosse mai visto diventa bello e amato da tutti; spalo mandosi un unguento su un occhio il mercante di una fiaba delle Mille e una notte vede i tesori sepolti, spalmandolo su tutti e due gli occhi diventa cieco per sempre. È un incantesimo quello della fata madrina di Cenerentola, che trasforma una zucca e alcuni topolini in un cocchio dorato trainato da nobili destrieri, è un incantesimo quello che fa crescere una lucertolone in un sauro dalle dimensioni umane, che parla e vuole sposare la figlia del re. Incantato: soggetto a un incantesimo, meraviglioso o perturbante, che rende belli, ricchi e potenti, oppure brutti, pietrificati, abbandonati. La nostra parola viene da incantatus, che in latino significava «legato dal canto», designando la condizione di chi veniva introdotto dal canto rituale in uno spazio sacro. Colui che cerca o subisce la magia nelle fiabe entra nel cerchio dell''incantesimo, che lo isola in una dimensione nella quale si alterano lo spazio e il tempo comuni a tutti. Nel cerchio della magia si aprono percezioni e vicende che sono presenti ma nascoste per la vita di ogni giorno. Occorre un canto che lega per entrarvi, e un canto che scioglie per uscirne. C'è un momento di silenzio che precede la fiaba, quando si sospende il gioco e ci si dispone all'ascolto, come cessa il brusio e si resta seduti per un concerto. C'era una volta, tanto tempo fa, nell'ultimo dei reami... Si anima un orizzonte diverso dall'orizzonte stabile della vita quotidiana, perché gli oggetti potranno scomparire o apparire dal nulla, come il palazzo reale di Grazioso davanti a Persinetta; distanze che richiederebbero un anno di viaggio sono attraversate con un genio alato in un battito delle ciglia, oppure diventano lunghissime, tanto che per raggiungere la salvezza occorrono sette anni, e che si consumino sette mazze di ferro e si riempiano del proprio pianto sette fiasche fino all'orlo. L'attante diventa un asino, o si fa piccolo come il dito mignolo. C'è un balsamo che resuscita, un unguento che acceca, un gesto che paralizza, uno che fa ricrescere le mani tagliate. Una vecchia lampada d'ottone conferisce la sovranità sui geni che attingono agli inesauribili tesori nascosti, costruiscono in una sola notte il meraviglioso palazzo di Aladino, e con la stessa facilità lo trasportano avanti e indietro dalla Cina al Maghreb. Ogni incantesimo implica un incantesimo di segno opposto. A mezzanotte il cocchio ridiventa zucca, l'abito principesco ridiventa stracci sporchi di cenere. Aladino ottiene magicamente il palazzo, lo perde e lo ritrova. Per tre volte rischia la vita e per tre volte si salva. L'oggetto magico che rende praticamente onnipotenti all'inizio non c’era, e alla fine torna nel Paese della magia, o il suo uso viene limitato. La magia non è un possesso stabile neppure per gli abitanti del mondo incantato. Dopo le sorprendenti metamorfosi, le dimensioni diventano stabili, gli attanti sanno quale distanza hanno percorso, riacquistano le giuste dimensioni. La magia si coniuga con una regola volta a ripristinare, in bene o in male, l'assetto precedente al suo dispiegamento: anche per le fiabe la realtà comune a tutti, quotidiana, storica, è tutelata come valore fondamentale. Alla fine della narrazione si torna all’orizzonte del gioco lasciando il Paese che c'era una volta, lontano lontano, si è come risospinti fuori, dove gli oggetti mantengono la loro forma e dove la lunghezza del proprio passo è uguale a quella del passo di tutti. «Stretta la foglia, larga la via: dite la vostra che ho detto la mia», conclude il narratore, e chiude la porta che aveva aperto. Le fiabe sono racconti del mondo incantato. La loro magia consiste nell'aprire la porta di questo mondo perché possiamo entrare e nel riaprirla perché ne possiamo uscire. Dalla stona alla metastoria, dalla fantasia alla realtà, come chiudiamo gli occhi per vivere il sonno e sogni di ogni notte, e li riapriamo ogni giorno. Abbiamo parlato del Paese delle fiabe come di una terra altra rispetto al Paese della realtà comune, ma sappiamo che il confine è mobile. Noi possiamo tracciare una linea, ma la linea sarà netta se saremo lontani, astratti, e diventerà morbida, sinuosa e varia quanto più ci avviciniamo alla realtà che delimita. Noi sappiamo quando sogniamo e quando siamo svegli, ma conosciamo esperienze che sospendono questa certezza: visitiamo un luogo per la prima volta e siamo colpiti dalla precisa sensazione di averlo già conosciuto, che ci sia familiare. O ci stiamo svegliando, ma le immagini del sogno ci avvincono, per qualche istante non sappiamo dove siamo, com’è orientato il nostro letto, sembra che una persona perduta sia accanto a noi, o che la persona presente sia svanita nel nulla. Scriveva Freud nel saggio Il Perturbante: Quanto più un uomo si
orienta nel mondo che lo circonda, tanto meno
facilmente riceverà un'impressione di turbamento
(Unheimlichkeit) da cose o eventi.
