1735
Apostolo Zeno e Carlo Goldoni
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ATTORI
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GUALTIERO, re di
Tessaglia
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tenore
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GRISELDA, moglie di
Gualtiero
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contralto
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COSTANZA,
figlia di Gualtiero e Griselda, non
conosciuta dalla madre, amante di
Roberto
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soprano
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ROBERTO, principe di
Atene amante di Costanza
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mezzosoprano
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OTTONE, cavalier di
Tessaglia
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soprano
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CORRADO, fratello di
Roberto amico di Gualtiero
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mezzosoprano
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EVERARDO, figlio di
Gualtiero, e Griselda, che non parla
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La
scena si finge in Larmirio città della
Tessaglia.
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Argomento
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Indice
degli atti, delle scene, delle arie e
dei brani significativi
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Nota
psiconarrativa
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Gualtiero
(intitolato nel dramma re di Tessaglia, per maggior
nobiltà della scena, tutto che nella storia altro egli
non fosse, che marchese di Saluzzo) invaghitosi d'una
semplice pastorella per nome Griselda da lui veduta
più volte in occasione della caccia, la prese in
moglie, non potendo altrimenti espugnare la di lei
virtù, né soddisfare al suo amore. Un sì disugual
matrimonio diede a' popoli occasione di
mormorarne, e dopo la nascita d'una fanciulla primo
frutto di queste nozze, sarebbero passati a qualche
sollevazione, se il re non l'avesse repressa, facendo
credere di aver fatta morire la figlia chiamata
Costanza, di nascosto inviandola ad un principe suo
amico in Atene, perché la educasse segretamente.
Era già arrivata all'età di quindici anni Costanza,
senza che ella, ed altri fuori di Gualtiero, e del
principe sapesse la vera condizione della sua nascita,
che tutta volta il principe pubblicamente diceva non
esser men, che reale. Aveva il suddetto principe amico
di due figli; il primo chiamato Roberto, l'altro
Corrado; ma fra questi Roberto solo con la principessa
Costanza, se ne givano avanzandolo, assieme con gli
anni una reciproca corrispondenza d'amore; la quale
approvata veniva con tacito consenso dal principe
padre. Ma al fine ridotto questo all'ultimo periodo
della sua vita; al minor figlio Corrado, il segreto
della real nascita di Costanza, solamente lasciò
palese; imponendogli con vigoroso divieto il
discoprimento di quello. In questo mentre nacque un
altro fanciullo a Griselda, e tornando allora i popoli
ad una nuova sollevazione istigati da Ottone
nobilissimo cavaliere del regno, che era invaghito
della regina, Gualtiero volle por fine a tali
disordini con la finzione di ripudiare Griselda, e
ritrovarsi altra sposa.
Tanto fece: scrisse a Corrado, che gli conducesse
Costanza in qualità di sua moglie, intimo a Griselda
il ripudio, la rimandò alle sue selve, ed ella
sofferse il tutto con una fortezza assai più che
donnesca. I finti rigori di Gualtiero, e le vere
persecuzioni di Ottone, che in tali disgrazie di
Griselda si va adulando di poter ottenerla per moglie;
fanno tutto l'intreccio della favola, con quelli
avvenimenti, che per entro vi si ravvisano.
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SCENA PRIMA, A. I
Luogo magnifico della reggia destinato alle
pubbliche udienze.
Gualtiero in trono. Popolo.
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Gualtiero
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Recitativo
Questo, o popoli, è
il giorno, in cui le leggi
da voi prende il re
vostro. A voi fa sdegno
vedermi assita accanto
donna tratta da boschi,
donna avvezza a vestir rustico ammanto.
Tal Griselda a me piacque,
tal la sdegnate; alfine
miro lei co' vostr'occhi
decretato è il ripudio, e voi ne siate
giudici, e spettatori; or, che la rendo
alle natie sue selve,
col vostro amor quel del mio core
emendo.
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SCENA SECONDA, A. I
Griselda e detto
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Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
|
Eccoti, sire, innanzi
l'umile tua serva.
È grave
l'affar, per cui sul primo albor del
giorno
qui ti tragge Gualtier.
Tutta quest'alma
pende da labbri tuoi.
Siedi.
Ubbidisco.
(siede)
Il ripeter ci giovi
gl'andati eventi. Dimmi.
Qual io fui, quel tu fosti.
(Alto principio!)
In vil tugurio io nacqui,
tu fra gl'ostri reali.
Era il tuo incarico...
Pascer gl'armenti.
Il mio...
Dar leggi al mondo.
Come al soglio salisti?
Tua bontà fu, cui piacque
sollevarmi dal pondo
della mia povertà vile, ed abietta.
Così al regno ti ammisi.
E fui tua serva.
Tal ti accolsi nel letto.
Ed io nel core.
(Meritar men d'un regno
non dovea tanta fede, e tant'amore.)
Prole avemmo?
Una figlia.
E tolta questa
ti venne dalla cuna.
E più non ebbi, oh dio! notizia alcuna...
Quant'ha?
Quindici volte
compì d'allor l'annua carriera il sole.
Ti affliggesti?
Fu legge
al mio duol il tuo cenno.
Io fui per essa
a carnefice e padre.
Era tuo sangue,
e versar lo potevi a tuo piacere
E m'ami ancor crudel?
Meno amar, io
non potrei, s'anco versassi il mio.
Alfin...
Nacque Everardo
unica tua delizia.
In sì gran tempo
ti spiacqui? t'oltraggiai?
Grazie sol n'ebbi.
Di quanto feci io non mi pento. Il cielo
testimonio mi sia. Ma pur conviene
che i miei doni ritratti. Il re talvolta
dee servire a vassalli, e seco stesso
per serbarne il dominio esser tiranno.
Dove tu imperi ogni ragion condanno.
La Tessaglia, ov'io regno,
ubbidirmi ricusa. Ella mi sgrida
che i talami reali abbia avviliti
con sposare Griselda, e non attende,
da boschi, ove se' nata, il suo monarca.
A chiamar m'ha costretto
sposa di regio sangue al trono, al letto.
La provincia vassalla
tanti lustri soffrì me per regina,
ed or solo mi sdegna?
Ella è gran tempo,
che ricalcitra al giogo. Io già svenai
di stato alla ragion la cara prole
gl'odi alquanto sopì, ma non estinte
or, che nacque Everardo, impaziente
torna all'ire, e m'insulta.
S'Everardo sol rompe
tai bei nodi d'amor; dunque Everardo...
(s'alza)
Ah no... Griselda mora.
Son moglie è ver, ma sono madre ancora.
Moglie già più non sei.
Mi condona, o mio re, se troppo chiesi,
e se troppo tardai
forse a renderti un nome a me caro.
Il tuo voler dovea
esser norma al mio affetto. Ecco mi
spoglio
il diadema, e lo scettro, e a quella
destra,
che me 'l cinge, e me 'l diede
riverente il ritorno.
(Alma resisti.)
Se ti piaccio in tal guisa
nelle perdite ancor trovo gl'acquisti.
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SCENA
TERZA, A. I
Ottone e detti. |
Ottone
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Gualtiero
|
Signor or ora al
porto
giunta è la regia
sposa.
Giunta è la regia sposa? Addio Griselda.
Così tosto mi lasci?
