ADALINDA GASPARINI              PSICOANALISI E FAVOLE
 
 


L'AMOROSA VISIONE DI GIOVANNI BOCCACCIO
OVVERO L'ACROSTICO PIÙ GRANDE DI OGNI TEMPO E PAESE
SECONDA PARTE
INTRODUZIONE
ASAP PP
HOME PAGE INDICE DEI NOMI
PRIMA PARTE
Primo sonetto
Canti I-XVI

SECONDA PARTE
Secondo sonetto
Canti XVI-XXXI
TERZA PARTE
Terzo sonetto
Canti XXXI-L





Sonetto II, dedicato all'amata
Sonetto caudato con un distico
464-494
495-522
523-548
549-579

580-613
614-643
644-670
671-692

693-716
717-745
746-773

774-801
812-824
825-850

851-877
878-903
A
B
B
A

A
B
B
A

C
D
E

C
D
E

E
D
Il dolce inmaginar che ’l mio chor face
Della vostra biltà, donna pietosa,
Recam’una soavità sì dilectosa,
Che mette lui con mecho in dolcie pace.

Poi quando altro pensiero questo disface
Piangemi dentro l’anim’angosciosa,
Cercando come trovar possa posa,
Et sola voi disiar le piace.

Et però volend’i’ perseverare
Pur nello ’nmaginar vostra biltate,
Cerco con rime nuove farvii onore.

Questo mi mosse, Donna, a compilare
La Visïone in parole rimate,
Che io vi mando qui per mio amore.

     Fatele onor secondo il su’ valore,
     Avendo a tempo poi di me pietate.







CANTO XVI, 29 terzine dantesche, coda di un verso, dal verso 40 all'88.

Come Giove trasmutò la figliuola d’Inaco in una vacca, e diella a guardia a Giunone.

464-494
Il dolce inmaginar che 'l mio chor face - secondo sonetto, prima quartina, primo verso, 31 lettere





40
41
42

464

I

Io stetti molto a lei mirar sospeso
per guardar s'io l'udissi nominare
o i' 'l vedessi scritto brieve o steso.


43
44
45

465
l Lì nol vidi né 'l seppi immaginare,
avvegna che, com'io dirò appresso,
in altra parte poi la vidi stare


46
47
48
466
d dond'io il seppi, e lì il dico espresso:
però chi quello ha voglia di sapere
fantasiando giù cerchi per esso.


49
50
51
467
o Omè, che lei mirando il mio volere
non avrei sazio mai! ma stretta cura
di mirare altro mi mise in calere.


52
53
54
468
l
Levando adunque gli occhi inver l'altura
vidi quel Giove che 'n forma di toro
non già rubesto mutò sua figura,


55
56
57
469
c
che quivi avendo per umil dimoro
Europa sottratta a cavalcarsi,
per me' compier l'avvisato lavoro,


58
59
60
470
e
e' parea quindi correndo levarsi
e gir su per lo mar, come cacciato
fosse, e poi pianamente posarsi


61
62
63

471
i
in quel paese che poi fu nomato
da quella che da dosso si dispose,
ripigliando sua forma innamorato.


64
65
66

472
n
Nel loco poi con parole pietose
pareva a me che la riconfortasse
narrando ancor le sue piaghe amorose;


67
68
69
473
m
ma con disio parea poi l'abracciasse,
e con diletto l'avuto disio
sanza contasto parea terminasse.


70
71
72

474
a Alquanto appresso ancora questo iddio
com'una gotta d'oro risplendente
trasformato e cadendo, lui vid'io


73
74
75

475
g
gittarsi in una torre prestamente
ad una giovinetta ch'entro v'era,
per ben guardarla, chiusa strettamente;


76
77
78
476
i
il qual forse l'amava oltra maniera
dovuta, ed infra le bianche tette
e belle in piova gir lasciato s'era.


79
80
81

477
n
Né dello inganno già saper cevette
quella, ma lui ritenne nascoso
e guadagnato forse aver credette.


82
83
84

478

a
Alla vera statura luminoso
quivi vedeasi tornato e costei
abracciando e basciando, disioso


85
86
87

479
r
riguardando essa, né giammai da lei
partir sanza il disiato giugnimento;
di che parea ch'ella dicesse: «  Omei,


88

480
c
ch'io son gabbata dal tuo argomento. »
Si riferisce a una versione della vera forma di Giove, con la quale per istigazione di Giunone Semele chiede di vedere l'amante nella sua forma divina e ne viene incenerita?




CANTO XVII, 29 terzine e coda di un verso
 
Come Giove trasmutò la figliuola d’Inaco in una vacca, e diella a guardia a Giunone.

1
2
3

481
h
Hai! come bella seguiva una storia
della figliuola d'Inaco, mi pare,
se ben mi rappresenta la memoria.

4
5
6

482
e
Era lì Giove, e vedendo tornare
sola dal padre quella giovinetta,
il suo disio le vedeva narrare.


7
8
9
483
l
Lungo un boschetto con essa soletta,
sotto piacevoli ombre con costei
star lo vedea sopra la verde erbetta.


10
11
12
484
m
Ma così dimorandosi con lei,
Giuno vi sopravenne furiosa
temendo dello inganno fatto a lei.


13
14
15
485
i
Intanto la persona graziosa
Giove di quella in una vacca bella
mutò, e lei donò alla sua sposa.