Orientarsi nella realtà, riconoscere le sue dimensioni, seguire il suo ritmo, essere coscienti della propria posizione, è una meta di Psiche che non si raggiunge una volta per tutte. La realtà è un intreccio di fili che vengono da matrici varie, dal mondo degli oggetti come dalla sensibilità soggettiva, si inseriscono in una trama antica, legata al proprio romanzo personale e alla storia di tutti, e si svolgono secondo la speranza, il progetto, secondo le occasioni di vita. Noi siamo questa molteplicità di Paesi, questa irriducibile compresenza di densità diverse, più aeree e leggere, più solide e pesanti. Psiche è l'insieme delle rappresentazioni di tutto questo, dove la capacità di orientarsi fonda il linguaggio comune a tutti. Ciò di cui siamo o diveniamo coscienti è ciò che trova nomi, che può essere raccontato e ascoltato. Nell'esperienza del perturbante si sperimenta una perdita improvvisa di questo senso di orientamento, che può corrispondere al termine tedesco Wirklichkeitsgefühl, «senso della vera realtà». Nel saggio, Freud riconosceva nei motivi delle fiabe gli elementi che caratterizzano il senso del perturbante e scriveva: Consideriamo il
perturbante che compare nell' onnipotenza dei
pensieri, nel subitaneo appagamento dei desideri,
nelle forze nefaste occulte, nel ritorno dei morti.
Non si può disconoscere la condizione che determina in
questi casi il senso del perturbante. Noi - o i nostri
primitivi antenati - abbiamo ritenuto vere in passato
tali possibilità, abbiamo creduto nella realtà di
questi processi. Oggi non ci crediamo più, abbiamo
superato questo modo di pensare, ma non ci sentiamo
completamente sicuri di questi nuovi convincimenti,
giacché le antiche presenze sopravvivono ancora in noi
e stanno lì, in attesa di conferma. Ebbene, non appena
nella nostra esistenza si verifica qualcosa che sembra
convalidare questi antichi convincimenti ormai
deposti, ecco che nasce in noi il senso del
perturbante; ed è come se esprimessimo un giudizio del
tipo: «Ma allora è vero che si può uccidere una
persona col solo desiderio, che i morti continuano a
vivere e diventano visibili nei luoghi in cui
operarono in vita, e via di seguito!». Chi al
contrario si è radicalmente e definitivamente liberato
di queste convinzioni animistiche è insensibile al
perturbante di questo tipo. La più straordinaria
coincidenza tra desiderio e realizzazione, la più
enigmatica ripetizione di episodi analoghi nello
stesso luogo o alla stessa data, le più ingannevoli
percezioni visive e i rumori più sospetti non gli
causeranno alcuno smarrimento, non desteranno in lui
traccia alcuna di quell'angoscia che può essere
chiamata angoscia di fronte al «perturbante». Si
tratta qui dunque semplicemente di una faccenda che
riguarda l' «esame di realtà», di un problema
attinente alla realtà materiale.
Gli attanti fiabeschi vivono anche come esseri storici, comuni, Aladino è un ragazzo povero che non ha nessuna voglia di lavorare, finché non si dispiega per lui 1'evento magico: una lampada attraverso la quale ogni desiderio può avverarsi. Per lui stesso e per tutta la sua fiaba, come vedremo nei prossimi capitoli, si pone il problema dei limiti tra realtà e magia. La madre di Aladino lo ammonisce a disfarsi della lampada e a non restare in rapporto con il genio, cosa proibita, ma Aladino cerca una soluzione che, senza turbare la madre, gli consenta di non perdere i benefici della magia. Loro stessi possono subire l'effetto perturbante del genio o del mago, e il loro modo di subirlo corrisponde all'improvvisa perdita dei confini della realtà di cui parla Freud. Anche il bambino assalito improvvisamente dalla paura del buio ha subito una perdita dei confini della sua stanza. Qualcosa irrompe e dà un brivido, o una vertigine. Scuote o lascia sospesi, fa vacillare. Crea una discontinuità percettiva. Questo capita, con intensità e frequenza diverse, a tutti, se non altro nei sogni notturni, e diversi sono i modi di rapportarsi con questa discontinuità. L’appassionato di scienze occulte cerca di estenderle; il razionalista che pensa di aver superato una volta per tutte queste angosce primitive tende a negarle, o a chiuderle in definizioni tranquillizzanti. Più spesso si vivono in maniera scissa, negandole e irridendole, o temendole e rispettandole, a seconda delle circostanze. . Lo psicoanalista le ascolta come ascolta i sogni, perché ogni crisi della coscienza è la rappresentazione di un fenomeno inconscio. Alla mancanza, alla voragine o alla crepa della coscienza corrisponde una presenza inconscia, infera o numinosa, in ogni caso un fenomeno psicologico. Se emerge ha una forma, un èidos, si è sporto in avanti, sul proscenio, alla luce, si è rappresentato. È intenso per la vertigine che provoca, quindi attinge a qualcosa di ricco, a un tesoro sotterraneo di cui si ignora la chiave, di difficile accesso. Nella fiaba potremo vedere che i tesori nascosti non sono affatto facili da conquistare e da mantenere. Scendere nel sotterraneo del tesoro, o mettersi in mare spinti da un desiderio improvviso, presenta il rischio insito in ogni allontanamento dall’orizzonte della certezza, dalla casa dei genitori, dalla propria città. Ci si può perdere, restando vittime di un incantesimo senza ritorno. Il bambino che ha paura del buio vorrebbe credere che la sua stanza è stabile, sicura, come cerca di spiegargli l’adulto. Se non può è perché sono affiorati dei fantasmi. Che .abbiano le vesti e il ghigno della strega di Biancaneve o i dentacci e la statura smisurata dell'Orco mangiabambini, o che siano senza nome, comunque spaventano. La strega di Biancaneve o il mago di Aladino sono figure collettive e culturali, hanno una storia anteriore a quella personale, la tradizione che li ha formati ha valore di comunicazione universale. Per gli esseri numinosi e perturbanti della fiaba esiste già una trama in cui si possono sconfiggere conquistandone il tesoro. Il vissuto personale del bambino trova nelle rappresentazioni delle fiabe una