Cura
cum quendam fluvium transiret, vidit cretosum lutum;
sustulit cogitabunda et coepit fingere [hominem]. dum
deliberat secum quidnam fecisset, intervenit Iovis.
rogat eum Cura ut
ei daret spiritum, quod facile ab Iove impetravit. cui
cum vellet Cura nomen suum imponere, Iovis prohibuit
suumque nomen ei dandum esse dixit. dum de nomine Cura
et lovis disceptarent, surrexit et Tellus suumque
nomen ei imponi debere dicebat, quandoquidem corpus
suum praebuisset. sumpserunt Satumum iudicem. quibus
Saturnus secus videtur iudicasse : 'tu Iovis quoniam
spiritum dedisti, [...] corpus
recipito. cura quoniam prima eum finxit, quamdiu
vixerit, cura eum possideat; sed quoniam de nomine
eius controversia est, homo vocetur quoniam ex humo
videtur esse factus. |
Cura, mentre attraversava un fiume, vide del fango argilloso; lo raccolse pensosa e cominciò modellare [un uomo]; mentre fra sé e sé decideva che cosa aveva fatto, arrivò Giove. Cura gli chiese di dargli vita, cosa che ottenne facilmente da Giove. Ma quando Cura intese imporgli il suo nome, Giove glielo proibì, e disse che gli si doveva dare il suo. Mentre Giove e Cura discutevano sul nome, si levò anche la Terra, e diceva che gli si doveva dare il suo nome, poiché era stata lei a dargli il corpo. Elessero a giudice Saturno, che a quanto pare giudicò diversamente: "Tu, Giove, avendogli dato lo spirito, [questo riceverai dopo la sua morte. Tu, Terra, avendogli fornito la materia] ne riceverai il corpo. Cura, poiché per prima lo ha modellato, lo avrà in suo potere finché vive; ma visto che la controversia è sorta per il nome, si chiami homo, poiché si sa che di humus è fatto". |
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TESTO |
Hygini Fabulae. Edidit
Mauricius Schmidt. Jenae: Apud Hermannum Duft (In
Libraria Maukiana) 1872. http://www.archive.org/stream/hyginifabulae00hygigoog#page/n190/mode/2up; p. 130; ultima consultazione: 6 febbraio 2024. |
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TRADUZIONE |
Adalinda
Gasparini. |
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CURA | |||||||||
Cura,
preoccupazione, ansia: il bacino semantico del latino cura
non è reso se non si tengono presenti almeno questi tre
significati. Un'altra traduzione via via scelta per Cura
è Inquietudine, greco Òizis, figlia
della Notte e sorella di Mòmos, (Sarcasmo,
Humour). In questo senso Cura può essere
associata a quanto provoca un'emozione unheimilche.
Cura precede o tenta di ridurre lo spaesamento,
termine usato da De Martino per la crisi della presenza,
che potrebbe essere una traduzione più corretta dell'Unheimlich
freudiano. (AG) |
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Semerano |
cūra,
-ae cura, preoccupazione, pensiero, «curo»
ho cura. Il peligno coisatens «curaverunt»
ha il senso di accadico ḫasāsu (prendersi cura,
preoccuparsi [Prometeo!], aver pensiero di, 'to care
for, to be mindful of, to think of a person', con le
forme ḫussusu: 'to remind; to study, to investigate', CAD, 6, 122 sgg.). L'umbro kuraia, kuratu «curet», «curato», le forme epigr. coirauit, coerauit si sviluppano alle origini sotto l'influenza della base corrispondente a accad. kūru (lat. «cūra»: oppressione, depressione, 'Depression, Benommenheit'), da accad. kârum (essere oppresso, 'to be in depression'), ebr. kāra Hi ('to afflict'). (Giovanni Semerano, Le origini della cultura europea; vol. II. Dizionari etimologici, Basi semitiche delle lingue indoeuropee. 2. Dizionario della lingua latina e di voci moderne. Firenze: Olschki, 1994; rist. 2000). |
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Guidorizzi |
Giulio
Guidorizzi commentando la Favola CCXX di Igino ricorda
