I VESTITI NUOVI DELL'IMPERATORE

DON JUAN MANUEL DE CASTILLA
UN REY CON LOS BURLADORES QUI FIZIERON EL PAÑO
1330-1335

HANS CHRISTIAN ANDERSEN
I VESTITI NUOVI DELL'IMPERATORE
1837
                 ADALINDA GASPARINI                 PSICOANALISI E FAVOLE             


DON JUAN MANUEL DE CASTILLA

DE LO QUE CONTESCIÓ A UN REY
CON LOS BURLADORES
QUI FIZIERON EL PAÑO

1330-1335


DON GIOVANNI EMANUELE DI CASTILLA

QUEL CHE SUCCESSE A UN RE
CON GLI IMBROGLIONI
CHE FECERO IL TESSUTO

2025


HANS CHRISTIAN ANDERSEN


I VESTITI NUOVI DELL'IMPERATORE
(1837) 1903
Fablava otra vez el conde Lucanor con Patronio, su consejero, et dizíale:
-Señor conde - dixo Patronio -, tres omnes burladores vinieron a un rey et dixiéronle que eran muy buenos maestros de fazer paños, et señaladamente que fazían un paño que todo omne que fuesse fijo daquel padre que todos dizían, que vería el paño; mas el que non fuesse fijo daquel padre que él tenía et que las gentes dizían, que non podría ver el paño.
Al rey plogo desto mucho, teniendo que por aquel paño podría saber cuáles omnes de su regno eran fijos de aquellos que devían seer sus padres o cuáles non, et que por esta manera podría acresçentar mucho lo suyo; ca los moros non heredan cosa de su padre si non son verdaderamente sus fijos.
Et para esto mandóles dar un palaçio en que fiziessen aquel paño.
Et ellos dixiéronle que porque viesse que non le querían engañar, que les mandasse çerrar en aquel palaçio fasta que el paño fuesse fecho. Desto plogo mucho al rey. Et desque ovieron tomado para fazer el paño mucho oro et plata et seda et muy grand aver, para que lo fiziessen, entraron en aquel palaçio, et çerráronlos ý.
Et ellos pusieron sus telares et davan a entender que todo el día texían en el paño. Et a cabo de algunos días, fue el uno dellos dezir al rey que el paño era començado et que era la más fermosa cosa del mundo; et díxol’a qué figuras et a qué labores lo començaban de fazer et que si fuesse la su merçet, que lo fuesse ver et que non entrasse con él omne del mundo. Desto plogo al rey mucho.
Et el rey queriendo provar aquello ante en otro, envió un su camarero que lo viesse, pero non le aperçibió quel’ desengañasse.
Et desque el camarero vio los maestros et lo que dizían, non se atrevió a dezir que non lo viera.

Favoleggiava un'altra volta il conte Lucanor con Patronio, suo consigliere, che diceva:
Signor conte, tre uomini furono ricevuti da un re e gli dissero di essere dei grandi tessitori, in particolare maestri nella realizzazione di un tessuto speciale. Spiegarono che questo tessuto aveva una proprietà unica: chiunque fosse figlio del padre che tutti credevano suo avrebbe potuto vederlo, mentre chi non fosse veramente figlio del padre che lo riconosceva come tale, non sarebbe stato in grado di vederlo.
Il re fu molto contento di questa notizia, pensando che, grazie a quel tessuto, avrebbe potuto scoprire quali uomini del suo regno erano realmente figli dei loro padri e quali no. Questo perché tra i musulmani un figlio può ereditare dal padre solo se è davvero suo discendente.
Così, ordinò che ai tessitori fosse assegnato un palazzo in cui potessero lavorare.
Essi gli dissero che, per dimostrare di non volerlo ingannare, volevano esser chiusi nel palazzo fino a quando il tessuto fosse stato completato. Il re accettò con grande piacere. Dopo aver ricevuto oro, argento, seta e grandi ricchezze per realizzare il tessuto, entrarono nel palazzo e si fecero rinchiudere.
Iniziarono così a fingere di tessere, lavorando sui telai senza in realtà produrre nulla. Dopo alcuni giorni, uno di loro andò dal re per annunciare che il tessuto era già in lavorazione e che era la cosa più bella del mondo. ù
Gli descrisse i disegni e le decorazioni che vi stavano tessendo e gli suggerì di andarlo a vedere, ma senza portare con sé nessun altro.
Il re era entusiasta, ma prima di andare a vedere con i suoi occhi, decise di mandare un suo fidato servitore per verificare. Tuttavia, non gli disse di rivelargli la verità.
Quando il servitore arrivò e vide i tessitori che lavoravano su un telaio vuoto, non osò ammettere di non vedere il tessuto.






