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C'erano una volta un re e una
regina che avevano tre figlie bellissime, ma la
bellezza della più piccola era tale che le parole
umane non bastavano a descriverla. La sua fama era
universale, e tanti venivano a vederla, sia dalla
sua città che da altre regioni, tanto che si
cominciò a credere che fosse la stessa dea Venere
finalmente discesa fra gli uomini. Alla fanciulla
venivano offerti doni e le si rivolgevano preghiere
come se fosse la dea dell'amore, mentre i templi di
Venere rimanevano deserti. La dea allora montò su
tutte le furie, e chiamò suo figlio:
Intanto Psiche era ammirata e venerata, ma la sua bellezza era tanto al di sopra di quella di ogni altra fanciulla umana che nessuno osava chiederla in sposa. Mentre le sue sorelle maggiori avevano già lasciato la casa per diventare regine, lei intristiva e finiva con l'odiare la sua mirabile bellezza. Quando vide che si ammalava per questo, il re suo padre consultò l'oracolo di Efeso, che gli diede questo responso:
Si organizzarono quindi per lei le nozze con il terribile sposo, e i suoi reali genitori con gli abitanti della città in lutto l'accompagnarono al luogo dove avrebbe incontrato quell'essere feroce. Psiche consolava i genitori, dicendosi pronta ad affrontare il suo destino, che era scritto dallo stesso momento in cui per la sua bellezza l'avevano chiamata col nome della dea, Venere. Giunta sull'alta rupe indicata dall'oracolo, e rimasta sola, si mise a piangere. Ma ecco che uno Zefiro la sollevò e la portò in volo fino a una valle segreta e l'adagiò su un morbido prato, dove Psiche si assopì. Quando si risvegliò da quel sonno ristoratore:
Delle voci senza corpo le dicono allora che tutto ciò che vede è suo, e che sarà servita e colmata di doni. Dopo un piacevole bagno e una sontuosa cena Psiche gode di musiche celestiali, e poi va a coricarsi. A notte fonda sente una voce soave:
Psiche vive da quel giorno nel palazzo meraviglioso, amata notte dopo notte dall'invisibile sposo. I suoi genitori si sono chiusi nel lutto dopo averla perduta, e le sorelle sono andate a confortarli. Amore allora dice a Psiche che presto avrebbe corso un grave pericolo perché le sue sorelle sarebbero venute a piangerla alla rupe dove era stata abbandonata: se voleva evitare un grave dolore a lui e una terribile disgrazia a se stessa, non doveva rispondere ai loro richiami. Lei promise, ma durante il giorno non fece che piangere per la sua solitudine, e continuò durante la visita notturna dello sposo, anche durante l'amplesso. Allora lui le disse che avrebbe potuto vedere le sorelle, e donarle ciò che voleva dal palazzo: non doveva però ascoltarle quando avrebbero cercato di convincerla a vedere lui, il suo sposo: se lo avesse fatto lo avrebbe perduto per sempre. Psiche gli disse allora che avrebbe preferito morire piuttosto che perderlo, chiunque egli fosse, e che non avrebbe voluto cambiarlo nemmeno con lo stesso Cupido, dio d'amore: poteva quindi farle arrivare le sorelle con lo stesso Zefiro gentile che aveva portato lei? Così fu fatto, e Psiche mostrò le ricchezze del suo palazzo alle sorelle stupefatte, che sentirono le voci dei servitori invisibili, godettero degli splendidi bagni tempestati di gemme, e della tavola sontuosa. Quando le rimandò a casa con lo stesso vento leggero le colmò di gioielli bellissimi e preziosi, mentre loro erano già prese dall'invidia. Lo sposo sconosciuto la avvertì che avrebbero cercato di farle perdere tutto ciò che aveva, e le disse che il bambino che