- 1. Baseless
- 2. Né carne né pesce
- 3. Storie vere che sembrano false
- 4. In stercore invenitur
- 5. Favole e favole
- 6. La via
di Nessuno (pp. 290-294)
6. La via di
Nessuno
Mentre il più dei Pokémon e dei
tatuaggi resta incomprensibile, e quando sarà tutto
chiaro nuove storie e nuove mode saranno lì a
interrogarci e a eludere il sapere che abbiamo
accumulato, possiamo ben comprendere che i bambini,
come gli adolescenti, fuggano dalle storie che gli
adulti dedicano loro. La frase non sei né carne
né pesce, nonostante la sua crudeltà ha un
carattere paradossale che lascia al soggetto uno
spazio, più evidente nella formula inglese, to
be neither fish, flesh, nor good red herring (non
essere né pesce, né carne, né un buon diversivo, -
ma, letteralmente, aringa affumicata). C'è ancora
spazio, perché c'è ancora della metafora, mentre lo
spazio si restringe penosamente quando le
descrizioni evolutivistiche classificano
l'adolescenza come se la questione della crescenza
non riguardasse ogni tempo, se non ogni giorno,
dell'essere umano.
Costruire un ambito di osservazione e definirne i
contorni è il solo modo di procedere nella ricerca
scientifica, ma dimenticare che questo atto di
delimitazione è una necessità dell'indagine, e non
una struttura a priori della realtà, comporta la
sostituzione della ricerca con volgari trovate. Se
la successione delle forme avesse una regolarità, un
ordine visibile, non ci sarebbe bisogno di alcuna
scienza, che soddisfa il bisogno di descrivere e
prevedere qualcosa altrimenti oscuro e
imprevedibile, come osserva René Thom:
È curioso osservare, a questo proposito, che la
scienza, che, in linea di principio, nega
l'indeterminismo, ne è effettivamente la figlia,
figlia ingrata che ha la sola funzione di
distruggere suo padre! (Stabilità strutturale e morfogenesi,
cit.; p. 4)
La negazione dell'indeterminismo
è analoga alla negazione dell'inconscio, e ha la
funzione di fissare una coincidenza tra una
rappresentazione della realtà - elaborata in ambito
personale o collettivo, scientifico o religioso - e
la realtà stessa. Non vogliamo ricordare ciò che
l'esperienza passata ci offrirebbe, e la mancanza di
elaborazione ci condanna a una coazione a ripetere,
favorendo il dispiegamento di Thanatos nella storia
personale e in quella culturale. Ad ogni passo la
storia umana ci mostra trasformazioni catastrofiche
e capovolgimenti nelle religioni, nelle ideologie e
nelle teorie scientifiche, abbastanza da lasciarci
prevedere che le nostre certezze di oggi saranno
domani considerate visioni parziali, se non
superstizioni o errori. L'affermazione della
coincidenza tra una rappresentazione della realtà,
esterna o intrapsichica, e il suo oggetto, esige di
operare la rimozione dell'indeterminismo, analoga
alla negazione dell'inconscio, per sostenere una
verità assoluta, cioè sciolta dalle relazioni
intrapsichiche e interpersonali all'interno delle
quali è pronunciabile, condivisibile, criticabile.
Si rimuove l'inconscio sperando di dar corpo
all'illusione che si possa ottenere una purezza come
quella che perseguita l'adolescente colonizzato
Sanjay:
katharòs, dèi èinai ò kòsmos... katharòs,
katharòs...
Si tratta di rinunciare, per procedere nell'indagine
senza impedire adolescenza, crescenza, alla pretesa
di raggiungere una stabilità identitaria, che si
fonda più sul narcisismo che sulla consapevolezza e
l'ascolto di parti diverse e diversamente presenti.
Il compito riguarda allo stesso modo il lavoro
clinico che la ricerca psicoanalitica, e gli
analisti non sono certo immuni dalle necessità
identitarie che caratterizzano tutta la loro cultura
di appartenenza. Si tratta di rinunciare alla
certezza e alla verità assolute, ma anche alla
certezza che vi si possa rinunciare, e la seconda
rinuncia è necessaria a procedere quanto la prima, e
più difficile. La posizione è sostenibile se la
pensiamo come un'oscillazione, del tipo di quella
teorizzata da W.R. Bion tra posizione
schizoparanoide e posizione depressiva. Occorre
oscillare tra la possibilità di trovare un luogo e
quella di riconoscerne l'inconsistenza. Qualcosa,
come ci ha insegnato Freud, possiamo chiederlo ai
poeti, le cui immagini offrono al ricercatore
errante almeno un sollievo temporaneo.