16
17
18
486
o
Or poi che Giuno aveali presa quella,
per tema forse di simile offesa,
Argo pien d'occhi guardian fece d'ella.


19
20
21
487
c
Colui appresso, che l'aveva presa
a guardia, in atto un pastor chiamava,
ch'una sampogna sonar gli avea intesa.


22
23
24
488
h
Hatlanciade, quel pastor, v'andava,
sotto alberi sonando dolcemente
con colui quivi riposando stava.


25
26
27

489
o
Onde sonando, vedea chetamente
con tutti e cento gli occhi ch'Argo avea
addormentarsi e non sentir niente.



28
29
30
490
r
Rigido poi l'altro pastor vedea
trarsi di sotto un ritorto coltello,
col qual colui prestamente uccidea.


31
32
33
491
f
Fu lì da Giuno mutato in suo uccello
la quale irata poi parea seguire
la vacca per cui era morto quello.


34
35
36
492
a
A lei davanti vedeasi fuggire
e già tenea il Nil, quando lo dio
Giuno rattemperò e le sue ire.


37
38
39
493
c
Così tornò ogni bellezza ad Io,
ch'ell'ebbe mai, e lasciò la pigliata
forma bestial che Giove le diè pio.


40
41
42
494
e
E poi la vidi lì deificata,
e dalla gente lì divota assai
con molti incensi la vidi onorata.


495-522 della vostra biltà, Donna pietosa; secondo sonetto, prima quartina, secondo verso, 28 lettere





43
44
45

495
d
Dopo essa alquanto avanti riguardai
e 'l detto iddio in forma feminile
in un fronzuto bosco affigurai;


46
47
48

496
e
e riguardando lui, che nel gentile
aspetto e bello Diana mi pareva,
negli atti suoi mansueto ed umile,


49
50
51

497
l
là affannato forse si sedeva
ed un forte arco con molte saette
dal suo sinistro lato posto aveva.


52
53
54

498
l
Lui mirando una delle giovinette
che per lo bosco con Diana gia,
che questi dessa fosse si credette;


55
56
57

499
a
a lui venendo in atto onesta e pia
per lei basciar, ché forse consueto
era, sicura prese la sua via.


58
59
60

500
v
Ver lei si fece Giove, e tutto lieto
prendendola la trasse seco appresso
entro in un luogo del bosco segreto;


61
62
63
501
o
ove basciando lei, essa con esso
si stava cheta, che semplice e pura
aveva rotto il boto già commesso.


64
65
66
502
s
Sola lì mi parea che con paura
gravida rimanesse di colui
che la 'ngannò sotto l'altrui figura.


67
68
69
503
t
Tacquesi un tempo la Donna nel cui
ventre piacevol peso era nascoso,
ma pur convenne poi paresse altrui,


70
71
72

504
r
ricevend'ella allora dal grazioso
coro di Diana l'esserne divisa:
di che poi Giove, essendone piatoso,


73
74
75

505
a
a lei diè forma d'Orsa e fella assisa
essere intorno al pol piena di stelle,
per guiderdon della colpa commisa.


76
77
78

506
b
Bianco, al mio parer, di dietro a quelle
istorie il vidi in cigno figurato,
con bianche penne rilucenti e belle.


79
80
81

507
i
In dentro andando se l'avea pigliato
nelle sue braccia disiosa Leda,
e 'n camera di lei l'avea portato.


82
83
84

508
l
Là come tosto la infinta preda
si vide inchiuso, lieto ritornossi
nella sua vera e consueta sceda.


85
86
87

509
t
Tutta negli atti Leda marvigliossi,
ma concedendo sé alla sua voglia,
quivi mostrava come racchetossi


88

510
a
acciò che luogo avesse en l'alta soglia.



CANTO XVIII, 29 terzine e coda di un verso
 
Come Giove giacque con Semele, e come ell’arse, e come stette con Asteria.

1
2
3

511
d
Dopo costei si vedea seguitare
come di Semelè già gli arse il core,
e come l'ebbe ancora vi si pare.


4
5
6

512
o
Ornata come vecchia e di dolore
piena era quivi Giuno, invidiosa
perché Giove portava a quella amore;


7
8
9

513
n
nascosa in forma tale, la graziosa
giovine domandava s'ella fosse
ben dell'amor di Giove copiosa.


10
11
12

514
n
Nel viso a riso a quel parlar si mosse
non conoscendo lei, e le rispose:
«  Altro che me non disian sue posse. »


13
14
15

515
a
Allor si turbò Giuno, ma l'ascose
con falso aspetto, e disse: « Ora ti guarda
ch'e' non ti inganni con viste frodose.


16
17
18

516
p

Più furon quelle già cui la bugiarda
vista ingannò, ed io ne so alcuno;
ma se tu vuo' saper se per te arda,


19
20
21

517
i
istea con teco dì come con Giuno.
Se elli il fa, ben ti dico ch'allora
dirò che non ci sia 'nganno nessuno;


22
23
24

518
e
e fa che 'l facci. » E sanza far dimora
da lei si dipartia; questa aspettando
rimase con disio la sua malora.


