Una
volta, un tempo c'era un Signore e aveva tre
figliuole, e s'eran fatte grandi e non poteva
maritarle, né sapea che cosa farsi. Or dunque,
signora mia, gli venne in mente di far i ritratti
delle sue figliuole e di collocarli dinanzi alla
porta di casa sua, sicché li vedesse chi passava,
forse che così le mariterebbe. Il luogo dove abitava
questo signore era sul mare e molte navi ci andavano
da molti luoghi ad approdare.
Ebbene, signora mia, una volta vide quelle figure un capitano, e gli piacque la più piccola delle tre, e andò a chiederla dal babbo di lei: ma il babbo non gliela voleva dare, perchè voleva prima maritare le maggiori e poi la più piccola. Lo sposo voleva la piccola; e gli amici del babbo di lei lo consigliarono, che si risolvesse a dargliela per fare un buon principio. E insomma, signora mia, si decise, e diede la piccola; e dopo pochi giorni, si fecero gli sponsali. Dopo la benedizione nuziale, se ne andarono tutti i parenti e gli amici e lasciarono soli lo sposo e la sposa; e allora la sposa andò a dormire nella sua stanza, e quando lo sposo andò per dormire con lei, si squarciò la parete, e ne uscì fuori un fantasima e disse allo sposo: - Stai lontano dalla Rosa - che cosi si chiamava la sposa - perchè la Rosa prenderà suo padre, e con suo padre farà un figliuolo, e poscia prenderà in marito anche il figliuolo. Tosto che ebbe udito tutto ciò lo sposo, senza dir nulla ad alcuno, andò a trovare il suocero, e gli disse che avea commesso uno sbaglio, poiché voleva per moglie la grande e non la piccola. N'ebbe piacere il suocero, il quale voleva appunto maritare la grande per prima, e li maritò; e lo sposo si prese la moglie e se ne andò a casa sua. Dopo poco tempo, si trovò anche un altro sposo, ed anche a questo piacque la piccola. Per non farla troppo lunga, accadde a questo proprio come all'altro. La povera Rosa dopo essere stata ammogliata a due mariti, rimase non maritata. Passato un certo tempo la Rosa, che non sapeva per qual ragione due uomini l'avevano sposata e l'avean lasciata tutti e due, ebbe un'idea. Pensò di pregare il babbo che la lasciasse andare a visitare le sue sorelle, poiché desiderava vederle, affine di sapere la ragione per cui i mariti suoi l'avean lasciata; e il babbo la lasciò andare, e partì. Appena arrivata là dove abitava le sorella maggiore, vide la serva di questa che andava ad empir la brocca, e la riconobbe, e le disse: - Eccoti questo anello, dallo alla tua padrona, ed io aspetterò qui fuori che tu mi porti una risposta. Poco dopo viene la serva e le dice che favorisca, che la vuole la sua padrona; e trovò la sorella sola, e si assisero. - Sorella mia - le disse - son venuta perchè desiderava vederti, e vorrei tu mi facessi un piacere; che la notte quando vai a dormire con tuo marito, tu spenga il lume ed esca dalla camera e ci vada io. La sorella le disse: - Con piacere; perchè no? farò quel che vuoi. Venuta la notte, la sorella fece quant'essa aveva chiesto, e lasciò il marito, e la Rosa andò e si coricò col suo sposo: allora essa, come fosse la moglie di lui, gli disse: - Da tanto tempo che sei mio marito, ho sempre dimenticato di domandarti la ragione perchè sposasti mia sorella più piccola e poi la lasciasti. E allora colui gli disse tutto com'era accaduto. Saputo che ebbe ciò, Rosa uscì dalla camera e v'entrò la sorella; il giorno appresso levossi e se ne andò a trovare l'altra sorella, e dopo che anche dall'altro sposo ebbe risaputo le stesse cose, tornò a casa sua e dicea fra di sé: - No, non isposerò mio padre come ha detto il fantasima; piuttosto pagherò degli uomini perchè lo uccidano. E così, signora mia, pochi giorni dopo essa paga degli uomini i quali uccidono il suo babbo, e lo prendono e lo seppelliscono fuori del paese in un campo; e sul sepolcro in cui avean seppellito il padre di lei, germogliò un melo che facea di belle frutta. E dunque un giorno, signora mia, la Rosa vide un uomo che vendeva mele; lo chiama e compra di quelle mele e ne mangia, e uscì gravida. Poco tempo dopo cominciò a farsele grosso il ventre, e non sapeva come mai, ma poi riseppe che sul sepolcro di suo padre era nato un melo, e si rammentò che di quelle mela aveva mangiato. Allora disse fra di sé: neppur ora non voglio che si avveri il detto del fantasima, e appena partorirò farò di uccidere il bimbo. E tosto che nacque il bimbo lo prese e gli die più coltellate nel petto e lo pose dentro una cassa, la inchiodò ben bene, e la gittò a mare; e poiché soffiava vento di terra, spinse la cassa e andò in alto mare. Si trovò a passar di là una nave mercantile e il capitano della nave vide la cassa; e dice allora il capitano ai suoi uomini: - Mettete in mare la barca, e prendete quella cassa, e se c'è dentro qualcosa di prezioso prendetela per voi, se però c'è dentro anima viva sarà mia. Calarono la barca e presero la cassa; ci trovarono dentro un bambino immerso nel proprio sangue; allora il capitano lo prese per sé e lo fece figliuol suo: e dopo che furono passati molti anni morì il capitano, e ereditò tutta la sua fortuna il figlio adottivo di lui. E allora il fanciullo divenuto grande, faceva il mestiere di suo babbo e viaggiava da luogo a luogo. In uno de' suoi molti viaggi accadde che andò nel paese della sua madre e vide la porta della casa di lei, e domandò che cosa fossero quelle figure ch'erano su quella porta, e gli dissero la storia delle tre sorelle, e gli dissero pure che la più piccola non avea marito. Allora colui: - La prendo io - disse - per moglie. E la prese, e quando furono passati molti anni ed aveano anche fatto figliuoli, un giorno essa porse a lui la camicia da cambiare. Allora vide nel petto di lui le cicatrici delle coltellate che gli diede quando lo mise dentro la cassa, e sospettò, e interrogollo: - Non mi dici che cosa sono queste cicatrici che hai nel petto? Colui gli disse ch'ei non conosceva né babbo né mamma : solo che l'avea trovato un capitano in mezzo al mare dentro una cassa e l'avea preso e fatto suo figlio: - E quando morì mio padre io fui suo erede e feci l'arte sua, e venni in questo paese e ti presi in moglie, e non so altro. Colei gli disse: - Fin qui mi ha perseguitato la sciagurata sorte mia; tu sei mio figlio, ed ora che si sono avverate le cose che disse il fantasima, lascio te addolorato, e orfani i figliuoli, e vado a morire, poiché cosi ha voluto il destino. E andò e gittossi da una terrazza e si uccise. |
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RIFERIMENTI | |
Testo | Alessandro D'Ancona, La leggenda di Vergogna
e la Leggenda di Giuda, Testi del buon secolo in
prosa e in verso e La Leggenda di Giuda, testo
italiano antico in prosa e francese antico in verso.
Bologna: Gaetano Romagnoli 1869; fonte: https://books.google.it/books?id=J_UNAAAAYAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false; consultato il 17 febbraio 2024. La favola qui riportata si trova in appendice, alle pp. 115-123: Versione italiana e commento di una tradizione Cipriotta di Domenico Comparetti, dedicatario del volume. |