portava in seno sarebbe stato immortale se non avesse infranto il segreto, mortale se lo avesse tradito. Passato qualche tempo le sorelle tornarono alla rupe, e quando il solito venticello le riportò nel palazzo di Psiche cominciarono a dirle che avevano motivo di credere che lo sposo misterioso fosse un enorme serpente che la curava e la nutriva per mangiarla insieme al bambino che sarebbe nato. Lei allora chiese loro che le suggerissero un modo per vedere lo sposo senza che se ne accorgesse e quelle le consigliarono di armarsi di un coltello e, quando l'essere misterioso fosse stato addormentato, di avvicinarsi lentamente senza far rumore con una lucerna, pronta a tagliargli la testa. Poi se ne tornarono dai loro mariti, e Psiche, pur esitando, mise in atto il piano ordito dalle sorelle invidiose. Quando lo sposo, dopo l'amplesso, giaceva profondamente addormentato, Psiche si fece forza e decise di agire:
Curiosa Psiche volle toccare quelle armi, e pungendosi si innamorò di Amore, e gli mandava baci senza sfiorare la sua pelle, per non svegliarlo. In quel momento la fiamma della lucerna, accesa d'amore essa stessa fece uscire una goccia del suo olio che cadde sulla spalla destra del dio. Amore si svegliò per la bruciatura e immediatamente si alzò in volo. Psiche afferrò con tutte e due le mani una gamba di Amore e volò appesa a lui fra le nuvole, fino a che troppo stanca lasciò la presa lasciandosi cadere. Allora Amore posandosi su un cipresso vicino le disse che per salvarla da un matrimonio abietto lui aveva disobbedito alla sua madre divina, e poi, essendosi punto con una delle sue frecce, si era innamorato e aveva deciso di sposare Psiche portandola nel suo palazzo. E lei voleva ucciderlo credendolo un serpente, preferendo prestar fede alle sue sorelle invidiose invece che a lui, che pure l'aveva avvertita. A quel punto, dicendole che l'avrebbe punita lasciandola sola, Amore si levò in volo e scomparve. Psiche non voleva altro che morire e si buttò in un fiume, che però, pensando che quella era la sposa del dio capace di incendiare anche le sue acque, la depose dolcemente sulla riva. Là vicino si trovava il dio Pan che, riconoscendo dal suo pallore che era malata d'amore, le consigliò di pregare il dio alato e di blandirlo con molte lodi, per propiziarselo. Psiche gli fece capire che accettava il suo consiglio e si mise in cammino, e dopo un certo tempo giunse alla città dove regnava lo sposo di una delle sue sorelle. Recatasi da lei le raccontò cosa le era successo seguendo il suo consiglio, ma fingendo di riferire le parole del dio alato disse che aveva manifestato l'intenzione di sposare invece di lei una delle sue sorelle. La sorella corse allora alla rupe chiamando Zefro perché la portasse al palazzo meraviglioso, ma correndo sulle rocce finì col precipitare e morì. La stessa cosa accadde con l'altra sorella, che fu così punita. Amore intanto si era rifugiato nella dimora di Venere, e giaceva nel suo letto lamentandosi per la bruciatura. Quando Venere seppe cos'era successo, corse dal figlio e gli disse che unendosi a Psiche aveva disobbedito a lei, sua madre, che aveva mancato di rispetto per la sua divina bellezza, credendo che per lui fosse tempo di generare figli perché, evidentemente, considerava lei, Venere, ormai vecchia. E allora lei avrebbe concepito un figlio migliore e più degno di lui, al quale avrebbe dato le sue ali, e la faretra e le frecce di cui lui aveva fatto un così cattivo uso. Del resto, continuò, Amore era stato sempre impertinente, visto che non aveva