25
26
27

519
t
Tacita e sola così dimorando,
parve che Giove nella casa entrasse,
a cui ella così dicea pregando:


28
29
30

520
o
« Or neghera'mi tu, s'io domandasse,
un caro dono? » a cui e' rispondea,
e rispondendo parea che giurasse


31
32
33

521 s
Sé a ciò non mancar ch'ella volea.
« Come con Giuno ti congiugni », disse,
« così con meco ti priego che stea. »


34
35
36

522
a
Ahi come a Giove dolse! ma non sdisse
quel che 'mpromise, ma invito quello
fé, perché 'l saramento non perisse.


523-548
recam'una soavità sì dilectosa; secondo sonetto, prima quartina, 26 lettere  





37
38
39

523
r
Rilucer lì d'un foco grande e bello
Semelè si vedeva e in cener trit
ritornar tosto giacendo con ello.


40
41
42

524
e
E così trista finì la sua vita
per lo disio che 'l consiglio dolente
le porse, e Giuno rimase gioita.


43
44
45

525
c
Conforme poi si vedea similmente
Asterien ad aquile seguire,
cui elli amava molto coralmente.


46
47
48

526
a
Allato a lei ed or di sopra gire
per alti boschi quivi si vedeva,
e poi con l'ali lei presa covrire.


49
50
51

527
m
Molto dubbiosa lì quella pareva,
per che rivolta contra il grande iddio
con fievol possa cacciar lo voleva.


52
53
54

528
u
Valeale poco, però che 'l disio
suo ne prendeva que', come che a lei
ne' suoi sembianti le paresse rio.


55
56
57

529
n
Nel luogo appresso si vedea colei
che partorì i due occhi del cielo,
secondo che apparve agli occhi miei.


58
59
60

530
a
Assai timida, l'isola di Delo
la riteneva quasi fuggitiva,
umile e piana sotto bianco velo.


61
62
63

531
s
Soletta appresso Antiopa seguiva,
con la qual quivi Giove in forma quale
un satiro, alla mia stimativa.


64
65
66

532
o
Ove allato sedeale e quanto male
amor per lei li facesse narrava,
né come alcun rimedio ve li vale.


67
68
69

533

a
Assai negli atti suoi la lusingava,
tanto che 'nfine alla sua volontate
con impromesse e prieghi la recava.


70
71
72

534

v
Vedeasi appresso quivi la biltate,
in una storia che venia, d'Almena
piena di grazia e di tutta onestate,


73
74
75

535
i
in suoi sembianti gioconda e serena;
a cui Giove, in forma del marito
che dallo studio tornava d'Atena,


76
77
78

536
t
tutto il suo disio avea compito.
Vedevavisi Geta doloroso
perché un altro n'avea 'n casa sentito.


79
80
81

537
à
Appresso v'era Birria nighittoso
caricato di libri; al picciol passo
parea venisse tutto dispettoso,


82
83
84

538
s
sanza alcun ben, dicendo: «  Oimè lasso,
quando sarà ch'i' posi questo peso
che sì m'affolla, ponendolo abbasso?


85
86
87

539
i
Inver lo ciel ne gia, poi ch'ebbe preso
Giove il diletto che di lei li piacque,
pregna lasciandola, al salire inteso:


88

540
d
di cui appresso il forte Ercule nacque.





CANTO XIX, 29 terzine e coda di un verso
 
Come Marte si congiunse con Citerea, e come furono soprappresi da Vulcano.

1
2
3

541
i
Ivi più non seguia, perché finiva
quella facciata con gli antichi autori
che stanno innanzi a quella Donna diva.


4
5
6

542
l
Laond'io torna'mi inver li predatori,
ricominciando a quel canto primiero
a rimirar gli antichissimi amori.


7
8
9

543
e
Ed umile tornato v'era il fiero
Marte, prencipe d'arme fatto amante,
per la qual cosa più non era altiero.


10
11
12

544
c
Con tal disio il piacevol sembiante
mirava della bella Citerea,
che non parea che più curasse avante.


13
14
15

545
t
Tra que' luoghi medesmi mi parea
con essa lui veder dentro ad un letto,
dintorno al quale, al mio parere, avea


16
17
18

546
o
ordinata di ferro tutto eletto
una rete sottil che gli avea presi,
come per coglier loro in quel diletto.


19
20
21

547
s
Sovra la sua vergogna i lacci tesi
avea Vulcano, il qual veder venia
ridendosi d'averli sì offesi.


22
23
24

548
a
Aveva quivi ciascun dio e dia,
che nel ciel fosse, tututti chiamati
Vulcan, per mostrar lor cotal follia.


549-579
Che mette lui con mecho in dolcie pace; secondo sonetto, prima quartina, quarto verso; 31 lettere





25
26
27

549
c

Commosso a' prieghi di Nettunno grati
fatti a Vulcan per Marte umilemente,
di quella fuor da lui eran cacciati.


28
29
30

550
h
Hai! come poi ciascuno apertamente
faceva il suo piacer, però che avieno
vergogna ricevuta interamente!


31
32
33

551
e
E sì avviene a que' che non vorrieno
trovar le cose e vannole cercando,
che molto meglio cheti si starieno.


34
35
36

552
m
Molto consiglio ciaschedun, che quando
pur divenisse che cosa vedesse
che li spiacesse, con gli occhi bassando


37
38
39

553
e
e' se ne passi, perché molto spesse
son quelle volte che tai vendicare
tal vuol, che saria me' che se ne stesse.


40
41
42

554
t
Tutto focoso vidi seguitare
quivi Febo Pennea graziosa,
e lei con dolci voci lusingare.


