Adalinda Gasparini
Tutti siamo responsabili di fronte al fenomeno
dell'integralismo.
L'incremento
dei mezzi d'informazione e la trasformazione della
politica in un fenomeno universale
hanno provocato degli effetti devastanti sulle
culture locali
Erfan Rashid: Come giudichi i movimenti
fondamentalisti e quello che accade nel mondo arabo
oggi?
Adalinda Gasparini: Come sai mi
sono occupata del mondo arabo portata dal mio
lavoro su Alâ ad-Dîn, e dalle Mille e una notte.
Mi ha colpito la straordinaria somiglianza fra
l'immaginario arabo e l'immaginario europeo, e ho
potuto vedere molti scambi simbolici, o patrimoni
simbolico-narrativi comuni, tra le due culture,
che mi sembrano profondamente interconnesse. Sono
portata a pensare che non ci sia una sostanziale
differenza tra il fondamentalismo arabo e il
fondamentalismo che si è manifestato e si
manifesta in Europa o in America: è una risposta
arcaica, regressiva, rispetto a una realtà
contraddittoria e caotica, che richiede uno sforzo
di pensiero vasto e profondo per essere compresa e
affrontata, lavorata politicamente. Accade per la
psiche collettiva, si tratta di fenomeni di massa,
che cioè hanno una loro consistenza solo per
aggregazioni numericamente significative, ma la
stessa cosa si può osservare in una psiche
individuale. Di fronte a una difficoltà
angosciante rispetto alla quale non si ha la
possiiblità di elaborare una strategia
affettivamente e cognitivamente valida, si
risponde arroccandosi in uno schema di pensiero
rigido, e le religioni monoteistiche offrono il
modello simbolico per rifugiarsi in un ideale che
appare alle masse un'ancora di salvezza,
permettendo di mettere i cattivi da una parte e i
buoni dall'altra, permettendo di proiettare la
colpa, il male, fuori da sé, e quindi di
combatterlo. Il disagio che richiede maggiore
cultura e maggiore sforzo di pensiero e di
affettività deriva dalla percezione che dentro di
noi - dentro al nostro Paese, alla nostra cultura
- ci sono tratti positivi, di crescita, e tratti
distruttivi, regressivi.
Mi sembra che la crescita dell'informazione e la
mondializzazione della politica abbiano un impatto
violento sulle culture particolari, che rispondono
in maniera reazionaria alla sensazione di una
perdita dei confini, a una perdita di identità
collettiva, che è una componente essenziale anche
della stabilità del singolo individuo.
In Occidente abbiamo confuso la
laicizzazione del pensiero e della politica come
affrancamento da un'autorità religiosa dogmatica e
pervasiva con la secolarizzazione del pensiero e
della politica come soppressione dei valori etici
e spirituali. Forse nel mondo arabo questa
confusione non è possibile, perché non c'è
opposizione tra l'autorità religiosa e l'autorità
politica, ma nel confronto con i modelli
occidentali viene avvertito un rischio di perdita
di valori che attiva un arroccamento di tipo
dogmatico
Erfan Rashid: Qali sono secondo te i riflessi di
questo fenomeno nel rapporto con l'Occidente e
sugli arabi musulmani immigrati in Italia?
Adalinda Gasparini: Credo che pochi in Occidente
siano realmente consapevoli della parentela fra la
nostra cultura e la cultura araba. Se gli Arabi
manifestano fenomeni di intolleranza noi non siamo
portati a pensare alla Santa Inquisizione, ai
nostri roghi, a Hitler e a Bossi. Nonostante
fenomeni fondamentalisti siano intrecciati a tutto
il nostro atteggiamento culturale noi siamo
portati a imputare il fondamentalismo islamico
alle caratteristiche 'inferiori' e 'pericolose'
della cultura e della religione araba. Quando una
donna divorzia dal marito la famiglia di lui si
costruisce l'opinione che è una puttana o che è
pazza, o, meglio ancora, entrambe le cose. Quando
le nostre città soffrono dello scempio ambientale
che il consumismo divorante ha prodotto, noi non
ci interroghiamo su cosa ci ha spinto a
comportarci in modo così incosciente, diciamo che
Firenze è stata rovinata dagli immigrati.