Atteso io sono.
Almeno un solo sguardo
volgimi per pietà.
Troppo mi chiedi.
Dunque Gualtiero addio.
Ti lascio (quasi dissi: idolo mio).
[Aria Gualtiero]
Se ria procella
sorge dall'onde
saggio nocchiero
non si confonde
ne teme audace
l'onda del mar.
Serve il consiglio
di guida al forte
e della sorte
nemica infesta
ogni periglio
sa superar.
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SCENA
QUARTA, A. I
Ottone, Griselda |
Griselda
Ottone
Griselda
Ottone
Griselda
Ottone
Griselda
Ottone
Griselda
Ottone
Griselda
Ottone
Griselda
Ottone
Griselda
Ottone
Griselda
Ottone
Griselda
|
Recitativo
Ecco il tempo, in
cui l'alma
dia saggio di te stessa.
Regina, se più badi
più regina non sei.
(Costui quant'è importun!)
Sulle tue chiome
la corona vacilla.
A serbartela Ottone è sol bastante,
fido vassallo, e cavaliero amante.
Chi mi toglie il diadema
mi ritoglie un suo don. Se perde il capo
l'insegne di regina, a me costante
resta il cor di Griselda.
Io se l'imponi
anch'in braccio a Gualtiero
svenerò chi ti toglie
il nome di regina, e quel di moglie.
Iniquo, e lo potresti? e tal mi credi?
Pensa, ch'in un rifiuto
perdi troppo.
Che perdo?
Regno.
Che mio non era.
Grandezze.
Oggetto vile.
Sposo.
Che meco resta
nell'alma mia scolpito.
Figlio.
Me 'l diede il cielo, ed ei me 'l
toglie.
Ah, che pur troppo io sento
nel lasciarti, Everardo,
delle perdite mie tutto il tormento.
Un tuo sguardo, Griselda,
dà tempra a questo ferro, ed un sol
colpo
troncherà i tuoi perigli, e se 'l ricusi
forse ti pentirai. La mia pietade
mal conosci, Griselda, e verrà un
giorno,
che sordo a tuoi lamenti,
anch'io mi riderò de tuoi tormenti.
Che favellar è il tuo? l'amor lo sdegno
troppo confondi, ed oltrepassi il segno.
[Aria Griselda]
Brami le mie catene,
e mi rinfacci.
Piangi delle mie pene
e poi minacci?
Credimi, tu sei stolto
e non t'intendo.
Tu sai, ch'io son fedele
al mio primo affetto
ne mai sarò crudele
al primo oggetto
ti lagni ancor,
ne la ragion comprendo.
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Ottone
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SCENA QUINTA, A. I
Ottone solo
Recitativo
Troppo avvezza è Griselda
tra le porpore, e 'l fasto.
Adito non le lascia a' miei sospiri.
Ma forse col diadema
deporrà la fierezza,
e lontana dal soglio
avrà forse pietà del mio cordoglio.
[Aria Ottone]
Vede orgogliosa l'onda
conosce il mare infido
e pur l'amata sponda
saggio nocchier ardito
spera di ribaciar.
Così quest'alma amante
adonta del rigore
non teme, non paventa
costante nell'amore
alfin più bella sorte
spera di ritrovar.
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Roberto
Costanza
Roberto
Costanza
Roberto
Costanza
Roberto
Costanza
Roberto
Costanza
Costanza
Roberto
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SCENA SESTA, A. I
Roberto e Costanza
Recitativo
Costanza, eccoti in porto,
questa, che premi è la Tessaglia, e
questa
è l'alta reggia, ove Gualtiero attende
leggi dal ciglio tuo per darle al mondo.
Ah Roberto, Roberto!
Tu sospiri! ed accogli
mesta le tue grandezze?
Io mi torrei
più volentieri viver privata, e lunge
da quella reggia a me di gioie avara
pur che di re, tu di me fossi.
Oh cara!
Un solo de tuoi sguardi
val più d'ogni grandezza
Ah, che un sol lampo appena
dell'aureo scettro. e del reale ammanto
ti verrà a balenar sulle pupille,
che ti parrà a quel lume
vile l'amor, che per me t'arde, e cinta
di corone le chiome
accosterai all'udito
non lascerai pur di Roberto il nome.
Poco incredulo, poco
il mio cor tu conosci,
e pur tutto il possiedi. Al Cielo, ai
numi
giuro, che più...
Deh taci.
Col grado cangierai sensi, e costumi.
Andiam ora. se vuoi.
Ov'è meno di rischio, e più pace
verrò, se pur ti piace.
No, no; regina nel mondo
come nell'alma mia; si vil non sono
ch'a difender dal trono io t'esortai,
non t'amerei, se a prezzo tal ti amassi.
Pensa, che giunta al regno, e altrui
consorte
mi vieteran d'amarti,
per tuo, per mio castigo, onore, e fede.
più la grandezza tua, che il piacer mio.
Poscia in van ti dorrai.
La tua beltade,
che pur amo, e non spero,
più che degna di me, degna è d'impero.
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Gualtiero
Corrado
Gualtiero
Costanza
Gualtiero
Costanza
Roberto
Costanza
Gualtiero
Roberto
Gualtiero
Costanza
Roberto
Costanza e Roberto
Costanza
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SCENA SETTIMA, A. I
Gualtiero, Corrado e detti
(piano a Corrado)
L'arcano in te racchiudi.
È mia cura obbedir.
Bella Costanza!
Mio re.
Qual mai ti stringo? e qual nel core
mi nasce in abbracciarti
tenerezza, e piacer figli d'amore?
Signore da tua bontà l'alma sorpresa
tace, e i timidi affetti
più, ch'il mio labbro il suo tacer
palesa
(Soffri o misero cor.)
(Mesto è il germano.)
Ormai vien meco a parte
di quello scettro, e di quegl'ostri, o
bella
che in benefico influsso,
già destinaro al tuo natal le stelle.
Tu pur verrai Roberto,
o di ceppo real germe ben degno.
Oggi da voi riceva
ornamento la reggia, e gioia il regno.
Gran re, troppo mi onori.
Andiam: più non s'indugi idolo mio.
(parte)
(a Gualtiero)
Seguo il tuo piè.
(a Roberto, che
lei si accosta) [sic!]
Prence...
Regina...
Addio.
[Aria Costanza]
Ritorna a lusingarmi
la mia speranza infida
e amor per consolarmi
già par, che scherzi, e rida
volando, e vezzeggiando
intorno a questo cor.
Ma poi se ben altiero
il pargoletto arciero
già fugge, e lascerai l'armi
a fronte del timor.
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SCENA
OTTAVA, A. I Roberto, e Corrado.
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Roberto
Corrado
Roberto
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Recitativo
German, s'avevi a
tormi
l'amabile costanza
perché sin da prim'anni
non mi vietavi d'amarla? Io l'ho perduta
altro ben non mi resta, e non mi lice
saperlo più.
Roberto.
Pria, che termini il dì sarai felice.
Quai lusinghe? Sì chiara
è la perdita mia, che il dubitarne
sarebbe inganno. Al regio sguardo ahi
troppo
piacque la mia Costanza. Ed a chi mai
non piaceria quel volto?
Sol per mio mal le stelle
o pupille adorate
facean me così amante, e voi sì belle.