esitato a ferire sua madre e lo stesso Giove, mettendo in ridicolo entrambi. Intanto gli avrebbe reso acide e amare le nozze con la sua rivale mortale, e per questo decise di andare a chiedere aiuto alla dea Temperanza, anche se era sempre stata una sua nemica, perché castigasse quel buffone di suo figlio, tagliandogli le piume e rasandogli la chioma dorata. Giunone e Cerere cercarono inutilmente di calmarla, ma ottennero solo che chiedesse loro di aiutarla a trovare quella Psiche. Intanto Psiche cercando lo sposo era arrivata alla dimora di Cerere che le disse come Venere la cercasse per ucciderla; Psiche si gettò ai suoi piedi:
Ma Cerere, temendo l'ira di Venere, la respinse, e Psiche si rimise in cammino e giunse da Giunone, alla quale chiese aiuto in nome della protezione che soleva accordare alle unioni matrimoniali e alle donne incinte. Nemmeno Giunone volle, aiutarla, per non incorrere nella collera di Venere, e Psiche decise allora di smettere la sua fuga impossibile dalla collera della suocera divina, e di recarsi proprio da lei, anche se pensava di trovare così la propria morte. Intanto Venere aveva chiesto e ottenuto da Giove l'aiuto del divino messaggero, Mercurio, al quale fece diffondere questo bando: Psiche dunque portò a Venere la lana d'oro, ma la suocera tornò a dire che il merito non era suo, e consegnandole una piccola urna le impose di andare a riempirla delle gelide acque di Stige: prova impossibile, se non ci fosse stata un'aquila, che avendo pietà di lei le prese di mano l'urna e gliela riportò pena delle acque del fiume infero. Stavolta Venere si congratulò per la capacità di sedurre gli aiutanti che le consentivano di eseguire i compiti che lei le affidava. Poi le consegnò un vasetto dicendole di andare da Proserpina a chiederle un po' della sua incomparabile bellezza per Venere, che l'aveva consumata per curare il proprio figlio malato. Ora che doveva andare proprio nel regno dei morti, Psiche fu certa che fosse giunta la fine della sua vita, e salita su un'alta torre voleva ancora suicidarsi. Ma la torre parlò, le disse che negli Inferi sarebbe andata comunque se avesse fallito: tanto valeva che tentasse la prova invece di andarci prima di farlo. Le disse quindi di procurarsi due offe, focacce impastate con vino e miele, e di mettersi in bocca due monete: le sarebbero servite per farsi trasportare da Caronte all'andata e al ritorno, mentre le offe avrebbero ammansito Cerbero, il cane guardiano. Le disse poi che lungo il cammino avrebbe fatto molti incontri: un asino zoppicante gravato dal suo carico di legna e un vetturale che le avrebbe chiesto di aiutarlo a portarne qualche pezzo, un vecchio immerso nel fiume dei morti che le avrebbe chiesto di farlo salire sulla sua barca, delle filatrici che le avrebbero chiesto di fermarsi a tessere un po' con loro. Avrebbe dovuto passare oltre senza dar loro ascolto, pena il fallimento della sua impresa. Seguendo le istruzioni della torre, Psiche giunse sana e salva di fronte a Proserpina, e mentre la dea le offriva uno scranno si sedette ai suoi piedi, rifiutando il cibo sontuoso che le veniva offerto per contentarsi di un pezzo di pane nero. Avendo ricevuto un vasetto da Proserpina, per quanto intendesse affrettarsi a portarlo a Venere, Psiche non riuscì a resistere alla tentazione di usare per sé un po' di quel cosmetico divino, perché il suo sposo la trovasse più bella, e trascurando l'ammonimento della torre lo aprì. Ma non c'era nessun cosmetico, bensì un sonno infernale che la fece cadere come morta all'istante.