43
44
45

555
t
Temendo fuggiva ella impetuosa
quivi da lui e di sopra le spalle
con li capelli sparti: più focosa


46
47
48

556

e
entrava in Febo, che 'l dolente calle
seguiva, infin che stanca fé dimoro,
più non potendo, in una bella valle.


49
50
51

557
l



Là ritornata in grazioso alloro
sopr'essa il sol la sua luce fermava,
faccendole col raggio chiaro coro.


52
53
54

558
u
Veder pareami, secondo mostrava,
che si dolesse di tal mutazione
e ne' sembianti sen ramaricava.


55
56
57

559
i
Ivi era appresso poi come Sitone,
maschio da lui sanza fine amato,
mutava in feminil sua condizione.


58
59
60

560
c
Con esso lui si stava quivi allato,
e lei tenendo in braccio con amore
mostrava ch'altro non li fosse a grato.


61
62
63

561
o
Or, con costei finito il suo ardore,
rinchiuso vidi in una vecchia scura,
più là un poco, tutto il suo splendore.


64
65
66

562
n
Nell'aspetto pareva la figura
della madre di quella, per cui questo
a far ciò il sospignea con tanta cura.


67
68
69

563
m
Mirabilmente là si vedea presto
chiuso tornare in sé, onde colei
dicea maravigliando: «  Or che è questo? »


70
71
72

564
e
E poi il vedeva starsi con costei;
ma morta quella, per la sua potenza
in albero d'incenso mutò lei.


73
74
75

565
c
Così appresso in forma; e l'accoglienza
che Issèn li fé quando con essa giacque,
tutto vi si vedea sanza fallenza.


76
77
78

566
h
Habituato, v'era com lì piacque
a Climenès, del cui congiungimento
Feton che guidò il carro poi ne nacque.


79
80
81

567
o
Oltre tra questi poi, molto contento,
era Nettunno in forma d'Euristeo,
Esimena abbracciando al suo talento.


82
83
84

568
i
Innanzi riguardando discerneo
la vista mia costui in braccio tenere
Cerere, cui amò quanto poteo.


85
86
87

569
n
Non sanza molti basci, al mio parere,
la stimolava; ma io mi voltai,
non potend'io più quivi vedere,


88
570
d
dond'io a riguardar pria cominciai.





CANTO XX, 29 terzine e coda di un verso

Come Bacco in forma d'uva ama la figliuola di Licurgo; e di Pluto ch’ama Proserpina, e di Piramo e Tisbe, e di molti altri.

1
2
3

571
o
Ove io vidi in ordine dipinto
sì come Bacco. per forza d'amore,
in forma d'uva ad amar fu sospinto


4
5
6

572
l
la figlia di Ligurgo; il cui ardore
quivi con lei in braccio si vedea
temperar, non in forma né in colore


7
8
9

573
c
che si sdicesse, e 'l simil mi parea
d'Erigonèn; e del suo gran disio
così sé quivi si sodisfacea.


10
11
12

574
i
Ivi seguiva poi, al parer mio,
Pan che Siringa gia perseguitando,
ch'avanti li fuggia in atto pio;


13
14
15

575
e
e lei fuggente l'andava pregando,
ma 'l pregar non valeva, anzi tornata
in canna poi la vidi in forma stando.


16
17
18

576
p
Poi di quella i bucciuoli spessa fiata
sonati fur, però che primamente
da esso fu la sampogna trovata.


19
20
21

577
a
Appresso lui vi vid'io il dolente
Saturno in forma di cavallo stare,
a Fillara accostarsi dolcemente.


22
23
24

578
c
Così appresso vidi, ciò mi pare,
Pluto li tristi regni abbandonati
avere e quivi intendere ad amare.


25
26
27

579
e
Ed a lui presso con atti sfrenati
prender vedea Proserpina e con essa
fuggirsi a' regni di luce privati,


580-614
Poi quando altro pensiero questo disface; secondo sonetto, seconda quartina, primo verso, 35 lettere





28
29
30

580
p
pur con istudio e con noiosa pressa,
come se stato fosse seguitato
da Giove per volerlo privar d'essa.


31
32
33

581
o
Oltre nel loco vidi figurato
Mercurio con Ersèn: molto stretto,
amando lei, dimorava abracciato,


34
35
36

582
i
insieme avendo piacevol diletto.
Dopo 'l quale io vedeva tutto bianco
Borea quivi, con un freddo aspetto.


37
38
39

583
q
Questi, li regni abbandonati, stanco
in Etiopia giugneva a vedere
Ortigia, ch'a sé dal lato manco,


40
41
42

584
a
vedeva, quivi la facea sedere;
ed abracciata lei tenendo stretta
a pena seco gliel pareva avere.


43
44
45

585
n
A lui seguiva poi la giovinetta
Tisbe, che fuor di Bambillonia uscia
e verso un bosco sen giva soletta.

Dante, Inf. V, 129:
soli eravamo e sanza alcun sospetto
46
47
48

586
d
Né lì guari lontano, la sua via
fornita, un velo lasciava fuggendo
per una leona che a ber venia


49
50
51

587
o
della fontana, dov'ella attendendo
Piramo si posava nell'oscura
notte; così se n'entrava correndo


52
53
54

588
a
ove già fu la vecchia sepultura
di Nino. E poi si vedeva venire
Piramo là con sollecita cura,


55
56
57

589
a
a sé intorno mirando se udire
o veder vi potesse se venuta
vi fosse Tisbe, secondo il suo dire.