Vent'anni fa si parlava male dei meridionali
italiani, ora si parla male degli immigrati di
colore. Purtroppo l'ignoranza non apprezza le
differenze, è cieca. In Emilia chiamano 'maruchìn'
tutti gli immigrati arabi e nord-africani, e anche
i meridionali italiani. Certo, se gli organi
d'informazione danno notizia solo dei fenomeni
d'intolleranza religiosa, se gli uomini e le donne
di cultura ignorano tutto del mondo arabo, è ben
difficile che le persone ignoranti imparino a
distinguere. È un fenomeno di cultura nel senso
più vasto del termine.
Erfan Rashid: Cosa prevedi per il futuro di questi
fenomeni in generale?
Adalinda Gasparini: Purtroppo non ho la sfera di
cristallo, e sinceramente mi riesce più facile
dire cosa spero, non cosa prevedo. Mi piace
pensare che per quanto grave sia la crisi politica
e culturale nella quale tutto il mondo è coinvolto
allo stesso modo - perché bisogna essere ciechi
per pensare che in un posto del mondo oggi si
possa crescere e stare bene ignorando ciò che
accade altrove - ci siano le risorse per
trasformarla in una crisi di crescita. E per
crescita intendo un aumento della capacità degli
esseri umani di conoscersi e riconoscersi per
quello che sono.
Se guardo i fenomeni fondamentalisti dal mio
angolo pessimistico immagino nuovi bombardamenti
su civili, nuove guerriglie, nuovi campi di
concentramento, il perpetuarsi dell'ingiustizia e
della spirale di violenza che ne consegue.
Immagino dittature violente, e sanguinose rivolte.
Le guerre fatte in nome di Dio sono secondo me il
fenomeno più perverso della cultura umana, e
generano altre perversioni molto difficili da
curare, che rinascono di continuo, come virus che
uccidono quando si sperava che la guarigione fosse
completa. C'è la stessa storia, con ritmi e tempi
diversi, nella cultura cristiana - e
scristianizzata - e nella cultura araba.
Se guardo dall'angolo ottimistico, immagino che
vogliamo sopravvivere e vivere in pace, e allora
non possiamo fare a meno di riconoscere che il
fondamentalismo è un problema di tutto il mondo, e
che può essere curato solo se nel mondo ogni
persona che ha la capacità e la dignità di pensare
non si sottrae al suo compito. La nostra vita
dipende da questo: superare la fase primitiva del
pensiero, a carattere paranoide, che ci porta a
credere che il primitivo, il violento, il cattivo,
sia l'altro, il nemico, e che se lo mettiamo a
tacere, se annulliamo la sua cultura,
convertendolo o uccidendolo, tutto andrà a posto.
Questa arcaicità del pensiero caratterizza i
movimenti di massa ovunque, e il fatto che accada
secondo scale diverse non ci deve consolare. Bossi
ha un incredibile numero di simpatizzanti in
regioni come l'Emilia, che hanno una tradizione di
impegno civile e di buone amministrazioni di
sinistra.
I movimenti fondamentalisti crescono su un terreno
di non cultura, e pensare che i campi coltivati
poco e male siano solo nel mondo arabo è segno di
cecità, e di incapacità di riconoscere che per noi
stessi l'orlo del precipizio non è lontano. Il
fondamentalismo risponde a un bisogno di
contenimento dell'angoscia al quale la cultura
laica non sa rispondere. Per affrontarlo bisogna
che la comunità di chi pensa superi le sue
divisioni. Non so se questo possa evitare bagni di
sangue, so solo che vale la pena operare in questa
direzione.
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