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Immaginazione e realismo
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Accade qualche volta che siamo innamorati e
consideriamo il nostro oggetto d'amore l'essere più
ricco e importante del mondo. E se siamo ricambiati ci
sentiamo altrettanto belli e preziosi. La realtà di
queste sensazioni, la loro intensità gioiosa,
corrispondono al finale felice delle fiabe di magia:
l'uomo e la donna diventano re e regina, nell'unione è
vinta la solitudine, superata per sempre l'angoscia
dell'abbandono, non manca nulla, o non c'è cosa
davvero desiderabile che non si possa trovare. Chi
accusa il lieto fine di essere troppo lontano dalla
realtà, eccessivamente ottimistico, letteralizza la
sua portata e non comprende che si rappresenta un vero
senso di pienezza, che fa dilatare il ritmo regolare
dell'orologio e del calendario. Nel momento in cui se
ne fa esperienza ci si esprime secondo il carattere
iperbolico e assoluto del finale felice della fiaba:
per sempre. Il cammino psichico che la fiaba ha
rappresentato porta i protagonisti a raggiungere
l'unione eterosessuale costituendo una nuova coppia: i
principi collettivi dominanti del passato, la vecchia
coppia regale, si rinnovano, nella gioia e nella
prosperità generale.
A meno che non siano stati cresciuti in un
iper-realismo, che forma il bagaglio più povero per
interagire con la complessità della vita interiore, i
bambini comprendono molto meglio degli adulti la
profonda verità delle fiabe, senza letteralizzarla né
confonderla con la concreta esperienza di ogni giorno.
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Lettore appassionato delle storie delle Mille e una
notte, attento più di chiunque altro alla loro
profonda verità psicologica, Proust scrive:
...La letteratura che s'accontenta di "descrivere
le cose", di darne appena un miserabile rilievo di
linee e di superfici, è, pur chiamandosi realista,
la più lontana dalla realtà, quella che più ci
impoverisce e ci rattrista, perché interrompe
bruscamente ogni comunicazione del nostro io
presente con il passato, di cui le cose serbavano
l'essenza, e con il futuro, dove ci incitano a
goderne nuovamente. (Op. cit., vol. 4, p. 565)
Le fiabe descrivono un percorso eroico del
protagonista, perché il raggiungimento di un'identità
personale solida, rappresentato nella fiaba
dall'accettazione e dal superamento di prove, fatiche,
combattimenti con mostri e draghi, attraverso
misconoscimenti, travestimenti e metamorfosi, precede
l'unione regale. Che il protagonista sia maschile o
femminile, non conta: il finale felice rappresenta il
risultato di una trasformazione profonda per la quale
il compimento del percorso eroico è solo una
condizione preliminare. In alcune fiabe capita che i
protagonisti si sposino anche se il percorso non è
completo, ma in questo caso la loro felicità è di
breve durata: può accadere, come in una fiaba del
Cinquecento, che mentre il giovane re è in guerra la
vecchia regina fa sparire i principini neonati,
accusando la nuora di aver partorito tre cani.
Toccherà ai figli, aiutati dall'Uccello Belverde,
continuare il percorso eroico e riunire i loro
genitori (Straparola, op. cit., pp. 176 sgg.).
Uno dei genitori - la madre del protagonista in questo
caso - cerca di distruggere la nuova unione,
approfittando della temporanea assenza, o della scarsa
attenzione, del figlio. La fiaba rappresenta una
unione incompleta, perché una figura genitoriale è
rimasta troppo potente: la fissazione al legame
edipico costituisce un'ipoteca sul futuro della nuova
coppia.
Nella realtà gli antichi conflitti rimossi
riattivandosi possono condannare al fallimento la
nuova unione, o riprodursi nei rapporti con i figli.
Se le componenti creative del rapporto - i figli, dice
la fiaba - entrano positivamente in gioco, il
conflitto può essere affrontato e risolto, altrimenti
non finirà bene per nessuno dei personaggi in gioco.
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pp. 86-87
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