[Aria Roberto]
Estinguere vorrei
la fiamma ond'io sospiro,
ma se quegl'occhi miro
ritorno a sospirar.
Deh per pietade, oh dei,
o scemate in me l'amore,
o cangiate quel rigore,
ch'è cagion del mio penar.
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SCENA
NONA, A. I
Corrado, poi Griselda. |
Corrado
Griselda
Corrado
Griselda
Corrado
Griselda
Corrado
Griselda
Corrado
|
Recitativo
Infelice Roberto
ancor non sa.
Ma Griselda s'avanza; il regio cenno
s'adempisce così.
Numi del cielo,
che fia di me?
Griselda,
vanne fuor della reggia, il re l'impone.
Vuol ch'io parta Gualtier senza, ch'il
miri?
Deh tosto...
Io qui l'attendo. E tu, se nulla
ti muovono a pietà le mie querelle...
Che far potrei?
Recarmi il figlio, ond'io
nell'ultimo congedo
possa imprimere almeno
su quel tenero labbro un bacio solo.
Sì sì, vuò compiacerti.
(Chi pietà non avria di tanto duolo!)
(parte)
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SCENA DECIMA, A. I
Griselda, poi
Corrado con Everardo, poi Ottone
nascosto.
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Griselda
Corrado
Griselda
Corrado
Griselda
Corrado
Griselda
Corrado
Griselda
Ottone
Griselda
Ottone
Corrado
Griselda
Ottone
|
Misera in quante
guise
m'assale il
crudo fato
ah sposo ah figlio! ah mio destin
spietato.
Ecco Griselda il figlio,
te 'l concedo un momento,
t'uso questa pietà con mio periglio.
Everardo, o soave
frutto dell'amor mio
in te già di quest'alma
bacio una parte; bacio
l'immagine adorata
del mio Gualtiero, e in un sol punto
io sento
rallentarsi il rigor del mio
tormento.
Labbro vezzoso, e caro...
Basta.
Ancora un momento...
Non posso.
Ahimè! La vita
toglimi ancor.
Invano.
Chi è di cor si spietato,
che neghi ad una madre un dolce
amplesso?
Il tuo Gualtiero istesso.
Da labbro più odioso
giunger non mi potea nome più caro.
Io pietoso te 'l lascio.
(Che stravaganza è questa!)
Ricuso il dono.
Ingrata,
in pena del tuo sdegno
questo t'involerò tenero pegno
(parte con Everardo)
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SCENA UNDICESIMA, A.
I
Griselda, e Corrado
|
Griselda
Corrado
Griselda
Corrado |
Ferma, t'arresta
(oh dio!) rendimi il figlio.
Corrado per
pietà segui l'indegno
misera! il figlio mio...
Sulla mia fede
riposa pur: non perirà.
Qual via
troverai per salvarlo?
A me la cura
di ciò lasciarne déi: vivi sicura.
[Aria Corrado]
Alle minacce di
fiera belva
non si spaventa buon cacciatore
le rete stende, o impugna l'arco
cauto l'attende a certo varco,
e se ritorna, morte le dà.
Vivi sicura, che chi t'offende
pagherà un giorno la giusta pena:
hai l'innocenza, che ti difende,
spera, ch'il fato si cangerà.
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SCENA DODICESIMA, A. I
Griselda sola
|
Griselda
|
Recitativo
Infelice Griselda!
Che più temer poss'io?
Ah che non veggio
la ragion disperar. Tutte a miei danni
congiurano le stelle; abbandonata,
tradita, vilipesa,
ho perduto la pace, e il mio riposo.
Ahi destino crudele! ahi figlio! ah
sposo.
[Aria Griselda]
Ho il cor già lacero
da mille affanni
empi congiurano
tutti a miei danni
vorrei nascondermi
fuggir vorrei
del cielo i fulmini
mi fan tremar.
Divengo stupida
nel colpo atroce
non ho più lagrime
non ho più voce
non posso piangere
non so parlar.
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ATTO SECONDO
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SCENA PRIMA, A. II
Appartamenti reali
Costanza, e Corrado
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Corrado
Costanza
Corrado
Costanza
Corrado
Costanza
Corrado
Costanza
Corrado
Costanza
Corrado
Costanza
Corrado
|
Recitativo
Dimmi, come amorosa
a Gualtier corrispondi?
Con quell'amor, che si convien a sposa.
E quel d'amante a cui riserbi?
Ahimè!
Non arrossirti: parla.
Più, che Gualtiero ami Roberto.
Oh dio!
L'amai pria col tuo core, e poi col mio.
Ed ora?
Ho per lo sposo
tema, e rispetto. Il suo diadema
inchino,
la sua grandezza onoro,
stimo il suo grado, e sol Roberto adoro.
Non ti affligger, Costanza, e chi ti
vieta
d'amare ancor Roberto?
Son moglie.
Ancor di sposa
non giurasti la fede.
Ah che onor me 'l divieta.
E amor te 'l chiede.
[Aria Corrado]
La rondinella amante
lungi dal proprio nido
serba costante, e fido
al suo diletto il cor.
Non è possibil mai
cacciar dal proprio petto
il radicato affetto
il primo dolce amor.
|
|
Costanza
Roberto
Costanza
Roberto
Costanza
Roberto
Costanza
Roberto
Costanza
Roberto
Costanza
Roberto
Costanza
Roberto
Costanza
|
SCENA SECONDA, A. II
Costanza, poi Roberto.
Recitativo
Pria, che d'amar ti lasci
la vita lascerò, dolce mio bene.
Ecco, ch'ei vien. Mi giovi
il finger crudeltà per le sue pene.
Mia Costanza... tu neghi
al tuo fedel Roberto
anche d'un guardo il misero diletto?
Sdegna amore il mio grado, e vuol
rispetto.
Infelice amor mio, non v'è più speme.
Udisti?
Udii: regina...
Or che chiedi?
Inchinarti.
Altro?
Non più.
Rispetta il grado, e parti.
E sì tosto obliasti
l'amor?
Regina, e moglie
in amore, o Roberto
più non devo ascoltar, ch'il re mio
sposo.
(Mie tradite speranze.)
(Foste almeno Gualtier così vezzoso!)
[Aria Costanza]
Agitata da due venti
freme l'onda in mar turbato
e 'l nocchiero spaventato
già s'aspetta naufragar.
Dal dovere, e dall'amore
combattuto questo core
non resiste; par, che ceda,
e cominci a disperar.
|
|
Roberto
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SCENA TERZA, A. II
Roberto solo
E nel cuor di
Costanza
così l'antica fiamma, il forte laccio
languì? s'infranse? al fasto
cedé l'amore? Spergiura...
Ma di che mi querelo?
Di che mi dolgo? Ella è regina, e sposa.
Non si pianga il suo grado.
Nell'amor di Costanza
sia conforto e mercede
la gloria dell'amar senza speranza.
[Aria Roberto]
Dal tribunal d'amore
il misero mio core
giustizia non desia,
ma sol pietade.
Di tal felicità
privar quella beltà
sarà empietade.
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SCENA
QUARTA, A. II
Campagna con veduta d'una capanna da un lato.
