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La pulsione rimossa
non rinuncia mai a cercare il suo pieno
soddisfacimento, che consisterebbe nella
ripetizione di un’esperienza primaria di
soddisfacimento; tutte le formazioni
sostitutive e reattive, tutte le sublimazioni,
non potranno mai riuscire a sopprimere la sua
persistente tensione, e la differenza fra il
piacere del soddisfacimento agognato e quello
effettivamente ottenuto determina nell‘uomo
quell’impulso che non gli permette di fermarsi
in nessuna posizione raggiunta, ma, secondo le
parole del poeta, «sempre
lo
spinge più avanti».
Sigmund Freud, Al di là del principio di piacere, 1920.
Quale parte del gran teatro del mondo abita
lo scrittore? Forse è un navigatore,
qualcuno che segue il motto scelto da Freud:
Navigare
necesse est, vivere non necesse. Lo
scrittore, come il criminale e come il
folle, sospende il primato della
sopravvivenza personale, è pellegrino in un
labirinto, o in un'Odissea senza ritorno,
ascolta le sirene senza morire, si lascia
fissare da Medusa senza restare
pietrificato, e scopre che lui e il mondo
continuano ad esistere, perché non è
celebrato come l'eroe che decapita
l'anguicrinita, né, trasformato in statua,
ammonisce gli uomini come lui a starne
lontani.
Lo scrittore come Orfeo scende agli inferi, con l'enigma affiorato col sapore di una madeleine e dei fiori di tiglio, cammina in direzione opposta alla rimozione che lo aveva alleggerito dal fardello dei ricordi. Lo scrittore lavora solo con le parole, non ha goniometri, canocchiali, provette, non calcola, non prevede, non bonifica. I signori della morte sono vinti da lui e da lui solo, come le bestie feroci che si accucciano ai suoi piedi per ascoltarne il canto. Ma lui è vinto da se stesso, dal suo sguardo che ha resistito a Medusa e alle tenebre, e come Orfeo, dopo aver strappato l'amata alla morte, la perde un attimo prima di poterla stringere fra le braccia. Nemmeno dopo questa disillusione, pur restando fedele al suo dolore e al suo canto, può trovarsi al sicuro, perché le estatiche Menadi con le quali ricusa di unirsi lo faranno a pezzi. Destino atroce, ingiusto, quello delle disjecta membra del poeta che continuano a cantare e invocare l'amore perduto, se non si intende il mito: ogni parte del corpo del poeta ora canta, e si moltiplica la sua presenza proprio quando è irrimediabilmente vinto. Infera è la percezione del carattere illusorio delle verità cardinali, del cuore di ogni ontologia: del fallo attorno al quale gira il mondo nella sua tragedia e nella sua danza. In questo senso ogni opera letteraria è una nekyia, alla quale lo psicoanalista via via si appassiona perché riguarda quelle acque di Acheronte che Freud mosse con la Traumdeutung, dopo aver preso atto che i signori dell'Olimpo o del cielo, favolosi reggitori dei nostri destini, non si lasciavano più commuovere dal nostro dolore. Non a caso il bambino è sempre presente nella teoria psicoanalitica come in ogni seduta: sono le sue braccia tenere e impotenti a tendersi sempre verso un amore perduto e irrinunciabile. Viviana Agostini-Ouafi osserva come la scoperta dell'attualità del mito accomuni Proust e Freud, che riconoscono nel mito la struttura narrativa con la quale si può nominare, anziché rimuovere, l'umanità tragica del folle e del criminale. Per un caso di matricidio Proust scrisse: J’ai
voulu aérer la chambre du crime d’un souffle
qui vînt du ciel, montrer que ce fait divers
était exactement un de ces drames grecs dont
la représentation était presque une cérémonie
religieuse, et que le pauvre parricide n’était
pas une brute criminelle, un être en dehors de
l’humanité...
Lo scrittore si riconosce nel matricida? Dal lutto per la morte del padre Freud trae la Traumdeutung, e postula l'universalità dell'Edipo. Ma lo psicoanalista oggi non rende un servizio né alla propria disciplina né alla letteratura se ribadisce questa universalità descrivendone la presenza nell'opera letteraria. I greci ne erano già consapevoli, perché consideravano Edipo l'eroe tragico per eccellenza. L'Autrice descrive la nekyia proustiana, facendo emergere la posizione umana dello scrittore che riconosce l'umanità tragica, incarnata dal parricida, di fronte alla quale la maggior parte di noi fugge nell'illusione che non potrà mai toccarci personalmente. Appassionarsi alla cronaca nera di un parricidio consente l'affioramento della stessa pulsione che ci abita tutti nel momento stesso in cui ne rinnoviamo la rimozione, esorcizzandola. Il romanzo è invece una nuova vita che si racconta, attraverso la fine di una vecchia vita, come il nuovo re è proclamato alla morte del re precedente. Eppure, allo stesso tempo, occorre che il nuovo re accolga l'eredità del vecchio, che gli somigli abbastanza da assumerne le prerogative e i gesti regali. Ogni nekyia implica la sospensione del percorso comune sulla terra dove le mappe indicano le vie da percorrere, e alla bocca del muto Tartaro si giunge dopo una sconfitta o un naufragio. Vicende dolorose che sono esperienza di tutti, prima o poi, ma che la maggior parte di noi riesce a rimuovere, quanto basta per non abbandonare le mappe che si usano comunemente. Il lettore di Proust deve essere disposto a metterle da parte, se non chiude Du côté de chez Swann prima che finisca il lungo racconto del bambino che aspetta la mamma