Mentre Psiche portava a termine il suo compito, Amore volò a chiedere aiuto al sommo Giove raccontandogli quanto era successo, e il sovrano degli dei gli disse: Poi Giove, rivolgendosi a Venere le disse di non temere per la sua discendenza, e, mandato Mercurio a prendere Psiche, quando la sposa di Amore fu alla sua presenza le offrì una coppa d'ambrosia:
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RIFERIMENTI _____________________________________ |
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TESTO LATINO |
Dalle Metamorfosi o L'Asino d'oro di
Apuleio, Libri IV-VI http://la.wikisource.org/wiki/Metamorphoses_(Apuleius)/Psyche_et_Cupido |
TRADUZIONE | Liberamente tratta da: Apuleio, L'asino d'oro;
traduzione di Massimo Bontempelli, prefazione di
Emilio Radius; Milano: Club degli Editori 1972. Ristampa della traduzione di Massimo Bontempelli: Palermo: Sellerio 1992. |
SINTESI DELLA FAVOLA |
Adalinda Gasparini |
Testo latino integrale de Le Metamorfosi o L'Asino d'oro |
Metamorphoses Libri sive Asinus Aureusì: https://la.wikisource.org/wiki/Metamorphoses_%28Apuleius%29 (testo integrale latino). |
Traduzione
italiana integrale |
http://digilander.libero.it/Bukowski/Amore%20e%20Psiche.htm#FavolaItaliano
(traduzione integrale italiana). |
Sul romanzo di Apuleio |
Autore: Nunzio Castaldi; PREMESSA –
IL PROBLEMA DELLE FONTI; LA STRUTTURA DELL’OPERA;
RIASSUNTO DELLA TRAMA; CURIOSITAS; LA FABELLA DI AMORE
E PSICHE; LO STILE DI APULEIO; IL DESTINATARIO
DELL’OPERA; LE METAMORFOSI SUL WEB; http://www.progettovidio.it/speciali/metamorfosi_apuleio.pdf Come il Satyricon di Petronio Arbitro, le sue Metamorfosi si ispirarono alle Fabulae Milesiae, opera greca composta fra il II e il I secolo a. C., che ebbe fortuna a Roma in una traduzione latina. Difficile andare oltre un'ipotesi azzardata a proposito della possibile derivazione di Amor et Psyche da una tradizione orale africana. Dal Rinascimento la fama dell'Asino d'oro è immensa e ininterrotta. |
Su Apuleio |
Apuleio era originario di Madaura,
città nella quale studiò Agostino, che era un
ammiratore dei suoi scritti e rinominò il suo romanzo
Metamorphoses, chiamandolo Asinus aureus,
(L'Asino d'oro). Apuleio, che non dimenticava le sue origini numide e getule (regioni corrispondenti a Algeria e Marocco), scriveva magistralmente in latino. Genio del suo tempo, mago, grande scrittore, Apuleio fu riscoperto da Giovanni Boccacco, che fece nel 1338 una copia delle sue Metamorfosi. Da allora nell'Europa intera è ininterrottamente tradotto, riscritto, rappresentato nella musica e nell'arte figurativa. La parte più nota dellOpera è proprio la Fabella di Amore e Psiche. Amore, pur essendo qui figlio di Venere, ha a grandi linee il carattere del grande demone con il quale lo descrive Socrate nel Simposio. Apuleio, filosofo platonico, non perde occasione per descriverne la natura indomita, crudele e dolcissima: è la peggiore delle fiere e il più desiderato degli dei. Dalla sua unione con una mortale nasce una creatura di cui si sa solo il nome, e che è ugualmente cara agli esseri umani e divini: Voluptas, il piacere. Amore collega così cielo e terra come Eros, il grande demone platonico, e del resto Eros già dalla Teogonia rappresenta questo collegamento, dato che agisce con la stessa ineluttabile forza che fa sciogliere le membra sui mortali e sugli immortali. Nella Fabella narrata da una vecchia donna nel covo dei briganti a una vergine che hanno rapito, si celebra l'unione fra il dio Amore (Amor, Cupidus) e l'Anima (Psyche) che vive sulla terra, e questa unione deve durare per sempre, come stabilisce Giove, sovrano degli dei. Nello stesso tempo in cui andava diffondendosi la religione cristiana, che ha al suo centro un dio che si fa uomo, Apuleio mago e filosofo latino e africano racconta che dall'unione fra un immortale e una mortale nacque il piacere che si nomina, in latino come in italiano, con una parola di genere femminile: voluttà, voluptas. |
Accesso ai siti | Ultimo accesso ai siti indicati in questa pagina: 23/08/2018. |
NOTE
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Metamorphoses sive Asinus Aureus |