lingua storica del mondo incantato, che si coniuga col suo mondo, con le sue difficoltà, le sue angosce e le sue risorse, come la lingua materna si coniuga col suo bisogno di comunicare. Se la fiaba è raccontata al genitore, il bambino saprà inoltre che chi lo ama e lo protegge accoglie a qualche livello la realtà incerta dei suoi fantasmi, e sarà incoraggiato a chiedere soccorso nell’angoscia. La povertà' di immagini tradizionali ha per Psiche effetti negativi analoghi alla povertà della lingua. Se ciò che spaventa, emoziona, perturba, non trova una forma che lo renda comunicabile, si forma una frattura tra il contenuto intimo e la realtà comune, e ne consegue un impoverimento. Quando il bambino si sente impotente e perduto, può ricordare che anche Aladino si sentiva cosi nel sotterraneo, e che c'era qualcosa che scioglieva la situazione, penetrandone il senso e riportando alla luce. Nel bambino incantato che ascolta la fiaba manca la distinzione adulta tra realtà dell'azione e potenza del pensiero. Per questo la fiaba è per i bambini facilmente perturbante, e non è perturbante per l'adulto che ha tracciato questi confini. Nella fiaba, come osservava Freud, noi troviamo rappresentata la stessa onnipotenza del pensiero che riconosciamo nel mondo infantile e primitivo. Ma l'eroe che affronta e supera prove insieme alla magia deve avere astuzia, costanza, generosità. Ci sono leggi nel mondo delle fiabe: i tesori sono destinati a qualcuno, che deve sciogliere quel particolare nodo, chiedere aiuto in modo gentile, essere pronto a lavorare senza ricompensa. Deve realizzarsi un insieme di elementi che sembrano ingenui, ma che rivelano la loro sapienza in relazione alle leggi profonde di Psiche. Se torniamo al nostro bambino che subisce l'incantesimo, vediamo che non abbiamo alcuna indicazione su come fare a consolarlo. Ma ci siamo avvicinati a lui, accostando la sua paura agli incantesimi delle fiabe, al concetto del perturbante come fu introdotto da Freud, al nostro modo adulto di essere perturbati. L'adulto che afferma di fronte a se stesso che la realtà che conosce è così stabile che non può mai perdere l'orientamento, e vuol dimostrare che non c'è nulla per lui di perturbante, non avrà risorse per aiutare il bambino, perché non potrà avvicinarsi a lui. Non saprà acccoglier1o, perché nega dentro di sé il bambino che è stato, e che continua la sua vita di desideri e sogni negati. Non dando ascolto a questo bambino interiore e sofferente, isolato, abbandonato, non potrà dare ascolto al bambino che ha paura del buio. Le radici infantili dell' assetto psicologico adulto sono state esplorate dalla psicoanalisi da quando è nata, e molti termini della psicoanalisi sono entrati a far parte del lessico di pedagogisti e genitori, senza che però si sia sviluppata una pedagogia psicoanalitica. Si chiedeva Melanie Klein nel 1921: Come possiamo tradurre
in pratica un'educazione basata su fondamenti
analitici? La richiesta auspicata dall'esperienza
analitica di sottoporre ad analisi genitori,
puericultrici e insegnanti, rimarrà secondo me per
molto tempo ancora un pio desiderio. E anche nel caso
in cui esso fosse realizzato potremmo al massimo
essere più sicuri che le misure qui suggerite
verrebbero eseguite, ma non avremmo con ciò la
certezza che, ove necessario, sia attuata 1'analisi
precoce.
La proposta che la Klein avanzava era di mettere alla direzione degli asili d'infanzia delle psicoanaliste, che addestrassero e guidassero il personale addetto alla cura dei bambini. Anche la proposta minimale della Klein è rimasta un'utopia. Tra le indicazioni fornite agli educatori interessati alla psicoanalisi, c'erano alcuni criteri d'osservazione utili per accertare se lo sviluppo del bambino procedeva armonicamente o se vi fosse necessità di una psicoterapia psicoanalitica. L'ultimo di questi criteri era: ...se ascolta con
piacere le favole dei Grimm senza che poi seguano
manifestazioni d'angoscia.
Bisogna sapere che una celebre definizione di fiaba dice: Una fiaba è un racconto
o una storia del tipo di quelle che hanno raccolto i
Grimm.
L'aderenza di questa definizione al suo oggetto consiste nel fatto che ogni criterio esterno a una raccolta è estremamente incerto, e a noi interessa per estendere le parole della Klein, «fiabe dei Grimm», alle fiabe in generale. In una vera raccolta popolare come quella dei Grimm, come il Pentamerone, come quella del Pitré, come Le Mille e una notte francesi o arabe, troviamo rappresentazioni di tanti stati e trasformazioni, tanti simboli e vicende, magie positive e magie negative, che è quasi coperta ogni possibilità fenomenologica di Psiche. Per ogni situazione psicologica è possibile trovare una fiaba che la rappresenti. Questo naturalmente non si può dire di raccolte emendate degli elementi più arcaici e perturbanti, addomesticate da educatori intenzionati a negare la paura dei bambini più che a prendersene cura. In una raccolta popolare ci sono elementi perturbanti nella stessa misura in cui sono diffusi in Psiche. Espellere questi aspetti significa disidratare la fiaba per riporla in armadietti moderni. Ma la linfa non vi scorre più. Il bambino non avrà paura della strega eliminata o imbellettata, rimossa, ma non avrà neppure una traccia immaginale per affrontarla e sconfiggerla. Non rischierà di essere catturato dal cerchio magico della fiaba, ma perderà l’incanto che gli accende lo sguardo e che rafforza la sua vitalità, la sua fiducia. Raccontare al bambino fiabe di magia è come aiutarlo ad allestire un teatro immaginale dove facilmente trovi lo spazio, i costumi, gli scenari per le sue rappresentazioni, e comunichi così nel gioco reale e nel gioco della fantasia quello che vive intimamente. Spiegava Melanie Klein: Ho scelto
intenzionalmente di riferirmi alla capacità di
ascoltare le favole dei Grimm senza dar segni di
angoscia come a una prova di salute psichica dei
bambini perché dei tanti e diversi bambini che conosco
ce ne sono molto pochi che la dimostrano.