Griselda in abito di pastorella con dardo.
|
Griselda
|
Recitativo
Andiam Griselda,
andiamo
ove il rustico letto
in nude paglie
stanca m'invita a riposar per poco;
e là scordando alfine
Gualtier non già, ma la real grandezza
al silenzio, e alla pace il duolo
avvezza.
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SCENA
QUINTA, A. II
Ottone, e detta poi Corrado
|
Ottone
Griselda
Ottone
Griselda
Ottone
Griselda
Ottone
Griselda
Ottone
Griselda
Ottone
Griselda
Ottone
Griselda
Ottone
Corrado
Griselda
Griselda
Corrado
Ottone
Griselda
Ottone
Griselda
Corrado
Ottone
Corrado
Griselda
Corrado
Ottone
Corrado
Griselda
|
Ferma Griselda.
(Che importuno!)
Ancora
torna a pregarti, o cara un che t'adora.
Pietà, ben mio, pietade.
Ch'è troppo grande rigore
vibrar dardi di sdegno
a chi ti porge incatenato il core.
Qual pietà mi si chiede?
Quella, che merta alfine amor, e fede.
Indegno.
E che? Ti chiedo
dono, che sia delitto?
Col ripudio real libera torni
dal marital tuo letto.
Io te n' prometto un altro
non men casto, e più fermo.
Anch'in rustico ammanto, anche fra
boschi
ripudiata, sprezzata
ti bramo in moglie; e se non porto in
fronte
l'aureo diadema, io conto
più re per avi, e su più terre anch'io
ho titoli, e comandi.
Ottone, addio.
E 'l tuo figlio?
Ah! che ancor il dolce nome
mi richiama pietosa.
Ascolta: o a me sposa
dia la fede Griselda, o mora il figlio.
Ah traditor! Son questi
d'alma ben nata i vanti?
Dove, o crudo, apprendesti
sì spietato consiglio?
Sì barbara empietà? Rendimi il figlio.
Il figlio non si rende,
che cadavere esangue.
Ah Ottone! Ah figlio! Ah sangue!
Lassa! che fo? che penso?
Sarò infida a Gualtiero? ah! che non
deggio.
Sarò crudele al figlio? ah! che non
posso.
Ed egualmente io veggio
nell'istesso periglio
l'alma mia, la mia fé: rendimi il
figlio.
Vuò consolarti: olà. Mira Griselda
il tuo vago Everardo.
Viene Everardo condotto da una Guardia.
(Eterni dèi, che miro!)
Oh d'un seno infelice
parto più sventurato.
Per toglierti al tuo fato
tu vedi, o figlio, esser conviemmi
infida;
purché non cada estinto
Everardo il mio bene, in me s'uccida,
di Griselda la fede.
Recitativo accompagnato
Ottone hai vinto
prendi la destra.
(Cede forse Griselda?)
Oh cara!
Ah no; fui prima
moglie, che madre; al mio Gualtier si
serbi
sempre l'istessa fé dell'alma mia.
Deliri ancor?
Va' pur, sazia l'ingorda
sete della sua morte.
Questo agl'altri tuoi fasti
aggiungi, o crudo, e ti dia pregio, e
vanto
il narrar, che versasti
d'un figlio il sangue alla sua madre
accanto.
Mira, ch'il colpo attende
quel misero innocente.
Ardisci pur. Non sente
ben l'altrui crudeltà chi non l'intende.
E tardi? Il tuo contento
così differir puoi?
Su via s'altro non vuoi,
che del mio figlio il sangue
trafiggi, impianga; e se a ferir quel
seno
il tuo ferro non basta
prendi un altro ancora.
(getta il dardo)
Fida la madre viva, e il figlio mora.
(Si deluda l'indegno.) E sì ostinata
con chi t'ama fedel sarai Griselda?
Amico.
(ad Ottone)
In tuo soccorso
avrai Corrado ancor.
Come! congiura
Corrado a' danni miei? quest'è la fede,
che serbi al tuo signore?
Gualtier ti sprezza,
Ottone ti desia.
Se saggia sei, la prima fiamma oblia.
Non giovano lusinghe,
la forza valerà.
Femmina ingrata
cederai tuo mal grado.
Indegni, entrambi,
no, non mi spaventate;
tanto ho valor nel petto,
che resister mi basta a tanti oltraggi.
Scellerati ministri, empi, malvagi.
[Aria Griselda]
(ad Ottone)
No, non tanta crudeltà.
(a Corrado)
Deh, ti muova almen pietà
d'un infelice figlio.
(ai due)
Spietato, tiranno!
(ad Ottone)
Presto ti pentirai.
(a Corrado)
Ben presto piangerai.
(ai due)
Mirate, che già cade
il folgore dal ciel.
Di mie sciagure, o barbari
per poco gioirete
il figlio mio prendete;
egli dal ciel aspetta
la sua, la mia vendetta.
(ad Ottone)
Sarai punito o perfido.
(a Corrado)
Sì lo sarai crudel.
|
|
SCENA
SESTA, A. II
Corrado, Ottone
|
Ottone
Corrado
|
Recitativo
Sprezzami quanto sai,
vedrai superba
quanto sia il mio poter; sentimi amico
già destino rapirla. Io mentre all'opra
raccolgo i miei, tu col real bambino
riedi alla reggia, e taci.
Della mia fé sei certo.
(Si deluda l'inganno, or ch'è scoperto.)
(parte col figlio)
|
|
SCENA
SETTIMA, A. II
Ottone solo
|
Ottone
|
Perdonami Griselda
se coll'amor t'offendo; il foco ond'ardo
tu m'accendesti in sen. Spegner non
posso
questa nel petto mio fiamma rubella.
Troppo amante son io, tu troppo bella.
[Aria Ottone]
Scocca dardi l'altero tuo ciglio
e piagando quest'anime alleta;
il mio core comprende il periglio,
ma costante non fugge; l'aspetta
volontario si lascia piagar.
Così suol volontaria nel lume
farfalletta le tenere piume
saltellando sovente abbruciar.
|
|
SCENA
OTTAVA, A. II
S'apre la capanna.
Costanza, Roberto, Griselda che dorme.
|
Costanza
Roberto
Costanza
Roberto
Costanza
Roberto
Costanza
Roberto
Costanza
Roberto
Costanza
Roberto |
Recitativo
Fuggi.
Perché?
Non posso
senza colpa mirarti: il re, mio sposo,
qui s'aggira d'intorno.
E dovrò dunque
morir cruda Costanza,
senza il dolce piacer d'un de' tuoi
sguardi?
Non tormentarmi più.
Dimmi, spergiura,
ti scordasti di me?
No, che pur troppo
t'adoro ancor.
Mia vita...
(Ah, che diceste mai labbri loquaci!)
Dunque amarti poss'io?
Ma soffri, e taci.
[Aria Roberto]
Che legge tiranna!
Che sorte spietata!
A che mi condanna
un'anima ingrata
un barbaro cor!
Crudel, tacerò.
Ma pensa che questo
silenzio molesto
a un misero amante
è troppo dolor.
|
|
SCENA
NONA, A. II
Griselda, che dorme. Costanza.
|
Costanza
Griselda
Costanza
Griselda
Costanza
Griselda
Costanza
Griselda
Costanza
Griselda
Costanza
Griselda
Costanza
Griselda
Costanza
Griselda
Costanza
Griselda
Costanza
Griselda |
Recitativo
Sola sebben mi lasci, non rimango,
Roberto. Anco entro a quella
vil capanna... Che miro!
