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In aut aut, N. 330
- aprile-giugno 2006 CORPI SENZ'ANIMA, pp. 132-138; a cura di Rosella Prezzo e Antonello Sciacchitano |
LA PAURA IN CORPO |
Milano, Il
Saggiatore Cantone, Fiumanò, Gasparini, Le Breton, Malavasi, Melman, Mieli, Prezzo, Sassatelli, Sciacchitano, Scibilia |
C'era una volta Giovannin senza paura che, andando per il mondo, capitò nei pressi di un castello infestato dai fantasmi. Chi fosse riuscito a passarvi una notte lo avrebbe liberato, ma fino a quel punto tutti quelli che avevano tentato la prova erano morti. Giovannino la affrontò:
Fra voci cavernose e corpi a pezzi che comparivano e scomparivano Giovannino passò la notte senza batter ciglio, e così divenne padrone del castello e delle ricchezze che conteneva. Ma un giorno, vedendo per caso la propria ombra, morì per lo spavento. La fiaba stabilisce un legame tra il carattere impavido dell'attante protagonista e la rimozione del corpo: l'ombra attesta il corpo vivente, tanto che i vampiri secondo la tradizione non proiettano ombra, come non sono riflessi dallo specchio. Giovannino non ha paura e non sa di avere un corpo. Siccome si illude di non temere nulla, non può rappresentarselo, perché il corpo, come è vivo, è soggetto alla morte. Possiamo confrontare questa versione con la Storia di uno che se ne andò in cerca della paura, nella raccolta dei Grimm. Quando l'impavido protagonista si trova in un castello infestato dai fantasmi, come Giovannino non ha un brivido vedendo spettri e corpi smembrati. Quando compare una bara, nella quale riconosce un suo parente morto poco tempo prima, lo tocca, e trovandolo freddo lo mette accanto al fuoco, ma siccome non riesce a scaldarlo lo porta a letto con sé:
Nemmeno se il morto vivente è un familiare il protagonista ha il brivido unheimlich - perturbante, straniante - che accompagna queste apparizioni. Andiamo a leggere una particolare rappresentazione di questa incapacità del soggetto impavido di distinguere tra vita e morte in una raccolta antica. Siccome Flamminio, così si chiama l'attante impavido del Cinquecento, non sentiva nulla ascoltando storie di morte e di paura, mentre tutti gli altri davano segni di spavento, decise di andare in cerca della morte, per vedere se davvero fosse spaventosa come dicevano. Dopo averlo chiesto a un ciabattino, un legnaiolo e un sarto, incontrò un eremita, tanto magro che pensò fosse lui la morte. Dopo avergli detto che anche lui la temeva, per quanto dedicasse tutto il suo tempo a meritare la vita eterna, l'eremita gli disse:
Il viaggio di Flamminio continuò per selve e deserti, dove incontrò bestie feroci, ma da nessuno ebbe la risposta che cercava. Finalmente incontrò:
A Flamminio sembrava proprio la morte, e glielo disse:
Flamminio, non provando alcun interesse per suoi rimedi prodigiosi, le chiede di aiutarlo a sperimentare la morte, e la brutta vecchia vita lo accontenta. Prende la spada, gli taglia la testa, e con uno dei suoi impiastri gliela riattacca, ma rivoltata:
La vita lo lasciò cuocere nel suo brodo per qualche ora senza dirgli nulla, e quando le parve il momento giusto, gliela per il verso. Il giovane allora fece di corsa la strada del ritorno:
C'è una versione popolare in cui Giovannino, dopo esser divenuto signore del castello, incontra un mago che lo sfida a farsi tagliare e riattaccare la testa. Come il primo era morto alla vista della propria ombra, muore vedendosi il di dietro. Flamminio invece ha un tempo per apprendere, come il protagonista della fiaba dei Grimm, che, avendo disinfestato il castello, ottiene in sposa la figlia del re. Si pensa comunemente che tutte le fiabe tendano al finale felice, ma anche se spesso accade, esse si concludono solo quando il problema rappresentato all'inizio trova una soluzione, sia tragica, sia felice. Esse rappresentano una legge della realtà psichica ponendo una questione di vita o di morte, e raccontando come se ne possa uscire e vivere, o restarvi avviluppati e morire. Pur essendo divenuto erede al trono, il giovane dei Grimm continuava a sospirare:
Un risveglio improvviso, e prima che la difesa dalla percezione della propria fragilità si attivi, l'acqua gelida e i pesciolini viscidi e guizzanti, che per inciso rimandano alla vitalità impadroneggiabile dell'elemento fecondo, gli danno ciò di cui lamentava la mancanza. Esaminando molte versioni di questa storia, fra le più diffuse in Europa, si può osservare che il finale è tragico o felice non in funzione delle prove e del modo in cui il protagonista le supera, ma di una differenza nell'inizio. L'attante impavido che viaggia per il mondo in cerca della paura o della morte, che spesso in queste storie sono intercambiabili, ha un'occasione per imparare e vivere, mentre l'impavido che viaggia per il mondo senza cercare nulla trova, con la prima paura, la . Il corpo, più intimo al soggetto di qualunque altra cosa, è la massima fonte del perturbante. Il soggetto lo veste, lo maschera, lo colonizza incidendolo col tatuaggio o il piercing, fino agli esiti estremi della body-art. Un investimento massiccio proviene dallo stesso bisogno nell'accanimento terapeutico come negli interventi di chirurgia estetica: per cancellare dal corpo i segnali della morte, e dei suoi parenti, la malattia e l'invecchiamento. Ricordiamo per inciso che il piacere erotico è per il suo carattere anarchico altrettanto minaccioso per il soggetto colonizzatore. E la ferita, come il piacere, è un attrattore per l'essere, nella quale emerge il reale del corpo:
Un
ricordo d'infanzia, rievocato in analisi, lega il
corpo, il dolore, la paura. Antonia una notte era
rimasta sola a casa perché doveva studiare per
l'esame di ammissione alla scuola media, mentre i
genitori erano andati alla festa del paese. Dopo
essersi assopita, aveva sentito un fruscio, e
percependo uno spettro della sua tradizione
popolare, ne aveva sussurrato il nome: "La Guria?"
Nello stesso istante aveva sentito un prolungato
"Sì!" e aveva visto la donna avvolta di bianco. |