probabilmente è anche per questo, per un desiderio di
evitare l’insorgere dell’angoscia, che è stato
pubblicato un numero rilevante di versioni modificate
di queste favole che non colpiscano troppo -
piacevolmente o dolorosamente - i complessi rimossi.
Io sono però del parere che ove ci si avvalesse
dell’analisi non ci sarebbe bisogno di evitare il
racconto di tali favole e che anzi esso potrebbe
servire da criterio di giudizio e da valido aiuto. Con
il suo ausilio, infatti, la paura latente del bambino,
che deriva dalla rimozione, è posta più rapidamente in
evidenza e può quindi essere trattata dall’analisi
molto più a fondo.
Abbiamo parlato del turbamento come irruzione di elementi estranei in un piano di realtà che si considerava stabile. Freud descriveva il perturbante sia come il farsi attuali di strutture primitive in un contesto evoluto, sia come il ritorno del rimosso personale. L'immagine fiabesca può essere il veicolo che rende possibile a un contenuto respinto e trattenuto nell'inconscio valicare i confini della coscienza e farvi irruzione, L'effetto perturbante non dipende dall'immagine in sé ma dall' angoscia collegata al contenuto personale evocato. Allo stesso modo un incubo è tale per il senso di oppressione e di angoscia che provoca nel sognatore attraverso i suoi contenuti. Se riprendiamo la metafora del teatro immaginale, possiamo dire che se un attore di quel teatro viene rinchiuso nel camerino per paura che disturbi, finirà per sfondare la porta e fare una irruzione distruttiva nella commedia che si rappresenta. Solo consentendogli di partecipare, chiedendogli cosa vuol raccontare, potrà giocare insieme agli altri personaggi, costruire con loro la vicenda, incontrare potenziali trasformazioni ed essere elemento della rappresentazione che ha la polimorfa armonia di Psiche. Se si dovesse indicare un testo che ha avuto un ruolo fondamentale nella riscoperta del valore delle fiabe tradizionali, il libro sarebbe certamente quello di Bruno Bettelheim, che ha avuto in Italia il titolo Il mondo incantato e il cui titolo inglese significa letteralmente: «Gli usi dell'incanto. Significato e importanza delle fiabe di magia». Nel libro, che scrisse dopo aver lavorato come terapeuta di bambini che soffrivano di gravi disturbi psichici, Bettelheim ringraziava la psicoanalisi, alla quale attribuiva la funzione di strumento che consente «di penetrare nel significato più profondo delle storie». Nel libro è descritta la ricchezza espressiva della fiaba insieme ai nessi tra i suoi personaggi e le loro vicende e i fantasmi infantili. Molta attenzione è dedicata da Bettelheim alla relazione affettiva che costituisce il campo della narrazione. Se è importante per l'educatore conoscere i diversi livelli di significazione delle fiabe che narra, è altrettanto importante che al bambino non sia offerta l'interpretazione della vicenda, ma la fiaba con la sua poesia immediata. Come ogni forma d'arte, la fiaba non si lascia mai esaurire in un'interpretazione, né l'interpretazione costituisce la sua ricchezza. Certo non è facile raccontare fiabe modulandole sulle emozioni che si manifestano via via nel bambino che ascolta, ma si può cominciare tornando a visitarle secondo la sensibilità espressa da Bruno Bettelheim: Ascoltare una fiaba e
comprendere le immagini che essa presenta può essere
paragonato a uno spargimento di semi, che solo in
parte germogliano nella mente del bambino. Alcuni di
essi hanno immediatamente effetto nella sua mente,
altri stimolano processi nel suo inconscio. Altri
ancora hanno bisogno di riposare a lungo fino a che la
mente del bambino abbia raggiunto uno stadio idoneo
alla loro germinazione. Ma quei semi che sono caduti
sul terreno adatto produrranno fiori meravigliosi e
alberi gagliardi – cioè daranno validità a importanti
sentimenti, incoraggeranno intuizioni, nutriranno
speranze, ridurranno ansie – e così facendo
arricchiranno la vita del bambino nel presente e per
il resto della sua vita. ... Se il genitore racconta
delle fiabe al suo figlioletto nel giusto spirito -
cioè con sentimenti evocati in lui stesso sia
attraverso il ricordo del significato che la storia
aveva per lui quand’era bambino, sia attraverso il
differente significato che presentemente riveste per
lui - il bambino, mentre ascolta, si sente compreso
nei suoi più delicati sentimenti, nei suoi più ardenti
desideri, nelle sue più gravi e ansie e angosce,
nonché nelle sue più fervide speranze. Dato che quello
che il genitore gli racconta lo illumina anche in
qualche strano modo su quanto avviene negli aspetti
più oscuri e irrazionali della sua mente, ciò mostra
al bambino che non è solo nella sua vita fantastica,
che essa è condivisa dalla persona che desidera e ama
di più. In simili favorevoli circostanze, la fiaba
offre in modo sottile dei suggerimenti sul come
accostare costruttivamente queste esperienze
interiori. La fiaba comunica al bambino una
comprensione intuitiva, subconscia della propria
natura e di ciò che il suo futuro può avere in serbo
per lui se svilupperà le sue potenzialità positive.
