I. Amics Rubaut, de leis, q' am ses
bauzia,
Vos dirai cossi·m vai;us Qe qant mi ve ela·m ri tota via, Mas autre be no·m fai; Non sai si·m men' eschern o iai. Vos, qe·n cuidatz? Fai o per tricharia, O qar li plai m' amors e ma paria? II. Segne 'n Lafranc, pos voletz q' eu vos dia Mon semblan, vos dirai: Cella q' amatz crei q' a cor qe·us aucia Pos null ioi no·s atrai, Q' ab ris vos trahis e·us dechai Com fetz baisan Iuda Dieu, ses faillia, E si ·m desplai q' ill es vostr' enemia. III. Amics Rubaut, se midonz aitals era Com cella qi·us trahi, Zo qe dizes ges non desconfessera Oe non fos enaissi; Mas ab leial cor e pretz fi Regna midonz, per q' ieu non autregera Pos ela·m ri qe·m fos falsa ni fera. IV. Segne 'n Lafranc, savis hom non lauzera Zo qe lauzatz aici, Qar la domna q' ames tant non celera Son cor a son ami; Ma per o qar vos fai ien ri, Non crei qe·us am. ni ieu non l' o prezera Q' il fez a mi, anz me·desesperera. V. Rubaut, ris nais de ioi e d'alegranza E d'amoros talen, Et es del cor veraia demostranza Q'el veia ren plazen: Doncs si·m garda midonz rizen, No·m pot d'amor far plus bella demblanza, Et eu o prend enaissi, ses doptanza. VI. Segne'n Lafranc, no·us puesc gitar d'erranza Tant amatz follamen, Car vos prenetz ris en luec d'amistanza, Mas ieu no·m atalen, Qe badars mi don'espaven. Vos atendretz vostra bona esperanza, Mas ieu enten que·us er desesperanza. VII. Rubaut, apres lo ris aten Q'eu aurai ioi de leis e benananza, Qar non desmen ma domna sa semblanza. VIII. Lafranc, si del ris bes vos ven, ben poiretz dir q'aventura·us enanza: Pero rizen gab'om los fols en Franza. |
I. Amico Rubaldo, io vi dirò quale fortuna ho con colei, che amo con cuore leale; quand'essa mi vede, ella mi sorride ognora, ma non mi fa altro piacere. Non so se ella ciò fa per darmi gioia o per schernirmi. Voi che cosa ne pensate? Fa ciò per ingannarmi o perchè le piace il mio amore e la mia compagnia? II. Signor Lanfranco, poiché volete che vi dica il mio parere, ve lo dirò: quella che amate credo che abbia intenzione di tormentarvi, dal momento che non vi procura nessun piacere. Col suo sorriso vi tradisce e vi umilia, come fece Giuda baciando Gesù, senza dubbio, e mi dispiace che essa sia vostra nemica. III. Amico Rubaldo, se la mia donna fosse quale quella che vi tradì, non objetterei che non fosse così come voi dite, ma la mia donna si comporta con cuore leale e con fino pregio ; per questo non potrei concedere che essa fosse falsa o cattiva verso di me dal momento che mi sorride. IV. Signor Lanfranco, un uomo saggio non loderebbe ciò che voi lodate in tal modo, poiché una donna che amasse davvero non terrebbe tanto celato il suo pensiero al suo amico ; ma pel fatto che vi fa un sorriso gentile, non credo che vi ami ; ed io non le sarei molto tenuto se lo facesse a me, anzi me ne dispererei. V. Rubaldo, il riso nasce da gioia e da allegrezza e da amorosa disposizione e dimostra veramente che il cuore vede una cosa che gli fa piacere. Dunque, se la mia donna mi guarda ridendo, non mi può fare maggiore dimostrazione d'amore ed io prendo la cosa in questo senso, senza dubitarne. VI. Signor Lanfranco, non vi posso togliere dall'errore, tanto amate follemente, poiché voi prendete il riso come segno di amicizia; ma io non me ne compiaccio, perchè quell'atto della bocca mi spaventa. Voi aspetterete il realizzarsi della vostra buona speranza, ma io capisco che dovrete invece disperare. VII. Rubaldo, dopo il riso io aspetto da lei gioia e sodisfazione, perchè la mia donna non smentisce il suo sembiante. Vili. Lanfranco, se dal suo sorriso vi proviene felicità, ben potrete dire che buona ventura vi protegge-; però ridendo in Francia si scherniscono gli sciocchi. |
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RIFERIMENTI |
Bertoni, Giulio, I Trovatori d'Italia (Biografie,
testi, traduzioni e note). Con 14 illustrazioni e 2
tavole fuori testo. Fotografia P. Orlandini & Figli;
Modena: Cav. Umberto Orlandini 1915; pp.640. Online: http://www.archive.org/stream/itrovatoriditali00bertuoft#page/278/mode/2up; consultato il 30 giugno 2012. La prima tenson, fra Bonifaci Calvo e Scotz, è alle pp. 418-421; la seconda, fra Simon Doria, statista della grande famiglia genovese, e Albert, è alle pp. 384-385; la terza, fra Persival Doria e Felip de Valenza, è alle pp. 313-315; la quarta, fra Lafranc Cigala e Rubaut, è alle pp. 413-414. Le tensons sono state composte nel sec. XIII. Persival (Perceval, Percevalle) Doria fu Vicario generale del Re Manfredi per la marca di Ancona, il ducato di Spoleto e la Romagna. Non è certo che fosse un membro della nobile famiglia genovese: il suo cognome potrebbe essere stato D'Oria, ovvero originario di Otranto. Poetò sia in lingua occitana (provenzale) che in volgare siciliano: Persival Doria incarna la relazione fra le due tradizioni.Vedi la sua poesia di scuola siciliana Amor m'ave priso. |
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TRADUZIONI ITALIANE |
La traduzione della
tenson fra Lanfranc Cigala e Rubaut è di Giulio
Bertoni, cit., pp. 414-415. Le altre traduzioni sono
di A.G,, che si è avvalsa di quelle dello stesso
curatore, che seguono ciascuna tenson. |