Donna sul letto assisa, e dorme, e
piange.
Come in rustico ammanto
volto ha gentil!
Sento, in mirarla, un forte
movimento dell'alma. Entro alle vene
s'agina il sangue; il cor mi balza in
petto.
(dormendo)
Vieni...
M'apre le braccia, e al dolce amplesso
il suo sono m'invita.
Non resisto più, no.
Diletta figlia.
(si risveglia)
Ahimè!
Non temer ninfa.
(Il più bel del suo volto aprì
negl'occhi.)
(Siete ben desti o lumi?
O tu, pensier, m'inganni?)
Come attenta m'osserva!
(All'aria, al volto
la raffiguro: è dessa.
Troppo nel cor restò l'imago impressa.)
Cessa di più stupirti.
E qual destino
ti trasse al rozzo albergo
donna real, che tal ti credo?
Io stanca
del segui cacciatrice il re mio sposo
a riposar qui venni.
Stanza è questa di duol, non di riposo.
Prenderà ognora pietosa
le tue sciagure a consolar Costanza.
Tal'è il tuo nome?
Appunto.
Costanza avea per nome,
e le sembianze avea così leggiadre
l'uccisa figlia mia.
Povera madre.
E il tuo sposo?
È Gualtiero,
che alla Tessaglia impera.
Ben ne sei degna (ingannator mio sogno:
penso in tenero laccio
stringer la figlia, e la rivale
abbraccio).
|
|
SCENA
DECIMA, A. II
Gualtiero, e detti.
|
Gualtiero
Costanza
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Costanza
Gualtiero
Costanza
Gualtiero
Costanza
Gualtiero
Griselda
Costanza
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Costanza
|
De tuoi bei sguardi,
o cara, indegno è troppo
questo antico sito.
Illustre, e degno
la sua gentile abitatrice il rende.
Anche qui vieni a tormentarmi, o donna?
Mio re, non è mia colpa.
Questo è il povero mio soggiorno antico.
Più non dirmi tuo re, ma tuo nemico.
Se i prieghi miei, del tuo favor son
degni...
E che non può Costanza
su questo cor?
Concedi
che più dal fianco mio costei non parta.
Nella reggia, ne boschi, ovunque io vada
mia sia compagna, o serva.
A te serva costei? chi sia t'è noto.
Se miro a 'panni è vile,
nobil se al volto.
È questa
quella un tempo mia moglie,
che amai per mia sciagura. Alzata al
trono
perché ne fosse eterna macchia.
(Oh dio!)
Griselda?
Ah più non dirlo. Anche al mio labbro
venne il nome aborrito, e pur lo
tacque...
Più ignobil moglie...
(E più fedel.)
...non nacque.
Sì vile, oscura sia, con forza ignota
un amor non inteso a lei mi stringe.
|
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SCENA
UNDICESIMA, A. II
Corrado con Soldati, e detti.
|
Corrado
Gualtiero
Corrado
Gualtiero
Corrado
Griselda
Costanza
Corrado
Gualtiero
Corrado
Gualtiero
Costanza
Gualtiero
Costanza
Griselda
Gualtiero
(a Costanza)
Griselda
Gualtiero
|
Avvisato che Otton
ver questa parte
volger dovea con gente amata il piede,
co' tuoi fidi v'accorsi.
Ottone armato! Ed a qual fine, o prence?
Per rapire Griselda.
Rapirla?
E all'opra or ora
si accinge.
E questo ancora?
Del temerario accesso
si punisca l'indegno.
E mora Ottone, il rapitore indegno.
Dia luogo ognun. Che perdo
se rapita è Griselda?
Tanto rigor?
Così mi giova.
Ed io...
L'abbandona al suo fato.
(a Griselda)
Troppo è crudel il tuo signore, e 'l
mio.
Ed è ver?...
Ti allontana.
Non lasciar, che in tal sorte
ti tolga altri l'onor della mia morte.
[Aria Gualtiero]
Tu vorresti col tuo pianto,
co' sospiri aver il vanto
di svegliar in me pietà.
L'alma tua mentre sospira
emendar del fato l'ira
col suo duolo ancor non sa.
(partono tutti
fuor che Griselda)
|
|
SCENA
DODICESIMA, A. II
Griselda, poi Ottone con Gente armata.
|
Griselda
Ottone
Griselda
Ottone
Griselda
Ottone
Griselda
Ottone
Griselda
Ottone
Griselda
Ottone
|
Recitativo
Ecco Otton: sola,
inerme che far posso?
Il mio dardo sia almeno la mia difesa.
Qual difesa a te cerchi?
Empio, vien pure
a svenar dopo il figlio anche la madre.
Segui il mio piè.
Più tosto
di' ch'io vada alla tomba.
E che far pensi?
Ciò, che può far cor disperato, e forte:
darti o ricever morte.
Ora il vedremo.
Ti scosta, o questo dardo
t'immergerò nel core.
Bella vi aperse altre ferite amore.
Numi, soccorso, aita.
Su, miei fidi, eseguite: il re l'impone.
|
|
SCENA
TREDICESIMA, A. II
Gualtiero con Soldati, Costanza, e detti.
|
Gualtiero
Ottone
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Ottone
|
L'impone il re? Sei
troppo fido Ottone.
(Il re? Barbara
sorte!)
È da leal vassallo il far, che l'opra
al comando preceda.
Giusto non è ch'io lasci
senza premio il tuo zelo.
Scudo tu fosti all'innocenza, o cielo.
Soldati alla mia reggia Otton si guidi.
In amico soggiorno,
Otton, si cinge inutilmente il brando;
puoi deporlo in mia mano.
Eccola a' piedi tuoi. (Fato inumano!)
(parte con le guardie)
|
|
SCENA
QUATTORDICESIMA, A. II
Gualtiero, Griselda, Costanza. |
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Costanza
Gualtiero
Griselda
Costanza
Gualtiero
Griselda e Costanza
Griselda
Gualtiero
Costanza
Gualtiero
Griselda e Costanza
Griselda, Costanza e Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Costanza
Griselda
Gualtiero
Griselda, Costanza e Gualtiero
|
Qual grazie posso?...
Alla pietà le rendi
non di me, di Costanza.
Ah, sì crudele
Gualtier con me!
Parla con più rispetto.
Sire, pietà, perdono.
Lo merta ben.
Pensa chi sei, chi sono.
[Terzetto
Griselda, Costanza e Gualtiero]
Non più regina, ma pastorella
non son tua sposa, sarò tua ancella.
Dona alla misera qualche pietà...
che ben lo merta sua fedeltà.
Guardami, e trema: sono il tuo re.
Pietà! Mercé!
Sentimi!
Taci.
Mirala.
Invano.
Che ria sentenza!
Che fier dolor!
Che gran violenza
sento al mio cor.
Non ti rammenti del primo affetto?
No, sei mia serva.
Fu nel tuo letto.
Vezzosa, e bella tu m'appellasti.
Non sei più quella,
tanto ti basti.