che è certo latina (etimologia di homo da humus),
senza dimenticare che rimanda al mito della creazione di
Prometeo. Mette la favola in rapporto ocn Seneca
(Epistole, 124,14) e ipotizza un influsso stoico. Dopo
aver ricordato che cura significasi angoscia
che coscienza, indica gli autori che, prima
di Heidegger, hanno ricordato la favola di Igino:
Herder, Das Kind der Sorge, Wieland, Pandora,
Goethe, Prometheus. (G. Guidorizzi Igino, Miti, a cura di Giulio Guidorizzi; Milano: Adelphi 2000, pp. 488-489) |
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Ovidio |
IL
DEMIURGO CREA L'UOMO COL SUO SEME DIVINO, O LO CREA
PROMETEO DAL FANGO
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Martin Heidegger |
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post mortem spiritum repito |
Testo interpolato: post mortem spiritum recipito. tu
Tellus quoniam materiam dedisti (dopo la sua
morte te ne tornerà lo spirito, tu Terra, che hai dato
la materia) Se con Heidegger consideriamo questo testo come parte autentica della favola di Igino, scegliamo l'ipotesi secondo la quale l'autore delle Fabulae non sarebbe Hyginus bibliotecario di Augusto, ma Hyginus mythographus, vissuto qualche secolo dopo, che per promuovere la sua opera ne avrebbe tentato l'attribuzione all'omonimo bibliotecario di Augusto. Potrebbe essere stato un contemporaneo di Agostino d'Ippona (IV secolo). Questa attribuzione trova ragione nel fatto che in età augustea Giove non aveva nessun interesse a ottenere le anime dei defunti, men che meno i corpi. Zeus/Giove asterizzava e accoglieva in cielo alcuni figli generati con donne mortali e per questo - come Eracle - quanto ai corpi, non se ne parlava nemmeno. Considerando infine il Dio cristiano, solo due corpi sono accolti nel Regno dei Cieli: quello del Dio Figlio e di Maria vergine madre, entrambi umani ma senza peccato. Heidegger pare considerarlo parte integrante della favola di Igino, senza tener conto delle interpolazioni né dell'incertezza sulla datazione delle Fabulae, già rilevate e pubblicate dai filologi. Ogni volta che la filosofia si annette un mito per sostenere il proprio discorso si comporta come una donna o un uomo che cita un proverbio per chiudere pro domo sua una discussione. L'efficacia dipende dalla convinzione di essere giusto o efficace del capofamiglia come del filosofo, non meno che dalla dall'attribuzione di autorevolezza di chi lo ascolta. Se quando il maggiore per età afferma che l'unione fa la forza chi lo ascolta, il minore, ribatte che chi fa da sé fa per tre, o che le società son belle dispari, e tre son troppi, l'autorità del maggiore è finita. Questo vale per qualunque proverbio, a maggior ragione per quelli che al loro interno contengono la loro contraddizione. Due esempi: La gatta frettolosa fece i gattini ciechi, e in tre giorni nasce un ciuco e va ritto. Il primo esorta ad essere prudenti, ma tutti i mici vengono al mondo a occhi chiusi, e non li aprono prima di una o due settimane dalla nascita. Il secondo esorta ad aspettare a preoccuparsi, affermando che in tre giorni molte cose possono cambiare, ma il ciuchino e il cavallino si mettono in piedi entro una o due ore dalla loro nascita. Vi sono poi detti nei quali la contraddizione costituisce il proverbio stesso, ad esempio: levare la sete col prosciutto. Il salume fa venire sete, quindi il detto invita a considerare la complessità della questione alla quale si vuole dar risposta, senza suggerire una soluzione. Se la mente va al mito nei dialoghi di Platone, segnatamente al discorso di Diotima fatto proprio da Socrate nel Simposio, il mito è un discorso che viene accostato al discorso filosofico, per la