Egli avverte grazie alla fiaba che la condizione di
essere umano in questo nostro mondo comporta
l’accettazione di ardue prove, ma anche l’incontro di
meravigliose avventure.
Le angosce del bambino come le sue speranze, devono secondo Bettelheim «riverberarsi» nell’adulto che narra. Si deve accogliere la realtà della sua paura del buio: accostarla alla nostra sicurezza adulta, lasciare che il rapporto sia uno scambio vivo, sentire il confine tra mondo adulto e mondo bambino come spazio di riconoscimento e d‘amore. L'INCANTO DELLA FIABA COME RELAZIONE PROFONDA Confini all'anima
camminando non troverai neppure tentando ogni via tale abisso è il suo logos (Eraclito, D 45) Abbiamo ricordato come ci siano Paesi di
Psiche ingovernabili secondo le leggi della realtà
comune. Il Paese delle fiabe, pur essendo
accessibile a tutti ed esteso su tutta la Terra, ha
ritmi e movimenti che non corrispondono a quelli
quotidiani. Per questo motivo le fiabe popolari sono
state accusate di incrementare l’immaginario
irrazionale del bambino.
Abbiamo sottolineato che il bambino che subisce nel buio una specie di incantesimo negativo è angosciato da un contenuto personale che può coniugarsi con figure di fiaba, Parlando del limite tra il mondo incantato e la realtà quotidiana abbiamo ricordato i sogni notturni, senza parlare di quei fenomeni che, pur essendo volentieri messi in disparte, come un tempo si mettevano in reclusione i malati di mente, sono la viva smentita della solida conoscenza della realtà che vantiamo razionalisticamente, come il delirio, l' allucinazione. Abbiamo detto che l'adulto che ha lasciato nell' abbandono il suo bambino interiore non può accogliere il bambino spaventato dal buio e da chissà cosa. Riconoscere il piano concreto della realtà, la terra sulla quale il nostro passo è simile al passo di tutti, le nostre parole sono parte del linguaggio comune, il nostro lavoro si unisce al lavoro degli altri, il nostro gioco ha regole che lo rendono condivisibile, non significa negare valore di verità alle rappresentazioni che non vi abitano stabilmente. Se si perde la cittadinanza di questo Paese si è fuori dalla vita comune, nella follia o nella dipendenza dagli stupefacenti, e ognuno sa che ci sono perdite definitive, drammatici esili, volontari o involontari, di cui la coscienza non riesce a capacitarsi. In queste perdite la psicoanalisi vede la traccia di una presenza esistenziale, un' oscura densità affettiva, che prevale sulla ragione. Scienza dell'inconscio: la psicoanalisi si definisce con un ossimoro. Ma non può essere che questo il punto di partenza per conoscere ciò che affiora negli interstizi della coscienza individuale, come i sogni, i sintomi, i lapsus, le fobie ... Allo stesso modo la psicoanalisi si accosta a fenomeni espressivi dell' arte e della tradizione, e assolve alla funzione di rielaborare con la sua ermeneutica molti elementi della storia culturale, per renderli vicini alla sensibilità moderna. Dove mancano rappresentazioni collettive, scriveva Jung, ... s'insediano a
riscontro idiosincrasie strambe e individualistiche,
idee fisse, fobie e altri stati ossessivi, che in
fatto di primitività non lasciano nulla a desiderare,
per non parlare delle epidemie psichiche del nostro
tempo, rispetto alle quali impallidisce perfino la
caccia alle streghe del sedicesimo secolo.
Le fiabe, come i miti, fanno parte del patrimonio culturale universale, e come tali appartengono a ognuno. L'antico narratore conosceva questa comune appartenenza, e anche il narratore che le scriveva per pubblicarle: Galland o Basile non attribuivano a se stessi la creazione delle loro storie. Ma le operazioni interpretative e riduttive, o gli atteggiamenti svalutativi che sono tuttora diffusi, rischiano di interrompere il contatto vivificante con questo patrimonio, isolando il singolo e rendendogli inaccessibile, perduto, un tesoro come quello delle fiabe di magia, Ricordando che il mito fu definito da un Padre della Chiesa «quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditur» (ciò che è creduto sempre, ovunque, da tutti), Jung affermava che ... colui che crede di
vivere senza mito o al di fuori di esso costituisce
un' eccezione. Di più: è un uomo che non ha radici,
senza un vero rapporto con il passato, con la vita
degli antenati (che pure continua in lui) e con la
società umana del suo tempo. Egli non abita in una
casa come gli altri uomini, non mangia e beve ciò che
gli altri uomini mangiano e bevono, ma vive una vita a
sé, irretito in un'idea fissa soggettiva escogitata
dal suo intelletto e ch'egli ritiene essere la verità
divenuta scoperta. Tale balocco della sua mente non
gli scuote le viscere, può semmai gravargli lo
stomaco, che considera indigesto questo prodotto
dell'intelletto. L'anima non è di oggi! Essa conta
molti milioni di anni. Ma la coscienza individuale è
solo il fiore e il frutto di una stagione, germogliato
dal perenne rizoma sotterraneo, e che armonizza meglio
con la verità se si tiene conto dell'esistenza del
rizoma, giacché l'intreccio delle radici è madre di
ogni cosa.