 

Molti anni or sono, viveva un Imperatore, il quale dava tanta importanza alla bellezza ed alla novità dei vestiti, che spendeva per adornarsi la maggior parte de’ suoi danari. Non si curava de’ suoi soldati, non di teatri o di scampagnate, se non in quanto gli servissero di pretesto a far mostra di qualche nuovo vestito. Per ogni ora della giornata, aveva una foggia speciale, e, come degli altri re si dice ordinariamente: è al consiglio, - di lui si diceva sempre: è nello spogliatoio.
Nella grande città dov’egli dimorava, la vita era molto gaia, ed ogni giorno ci capitavano forestieri. Una volta ci vennero anche due bricconi, i quali si spacciarono per tessitori e raccontarono di saper tessere la più bella stoffa che si potesse vedere al mondo. Non solo i colori e il disegno erano straordinariamente belli, ma i vestiti che si facevano con tale stoffa avevano questa mirabile proprietà: ad ogni uomo inetto al proprio officio o più stupido di quanto sia lecito comunemente, essi rimanevano invisibili.
"Ah, questi sì, sarebbero vestiti magnifici!" pensò l’Imperatore: "Quando li avessi indosso, verrei ubito a sapere quali sono nel mio regno gli uomini inetti all’officio che coprono; e saprei subito distinguere i savii dagli stolti! Sì, sì; bisogna che mi faccia tessere questa stoffa." E antecipò intanto ai due bricconi una buona somma di danaro, perchè potessero incominciare il lavoro.
Essi prepararono due telai, e fecero mostra di mettersi a lavorare; ma sui telai non avevano nulla di nulla. Nel domandare, però, non si peritavano: domandavano sempre le sete più preziose e l’oro più fino. E la roba, se la mettevano in tasca, e continuavano a lavorare ai telai vuoti, magari sino a notte inoltrata.
"Mi piacerebbe sapere a che punto sono col lavoro," pensava l’Imperatore; ma l’angustiava un poco il atto che chiunque fosse troppo sciocco od impari al proprio officio non avrebbe potuto vedere la stoffa. Sapeva bene che, per conto suo, non c’era di che crucciarsi, ma, in ogni modo, stimò più opportuno di mandare prima un altro a vedere come andasse la faccenda. In città, tutti oramai sapevano la meravigliosa proprietà della stoffa, ed ognuno era curioso di vedere sino a che punto giungesse la stupidità o la buaggine del suo vicino.
"Manderò dai tessitori il mio vecchio onesto Ministro," - pensò l’Imperatore: "Può giudicare il lavoro meglio di qualunque altro, perchè ha ingegno e nessuno più di lui è adatto alla propria carica."
E il buon vecchio Ministro andò nella sala dove i due mariuoli facevano mostra di lavorare dinanzi ai telai vuoti. "Dio mi assista!" - fece il vecchio Ministro, e sgranò tanto d’occhi: "Io non vedo nulla di nulla!" Ma però si guardò bene dal dirlo.
I due bricconi lo pregarono di farsi più presso: non era bello il disegno? e i colori non erano bene assortiti? - e accennavano qua e là, entro al telaio vuoto. Il povero Ministro non si stancava di spalancar tanto d’occhi, ma nulla riusciva a vedere, poi che nulla c’era. "Mio Dio!" - pensava: "Ma ch’io sia proprio stupido? Non l’ho mai creduto, ma questo, già, di se stesso nessuno lo crede. E se non fossi adatto a coprire la mia carica? No, no; non è davvero il caso d’andar a raccontare che non vedo la stoffa."
"E così? Non dice nulla?" - domandò uno degli uomini, che stava al telaio.
"Oh, perfetto, magnifico, proprio magnifico!" - disse il vecchio Ministro, e guardò a traverso agli occhiali: "Che disegno, che colori!... Sì, dirò a Sua Maestà che il lavoro mi piace immensamente!"
"Oh, questo ci fa davvero tanto piacere!" dissero entrambi i tessitori; e indicavano i colori per nome, e additavano i particolari del disegno. Il vecchio Ministro stava bene attento, per poter dire le stesse cose quando fosse tornato con l’Imperatore; e così fece.