significazione che al discorso filosofico non è accessibile, quasi completamento del discorso che altrimenti rimarrebbe sospeso. Il mito e la fiaba - e l'arte tutta, sia colta, sia popolare - non si occupa del principio di non contraddizione, non è affar suo. Possono quindi significare qualcosa se e solo se c'è accordo fra chi parla o racconta, per insegnare o distrarre e divertire, e chi ascolta, per imparare o per il piacere di ascoltare. Mito e favola hanno valore nella relazione, mentre il discorso filosofico e scientifico pretendono di avere al loro interno il fondamento e la legittimazione di cui hanno bisogno. Ma allora vale per scienza e filosofia il limite per il quale se un sistema include i propri assiomi è completo e falso, mentre se non li contiene è vero e incompleto? Quando Heidegger fa ricorso al mito - una profonda riflessione andrebbe dedicata allo stesso ricorso di Freud - cade inevitabilmente in errore ed è impreciso. Il mito si ribella e la sua struttura narrativa è rattoppata dal filosofo, per lo strappo che ha lacerato il mito - o il sogno o la favola - nell'operazione di annessione nel discorsi filosofico. Se pensiamo a questo ricorso alla favola di Cura da parte di Heidegger, del quale è indubbio il rigore, capiamo come si tratti dell'annessione di un elemento considerato arcaico o primitivo, sul modello della colonizzazione europea e occidentale ai danni dei paesi e della culture dell'Asia, dell'Africa e dell'America meridionale. L'Io padrone, l'Io al quale Freud rivela che non è padrone in casa propria, mantiene la padronanza sottomettendo altri che sono inferiori per principio - razzismo, eurocentrismo, ecc. - e per storia - sono stati sottomessi con la guerra. Mi chiedo se non siasempre stato così, se l'identità umana abbia consistenza solo contro l'altro, inferiore per età, cultura, censo, bellezza, e via dicendo. C'è una bellezza senza una bruttezza? C'è una bontà se non le si oppone la cattiveria? E non è questo il senso di Eraclito quando parla di opposti? non nella cosiddetta coincidentia oppositorum, ma nell'esistenza di ciascuno che non esiste senza l'altro. |
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Vedi anche: Igino,
Miti, Milano: Adelphi 2000, p. 136. |
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Annalisa Caputo |
La formazione del concetto di ‘cura’ in
Heidegger (1919-1926). Fonti, stratificazioni,
scelte lessicali. 2020 https://ricerca.uniba.it/retrieve/dd9e0c68-7cb1-1e9c-e053-3a05fe0a45ef/11%29%20Caputo%20Heidegger.pdf uyltimo accesso: 10 febbraio 2024, |
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IMMAGINE IN ALTO, FRONTESPIZIO DELLE
FAVOLE DI IGINO |
Frontespizio delle Fabulae di
Igino. Tratta da AntiqBook, https://www.antiqbook.com/books/bookinfo.phtml?nr=1450524052&l=en&seller=;
consultato il 21 ottobre 2018. |
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Piero di Cosimo, Il mito di
Prometeo, I, 1515-1520 Altepinakothek, Monaco di Baviera. A sinistra Prometeo di fronte a Epimeteo -
i due fratelli figli di Giapeto - forma l'uomo dal
fango e ne scolpisce la prima statua, al centro del
creato. Prometeo la mostra ad Athena, che lo porta con
sé in cielo. Sullo sfondo fra le nuvole il carro di
Venere, a destra, portato da colombe, e quello di
Saturno, portato da draghi, a sinistra.
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Piero
di Cosimo, Il mito di Prometeo, II, 1515-1520 Furto del fuoco in favore dell'uomo, a sinistra; a destra Prometeo incatenato con l'aquila che gli mangia il fegato. Al centro sullo sfondo, Prometeo è portato in cielo. Musées des Beaux Arts, Strasburgo. |
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