Propp osservava che in molte lingue alla parola «fiaba, favola» corrispondono due significati: essa designa il racconto di magia, la storia del mondo incantato, ma anche ciò che è falso, illusorio, «Non raccontar favole» si dice significando «non dire bugie». Favole sono anche cose non vere. Eppure «favoloso» resta un aggettivo che usiamo quando la realtà ci sorprende piacevolmente, incontrando le nostre aspettative più rosee, come sinonimo di «meraviglioso», Allo stesso modo usiamo «incantevole», anche se una persona «incantata» è qualcuno che sta fermo nelle sue inutili fantasie, La funzione ambivalente di queste parole ci riporta al perturbante. Nel suo saggio Freud riportava vari significati del termine che è stato tradotto in italiano con «perturbante»: Unheimlich, Essi hanno alcuni punti di contatto con i significati di Heimlich, «familiare, domestico, fidato, intimo», ma anche «segreto, nascosto, sottratto alla conoscenza, pericoloso». Concludeva Freud; Heimlich è quindi un termine che
sviluppa il suo significato in senso ambivalente, fino
a coincidere in conclusione col suo contrario: unheimlich. Unheimlich è in
un certo modo una variante di heimlich.
Il fantasma che impedisce al bambino di addormentarsi è qualcosa che egli vorrebbe allontanare e che invece deve tenere accanto, e proprio perché lo riconosce come presenza nella sua stanza ne soffre. Solo ciò che ci tocca in un punto sensibile ci fa vibrare, e la conoscenza che ne deriva è il rapporto tra un elemento del nostro mondo interiore e 1'oggetto esterno che si è fatto presente, Non è una voce estranea che può turbare, ma una voce sconosciuta che richiama in vita come un’eco la memoria di una voce dimenticata. È l’analogia con un’inflessione, un timbro, è il gioco musicale che nasce tra nuovo e antico a commuoverci. Allo stesso tempo si vorrebbe non sentire e si cerca il senso della traccia segreta. Contenuto personale rimosso o atteggiamento infantile o primitivo senso di magia, l’elemento perturbante è una crisi nel ritmo della nostra percezione: una specie di vertigine che dilata o imprime un’accelerazione nell’emozione rendendo improvvisamente acuta la sensibilità. Il comune denominatore di parole come «incanto», «favola», Heimlich, è nella loro funzione di evocare come unitarie realtà che sembrano opposte. In latino sacer designava una realtà che poteva essere «consacrata, da venerare», o «maledetta, da esecrare». Come le altre parole che abbiamo visto non designa due realtà opposte, ma il carattere psicologico che le accomuna. Altus è il monte ed è l’abisso, noi diciamo «alto» del primo e «profondo» del secondo, ma riuniamo le due direzioni quando parliamo dell’alto valore di un’opera, e insieme della sua profondità. Il gioco degli opposti, il paradosso, l‘ossimoro, si fa presente ogni volta che si lascia il piano orizzontale dell‘esperienza, seguendo il desiderio di un viaggio psicologico che ha bisogno di una ricchezza e di una commozione diverse da quelle che danno gli oggetti comuni. Come nelle fiabe non si parte per lasciare, ma per trovare qualcosa, e ogni partenza implica un ritorno, ogni separazione una nuova unione. Con l’aggettivo altus i latini traducevano il greco hypsùs, tradotto in italiano con «sublime». Questa parola viene dal latino sublimis, e il suo etimo ci riporta al perturbante freudiano. Sublimis significa «sublime, eccelso, che si innalza nell’aria». Composto di sub e limus, «sotto» e «obliquo», per Devoto è ciò che «che sale dal basso obliquamente», quindi, interpreta, «che sale per quanto obliquamente possono salire gli occhi». Il riferimento al basso, a qualcosa che si origina da un punto nascosto sembra designare la condizione originaria di ciò che diventa sublime, che s'innalza nell'aria: condizione segreta, sotterranea, inconscia. Limus come «obliquo» riporta già alla crisi della realtà provocata dal perturbante, ma questa crisi è ancora più significativamente indicata se accettiamo la connessione di limus con limen. Limen è il limite, la soglia. Nella sua storia «sublime» è ciò che oltrepassa la soglia della coscienza, obliquamente. imprevedibile per lo sguardo diretto alla realtà concreta, e sale, imprimendo una vertigine alla sensibilità. Come categoria estetica, il sublime individua nell'esperienza artistica il momento vertiginoso di rapporto personale con un testo. Mentre il senso del bello è dato dalla contemplazione di una armonia data, il senso del sublime è quel movimento che la storia etimologica del termine descrive e che porta il lettore a dividere con un autore la vertigine, quasi la sorgente segreta della creazione. Abbiamo cercato di avvicinarci al bambino incantato riconoscendo nella Psiche adulta i modi e le forme della sua vita infantile. Ora possiamo tentare un movimento inverso: il bambino rapito nel mondo delle fiabe di magia non somiglia all'adulto che vive il sublime nell'esperienza artistica? Quando un romanzo ci appassiona, non diciamo che ci cattura? Mentre ci rivela nuove forme della vita che appare fino a quel punto ignota a noi stessi e nostra, siamo molto diversi da quando, bambini, eravamo immersi in una fiaba? Un'affettività intensa scorre fra il genitore che narra e il bambino che ascolta, come fra l'autore e il lettore. Auctor, da augeo, colui che accresce; Lector, da lego, che significa «leggo» perché «raccolgo», unisco con gli occhi le figure delle parole. «Ascoltare una fiaba... può essere paragonato a uno spargimento di semi...», scriveva Bettelheim. «Il sublime è l'eco della grandezza interiore», traduce G. Lombardo dall'antico testo greco intorno al sublime, ed espone così alcuni corollari di questa definizione: ...il luogo del sublime
non è già il testo, ma il contesto: è la vita. Il
sublime longiniano ha una valenza esistenziale,
è sempre in situazione... La modalità del sublime è il
movimento, inteso soprattutto come movimento
interiore, come emozione, pathos.
