Pensi
al deprimente contrasto tra la radiosa
intelligenza di un bambino sano e la
debolezza
intellettuale dell'adulto medio.
(Sigmund Freud)
Pinocchio continua a scappare con i carabinieri,
sempre in coppia e sempre uguali, alle calcagna.
Il burattino si suiciderà perché almeno il bambino
normalizzato possa crescere, mentre l'anima di
legno resterà nella carta stampata, che ne
custodisce il germoglio segreto, come il giacinto
nel bulbo che si interra: al bambino vero si
impone una normalizzazione così metodica che del
suo profumo originario resterà al massimo la
nostalgia.
Alice gioca con le proporzioni anticipando le
geometrie non euclidee, glielo lasciamo fare
perché è una bambina che dorme, quando diventa
donna deve stare ben attenta a non confondersi con
le figure delle carte, e se una regina di picche o
un fante di cuori le si presentano durante la
veglia sarà bene che prenda una buona dose di
psicofarmaci, e dormendo senza sogni li dimentichi
al più presto.
Se poi qualcuno si sarà appassionato troppo alla
grazia delle figure, così vicine all'infanzia, che
per simboli poco decodificabili accennano al
mistero dell'uomo e della natura, avrà un destino
sublime, ma ci sembra logico che debba andarsene
presto, come i fiori che non reggono ai primi
freddi, come il Piccolo Principe morso alla
caviglia da un serpente, come un pilota che si
perde in cielo: lo cerchiamo fra le stelle, gli
dedichiamo la nostra lacrima più struggente, ma se
ci tira la manica per raccontarci qualcosa gli
diciamo che dobbiamo dedicarci a cose serie, che
non può capire. E a scuola, come a casa,
mortifichiamo il suo desiderio e schiacciamo la
sua fantasia con le cose che contano davvero nella
vita, essendo disonesti, perché nessuno di noi è
talmente sicuro di ciò che conta davvero nella
vita da poter fare a meno della voce e del
racconto dei bambini.
Costretti dal bisogno e dall'ingenuità a
considerare le nostre asserzioni come il popolo
eletto considerava le parole del suo dio, i
bambini reggono lo specchio della condizione
adulta, e in questo gioco dell'educazione, dal
quale dipende la sopravvivenza, le generazioni si
alternano, assediate dall'oscurità del fondamento
del soggetto, dal carattere labile dell'identità.
Alla nostra ambigua stabilità ci sembra di dover
sacrificare quanto si presenta fluido, polimorfo,
perturbante, mutevole, come il bulbo e il
giacinto, che si leva dalla terra con colori
smaglianti per diffondere il suo profumo.
La radiosa intelligenza di ogni bambino deriva
dalla sua vicinanza, anche morfologica, alla
mobilità della vita, alla quale, come l'artista,
aderisce docilmente e con entusiasmo. Noi,
genitori, educatori, per convincerlo a diventare
una creatura del nostro mondo, pensiamo di
dovergli spiegare che il bulbo è l'opposto del
giacinto, come il bello è l'opposto del brutto,
dividendoli in domini ben separati. Se il bambino
crescendo si convincerà che il solo compito al
quale vale la pena di dedicarsi è separare il
fiore dal bulbo terroso, avrà rimosso il desiderio
di restare vicino alla pregnanza generativa delle
forme, e la sua stessa possibilità di trasformarsi
e fiorire saranno compromesse.
Se il bambino è perduto, o cresciuto, se
l'infanzia è finita, la amiamo rimpiangendola e
raccontandola, fino a fare di Pinocchio, di Alice
e del Piccolo Principe, nuove divinità alle quali
dedichiamo funzioni e celebrazioni. Senza
accorgerci della grazia e dell'intelligenza
radiosa nel bambino che abbiamo accanto, che non
ha nulla di divino, come noi del resto, ma che ha,
proprio come noi, il pregio di esserci, di essere
insieme a noi nella vita e nel linguaggio.
Le fiabe e tutte le storie che l'adulto può
offrire ai bambini possono animare un luogo in cui
è più facile incontrarsi, dove la ricchezza delle
immagini, dei movimenti narrativi, e le parole
stesse, si offrono al bambino come deliziosa
anticipazione del tesoro del mondo: la cultura. Il
bambino desidera ereditare il mondo, ma l'adulto
più facilmente gli propone di diventare la guardia
o il direttore di un carcere: se non obbedirà, se
non crederà alla verità dei suoi educatori, i
carabinieri di Pinocchio lo raggiungeranno e
finirà dall'altra parte delle sbarre.