Erano diffuse edizioni anche recenti del romanzo di Apuleio nella Francia del Re Sole quando il suo architetto e narratore di Charles Perrault scrisse Pelle d'Asino. La prima versione a stampa di questo tema fiabesco è già nelle Piacevoli notti di Giovan Francesco Straparola (Notte prima, Favola IV; Doralice), e del resto il particolare dell'incesto data molto indietro nel tempo (vedi, in questo sito, le note al romanzo antico, ma posteriore di un paio di secoli, Historia Apollonii regis Tyri). Ma il fortunato particolare della pelle dell'asino che nella versione di Perrault era il fornitore di ricchezze del re padre, potrebbe unire la condizione di Lucio, il protagonista delle Metamorfosi, cheviene stregato e trasformato in asino, e quella della protagonista femminile, bellissima sempre, come Psiche. |
L'uomo più malvagio che la fortuna abbia condannato... che in tutto il mondo non se ne possa ritrovare un altro uguale e così miserabile... Non isperare un genero nato da stirpe mortale, ma un crudele, feroce e viperino male... |
Esiodo nella Teogonia introduce così il dio Eros, come quarta e ultima delle divinità primigenie: il più bello fra gli dei immortali, | sciogli membra, che sottomette la mente e le sagge | intenzioni in tutti gli dei come in tutti gli uomini (Teogonia , vv. 120-122). Apuleio ricorda che il dio ha lo stesso potere sugli uomini e sugli dei, che lo temono e lo desiderano allo stesso tempo. Lo sposo ignoto è nella sua favola come in tutte le fiabe con questo tema descritto sia come un mostro che come la più bella delle creature (vedi la descrizione del dio illuminato da Psiche). L'assunzione della forma umana avviene in questo tema grazie a una peregrinatio femminile, al termine della quale si ha il finale felice. All'umanizzazione delle fiabe corrisponde nella Fabella di Apuleio l'accettazione della sposa umana da parte del dio Amore, con la sua assunzione in cielo. Il frutto di questa unione è una figlia immortale, nata da una madre mortale: Voluptas, il piacere, che in latino ha genere femminile. Come in ogni fiaba in cui lo sposo deve umanizzarsi, metamorfosi resa possibile dalla protagonista femminile, è presente il motivo della madre superpotente, mentre il padre di Amore non compare: Venere vuole usare il figlio alato per vendicarsi della rivale, come ogni matrigna di fiaba che non tollera l'avvicendarsi delle generazioni, e Apuleio descrive l'incontro fra madre e figlio con tenerezze materne incestuose. La stessa Venere svolgerà una funzione materna persecutoria in rapporto a Psiche, con prove che riguardano, come nelle fiabe, compiti femminili: ordinare, procurare cosmetici, ecc. Si può pensare a quando Venere ordina a Psiche di recarsi dalla regina degli Inferi per procurarle un cosmetico divino: Psiche obbedisce, ma prima di consegnare il vasetto lo apre per usarlo su se stessa, per cadere subito addormentata. A questo punto Amore viene in suo soccorso. Si deve citare a proposito di questo tema un suo grande antecedente, il mito delle nozze ctonie fra la figlia della dea della vegetazione e il signore del regno dei morti, Kore, Demetra e Ades nella mitologia greca classica, Proserpina, Cerere e Plutone nella mitologia latina, narrato anche da Ovidio nelle Metamorfosi. |
Variante |
[Io ti prego, per il vincolo del materno affetto, per le ferite di miele della tua freccia, per le dolci ustioni di questa fiamma, concedi a tua madre la vendetta, ma fa' che sia completa, e punisci duramente quell'arrogante bellezza, fa' solo questo e portalo a compimento: sia presa questa vergine da un amore ardentissimo per l'ultimo degli uomini, quello che la Fortuna abbia colpito nella dignità, nei beni e anche nella salute ponendolo così in basso che nel mondo non si trovi una miseria pari alla sua] |
Il palazzo meraviglioso Ma la cosa più maravigliosa fra tante ricchezze... |