Variano i fati,
varia l'amor.
|
|
Variante
inizio scena nona A. II
Variante di Torino
Griselda che dorme, Costanza
|
Costanza
|
È deliquio di core
o stanchezza di
pianto
quella ch'ora vi opprime, o mie pupille?
Sonno non è, che quando è il cor
doglioso
non è nostro costume aver riposo.
-
Sonno, se pur sei sonno, e non orrore
porgi qualche contrario al mio dolore.
(s'addormenta)
|
|
ATTO TERZO
|
SCENA
PRIMA, A. III
Camera di Costanza.
Roberto, Costanza.
|
Roberto
Costanza
Roberto
Costanza
Roberto
Costanza
Roberto
Costanza
Roberto
Costanza
Roberto e Costanza
|
Recitativo
Risoluta è quest'alma...
Di partir?
Dall'indugio
non attendo che morte.
Tu partir, o Roberto,
da questa reggia, ove il tuo cor mi lasci,
e donde il mio t'involi?
Una regina e moglie,
che da me può voler? Vederne i pianti?
Ascoltarne i sospiri?
Oh d'un'alma crudel barbari vanti!
Onor, nume tiranno,
offensor di natura, a che m'astringi?
Va' pur, Roberto, e poiché rea mi lasci,
sappi tutto il mio errore:
d'altri sia questa man, tuo questo core.
Cessa d'amarmi, o taci;
e porterò lontano,
se non più lieto, almen più ratto il piede.
Gran lusinga all'indugio è la tua fede.
Parti.
Ti lascio, o cara.
Amor che dal mio sen l'alma dividi...
O per sempre ne unisci, o qui m'uccidi.
|
|
SCENA
SECONDA, A. III |
Griselda
Costanza
Roberto
Griselda
Costanza
Roberto
Griselda
|
E per
sempre v'unisca, amati fidi.
Griselda?
(Ahimè!)
Con sì soave affetto
vai consorte allo sposo?
Con si onesto rispetto
vieni amico alla reggia?
È questa, è questa
dell'imeneo la fede?
Dell'ospizio la legge?
Nel dì delle tue nozze,
nel tuo stesso soggiorno
un marito non ami? Un re non temi?
Oh indegni affetti! Oh vilipendi estremi!
Misera!
(Qual consiglio!)
E i sospiri? Ed i pianti? Onesta moglie
non ha cor, non ha voti
che per lo sposo. All'onor suo fa macchia
anche l'ombra leggiera,
anche il pensier fugace.
Saprallo il re. L'offende
chi le gravi onte sue simula, e tace. |
|
SCENA
TERZA, A. III
Gualtiero, e detti.
|
Gualtiero
Costanza
Roberto
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Corrado
Costanza
Roberto
Corrado
Gualtiero
Corrado
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Roberto
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
|
Griselda.
(Il re!)
(Son morto.)
Perché tu sì sdegnosa? E voi, bell'alme,
perché confuse?
(E dovrò dirlo?)
Esponi.
Non m'astringer te n' priego
a ridir ciò che vidi.
Corrado il dica.
Tu, se parli o se taci, ogn'or m'offendi.
Signore, in brevi accenti il tutto intendi.
(Non v'è più speme.)
(O sorte!)
Roberto e la tua sposa
in questo loco or ora
favellando d'amor facean dimora.
E perciò d'ira accesa?
Forse che l'alta offesa
dell'onor tuo le accese in sen lo sdegno.
Ben si vede, che nata
sai fra i boschi, o vil donna.
E che? Ti trassi
di là perché tu vegli
sugl'affari reali? Eh ti rammenta
ch'altra è la regia sposa e tu si serva?
Oblia qual fosti e le sue leggi osserva.
Quel zelo...
Io non te 'l chiedo.
Io rispetto...
Lo devi alla real consorte.
L'onor tuo...
Chi t'elesse del talamo custode?
Che ti cal se Costanza
abbia più d'un amante?
Che divida il suo cuor? Ch'ami a sua voglia,
o Roberto, o Gualtier? Verun tormento
deve questo a te dar, s'io son contento.
Udisti?
Udii.
(Che sento!)
Ti sovvenga il suo grado.
È di regina.
Il tuo uffizio?
È di ancella.
E se talor per altri arder la miri?
Cieche avrò le pupille.
Se sospirar la senti?
Sordo l'udito.
E se fia ch'a Roberto
anco sugl'occhi tuoi
scopra talor dell'amor suo le faci,
non trasgredir le leggi; e servi, e taci.
Numi, qual legge è questa?
A qual tormento condannata son io?
Chi vide mai dolor simile al mio?
[Aria Griselda]
Son
infelice tanto
che non mi basta il pianto
a dileguar mie pene.
La morte chi mi dona?
Che sol quest'alma afflitta
morte può consolar.
Se veggo il mio crudele
tradir da un infedele
tacer dovrò? Perché?
Un'anima sincera
non sa dissimular.
|
|
SCENA
QUARTA, A. III
Gualtiero, Roberto, Costanza.
|
Roberto
Costanza
Gualtiero
Costanza
Roberto
Gualtiero
Roberto
Costanza
Corrado
Roberto
|
Recitativo
(Temo.)
(Pavento.)
Eh, non estingua adesso
fredda tema importuna i vostri ardori.
Perdono al genio, ed all'età perdono.
Perdono io non vorrei, se offeso avessi
l'onor tuo, l'onor mio.
Un volontario esilio
quindi prendea.
Tacete.
Che più del vostro amore
la discolpa m'offende.
Col non amar Roberto
rea saresti, o Costanza, e tu più reo,
se da lei ti dividi.
Proseguite ad amarvi, e siate fidi.
(parte)
(Non m'inganno?)
(Lo credo?)
Ormai scacciate
l'importuno timore.
Addio Costanza,
ritornami nel sen, dolce speranza.
[Aria Roberto]
Moribonda quest'alma dolente
va cercando dal seno l'uscita
ma un bel raggio di speme lucente
mi prolunga nel seno la vita:
forse il fatto cangiar si potrà.
Mio bel sol, se per te lacrimai,
tu lo sai. La speranza mi dice
che felice il mio cor riderà.
(parte con Corrado)
|
|
SCENA
QUINTA, A. III
Costanza sola.
|
Costanza
|
Recitativo
Posso Roberto amar? E
me l'impone
Gualtiero istesso? I miei timori adunque
furo vani finora. I miei sospiri
furono ingiusti. Ah! da me lungi andate,
dal passato mio duol memorie odiate.
[Aria Costanza]
Ombre vane, vani orrori,
che agitate l'alma mia
le mie pene, i miei timori
dileguate per pietà.
Sento (oh dio) che più non posso
sopportar cotanti affanni.
Deh, cangiate, astri tiranni,
l'empia vostra crudeltà.
|
|
SCENA
SESTA, A. III
Gualtiero, poi Ottone.
|
Gualtiero
Ottone
Gualtiero
Ottone
Gualtiero
Ottone
Gualtiero
Ottone
Gualtiero
Ottone
Gualtiero
Ottone
|
Recitativo
L'empio s'ascolti.
Forse
dall'amor di costui preser fomento
le pubbliche querele.
Al regio piede...
Sorgi, libero parla: ami Griselda?
Non niego, amor fu solo
ch'a rapirla m'indusse.
Né del real mio sdegno
ti trattenne il timore?
E un tuo rifiuto.
