ADALINDA GASPARINI                PSICOANALISI E FAVOLE
ORIGINALE
TUTTI SIAMO RESPONSABILI DI FRONTE AL FENOMENO DELL'INTEGRALISMO
CONVERSAZIONE DI ERFAN RASHID CON ADALINDA GASPARINI - AL WASAT, LONDRA 3-9 GENNAIO 1994
TRADUZIONE ITALIANA





Adalinda Gasparini
Tutti siamo responsabili di fronte al fenomeno dell'integralismo.


L'incremento dei mezzi d'informazione e la trasformazione della politica in un fenomeno universale
hanno provocato degli effetti devastanti sulle culture locali


Erfan Rashid: Come giudichi i movimenti fondamentalisti e quello che accade nel mondo arabo oggi?

Adalinda Gasparini: Come sai mi sono occupata del mondo arabo portata dal mio lavoro su Alâ ad-Dîn, e dalle Mille e una notte. Mi ha colpito la straordinaria somiglianza fra l'immaginario arabo e l'immaginario europeo, e ho potuto vedere molti scambi simbolici, o patrimoni simbolico-narrativi comuni, tra le due culture, che mi sembrano profondamente interconnesse. Sono portata a pensare che non ci sia una sostanziale differenza tra il fondamentalismo arabo e il fondamentalismo che si è manifestato e si manifesta in Europa o in America: è una risposta arcaica, regressiva, rispetto a una realtà contraddittoria e caotica, che richiede uno sforzo di pensiero vasto e profondo per essere compresa e affrontata, lavorata politicamente. Accade per la psiche collettiva, si tratta di fenomeni di massa, che cioè hanno una loro consistenza solo per aggregazioni numericamente significative, ma la stessa cosa si può osservare in una psiche individuale. Di fronte a una difficoltà angosciante rispetto alla quale non si ha la possiiblità di elaborare una strategia affettivamente e cognitivamente valida, si risponde arroccandosi in uno schema di pensiero rigido, e le religioni monoteistiche offrono il modello simbolico per rifugiarsi in un ideale che appare alle masse un'ancora di salvezza, permettendo di mettere i cattivi da una parte e i buoni dall'altra, permettendo di proiettare la colpa, il male, fuori da sé, e quindi di combatterlo. Il disagio che richiede maggiore cultura e maggiore sforzo di pensiero e di affettività deriva dalla percezione che dentro di noi - dentro al nostro Paese, alla nostra cultura - ci sono tratti positivi, di crescita, e tratti distruttivi, regressivi.
Mi sembra che la crescita dell'informazione e la mondializzazione della politica abbiano un impatto violento sulle culture particolari, che rispondono in maniera reazionaria alla sensazione di una perdita dei confini, a una perdita di identità collettiva, che è una componente essenziale anche della stabilità del singolo individuo.
In  Occidente abbiamo confuso la laicizzazione del pensiero e della politica come affrancamento da un'autorità religiosa dogmatica e pervasiva con la secolarizzazione del pensiero e della politica come soppressione dei valori etici e spirituali. Forse nel mondo arabo questa confusione non è possibile, perché non c'è opposizione tra l'autorità religiosa e l'autorità politica, ma nel confronto con i modelli occidentali viene avvertito un rischio di perdita di valori che attiva un arroccamento di tipo dogmatico

Erfan Rashid: Qali sono secondo te i riflessi di questo fenomeno nel rapporto con l'Occidente e sugli arabi musulmani immigrati in Italia?