Cuando tornó al rey, dixo que viera el paño. Et después envió otro, et díxol’ esso mismo. Et desque todos los que el rey envió le dixieron que vieran el paño, fue el rey a lo veer.
Et cuando entró en el palaçio et vio los maestros que estavan texiendo et dizían: «Esto es tal labor, et esto es tal istoria, et esto es tal figura, et esto es tal color», et conçertavan todos en una cosa, et ellos non texían ninguna cosa, cuando el rey vio que ellos non texían et dizían de qué manera era el paño, et él, que non lo veía et que lo avían visto los otros, tóvose por muerto; ca tovo que porque non era fijo del rey que él tenía por su padre, que por esso non podía ver el paño, et reçeló que si dixiesse que lo non veía, que perdería el regno. Et por ende començó a loar mucho el paño et aprendió muy bien la manera como dizían aquellos maestros que el paño era fecho.
Et desque fue en su casa con las gentes, començó a dezir maravillas de cuánto bueno et cuánto maravilloso era aquel paño, et dizía las figuras et las cosas que avía en el paño, pero que él estava con muy mala sospecha. A cabo de dos o de tres días, mandó a su alguazil que fuesse veer aquel paño. Et el rey contól’ las maravillas et estrañezas que viera en aquel paño. El alguazil fue allá.
Et desque entró et vio los maestros que texían et dizían las figuras et las cosas que avía en el paño et oyó al rey cómo lo avía visto, et que él non lo veía, tovo que porque non era fijo daquel padre que él cuidava, que por eso non lo veía, et tovo que si gelo sopiessen, que perdería toda su onra. Et por ende començó a loar el paño tanto como el rey o más.
Et desque tornó al rey et le dixo que viera el paño et que era la más noble et la más apuesta cosa del mundo, tóvose el rey aún más por mal andante, pensando que, pues el alguazil viera el paño et él non lo viera, que ya non avía dubda que él non era fijo del rey que él cuidava. Et por ende començó más de loar et de firmar más la vondad et la nobleza del paño et de los maestros que tal cosa sabían fazer.
Et otro día, envió el rey otro su privado et conteçiól’ como al rey et a los otros. ¿Qué vos diré más? Desta guisa, et por este reçelo, fueron engañados el rey et cuantos fueron en su tierra; ca ninguno non osava dezir que non veié el paño.
Et assí passó este pleito, fasta que vino una grand fiesta. Et dixieron todos al rey que vistiesse aquellos paños para la fiesta.
Et los maestros traxiéronlos enbueltos en muy buenas sávanas, et dieron a entender que desbolvían el paño et preguntaron al rey qué quería que tajassen de aquel paño. Et el rey dixo cuáles vestiduras quería. Et ellos davan a entender que tajavan et que medían el talle que avían de aver las vestiduras et después que las coserían.
Cuando vino el día de la fiesta, vinieron los maestros al rey, con sus paños tajados et cosidos, et fiziéronle entender quel’ vistían et quel’ allanavan los paños. Et assí lo fizieron fasta que el rey tovo que era vestido, ca él non se atrevía a dezir que él non veía el paño.
Et desque fue vestido tan bien como avedes oído, cavalgó para andar por la villa; mas de tanto le avino bien, que era verano.
Et desque las gentes lo vieron assí venir et sabían que el que non veía aquel paño que non era fijo daquel padre que cuidava, cuidava cada uno que los otros lo veían et que pues él non lo veía, que si lo dixiesse, que sería perdido et desonrado. 