Di te, degl'avi al sangue
sparso a pro del mio regno io dono il
fallo
Signor, una, ch'un tempo
fu regina, e tua moglie è scorno tuo
ch'erri fra monti, e boschi.
T'intendo. Ottone il giuro
sulla mia fede: allora
ch'io mi sposi a Costanza avrai Griselda.
Oh dono! Oh gioia! al regio piè prostrato
lascia...
No, prima attendi
che la grazia s'adempia, e poi la rendi.
Va' mi precedi al loco
destinato alle nozze; ivi vedrai
la nuova sposa, ch'al mio trono alzai.
Dopo un'orrida tempesta
splende chiaro il ciel sereno
che disgombra il nostro seno
dell'affanno, e del timor.
Così suole la fortuna
ristorare i danni suoi
vicendevoli con noi
alternando il suo rigor.
|
|
SCENA
SETTIMA, A. III
Gualtiero
|
Gualtiero
|
Recitativo
Soffri Griselda ancora
sin che giunga per te giorno felice.
Soffri... ma già nel core
i rimproveri tuoi, le tue querele
m'appellano a ragionar sposo crudele.
[Aria Gualtiero]
Sento, che l'alma teme
e pur non so di che
non so se sia timore
se sia pena, se amore
se sia pietà, se speme.
Ah cieli, e che cos'è?
Cinto da mille affanni
non trovo loco, o pace
temo di frodi, e inganni
e l'alma ognor si sface
e pur non so perché.
|
|
SCENA
OTTAVA, A. III
Atrio maestoso nella reggia destinato alle
nozze.
Griselda, Popolo.
|
Griselda
|
Recitativo
Ministri accelerate
l'apparato, e la pompa, in dì sì lieto
esultino i vassalli, e più giuliva
del suo signor senta la reggia i voti.
È legge del mio re, ch'io stessa
affretti
e renda più superba
delle tragedie mie la scena acerba.
|
|
SCENA
ULTIMA, A. III
Tutti
|
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Costanza
Roberto
Gualtiero
Corrado (a Gualtiero)
Gualtiero
Ottone
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Ottone
Griselda
Gualtiero
Corrado
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Ottone
Gualtiero
Ottone
Gualtiero
Costanza
Roberto
Gualtiero
Griselda
Gualtiero
Griselda e Costanza
Gualtiero
Corrado
Griselda
Costanza
Griselda
Gualtiero
Roberto
Gualtiero
Ottone
Coro
|
Griselda.
Altro non manca,
che il sovrano tuo impero.
Impaziente
è un amor tutto foco.
Anche Griselda amasti!
La tua viltà le chiare fiamme estinte.
Per l'illustre tua sposa ardano eterne.
(O bontade!)
(O virtude!)
(Il cor si spezza.)
Che più chiedi?
L'estrema
prova di sua fermezza. Otton!
Mio sire.
Ti avanza, e tu, Griselda
Ubbidisco. (Che fia?)
Assai soffristi; è degno
di premio il tuo coraggio, e n'ho pietade
più non sarà Griselda
pastorella ne' boschi, o ancella in corte.
Ma...
Che?
(Cor mio, che tenti?)
Signor...
Del fido Ottone sarai consorte.
(Gioie non m'uccidete!)
Io d'Ottone? Ch'ancora
del sangue d'Everardo
ha fumante la spada?
Elà.
T'accosta.
(ad una guardia che conduce Everardo)
Eccoti vivo il figlio.
O figlio, o dolce
conforto del mio core.
Sol d'Ottone all'amore.
Devi sì cara vita; egli dovea
ucciderlo, e no 'l fece,
perché troppo t'amò; giusta mercede
or della sua pietà sia la tua fede.
Ah! mio sire...
Ubbidisci.
Te 'l comanda il tuo re.
Mio re, mio nume,
mio sposo un tempo, e mio diletto ancora,
se de' tuoi cenni ogn'ora
legge mi feci, il sai; dillo tu stesso:
popoli, il dite voi, voi, che 'l vedeste.
Ma, ch'io d'Otton sia sposa? È questo
il caro ben, che solo
libero dal tuo impero io m'ho serbato:
tua vissi e tua morrò, sposo adorato.
(Lacrime, non uscite.) Ormai risolvi:
o di Ottone o di morte.
Morte, morte, o signor. Servi, custodi,
ne' tormenti inasprite
la morte mia. La gloria
chi avrà di voi del primo colpo? Ah sposo!
Alla tua mano il chiedo,
e prostrata lo chiedo.
Fa' ch'io vada agl'elisi,
con l'onor di tua fede, e ch'ivi additi
le tue belle ferite
opra già de' tuoi lumi, or del tuo
braccio.
Non più, cor mio, non più. Sposa
t'abbraccio.
(Misero Otton!)
Popoli, che rei siete
del cielo, e del re vostro, ormai vedete
qual regina ho a voi scelta, e me qual
moglie.
Mio re sol è mia colpa
il pubblico delitto,
ecco perdon ti chiedo.
Il tuo dolor mi basta, e te 'l concedo.
(Nobil pietà!)
(Che spero?)
Ma tu taci, o Griselda?
Te 'l confesso: mi è pena
di Costanza la sorte. Ella era degna
di te.
Sposa del padre è la mia figlia?
Come?
Il dica Corrado.
Sì, Costanza è la tua prole
che piangesti trafitta.
Oh figlia!
Oh madre!
Ben me 'l predisse il core, e non
l'intesi.
Tu l'amor di Costanza,
ch'ora in sposa ti dono
tutto non m'involar, Roberto amato.
Il tuo dono, o gran re, mi fa beato.
Meco ormai riedi, o cara,
sulla real mia sede.
E sia Everardo il tuo, ma tardo erede.
[Coro]
Imeneo, che se' d'amore
dolce ardor, nodo immortale
della coppia alma reale
stringi l'alma, annoda il core.
|
|
|
|
NOTA
PSICONARRATIVA
|
La
relazione certa, complessa e impossibile da
dipanare completamente, come unamatassa
intricata e annodata che si dovrebbe tagliaree
amputare per ridurla a un filo unico, senza
nodi, fra la novella di Griselda e la fiaba
dell'Augel Belverde ricorre nel melodramma,
che pur avendo lo stesso titolo e gli stessi
personaggi della centesima novella del
Decameron è talmente vicina all'Augel Belverde
da rappresentare un ponte fra la novella di
Boccaccio e la fiaba popolare, che, lo
ricordiamo, è attestata nell'Europa intera e
pubblicata la prima volta a Venezia nel XVI
secolo (ci riferiamo a L'Augel
Belverde di Straparola, citato
insieme ad altre versioni alla home
page del nostro lavoro su Griselda).
La tentazione interpretativa alla quale non
resistiamo in questa nota è che il sotteso
edipico della novella di Boccaccio, che non è
esplicitato nelle traduzioni/rinarrazioni di
Petrarca e di Chaucher e in quelle simili, che
non introducono i figli della coppia se non
come personaggi che non parlano, sia esplicito
da un lato nella fiaba dell'Augel Belverde,
dall'altro nel melodramma, che a partire da
Apostolo Zeno vede una fioritura di opere
liriche fino al capolavoro di Vivaldi al quale
è dedicato questo file. Anche se in maniera
più lieve, il sotteso edipico è presente anche
nelle fiabe della contadina saggia (vedi la
già citata home
page). Argomentiamo la nostra ipotesi.