58
59
60

590
l
Lui ciò mirando, in terra ebbe veduta,
perché la luna risplendeva molto,
la vesta che a Tisbe era caduta,


61
62
63

591
t
tutto stracciato e per terra rivolto
con un mantello il bel vel sanguinoso,
per che tututto si cambiò nel volto.


64
65
66

592
r
Ricogliendo essi parea che doglioso
dicesse: « Oimè, Tisbe, chi ti uccise?
chi mi ti tolse, dolce mio riposo?              

Dante, Inf. V 122:
che mi fu tolta e il modo ancor m'offende
67
68
69

593
o
Ontoso tutto lagrimando mise
la mano ad uno stocco ch'avea seco,
col qual dal corpo l'anima divise.    

Dante, Inf. V 135:
Questo che mai da me non fia diviso
70
71
72

594
p
Parea dicesse piangendo: «  Con teco,
Tisbe, morrò, acciò ch'all'ombre spesse
di Dite, lassa, ti ritruovi meco »;


73
74
75

595
e
e sbigottito parea che cadesse
quivi sopra 'l mantello, a piè d'un moro,
e del suo sangue i suoi frutti tignesse.


76
77
78

596
n
Non dilettava a Tisbe il gran dimoro;
colà dond'era uscì, e disse: «  Forse
quella bestia è pasciuta, e già non loro


79
80
81

597
s
suol uso a noi far male »: ed oltre corse
alla fontana, e non credea che fosse
essa quando le more rosse scorse.


82
83
84

598
i
In ciò mirando, tutta si percosse
quando Piramo vide ancor tremante,                   
e dal suo petto il ferro aguto mosse

Dante, Inf. V 136:
la bocca mi baciò tutto tremante

85
86
87

599
e
e 'n su quel si gittò, dicendo: «  Amante,
io son la Tisbe tua! mirami un poco
anzi ch'io muoia », e più non disse avante:

Dante, Inf. V 137-138
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse
quel giorno più non vi leggemmo avante

88


600
r
rimirandola, cadde morta loco.
Dante, Inf. V 141-142
io venni men così com'io morisse
e caddi come corpo morto cade

Nota: Principe Galeotto è il nome del Decameron




CANTO XXI, 29 terzine e coda di un verso

Come Giasone s'innamorò di Isifile, e di Medea e di Creusa

1
2
3

601
o
Or miri adunque il presente accidente
qualunque è que' che vuol legge ad amore
impor, forse per forza, strettamente.


4
5
6

602
q
Quivi credo vedrà che 'l suo furore
è da temprar con consiglio discreto,
a chi ne vuole aver fine migliore.


7
8
9

603
u
Vivean di questi i padri, ciascun lieto
di bel figliuolo: e perché contro a voglia
gli strinser, n'ebbe doloroso fleto.

I genitori che contrastano l'amore dei figli, ne piangono le conseguenze. Inno alla libertà di Eros, ovvero anarchia contro gerarchia.
10
11
12

604
e
E così spesse volte altri si spoglia
di ciò che e' si crede rivestire,
e poi convien che sanza pro si doglia.


13
14
15

605
s
Sì riguardando poi vidi seguire
Giansone in mezzo di tre giovinette,
le quai ciascuna fu al suo disire.

16
17
18

606
t
Tutte e tre furon già a lui dilette
e nominate Isifile e Medea,
al mio parer, con Creusa sospette.


19
20
21

607
o
« O sanza fede alcuna », mi parea
che Isifile dicesse, «  o dispietato,
o più crudel ch'alcuna anima rea,


22
23
24

608
d
deh, or hai tu ancor dimenticato
a quanto onor tu fosti ricevuto
nel regno ond'ogni maschio era cacciato?

25
26
27

609
i
Io non credo che mai fosse veduto
uom volentier in nulla parte strana
né cotal dono a lui mai conceduto,


28
29
30
610
s
simile a quel che io benigna e piana
a te concessi, portando fidanza
alla tua fede come 'l vento vana.


31
32
33
611
f
Faccendo saramenti a me, speranza
nel tuo partir mi desti che giammai
non cambieresti me per altra amanza.


34
35
36

612
a
Andastitene e me, come tu sai,
pregna lasciasti di doppio figliuolo,
ed a tornar ancor verso me hai.


37
38
39

613
c
Con sospiri e con pianti e con gran duolo
gran tempo stetti, dicendo: « Omai tosto
verrà Giansone qui col suo stuolo »,


40
41
42
614
e
ed appena credetti quel che sposto
mi fu di te, ch'avevi nuova amica
presa in Colcòs e mutato proposto.


615-643
piangemi dentro l'anima 'ngosciosa; secondo sonetto, seconda quartina, secondo verso; 29 lettere

43
44
45

615


p

Più avanti non so ch'io mi ti dica,
se non ch'io ardo e tu in giuoco e festa
ora ti stai con la mia nimica.


46
47
48
616
i
In tanto questa doglia mi molesta
che dir nol posso, ma tu stesso pensa
chente parriati averla tal qual questa.