Quando tornò dal re, gli disse di aver visto il tessuto. Poi ne inviò un altro, e gli ripeté la stessa cosa. E poiché tutti quelli che il re mandava dicevano di aver visto il tessuto, il re decise di andare a vederlo di persona.
Quando entrò nel palazzo, vide i tessitori intenti al loro lavoro e sentì che dicevano: «Questa è una lavorazione particolare, questa è una figura, questo è un colore», e tutti concordavano su ciò che dicevano. Ma in realtà non stavano tessendo nulla. Quando il re si rese conto che non c'era alcun tessuto e che, nonostante ciò, tutti lo descrivevano con precisione, si sentì perduto. Pensò che, dal momento che gli altri lo vedevano mentre lui no, doveva significare che non era figlio del re che aveva sempre creduto suo padre. E temette che, se avesse ammesso di non vedere il tessuto, avrebbe perso il regno. Perciò cominciò a lodarlo con entusiasmo, imparando bene la descrizione che ne davano i tessitori.
Quando tornò dai suoi cortigiani, raccontò con grande meraviglia quanto fosse bello e straordinario quel tessuto, descrivendone le figure e i dettagli, pur covando dentro di sé un profondo turbamento. Dopo due o tre giorni, ordinò a un suo ufficiale di andare a vedere il tessuto. Gli raccontò in anticipo le meraviglie che aveva visto.
L’ufficiale si recò dai tessitori e li sentì descrivere il tessuto, proprio come aveva fatto il re. Ma anche lui non vide nulla. Tuttavia, sapendo che il re affermava di averlo visto, si convinse che, se lui non lo vedeva, era perché non era figlio del padre che credeva suo. Temendo di perdere l'onore se avesse detto la verità, cominciò a lodare il tessuto, ancor più del re.
Quando tornò a riferire al sovrano, gli disse di aver visto il tessuto e che era la cosa più nobile e splendida del mondo. Il re, sentendo ciò, si sentì ancora peggio, pensando che se il suo ufficiale vedeva il tessuto e lui no, allora non c'era più alcun dubbio: non era il figlio del re che credeva suo padre. Perciò continuò a lodare il tessuto con ancora più convinzione, esaltando la bravura dei tessitori.
Il giorno dopo, il re mandò un altro uomo di fiducia, e a lui accadde lo stesso. E così, per paura di rivelare la verità, tutti nel regno furono ingannati: nessuno osava dire di non vedere il tessuto. La situazione proseguì fino a quando arrivò un giorno di grande festa. Tutti dissero al re che doveva indossare quegli splendidi abiti per l’occasione.
I tessitori portarono i vestiti avvolti in preziose stoffe e finsero di srotolare il tessuto, chiedendo al re quale abito volesse far confezionare.
Il re indicò il tipo di vesti che desiderava, e loro simularono di tagliare e cucire il tessuto, misurando le proporzioni degli abiti.
Quando arrivò il giorno della festa, i tessitori portarono al re gli abiti già tagliati e cuciti e finsero di vestirlo e sistemargli addosso il tessuto. E così fecero finché il re non credette di essere vestito. Naturalmente, non osava dire di non vedere nulla.
Una volta "vestito", il re salì a cavallo per sfilare per la città. Per sua fortuna, era estate.
La gente, vedendolo, ricordava che chi non riusciva a vedere quel tessuto non era figlio del padre che credeva suo. Ognuno pensava che gli altri lo vedessero e che, se avesse ammesso di non vederlo, avrebbe perso l’onore. Così nessuno osò dire nulla.