«La quiete - traduce
ancora da Longino - è un ordine fisso allo stesso
posto, mentre dal disordine nasce il pathos, che è
trasporto dell'anima e commozione».
Nell'ultimo corollario si legge che ...il sublime è una
qualità esclusivamente soggettiva. Come tale
esso si applica sia al comportamento dell'autore sia
al comportamento del lettore.
Leggiamo in Harold Bloom una profonda espressione del valore soggettivo e di relazione dell'esperienza estetica, quando scrive che in Longino ...è implicita la
percezione, tuttora sconcertante per molti studiosi,
che la vera poesia è la mente del lettore, ovvero,
come disse una volta Emerson, che lo studente deve
prendere se stesso come testo e poi prendere tutti i
testi della tradizione come commenti all'io... Non vi
è in fondo alcuna verità in una poesia al di là
dell'effettiva esperienza della sua lettura, e il
Sublime del lettore è quindi il solo Sublime
pragmatico, la sola differenza letteraria che possa
produrre una differenza.
È raro che lo
psicoanalista si senta spinto verso ricerche estetiche
anche quando non si riduca l'estetica alla teoria del
bello per descriverla, invece, come la teoria della
qualità del nostro sentire. Egli lavora su altri
strati della vita psichica e ha ben poco a che fare
con quei moti dell' animo - inibiti nella meta,
sfumati, e dipendenti da numerosissime costellazioni
concomitanti - che costituiscono perlopiù la materia
d'indagine propria dell'estetica. Può capitare
tuttavia ch'egli debba interessarsi di tanto in tanto
di una determinata sfera dell'estetica, e si tratta
allora quasi sempre di alcunché di periferico,
negletto dalla letteratura specialistica.
La nuova traduzione del Sublime longiniano, e l'attenzione che viene rivolta in campo estetico al perturbante freudiano, rappresentano come, nell'arco di più di mezzo secolo, ciò che era «periferico, negletto», possa diventare un oggetto centrale di indagine. Le non rare applicazioni della psicoanalisi agli oggetti culturali, all'arte, indagano sulla «qualità del nostro sentire» come relazione con l'intimità profonda del soggetto, che fa o riceve arte. Il movimento della sensibilità, il pathos di cui si fa esperienza attraverso l'arte - e la fiaba è arte popolare nel senso che è vasta, comune - è il gioco psichico che avviene nel rapporto tra esterno e interno, tra fonte di una percezione e risonanza di una percezione. Il movimento fluisce sia dal soggetto all' oggetto che dal mondo altro da sé alla sensibilità personale. L'indagine sull' arte sembra richiamare a questo punto un tema così grande che solo a nominarlo si ha paura di sperdersi nella sua ampiezza. Si tratta del tema della sublimazione. Lo stesso termine, per vie diverse, arriva a suonare insieme a «sublime». Freud ha sempre lasciato un interrogativo aperto considerando la magia dell'arte, pur descrivendola come il risultato di una sublimazione riuscita: L' «onnipotenza dei
pensieri» si è conservata nella nostra civiltà
soltanto in un ambito: quello dell'arte. Solo
nell'arte succede ancora che un uomo consumato da
struggenti desideri crei qualcosa di affine alla
realizzazione di essi, e che questa finzione - grazie
all'illusione artistica - abbia il potere di evocare
le stesse reazioni affettive della realtà. Si parla a
ragione di magia dell'arte e si paragona l'artista a
un mago. E questo paragone è più significativo di
quanto aspiri ad essere.
Dopo aver studiato Leonardo come un paziente fantastico e alcune sue opere come materiale clinico, Freud descriveva la sua forza creativa come sublimazione della libido infantile rimossa: Ma questa rimozione
seguita alle prime soddisfazioni erotiche
dell'infanzia non doveva verificarsi ineluttabilmente;
in un altro individuo forse non si sarebbe verificata
o sarebbe riuscita meno estesa. Qui dobbiamo
riconoscere un margine di libertà, che non si può
ulteriormente risolvere con mezzi psicoanalitici ...
Un' altra persona non sarebbe probabilmente riuscita a
sottrarre alla rimozione la parte principale della
libido, sublimando1a in brama di sapere; sottoposta
agli stessi influssi di Leonardo, ne avrebbe riportato
un danno permanente dell'attività intellettuale o
un'insuperabile disposizione alla nevrosi ossessiva.
Queste due particolarità di Leonardo rimangono dunque
inspiegabili all'esame psicoanalitico: la sua tendenza
assolutamente straordinaria alle rimozioni pulsionali
e la sua eccezionale capacità di sublimare le pulsioni
primitive.