49
50
51
617
a
Assai ti priego dunque, se offensa
non ho commessa, non mi abandonare,
ma con pietà al mio dolor dispensa. »


52
53
54
618
n
Non rispondea Giansone; ma poi stare
vidi negli atti molto dispettosa
Medea, inverso lui così parlare:


55
56
57
619
g
« Giansone, in tutto 'l mondo non fu cosa
ch'io tanto amassi né per cui facessi
quanto feci per te, sì come sposa;


58
59
60
620
e
e non mi credo ancor che tu sconfessi
com'io ti diè mirabile argomento,
per cui sicur co' tori combattessi.


61
62
63
621
m
Mostra'ti ancora, per farti contento,
come 'l drago ingannassi, acciò ch'appresso
fornito avessi tuo intendimento.


64
65
66

622
i
Insieme me ne venni teco stesso,
e sai che io il mio picciol fratello
uccisi, acciò che 'l mio padre sopr'esso


67
68
69

623
d
dimorasse piangendo, e quindi snello
e sanza noia passasse il nostro legno
già cominciato a seguitar da ello.


70
71
72

624
e
E sai ancora ch'io col mio ingegno
il tuo antico padre e vecchio Ensone
di giovinetta età il feci degno;


73
74
75

625
n
né riguardai ancora a riprensione
ch'io non facessi morire il tuo zio,
per signor farti della regione.


76
77
78

626
t
Tu il ti conosci e sai per certo ch'io
ogni cosa avre' fatta per piacerti,
non credendo che mai il tuo disio


79
80
81

627
r
rivoltassi da me per più doverti
dare ad altrui. Deh, se altro diletto,
se non di me, due be' figli vederti


82
83
84
628
o
ognor davanti non t'avesse stretto,
non dovei tu giammai Donna nessuna
più abracciar nel mio debito letto,


85
86
87

629
l
lo qual tu ora possiedi con una:
che s'io non fossi stata alla tua vita,
né lei né me avevi, né altra alcuna.


88
630
a
Adunque a me, per Dio, ti rimarita ».






CANTO XXII, 29 terzine e coda di un verso

Dove racconta di Teseo, e d’Arianna e d’Ippolito, e come Pasife s’innamorò del toro, e d’altre

1
2
3

631
n
Non rispondeva a nulla di costoro
quivi Gianson, ma Creusa abracciando
con lei traeva ditettevol dimoro.
4
5
6

632
i
Io, che andava avanti riguardando,
vidi quivi Teseo nel Laberinto
al Minutauro pauroso andando.

7
8
9

633
m
Ma poi che quel con ingegno ebbe vinto
che li diede Adriana, quindi uscire
lui vedev'io di gioia dipinto;


10
11
12

634
a
al quale appresso Adriana venire
e con lei Fedra, e salir nel suo legno
e quindi forte a suo poter fuggire.

13
14
15

635
n
Nel quale, avendo già l'animo pregno
del piacer di Adriana, lei lasciare
vedea dormendo e girsene al suo regno.


16
17
18

636
g
Gridando desta la vedeva stare,
e lui chiamava piangendo e soletta
sopr'un diserto scoglio in mezzo mare:

19
20
21

637
o
« Omè », dicendo, « deh, perché s'affretta
sì di fuggir tua nave? Aggi pietate
di me ingannata, lassa, giovinetta! »


22
23
24

638
s
Segando se ne gia l'onde salate
con Fedra quelli, e Fedra si tenea
per vera sposa, per la sua biltate.


25
26
27

639
c
Costei più innanzi un poco si vedea
accesa tutta di focoso amore
d'Ippolito, cui per figliastro avea.


28
29
30

640
i
Ivi vedeasi lo sfacciato ardore
di Pasifè, che 'l toro seguitava
di sé chiamandol conforto e signore:


31
32
33

641
o
ove con le man propie ella segava
le fresche erbette nel fogliuto prato
e con quelle medesme gliele dava.


34
35
36

642
s
Spesso li suo' cape' con ordinato
stile acconciava e, della sua bellezza
prima l'occhio allo specchio consigliato,


37
38
39

643
a
adorna venia innanzi alla mattezza
bestiale, e quivi parea che dicesse:
« Agraditi la mia piacevolezza?


644-670
cercando come trovar possa posa; secondo sonetto, seconda quartina, terzo verso, 27 lettere





40
41
42

644
c
Certo se io solamente vedesse
che più ch'un'altra vacca mi gradissi,
non so che più avanti mi volesse


43
44
45

645
e
Era di dietro a lei con gli occhi fissi
sopra 'l suo padre, Mirra scellerata,
né da lui punto li teneva scissi.


46
47
48

646
r
Riguardando io costei lunga fiata,
quivi la vidi poi di notte oscura
esser con lui in un letto colcata.


49
50
51

647
c
Correndo poi fuggir l'aspra figura
del padre la vedea, che conosciuta
avea l'abominevole mistura.


52
53
54

648

a
Albero la vedeva divenuta
che 'l suo nome ritien, sempre piangendo
o 'l fallo o forse la gioia compiuta.


55
56
57

649
n
Narcisso vidi quivi ancor sedendo
sopra la nitida acqua a riguardarsi,
di sé oltre 'l dovuto modo ardendo.

Come Ovidio e come pochi altri Boccaccio comprende il dolore di Narciso, che lo porta alla morte per consunzione.
58
59
60

650
d
Deh, quanto quivi nel ramaricarsi
nel suo aspetto mi parea piatoso,
e talor seco se stesso crucciarsi:


61
62
63

651
o
« Omè », dicendo, «  tristo doloroso,
la molta copia, ch'i' ho di me stesso,
di me m'ha fatto, lasso, bisognoso. »


64
65
66

652
c
Cefalo poi, alquanto dietro ad esso,
vid'io posato aver l'arco e li strali
e riposarsi, per lo caldo fesso.