- Non è vero che è proprio stupenda? - dissero tutti e due i probi officiali: - Si degni la Maestà Vostra di osservare questo ornato, questi colori - ed accennavano al telaio vuoto, sempre credendo, ben inteso, che gli altri potessero vedere la stoffa.
"Che affare è questo?" pensò l’Imperatore "Io non ci vedo nulla! Questa è grossa! Fossi mai per caso un grullo? O non fossi buono a far l’Imperatore? Sarebbe il peggio che mi potesse capitare..." - "Oh, è bellissimo!" - disse ad alta voce: "È proprio di mio pieno gradimento." Ed approvò sodisfatto, esaminando il telaio vuoto; perchè non voleva confessare di non vedervi nulla. Tutto il seguito, che lo accompagnava, aveva un bell’aguzzare gli occhi: non riusciva a vedervi più che non vi avessero veduto gli altri; e però tutti dissero con l’Imperatore:
- Bellissimo! Magnifico! - e gli consigliarono di indossare per la prima volta il vestito fatto con quella splendida stoffa nel corteo di gala, ch’egli doveva guidare alla prossima festa.
- Splendido, magnifico, meraviglioso! - si ripetè di bocca in bocca; e tutti se ne rallegrarono cordialmente. L’Imperatore concedette ai due bricconi il permesso di portare all’occhiello il nastrino di cavaliere, col titolo di Tessitori della Casa Imperiale.
Tutta la notte, che precedeva il giorno della festa, i due bricconi rimasero alzati a lavorare, ed accesero più di sedici candele. Tutti poterono vedere quanto s’affaccendassero a terminare i nuovi vestiti dell’Imperatore. Fecero mostra di levare la stoffa dal telaio; tagliarono l’aria con certe grosse forbici, cucirono con l’ago senza gugliata, ed alla fine dissero:
- Ecco, i vestiti sono pronti.
L’Imperatore stesso venne allora, con i più compiti cavalieri, e i due bricconi levavano il braccio in aria, come se reggessero qualche cosa, e dicevano:
- Ecco i calzoni! Ecco la giubba! Ecco il mantello! - e così via. - Son leggeri come ragnateli! Sembra di non portar nulla sul corpo! Ma questo è il loro maggior pregio!
- Già! - fecero tutti i cortigiani; ma niente riuscirono a vedere, poi che niente c’era.
- Si degni la Maestà Vostra di deporre i vestiti che indossa," - dissero i furfanti: "e noi misureremo alla Maestà Vostra i nuovi vestiti, dinanzi a questo grande specchio."
L’Imperatore si spogliò, e quei bricconi fecero come se gli indossassero, capo per capo, i vestiti nuovi, che dicevano d’aver preparati; e lo strinsero ai fianchi, fingendo di agganciargli qualchecosa, che doveva figurare lo strascico; e l’Imperatore si volgeva e si girava dinanzi allo specchio.
- Come gli tornano bene! Divinamente! - esclamarono tutti: - Che ornati! Che colori! È proprio un vestito magnifico!
Fuori è pronto il baldacchino di gala, di sotto al quale la Maestà Vostra guiderà la processione! - annunziò il Gran Cerimoniere.
- Eccomi all’ordine! - disse l’Imperatore. - Non mi sta bene? - E si volse di nuovo allo specchio, perchè voleva fare come se esaminasse minuziosamente il proprio abbigliamento.
I paggi, i quali dovevano reggere lo strascico, camminavano chini a terra, come se tenessero realmente in mano un lembo di stoffa. Camminavano con le mani tese all’aria dinanzi a sè, perchè non osavano lasciar vedere di non averci nulla.
E così l’Imperatore si mise alla testa del corteo solenne, sotto il superbo baldacchino; e tutta la gente ch’era nelle strade e alle finestre, esclamava: "Mio Dio, come son fuor del comune i nuovi vestiti dell’Imperatore! Che stupendo strascico porta alla veste! Come tutto l’insieme gli torna bene!" Nessuno voleva dar a divedere che nulla scorgeva; altrimenti non sarebbe stato atto al proprio impiego, o sarebbe stato troppo sciocco. Nessuno dei vestiti imperiali aveva mai suscitato tanta ammirazione.