I romanzi di Salman Rushdie spesso iniziano con un
io narrante moribondo, un soggetto che, non avendo
trovato un luogo nel quale vivere, ha però il tempo
di narrare una storia di molte centinaia di pagine.
In uno di questi romanzi il protagonista, giunto in
Spagna dall'India alla ricerca delle origini, tenta
verso la fine della storia di definire la propria
identità:
"Sono un ebreo venuto dalla Spagna,
come il filosofo Maimonide", mi dissi, per vedere se
le parole suonavano sincere. Mi parvero vuote. Lo
spettro di Maimonide rise di me. "Sono come la
moschea cattolicizzata di Còrdoba", provai. "Un
pezzo di architettura orientale con una cattedrale
barocca ficcata nel mezzo". Anche questo non suonava
bene. Io ero un nessuno che non veniva da nessun
posto, come nessuno, e che non aveva nessuna patria.
Questo suonava meglio e sembrava vero. Avevo
raggiunto un'anti-Gerusalemme: non una patria, ma un
"via". Un posto che non vincolava, ma dissolveva. (L'ultimo sospiro del
Moro, Mondadori, Milano 1995; p. 428)
Un passaggio, non un
posto. Un nessuno, non qualcuno. Accettando di
essere Nessuno il greco eroe del pensiero riesce a
battere il gigantesco Polifemo, monocolo, salvando
la maggior parte dei suoi compagni. Ulisse ha tutte
le identità auspicabili nel suo tempo, perché è un
eroe, un re, uno sposo e un padre. Inoltre ha
qualcosa che lo distingue da tutti gli altri che
combattono a Troia: una particolare acutezza della
mente, per la quale gli convengono gli stessi
epiteti di Prometeo, polümètis e poikilomètis, dalla
molta mètis, dalla mètis variegata, e anche
ankülomètis, dalla metis che serpeggia, che gira gli
angoli. Tradotto con intelligenza, il termine greco
perde una connotazione che è resa parzialmente da
astuzia. Mètis indica l'attitudine della mente a
risolvere problemi di per sé impossibili, a trovare
un sentiero, un guado, dove le mappe e la tradizione
non indicano alcun percorso certo. Possiamo
considerare il pensiero designato da mètis come il
pensiero nell'accezione bioniana, e più in generale
come il pensiero che non rimuovendo l'inconscio ne
trae possibilità creative. E' il caso di ricordare
che la dea Mètis è madre di Pòros, il cui nome
significa ricchezza, guado, sentiero, soluzione, che
incontrato da Pènia - mancanza, povertà - generò
Eros.
Siamo partiti da una costruzione senza fondamento,
baseless, insubstantial, per giungere a un soggetto
capace di chiamarsi nessuno. Il guado, il pòros
indicato da Freud a proposito dell'inconscio,
tracciabile e percorribile, mai definibile o
misurabile in modo da essere rappresentato su carte
corrispondenti a scale stabili, corrisponde alla via
che l'antico navigatore greco individuava
nell'elemento àporos per eccellenza, il mare senza
vie tracciate, in opposizione alla terra, Gaia dalle
molte strade.
La rimozione dell'inconscio, come la rimozione
dell'indeterminismo nella scienza, impedisce di
percorrere campi per i quali non esistono percorsi
prestabiliti. Come quello che riguarda il fiore
chiuso, rispetto al quale occorrono molte cure,
mentre è nefasto il giardiniere che ne tocchi i
petali per accellerarne o rallentarne l'apertura.
Quando parliamo quindi di educazione, come insieme
degli atteggiamenti auspicabili in chi si occupa di
esseri umani crescenti, adolescenti, pensiamo a
un'educazione psicoanaliticamente ombreggiata, come
un passaggio, non un posto, che rinunciando
all'identità segnata dal narcisismo si curi della
possibilità di ascoltare, per accogliere il bisogno
di essere ascoltati, anziché colonizzati, degli
adolescenti, come dei bambini, come del fiore che
sempre nuovo e antico cerca di sbocciare ogni giorno
nella vita dell'uomo.
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