67
68
69

653
o
« O aura, deh, vien con le fresche ali,
entra nel petto nostro! » tutto steso
stava dicendo parole cotali.


70
71
72

654
m
Ma questo avendo già Pocris inteso,
cui ascosa vedea tra l'erbe e' fiori
in quella valle, con l'udire inteso,


73
74
75

655
e
essendo in sospezion de' nuovi amori,
credendo forse che l'Aura venisse,
volle, e nol fece, intanto farsi fori.


76
77
78

656
t
Tutta l'erba si mosse e Cefal fisse
gli occhi colà, credendo alcuna fiera,
e preso l'arco su lo stral vi misse,


79
80
81

657
r
rizzando quel fra l'erba u' Pocris era,
e lei ferì nello amoroso petto.
Ella, sentendo il colpo, in voce vera:


82
83
84

658
o
« Omè », gridò, « perché ebb'io sospetto
di quel ch'i' non dovea? » così diria
chi la vedesse ch'ella avesse detto.


85
86
87

659
v
Venuto Cefalo: « L'anima mia,
or che face' tu qui? oimè lasso »,
dicea, « dogliosa omai mia vita fia,


88

660
a
avendo te recato a mortal passo.




CANTO XXIII, 29 terzine e coda di un verso

Dove tratta come Orfeo andò all’inferno a starsi con Euridice; e come Achille era nel monastero con Deidamia.

1
2
3

661
r
Ristrinsemi pietà l'anima alquanto
ad aver compassion di quel dolente,
cui io vedeva far così gran pianto.


4
5
6

662
p
Poi rimirando ad altro ivi presente,
vidi colui che il dolente regno
sonando visitò sì dolcemente:


7
8
9

663
o
Orfeo dico, che col suo ingegno
fece le misere ombre riposare
con la dolcezza del cavato legno.


10
11
12

664
s
Sonando ancora quivi il vidi stare
con Erudice sua, e mi parea
che il vedessi sonando cantare,


13
14
15

665
s
sollazandosi, versi, e sì dicea:
« Amore, a questa gioia mi conduce
la fiamma tua che nel cor mi si crea.


16
17
18

666
a
Amor, de' savi graziosa luce,
tu se' colui che 'ngentilisci i cori,
tu se' colui che 'n noi valore induce.


19
20
21

667
p
Per te si fugano angosce e dolori,
per te ogni allegrezza ed ogni festa
surge e riposa dove tu dimori.


22
23
24

668
o
O spegnitor d'ogni cosa molesta,
o dolce luce mia, questa Erudice
lunga stagion con gioia la mi presta!


25
26
27

669
s
Sempre mi chiamerò per te felice,
per te giocondo, per te amadore
starò come fa pianta per radice


28
29
30

670
a
A veder quel mi s'allegrava il core,
e 'mmaginando quelle parolette
a me, non che a lui, crescea valore.


671-692
et sola voi disiar le piace; secondo sonetto, seconda quartina, quarto verso, 22 lettere
31
32
33
671
e
E poi, appresso a queste cose dette,
Diomede ed Ulisse si vedeano
divenuti merciai vender gioiette


34
35
36
672
t
tra suore quivi, che queste voleano
in vista comperar, ma dall'un lato
spade ed archi forti posti aveano,


37
38
39
673
s
saette ancor: de' quali avea pigliato
uno una suora ch'ivi stava presso,
e infino al ferro l'arco avea tirato.


40
41
42
674
o
Onde parea dicesser: « Questi è desso,
questi è Acchille, cui andian cercando »,
e gir se ne volean quindi con esso.


43
44
45
675
l
La qual cosa vedendo, sospirando
una sorella quivi contastava
a que' che lui andavan lusingando.


46
47
48
676
a
Acchille gir con essi disiava,
e spogliandosi l'abito iveritta
come buon cavalier presto s'armava.


49
50
51
677
v
Vedendo ciò Deidamia, trafitta
da grieve doglia, tutta scolorita
parea dicesse a lui allato ritta:


52
53
54
678
o
« Omè, anima mia, o dolce vita
del cor dolente che tu abandoni,
di cui fia tosto, credo, la finita,


55
56
57
679
i
in qua' parti vai tu? qua' regioni
cerchi tu più graziose che la mia?
deh, credi tu a questi due ladroni?


58
59
60

680
d
deh, non t'incresce di Deidamia?
I' son colei che più che altra t'amo
e che più ch'altra cosa ti disia.


61
62
63
681
i
In quant'io posso più mercé ti chiamo:
non mi ti torre, deh, non te ne gire,
non privar me di quel che io più bramo!


64
65
66
682
s
sola mia gioia, solo mio disire,
sola speranza mia, se tu ten vai,
subitamente mi credo morire.


67
68
69
683
i
In continova doglia e tristi guai
istarò sempre: deh, aggi pietate
di me, se grazia merita' giammai!


70
71
72
684
a
Ahi lassa, or son così guiderdonate
tutte le giovinette ch'aman voi,
che di subito sieno abandonate?


73
74
75

685
r
Ricordar certo credo che ti puoi
quanto onor abbi da me ricevuto,
e ancora puoi ricever, se tu vuoi.