Adalinda Gasparini: Credo che pochi in Occidente siano realmente consapevoli della parentela fra la nostra cultura e la cultura araba. Se gli Arabi manifestano fenomeni di intolleranza noi non siamo portati a pensare alla Santa Inquisizione, ai nostri roghi, a Hitler e a Bossi. Nonostante fenomeni fondamentalisti siano intrecciati a tutto il nostro atteggiamento culturale noi siamo portati a imputare il fondamentalismo islamico alle caratteristiche 'inferiori' e 'pericolose' della cultura e della religione araba. Quando una donna divorzia dal marito la famiglia di lui si costruisce l'opinione che è una puttana o che è pazza, o, meglio ancora, entrambe le cose. Quando le nostre città soffrono dello scempio ambientale che il consumismo divorante ha prodotto, noi non ci interroghiamo su cosa ci ha spinto a comportarci in modo così incosciente, diciamo che Firenze è stata rovinata dagli immigrati. Vent'anni fa si parlava male dei meridionali italiani, ora si parla male degli immigrati di colore. Purtroppo l'ignoranza non apprezza le differenze, è cieca. In Emilia chiamano 'maruchìn' tutti gli immigrati arabi e nord-africani, e anche i meridionali italiani. Certo, se gli organi d'informazione danno notizia solo dei fenomeni d'intolleranza religiosa, se gli uomini e le donne di cultura ignorano tutto del mondo arabo, è ben difficile che le persone ignoranti imparino a distinguere. È un fenomeno di cultura nel senso più vasto del termine.

Erfan Rashid: Cosa prevedi per il futuro di questi fenomeni in generale?

Adalinda Gasparini: Purtroppo non ho la sfera di cristallo, e sinceramente mi riesce più facile dire cosa spero, non cosa prevedo. Mi piace pensare che per quanto grave sia la crisi politica e culturale nella quale tutto il mondo è coinvolto allo stesso modo - perché bisogna essere ciechi per pensare che in un posto del mondo oggi si possa crescere e stare bene ignorando ciò che accade altrove - ci siano le risorse per trasformarla in una crisi di crescita. E per crescita intendo un aumento della capacità degli esseri umani di conoscersi e riconoscersi per quello che sono.
Se guardo i fenomeni fondamentalisti dal mio angolo pessimistico immagino nuovi bombardamenti su civili, nuove guerriglie, nuovi campi di concentramento, il perpetuarsi dell'ingiustizia e della spirale di violenza che ne consegue. Immagino dittature violente, e sanguinose rivolte. Le guerre fatte in nome di Dio sono secondo me il fenomeno più perverso della cultura umana, e generano altre perversioni molto difficili da curare, che rinascono di continuo, come virus che uccidono quando si sperava che la guarigione fosse completa. C'è la stessa storia, con ritmi e tempi diversi, nella cultura cristiana - e scristianizzata - e nella cultura araba.
Se guardo dall'angolo ottimistico, immagino che vogliamo sopravvivere e vivere in pace, e allora non possiamo fare a meno di riconoscere che il fondamentalismo è un problema di tutto il mondo, e che può essere curato solo se nel mondo ogni persona che ha la capacità e la dignità di pensare non si sottrae al suo compito. La nostra vita dipende da questo: superare la fase primitiva del pensiero, a carattere paranoide, che ci porta a credere che il primitivo, il violento, il cattivo, sia l'altro, il nemico, e che se lo mettiamo a tacere, se annulliamo la sua cultura, convertendolo o uccidendolo, tutto andrà a posto. Questa arcaicità del pensiero caratterizza i movimenti di massa ovunque, e il fatto che accada secondo scale diverse non ci deve consolare. Bossi ha un incredibile numero di simpatizzanti in regioni come l'Emilia, che hanno una tradizione di impegno civile e di buone amministrazioni di sinistra.
I movimenti fondamentalisti crescono su un terreno di non cultura, e pensare che i campi coltivati poco e male siano solo nel mondo arabo è segno di cecità, e di incapacità di riconoscere che per noi stessi l'orlo del precipizio non è lontano. Il fondamentalismo risponde a un bisogno di contenimento dell'angoscia al quale la cultura laica non sa rispondere. Per affrontarlo bisogna che la comunità di chi pensa superi le sue divisioni. Non so se questo possa evitare bagni di sangue, so solo che vale la pena operare in questa direzione.


Penultima revisione 3 novembre 2018
Ultima revisione 3 ottobre 2022