per il bacio della buonanotte. Chi ha paura di riconoscere in se stesso, nei suoi amori e nella sua solitudine di adulto, quel bambino, rinuncia alla ricerca di cui Proust offre il racconto. Non saprà nulla della sua nèkya, perché non sentirà con quale delicatezza e con quanta pazienza Proust snodi il mondo in ogni sua parte, dissolvendo ogni fondamento dei valori di classe, di cultura, di pregio estetico, di morale comune. Potrebbe trattarsi, come scrive l'Autrice della «lotta della Luce contro le Tenebre: la battaglia mistica dell'angelo-poeta contro ogni oscurità». La Recherche di Proust sarebbe una consacrazione mistica del soggetto, che ricostruisce se stesso e il mondo attraverso la parola. Kristeva, semiologa e psicoanalista, citata dall'Autrice, parla di una «vera conversione che nasconde l'ambizione mistica della trasmutazione di un corpo in letteratura». Sarebbe dunque una nuova forma di salvezza, dopo la morte di Dio e della fiducia, tutta illuministica, nella giustizia delle restaurazioni e delle rivoluzioni. Pochi contemporanei di Proust e di Freud riconoscevano la portata radicale della crisi che si è aperta nel Novecento, e ancora oggi sembra impossibile vivere e pensare senza l'asse fallico che ha sempre retto la nostra cultura. La nekyia proustiana, come quella freudiana, slaccia il mondo, riconosce la natura onirica e mitica del suo pernio, eppure il soggetto e la realtà continuano a esistere come sempre, solo che ora se ne può, forse se ne deve, riconoscere il movimento incerto e oscillante. Si tratta in letteratura, come in psicoanalisi, di rinunciare a qualunque forma di potere, anche a quello della parola, per lasciare che il racconto si faccia attraverso noi, non per noi, che il romanzo si formi pagina dopo pagina, mentre il soggetto che lo scrive, come quello che lo vive, lo veglia come un genitore guarda il bambino che dorme, lasciando al regno dei sogni e delle illusioni qualunque forma di legittimazione. Quando ha scritto che ogni scrittore è un traduttore, Proust ha operato un decentramento del soggetto, sperimentando la non padronanza dell'io in casa propria. Lo scrittore lavora le parole come il contadino la terra, e il frutto ha la stessa grazia dei fiori e dei frutti, ma solo chi conosce questa fatica sa quanto sudore sia necessario perché sboccino: L’art
éthéré, la muse, sont-ils assez ? j’en
doute […] il faut la fatigue, le travail de
toutes les heures.
Così Michelet citato dall'Autrice, che lo individua come guida segreta della nekyia proustiana. Nel corpo che si forma e si trasforma si compiono le scoperte che scandiscono il tempo profondo della Recherche. Ricordiamo solo due passaggi fra i molti possibili: nel corpo del figlio Proust riconosce, come in Gilberte, l'opera della natura che mescola e armonizza i tratti somatici di Swann e di Odette. Nemmeno il più grande pittore saprebbe fare altrettanto, in ogni figlio. Nel corpo si compie la rivelazione di come il tempo che passa ci riveli la nostra somiglianza con i genitori, al punto che al ballo del Temps retrouvé, rivedendoli dopo un soggiorno in clinica, l'Autore pensa che gli amici e le amiche si siano mascherati per apparire come i loro padri e le loro madri. Il tempo, certo divoratore, si ritrova nella sua durata capace di restituire i figli alla vita. Come l'orrido ventre di Cronos il tempo ci imprigiona ma per vomitarci nuovamente alla luce, come in una seconda nascita. Non c'è modo di recuperare il tempo perduto, perché è sempre stato con noi, perché la memoria è l'opus magnum di cui ogni soggetto, con dolore, sudore, passione può imparare a disporre, se accetta di riconoscerne l'opera sul proprio corpo. La continuità si realizza anche attraverso la morte, come nel figlio che porta in sé il genitore eppure lo cancella nella sua forma rinnovata dall'irreversibile incontro con l'altro, anche attraverso l'invecchiamento, che rivela quel che permane dell'essere trasformandolo. Orfeo continua a scendere nel regno d'ogni luce muto e a commuoverne i signori, e perde sempre ciò che sembrava tornato in suo possesso, perché la pulsione scopica, che è la passione per la conoscenza, porta sia a conquistare l'oggetto d'amore che a perderlo. Il viaggio di chi deve lasciarsi portare dalla propria nostalgia conduce a un paese del passato o del futuro, dove si è ricevuto l'amore che ci ha fatto vivere o dove si spera di ritrovarlo: [...]
pays rêvé seulement mais presque aussi réel
que le pays de mon enfance, qui n’était déjà
plus qu’un songe ? Je n’en savais rien.
Bras impuissants et tendres che non ci potranno stringere, con cui non potremo stringere chi amiamo, da sempre e per sempre perduto. Eppure quel sogno, come il sapore della madeleine e dei fiori di tiglio, torna più vero della pioggia del giorno che scorre, e può guidarci nel royaume sombre e riportarci sulla terra, insieme ai contemporanei, i nostri compagni di viaggio. Le braccia più impotenti e tenere sono quelle dell'infante, eppure, quando si tendono, il genitore non può fare a meno di rispondere al loro richiamo. Questa è la meta, a nostro parere tutta laica, della Recherche, di quella di Proust come di quella che ancora si pratica facendo il mestiere che Freud ha inventato: capire come la forza più grande sia nella tenerezza che non dispone di armi di conquista. Le nude parole hanno la stessa potenza. |