L'analogia fra elementi di questo palazzo con i palazzi meravigliosi delle fiabe è evidente. Si può riconoscere anche un'analogia fra elementi del palazzo di Amore ed elementi della Gerusalemme Celeste dell'Apocalisse di Giovanni: ad esempio della mancanza di custodi. Questo particolare corrisponde all'assoluta mancanza di esseri umani nei palazzi delle fiabe: se da un lato si designa una condizione di perfetta abbondanza che rimanda all'Eden, o alle fantasie sul benessere nel grembo materno, come nell'Età dell'oro, dall'altro si descrive una condizione di non vita: ci si trova in un luogo che somiglia al regno dei morti. Il palazzo di Amore, come l'intera Fabella, appartiene all'orizzonte del mito come la finale condizione immortale di Psiche, mentre resta nell'orizzonte umano per l'andamento narrativo e la struttura che la rende una fiaba anctica e moderna. Non è insignificante il fatto che si trovi in un romanzo antico, genere che presenta tanti motivi fiabeschi, e che della fiaba ha il carattere terreno: il sovrumano, come la magia nelle fiabe, è presente, ma gli attanti soggetti sono umani dall'inizio alla fine. L'orizzonte delle fiabe è quello umano, i riferimenti all'ultramondo religioso sono accidentali, nel senso che non concorrono a formare la struttura della fiaba, nella quale entrano come le descrizioni dei paesaggi o la morale finale. Se l'elemento religioso è dominante, si è in presenza di una forma narrativa diversa dalla fiaba |
E lei voleva ucciderlo credendolo un serpente... |
Come le prime due sorelle in Re Porco (XVI secolo) Psiche si arma per uccidere lo sposo. Nella fiaba cinquecentesca il regale suino le uccide prima che possano agire, fino a quando non ottiene la terza sposa, che è, come Psiche, la minore fra tre sorelle. Nel Re Porco del XIX secolo le prime due sorelle vengono uccise perché non mantengono il segreto sulla natura umana dello sposo, e la terza, Ginevra, deve affrontare un lunghissimo viaggio e affrontare compiti impossibili, come Psiche. |
La dea Venere allora montò su tutte le furie |
Venere agisce qui come una matrigna, certa della propria bellezza come la matrigna di Biancaneve, non tollera che una creatura inferiore - mortale in questo caso, più giovane nelle fiabe - prenda il suo posto. Anche le prove alle quali sottoporrà Psiche sono familiari a qualunque lettore di fiabe. Nella Fabella di Apuleio è presente il motivo della presenza eccessiva della figura materna, sia in relazione a Psiche, che perseguita, sia di suo figlio, Amore, che bacia e abbraccia e tratta come suo aiutante. |
...E mentre la dea le offriva uno scranno si sedette ai suoi piedi, rifiutando il cibo sontuoso che le veniva offerto per contentarsi di un pezzo di pane nero. |
Nella fiaba La bella Caterina, quando l'attante soggetto si trova nella casa delle fate, ambivalenti in questa storia, segue le istruzioni di un vecchietto pidocchioso incontrato per via, e risponde all'offerta di cibi, monili e abiti scegliendo quelli più modesti: – “Che vòi da culizione ? Pan nero e cipolle, oppuramente, panbianco con del cacio ? ” – “ Oh ! datemi pan nero e cipolle, ” – arrisponde la Caterina. – “ Nun sono avvezza a mangiare altro. ” – Il significato del motivo è la volontaria sottomissione a figure materne tanto più potenti dell'attante soggetto da poterlo distruggere o salvare con un solo gesto; si tratta di un passaggio che permette il riconoscimento della potena materna, senza la quale il tema non procede verso il lieto fine. |
Un sonno infernale che la fece cadere come morta |
Si tratta di un motivo che si trova in molti temi fiabeschi, il più celebre è quello della Bella Addormentata nel bosco, nelle sue tante versioni, che ha qui un nobile antenato. Fra il romanzo antico e la fiaba il motivo del sonno simile alla morte, dal quale la protagonista si sveglia quando giunge da lei il protagonista maschile, il mito nordico di Brunilde e Sigfrido, rinarrato da Wagner per L'oro del Reno. |
Finale |
A differenza che nelle fiabe con lo stesso tema, il soggetto femminile non umanizza lo sposo segreto, e ottiene, specularmente, la propria asterizzazione, ricevendo l'immortalità da Giove, che ha ceduto alla preghiera di Amore. Come nelle fiabe, è in ogni caso rimosso l'ostacolo all'unione dovuto alla differenza fra i due amanti: qui la superiorità di Amore al posto della mancanza di umanità degli altri, di solito teriomorfi. Un'altra differenza con le altre fiabe del tema è che a Psiche, già incnta come le protagoniste delle fiabe di questo genere quando viene scacciata dal suo sposo non umano, nasce una bambina anziché un bambino. |
ψυχή soffio, alito, soffio vitale, respiro, anima, farfalla |
Così
Giovanni
Semerano, nel suo dizionario etimologico, per
ψυχή: soffio, alito, soffio vitale, respiro,
anima, sede dei sentimenti, spettro, fresco, freddo.