Una sequenza mirabile del comune misconoscimento
di cui è oggetto il bambino la possiamo trovare
nel Fantasma della libertà di Louis
Buñuel, un film degli anni Settanta. Un babbo e
una mamma ricevono una telefonata dal rapitore
della loro bambina, e pieni di ansia vanno alla
polizia. Dicono alla stessa bambina, che sta
giocando in casa, di prepararsi velocemente e
uscire, per una cosa della massima importanza che
non hanno il tempo di spiegarle. Mentre la mamma
piangente, col babbo che le cinge protettivamente
le spalle, parla col funzionario di polizia, la
bambina cerca di dire qualcosa, ma viene zittita
dagli adulti e allora si siede in disparte. Il
commissario solerte scrive i suoi connotati, sette
anni, carina, con le treccine, statura... normale,
per quell'età, e, indicando proprio la bambina,
chiede alla madre: "Come quella lì?". I genitori
la guardano e rispondono di sì, più o meno la
statura è quella; la bambina si alza, si avvicina
alla mamma, le tira la manica, e dice: "Mamma,
mamma, io sono qui...". E la mamma, volgendosi
dolcemente verso di lei, le dice: "Sì, ma ora stai
zitta, lascia che la mamma e il babbo facciano
questa cosa importante per te, e non disturbare".
Se pensiamo ai genitori che parlano bene dei figli
quando sono assenti, per riservare loro critiche
continue quando ci sono, possiamo vedere che
Buñuel ha raccontato una situazione paradossale ma
comunissima: l'educatore si accora, piange, o si
rallegra, o si consola, per un bambino che non
c'è. A quello presente chiede di non disturbarlo
nelle cose che sta facendo per lui, dalle quali è
escluso. Quale riforma della scuola si interroga
sui bisogni del bambino? Quale coppia di genitori,
per quanto lo affermi, resta unita o si separa
tenendo conto dei bisogni del bambino?
Si tratterebbe di riconoscere che da adulti
viviamo in un mondo che spesso non è meno
irrazionale e fantastico di quello dei bambini,
solo che quando giochiamo a guardie e ladri le
parti sono fisse, mentre da bambini si possono
scambiare. Ciò che chiamiamo responsabilità è
spesso solo la definitiva fissità delle regole di
un gioco, che manteniamo pur avendone smarrito il
senso. Come Alice alla fine del sogno, grazie alle
sue proporzioni, può imporre la sua logica al re e
alla regina delle carte, noi adulti possiamo
imporre la nostra regola, abbastanza grandi da
minacciare di annientamento i piccoli esseri umani
che vivono con noi.
Molti educatori considerano pericolose le fiabe
antiche e i racconti fantastici, o si accorano per
il timore che i bambini o gli adolescenti con
tanta televisione e video-games confondano la
realtà virtuale con la vera realtà. Esprimono così
la loro paura che si scopra il carattere
finzionale delle loro proprie asserzioni, perché
chi è aperto al sentimento della verità, al
Wirklichkeitsgefühl, come diceva Freud, non
dipende dalla sua consuetudine con la realtà
virtuale, come non è mai dipeso dalle ideologie o
dalle superstizioni correnti. Se proviamo ad
ascoltare il bambino, se riusciamo a non vacillare
troppo contemplando la fioritura della sua
intelligenza radiosa, possiamo vedere come
distingue perfettamente i diversi piani di realtà.
Lo ha scritto una bambina di prima media dopo che
avevo raccontato nella sua classe una fiaba
antica, come per tranquillizzare un immaginario
interlocutore, pronto a vietarle il piacere della
fiaba perché teme che smarrisca il suo senso della
realtà. Ci dice che la bellezza, e il godimento
che ne deriva, non minacciano la percezione della
vita quotidiana:
Secondo me questa fiaba sarà
anche fantastica, ma è bella, e mi piacerebbe
molto che invece di essere fantastica fosse
vera. Mi è piaciuta moltissimo. So
superbenissimo che questa fiaba è fantastica,
ma vorrei essere una protagonista.
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