Et por esto fincó aquella poridat guardada, que non se atrevié ninguno a lo descubrir, fasta que un negro que guardava el cavallo del rey, et que non avía que pudiesse perder, llegó al rey et díxol’:
-Señor, a mí non me enpeçe que me tengades por fijo de aquel padre que yo digo, nin de otro, et por ende, dígovos que yo só çiego, o vós desnuyo ides.
El rey le començó a maltraer diziendo que porque non era fijo daquel padre que él cuidava, que por esso non veía los sus paños.
Desque el negro esto dixo, otro que lo oyó dixo esso mismo, et assí lo fueron diziendo fasta que el rey et todos los otros perdieron el reçelo de conosçer la verdat et entendieron el engaño que los burladores avían fecho. Et cuando los fueron buscar, non los fallaron, ca se fueran con lo que avían levado del rey por el engaño que avedes oído.
Ma alla fine, un servo di colore, che si occupava del cavallo del re e che non aveva nulla da perdere, si avvicinò e disse:
«Signore, a me non importa se mi consideriate figlio di questo o di un altro padre. Perciò vi dico: o io sono cieco, oppure voi siete nudo.»
Il re si infuriò, sostenendo che, se lui non vedeva il tessuto, era solo perché non era figlio del padre che credeva suo.
Ma dopo quelle parole, un altro osò dire la stessa cosa, poi un altro ancora. E così, alla fine, tutti persero il timore di rivelare la verità e si resero conto dell’inganno dei falsi tessitori. Ma quando mandarono a cercarli, essi erano già fuggiti con tutto ciò che avevano ottenuto con il loro inganno.
- Ma non ha niente in dosso! - gridò a un tratto un bambinetto.
- Signore Iddio! sentite la voce dell’innocenza!" - esclamò il padre: e l’uno venne susurrando all’altro quel che il piccino aveva detto.
- Non ha niente in dosso! C’è là un bambino piccino piccino, il quale dice che l’Imperatore non ha vestito in dosso!
- Non ha niente in dosso! - gridò alla fine tutto il popolo.
L’Imperatore si rodeva, perchè anche a lui sembrava veramente che il popolo avesse ragione; ma pensava: "Qui non c’è scampo! Qui ne va del decoro della processione, se non si rimane imperterriti!" E prese un’andatura ancora più maestosa; ed i paggi continuarono a camminare chini, reggendo lo strascico che non c'era.









RIFERIMENTI E NOTE


Don Juan Manuel de Castilla
El Conde Lucanor. Libro de los exemplos del Conde Lucanor et de Patronio. Exemplo XXXII. 1330-1335
El libro de Patronio ó El conde Lucanor, compuesto por el príncipe don Juan Manuel en los años de 1328-29.
Reproducido conforme al texto del códice del conde de Puñonrostro [por Eugenio Krapf]. Secunda edición reformada; ultimo accesso 14 marzo 2025 


Giovanni Emanuele di Castiglia
Traduzione italiana effettuata con ChatGPT.


Hans Christian Andersen
I vestiti nuovi dell'imperatore, tr. it. dal danese di Maria Pezzè Pascolato, 1903.  
https://it.wikisource.org/wiki/Quaranta_novelle/I_vestiti_nuovi_dell%27imperatore; ultimo accesso 14 marzo 2025


IMMAGINE
Edmund Dulac, Stories from Hans Andersen
https://en.wikisource.org/wiki/Stories_from_Hans_Andersen_with_illustrations_by_Edmund_Dulac/The_Emperor%27s_New_Clothes

ultimo accesso: 14 marzo 2025


NOTE
ASAP/PP


















online dal 10
marzo 2025
a cura di Adalinda Gasparini