Si è ipotizzato che ψυχή derivi da una radice bhes-,
soffiare, vedico á-psu, senza respiro,
senza forza, radice che però richiama il sumero pe-eš,
respirare, che si trova nell'accadico con
prefisso (na-): napãšu,
respirare, nuppušu, lasciar respirare, napuštu,
napištu, vita, vitalità, soffio, 'life,
vigour, breath, person'; ψυχή deriva
dall'incrocio della base pe-eš, (na-)pãšu,
(na-)pĩšu (soffio, 'breath': col valore
di zâku: soffiare, 'to blow, drift, waft',
confermato da zãqĩqu, zĩqĩqu: anima,
fantasma, 'soul, phantom, ghost') e accad. šēẖu
(alito di vento, 'Windhauch'); v. ἄνεμος,
«anima». (Le
origini della cultura europea, 1994. Vol.
II, Tomo I) L'antico libro cinese dei mutamenti, I Ching, definisce il vento come l'invisibile che si conosce dai suoi effetti sul visibile. Spirito, anima, vento, soffio, respiro, connettono l'invisibile e il visibile, vale a dire, in primo luogo, il mondo degli assenti, non visibili, da quello dei presenti, ovvero il luogo sacro dei morti e della memoria, da quello dei viventi. Lieve, fragile, come una farfalla, l'anima, psiche, ci connette col passato, anche prima della nostra nascita, con chi non abbiamo conosciuto, e col futuro, anche dopo la nostra morte, che non vedremo. Possiamo conoscere chi non ha - o chi non ha ancora - un corpo come noi, creature che però possiamo pensare, ricordare, amare. Possiamo così ascoltare chi ci ha preceduto, fino alle più remote lontananze, mantenendo un dialogo con loro, e accarezzare le creature del futuro, che sarà abitato dopo di noi dai nostri figli e dalle giovani generazioni che non vedremo concretamente, ma che possiamo immaginare, sognare, amare. Nei nostri sogni possono visitarci, riempiendoci di terrore, o di stupore, trovandoci certi o incerti sulla loro sostanza, di vivi o di morti. Quel che è certo è il loro soffio, la loro figura. Da bambina mostravo le mani apparentemente pulite a mio padre che mi diceva di andare a lavarle prima di sedermi a tavola. Mi diceva che anche se sembravano pulite c'erano i germi, troppo piccoli per essere visibili. Obbedivo, ma per qualche anno ho chiamato 'germi invisibili' dei ragnetti rossi che si muovevano dalle parti delle formiche che osservavo in giardino, più piccoli di loro. Il pensiero astratto, che 'conosce' infinito e 'zero' e poi spazi a molte dimensioni, e altro ancora, non è del bambino, e non è stato nostro fino a che non lo abbiamo preso dagli arabi (algebra da al-al-ǧabr, chesignifica connessione), che a loro volta lo hanno preso dagli indiani. Operare con entità irrappresentabili, prive di riferimenti sensibili, come zero e infinito, non significa poterne avere una rappresentazione. Lo stesso meccanismo per il quale un bambino sceglie l'oggetto più piccolo che percepisce per reperire l'invisibile, opera nelle culture antiche, compresa quella greca, alla quale appartiene il concetto di l'incommensurabile, come l'insime dei granelli di sabbia di tutto il mondo, ma non l'infinito. Nella cultura indiana l'infinito e lo zero non erano separati dall'ambito teologico. I greci antichi non dubitavano dell'esistenza dell'anima, psiche, ma non ne avevano riferimenti sensibili, abbastanza solidi da essere