Anzitutto va detto che la chiave di volta
della lettura psicoanalitica freudiana
dell'essere umano, della sua salute mentale -
e non solo mentale - e della sua follia, della
sua infelicità, della sua inquietudine, il
cuore stesso della psicoanalisi è espresso in
sintesi dalla tragedia greca di Edipo, tenendo
conto sia dell'Edipo re, che di Edipo a Colono
e di Antigone, anche se Freud sembra essersi
interessato solo della prima opera del ciclo
tebano.
Sia la novella di Boccaccio, sia le fiabe a
questa connesse, e anche il Lai di Fresne,
trattano la questione della fedeltà/infedeltà
della donna, ed è significativo che questa
struttura narrativa si affermi in maniera
impressionante nelle sue varie forme quando,
agli albori dell'Europa moderna, la
penetrazione della cultura araba è massima, e
la sua influenza è determinante sia nella
poesia nelle lingue volgari, sia nella
narrativa. In una società mercantile, che
prevede una mobilità sociale e culturale ben
diversa da quella delle civiltà antiche e
dell'alto medioevo, senza pensare
all'esplorazione e agli scambi che porteranno
alla scoperta del nuovo mondo e alla
rivoluzione copernicana, la garanzia data
dall'ordine patriarcale che attribuiva al
paterfamilias potere divita e di morte sulla
moglie, sui figli e sui servi si indebolisce.
La questione della fedeltà della donna, dalla
quale dipende la garanzia di trasmettere il
proprio patrimonio ai propri figli, assume una
rilevanza massima nelle narrazioni, e allo
stesso tempo diventa impossibile risolverla.
Sia il sultano Shahriyar, che uccide all'alba
le donne che ha avuto vergini la notte stessa,
sia Gualtieri, che imponendo prove impossibili
a Griselda finisce col commuoversi tanto da
dover nascondere le lacrime alla incrollabile
Griselda, sono costretti a rinunciare al loro
controllo assoluto sulla donna, che rivela una
forza e una costanza credibili quanto
l'apparizione di una fata.
Anche se la novella di Boccaccio, come le
fiabe della contadina saggia, hanno accanto
alla coppia degli attanti protagonisti solo un
padre, quello di Griselda come della
contadina, e nessuna madre, la vicenda edipica
è ben presente. Il re protagonista della
fiaba, che non ha moglie, come Gualtieri,
anche se di lui non si dice che non voleva
prenderla, vuole qualcosa di eccezionale, una
donna dotata di qualcosa che la distingue
dalle altre donne. Nel caso della contadina
saggia il re si sposa con una creatura dotata
di una straordinaria acutezza, capace di
giocare con le sue richieste impossibili, sia
prendole alla lettera sia giocandole. Chi è la
creatura eccezionale se non la madre, una
figura cioè che abbia la potenza della madre
amata nell'infanzia sia la posizione inferiore
- marchese e pastora in Boccaccio, re e
contadina nella fiaba, re e contadina nel
melodramma, re e povera fanciulla nell'Augel
Belverde - che rassicura l'attante maschile
sulla possibilità di non esserne dominato?
Sospendiamo questa analisi, che riprenderemo
più avanti, per osservare che nella fiaba
dell'Augel Belverde, attestata fin dalla metà
del XVI secolo, e rinarrata ampiamente nei
secoli successivi, come nel melodramma che ha
avuto tante messe in scena e musiche in tutto
il Settecento, compare l'impossibilità degli
attanti protagonisti di risolvere la loro
relazione, determinata dal potere delle
sorelle invidiose della giovane regina o della
sua feroce suocera, dalle quali il re
innamorato non sa difendere la sposa, che come
aveva promesso mette al mondo uno o tre eredi
gemelli con i segni miracolosi di elezione,
stelle in fronte e o catene d'oro al collo
alla nascita. La fiaba della contadina saggia
gioca intorno al ritrovamente di un mortaio
senza pestello o di un pestello senza mortaio,
gioco simbolico dal valore indubbiamente
erotico, quindi prende avvio dall'esistenza di
un oggetto che è la parte di un tutto - il re
lo dice ricevendolo dal contadino, come aveva
previsto la sua saggia figlia. Possiamo dire
che il cntadino, essendo vecchio, non mette in
primo piano la mancanza, mentre sua figlia e
il re che non ha moglie la rilevano come prima
osservazione.
Osserviamo che sia la novella di Griselda, sia
la fiaba dell'Augel Belverde, sia quella della
contadina saggia, hanno in comune un nobile
ricco giovane attante, sia un marchese, sia un
re, che si innamora di una donna eccezionale:
Griselda promette una fedeltà illimitata, la
protagonista dell'Augel Belverde afferma di
poter dare al re discendenti dotati di segni
di elezione, e la contadina saggia sa giocare
con la lingua come i migliori membri
dell'OuLiPo francese, che in Italia
corrisponde all'OpLePo.
Vale a dire che la nostra contadina conosce
l'inesauribile ambiguità della lingua, e
l'ambiguità è un carattere attribuito al
femminile, come il perturbante movimento
dell'utero, organo vagante che dà il tratto
isterico alle donne. Sa quel che sa Griselda,
sa quel che sa Shahrazàd, e la storia di
punizioni e tormenti inflitti alla donna si
risolve in un lieto fine solo quando il loro
attante complementare, re, marchese re o
sultano, capisce che non può fare a meno della
donna che ha accanto, perché l'impossibilità
di dominarla è una sola cosa con l'amore che
può dare.
Il tradimento della madre, che tormenta il
figlio maschio quando scopre che la madre gli
preferisce il padre, non si risolve col
dominio sulla donna, impossibile come sa
Dioneo, e come sa la fanciulla della storia
cornice delle Mille e una notte, ma con
l'abbraccio che scioglie la crudele
separazione e mette fine alla solitudine di
entrambi.
La crudeltà della separazione in ogni caso
implica il sacrificio (il sagrifizio,
come si trova nel libretto della Traviata,
quando Germont padre lo chiede da lei. E
l'ottiene...) dei discendenti, che solo
tornando insieme al padre e alla madre
risolvono felicemente la storia. La posta in
gioco della novella di Griselda e delle due
fiabe ad essa connesse, senza dimenticare la
cornice delle Mille e una notte, e il Lai di
Fresne, è la salvezza del proprio germoglio,
che è qual che maggiormente preme alla madre
come al padre.
Che sia nato in Europa o nel mondo arabo,
appartiene alla stessa significazione il
finale delle Mille e una notte di Bulaq, nel
quale, dopo tre anni di notti di racconti,
Shaharazad chiede al sultano di lasciarla in
vita avendo accanto il bambino più grande, che
cammina, il mediano che gattona, e il più
piccolo, che tiene fra le braccia.
Fra solitudine e relazione la differenza è la
fecondità, che nasce solo dal riconoscimento
del diverso, del suo valore, dei doni che può
dispensare, dal nuovo che può nascere
dall'incontro.
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Testo tratto da:
http://www.librettidopera.it/zpdf/griseldazg_bn.pdf;
ultimo accesso 1 dicembre 2022 |