Se la cultura viene dalla rinuncia all'immediato soddisfacimento dei bisogni attraverso le mete istintuali, la sublimazione è il dispiegamento della creatività umana nella cultura. ' Come la rinuncia alla soddisfazione diretta degli /istinti è di ogni essere umano, così la sublimazione è presente in ciascuno di noi. Alla cultura come nevrosi collettiva, come disagio della civiltà, si intreccia la cultura come sublimazione dei bisogni ìstintuali. Tra la persona spinta dalla pulsione e il suo oggetto si crea una distanza, tra l'urgenza del bisogno e la sua soddisfazione si crea un tempo. La distanza può chiamarsi passione, il tempo può chiamarsi desiderio. Spazio e tempo si animano di nomi e figure in gioco tra loro: le rappresentazioni sono vita di relazione, e storia, e romanzo personale. Crescita individuale e crescita collettiva, cultura comune e sviluppo personale: spazio e tempo di vicende e figure, nelle quali vivere la relazione specificamente umana e continua tra interno ed esterno, che si chiama vita. Energia psichica, libido, che rappresentandosi alla coscienza desiderante tende a conquistare ciò che ama, spinge l'Io a farlo suo possedendolo, stringendolo, ed energia che si ritrae dolorosamente nella frustrazione della perdita, di nuovo verso il soggetto, rinnegando il desiderio e la passione. Nell'arte forse si possiede ciò che è impossedibile, si vive come proprio, intimo, ciò che è patrimonio comune. Fare di una fiaba la nostra fiaba è possibile nello stesso momento in cui ne sentiamo il valore universale. Così si trova un piacere sublime nell' opera d'arte, e 1'energia fluisce in un moto trasformativo dal soggetto all'oggetto, e ricrea quella che Longino chiama «la grandezza dell' anima». L'anima, Psiche, è grande nel senso che conosce e ama l'altus, la sua grandezza è la sua stessa estensione che non possiamo delimitare, pur viaggiando molto, come ci dice Eraclito. Avvicinarsi all'arte per la potenza del movimento che imprime in Psiche, per la qualità del sentire umano, per conoscerla, come scriveva Freud, considerare se stessi come testo e poi studiare i testi della tradizione come commenti alla propria identità, come scriveva Emerson, significa esplicitare la funzione di arricchimento presente nell'opera, che è sia conoscenza che pathos. Al piccolo, ingenuo frammento d'arte che è il sogno personale fa riscontro un sogno che il grande sognatore collettivo ha ricordato e reso in un linguaggio universale: la fiaba di magia. I suoi passaggi continui attraverso Paesi lontani e culture diverse nello spazio e nel tempo hanno certo determinato la perdita di importanti tracce locali, ma hanno anche formato l'universalità del sogno. |
NOTE Questo capitolo è stato pubblicato, in forma leggermente diversa, in “Rappresentazioni - Studi psicoanalitici”, n. 2, E.T.S., Pisa 1991. Apuleio, Amore e Psiche, prefazione, traduzione e note di G. F. Pasini, Fògola, Torino 1983. Max Lüthi (1947-1978), La fiaba popolare europea; U. Mursia ed., Milano 1979. Le Roman d'Aladin, traduction par René Khawam; Phébus, Paris 1988. Platone, Fedone, trad. di Manara Valgimigli, in: Platone, Opere Complete, vol. I, pp. 104-105, Laterza, Roma-Bari 1987. Vladimir Jakovlevič Propp (1928), Morfologia della fiaba. Con un intervento di Claude Lévi Strauss e una replica dell'autore, Einaudi, Torino 1966, p. 3 Ibidem, p. 9. Sigmund Freud (1905) Tre saggi sulla teoria sessuale, in Opere, vol. IX, Boringhieri, Torino 1970, p. 529. Sigmund Freud l (1919) Il perturbante, in Opere, vol. IX, Boringhieri, Torino 1977, p. 83. Ibidem, p. 109. Melanie Klein, Lo sviluppo di un bambino, in Scritti, Boringhieri, Torino 1978; p. 73. Ibidem, p. 72. “Ein Märchen ist Eine Erzälung oder eine Geschichte in der Art, wie die Gebrüder Grimm in ihren Kinder- und Hausmärchen zusammengestellt haben”; André Jolles, Einfache Formen; Legende, Sage, Mythe, Rätse, Spruch, Kasus, Memorabile, Märchen, Witz, Halle (Saale) 1930, p. 219. Brüder Grimm, Kinder- und Hausmärchen (1812-1815), trad. it.: Le fiabe del focolare, Einaudi, Torino 1951. Giambattista Basile, Lo cunto de li cunti overo Lo trattenemiento de peccerille, Napoli 1634-1636; versione italiana: Il Pentamerone, 3 volI. trad. e introd. di Benedetto Croce; prefazione di Italo Calvino, Laterza, Roma-Bari 1974; Lo cunto de li cunti, testo restaurato della prima edizione napoletana del 1634-1636, trad. it. e note di Michele Rak, Garzanti, Milano 1986. Giuseppe Pitré, Fiabe e leggende popolari siciliane, Palermo 1870-1913; ristampa anastatica: Lib. Ed. Forni, Bologna 1969. Antoine Galland, Les Mille et une nuits, Paris 1704-1717, 3 voll.; Garnier-Flammarion, Paris 1965. Le mille e una notte, prima versione integrale dall’arabo diretta da Francesco Gabrieli, Einaudi, Torino 1948. Melanie Klein, op cit., pp. 72-73. Bruno Bettelheim, The Uses of Enchantment. The Meaning and Importance of Fairy-Tales, A. A. Knopf, New York 1976; trad it.: Il mondo incantato, Feltrinelli, Milano 1977; quinta edizione, febbraio 1988, p. 7. Ibidem, p. 151. CarI Gustav Jung (1912-1952), Simboli della trasformazione, in Opere, voI. V, Boringhieri, Torino 1970, p. 159. Ibidem, pp. 12-13. S. Freud, Il Perturbante, op. cit., p. 87. Giacomo Devoto, Avviamento all'etimologia italiana, Mondadori, Milano 1979. Pseudo Longino, Il Sublime, a cura di Giovanni Lombardo, postfazione di Harold Bloom, Aesthetica ed., Palermo 1987, pp. 11-12. Ibidem, p. 146. S. Freud, Il Perturbante, op. cit., p. 81. S. Freud (1912-1913), Totem e tabù: alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici, in Opere, vol. VII, Boringhieri, Torino 1975, p. 96. S. Freud (1910), Un ricordo d'infanzia di Leonardo da Vinci, in Opere, vol. VI, Boringhieri, Torino 1974; p. 274. Vedi il frammento riportato in epigrafe. |