condivisibili con altri dotati degli stessi organi di senso ma non affetti dallastessa allucinazione visiva o uditiva. Fra quanto è possibile cogliere con i sensi attivi nella veglia, e quindi condividere con altri, la farfalla poteva essere vicina alla psiche impalpabile eppure certa, agli antenati e alle generazioni future presenti/assenti, come i sogni notturni. Le ali lievissime delle farfalle, fragili, tanto varie per i colori eppure capacidi volare, che sostano sui fiori come l'anima sulla bellezza, che non possiedono, alla quale non tolgono nulla traendone nutrimento, potevano quindi significare psiche, la fonte incorporea della vita, mancando la quale il corpo perde la vita stessa. La fabella di Amor et Psyche è di Apuleio, che assegna l'immortalità, le ali, alla fanciulal bellissima alla fine della storia. Dai primi secoli della nostra era ci sono giunte molte statue di Psiche, da sola, o abbracciata ad Amore, entrambi alati. Le ali di Amore sono grandi e piumate come quelle degli uccelli, e saranno le stesse degli angeli dell'arte cristiana. Psiche ha ali di solito più piccole, con decorazioni che rimandano ai disegni sulle ali delle farfalle. Psiche vola solo quando lascia la terra per scendere negli Inferi, e per risalire sulla terra e reincarnarsi in un nuovo essere. Pensare all'anima, conoscere l'esistenza di Psiche, o della psiche, significa sperimentare sentimenti, sensazioni, eventi, di cui nessuna teoria riduttiva potrà mai dar conto. Se è impossibile dar conto della varietà delle forme delle conchiglie, dei colori e dei disegni sulle ali delle farfalle, delle parate nuziali degli uccelli, è ancora più inaccessibile una spiegazione soddisfacente dell'infinita varietà dei nostri sogni, delle nostre manie, dei deliri, dei nostri sentimenti, delle speranze, delle opere d'arte. Se siamo atei, tocca a noi cercare una ragione di questa unheimliche varietà, che non muore con la morte di Dio. Questa ricchezza tocca a noi insieme al problea della morte. Mi hanno raccontato che su un cartellone stradale qualcuno aveva scritto: DIO È MORTO
E qualcun
altro, con una vernice diversa, aveva scritto: Nietzsche NIETZSCHE È MORTO Dio |
AL LICEO PICO DELLA MIRANDOLA, 1968 |
Ricordo la prima, casuale, lettura della Fabella sui banchi del liceo, negli ultimi giorni di scuola, quando ci si poteva distrarre se le ultime interrogazioni non ci riguardavano. Una luce dorata entrava dalle grandi finestre che davano sul chiostro del convento francescano, sede del Liceo Ginnasio Pico della Mirandola, ora inagibile per il terremoto che ha colpito la Bassa Modenese nel maggio 2012 e ha distrutto l'adiacente chiesa francescana. La stessa luce emana per me dalla fabella di Apuleio ogni volta che la rileggo. Nella mia prima conferenza all'Istituto Gradiva, in via de' Servi - poi prima pubblicazione (La magia della fiaba 1988) - commentavo l'immagine delle formiche che ordinano i semi. mentre Psiche dorme e non sa come assolvere la prova imposta da Venere, affascinante antenata di tante suocere e matrigne di fiaba. |
IMMAGINI _____________________________________ NARRAZIONI NELL'ARTE |
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