76
77
78
686
l
L'abito che t'ha fatto sconosciuto
sì lungo tempo per me 'l ricevesti,
per me segreto se' stato tenuto.


79
80
81
687
e
E quando prima vergine m'avesti,
di mai partirti né d'altra pigliarne
sopra la fede tua mi promettesti.


82
83
84
688
p
Perché altrove vuogli adunque andarne?
Di me t'incresca e del comun figliuolo
ch'abbian, se non ti duol la propia carne.


85
86
87
689
i
Io so che tu vuogli ire al tristo stuolo
ch'è 'ntorno a Troia, ov'io dubito forte
che morto non vi sia e per gran duolo


88

690
a
a me medesma non ne segua morte.



CANTO XXIV, 29 terzine e coda di un verso

Dove tratta di Briseida, dell’amore che portava ad Achille, ed appresso di Polissena.

1
2
3

691
c
Così pareva che costei dicesse
ed altro assai, a' prieghi della quale
non mi pareva ch'Acchille intendesse;

4
5
6

692
e
e seguitava quelli al troian male,
contento più che d'esser lì rimaso,
dove quella era, a cui tanto ne cale.

693-716
et però volend'i' perseverare; secondo sonetto, prima terzina, primo verso, 24 lettere

7
8
9


693


e

E 'nnanzi a lui, incerto del suo caso,
Briseida era trista, inginocchiata,
col viso basso e di baldanza raso.


10
11
12
694
t
Tra l'altre cose quella sconsolata
piangendo mi parea che li dicesse:
« Deh, perché m'hai, Acchille, abandonata?


13
14
15
695
p
Per te convenne ch'io mi dolesse
de' miei fratelli, i quali io più amava
che altra cosa ch'io nel mondo avesse;


16
17
18
696 e
e, per l'amore che io ti portava
e porto, quella morte che tu desti
a lor dolenti non mi ricordava.


19
20
21
697
r
Rapita me per forza ancor m'avesti,
come tu sai, e mia verginitate
a forza e contro a voglia mi togliesti.


22
23
24
698
o
Omè, che allora la tua crudeltate
non conobb'io, ché l'animo sdegnoso
non t'avre' mai l'offese perdonate.


25
26
27
699
v
Veduta sempre in abito cruccioso
m'avresti certamente, e così forse
non avrei dentro amor per te nascoso.


28
29
30
700
o
Omè, quanto soperchio ve ne corse
quando con atti falsi mi mostrasti
ch'io ti piacessi, e questo il cor mi morse.


31
32
33
701
l
Levastimi da te, poi mi mandasti
a Agamenòn come schiava puttana:
in quello il falso amor ben dimostrasti


34
35
36
702
e
Eimè lassa, misera profana,
Briseida cattiva, che farai
abandonata in parte sì lontana?


37
38
39
703
n
Non mi lasciar morire in tanti guai,
Acchille, aggi piatà di me dolente
che t'amo più che Donna uom giammai!


40
41
42
704
d
Deh, guardami con l'occhio della mente,
e prendati pietà di me alquanto »,
dicea colei, ma non valea niente.


43
44
45
705
i
Ivi appresso costui vid'io che tanto
ardeva dell'amor di Pulisena,
ch'ogni miseria ed angoscioso pianto,


46
47
48
706
p
periglio, affanno, guai o grave pena
delle su dette vendicava amore,
il qual fervente gli era in ogni vena;


49
50
51
707
e
e per lei spesso mutava colore,
prieghi porgendo, e non erano intesi,
onde lui costringea grieve dolore.


52
53
54
708
r
Rimirando ivi ancora vediesi
Sesto ed Abido, picciole isolette,
e 'l mar che le divide ancor pariesi.


55
56
57
709
s
Sovvennemi ivi quando vi cadette
Ellès, andando di dietro al fratello
all'isola de' Colchi, ove ristette.


58
59
60
710
e
Era notando ignudo nato in quello
mare Leandro, andando ver colei
cui più amava, vigoroso e snello.

Qui e nelle terzine seguenti c'è la materia ripresa da Straparola per la favola di Malgherita Spolatina. Questo mostra la diffusione dell'Amorosa visione di Boccaccio.

61
62
63

711 Venuta là alla riva costei
vedea con panni e ricever costui,
tutto asciugando lui dal capo a' piei;

64
65
66
712
e
e poi vedeva quivi lei e lui
con tanta gioia standosi abracciati,
che simil non si vide mai in altrui.


67
68
69
713
r
Ritornar poi il vedea per li usati
mari alla casa, e di far quel camino
suoi membri non parien mai affannati.


70
71
72
714
a
A questo mare alquanto era vicino
Minòs, Alcatoè tenendo stretta
per forte assedio, volendo il destino


73
74
75
715
r
romper di quel capel che nella vetta
del capo a Niso stava, che per esso
l'oste di fuor non avea sospetta.


76
77
78

716
e
E quivi quella torre, ove fu messo
già lo strumento d'Appollo sonante,
vi si vedea rilucere appresso.


717-745
pur nello 'nmaginar vostra biltate; secondo sonetto, prima terzina, secondo verso, 

79
80
81


717


p

Pareva in quella Silla fiammeggiante
dell'amor di Minòs, che a vedere
stava l'oste a sua terra davante.


82
83
84

718
u
Venir la mi parea poscia vedere
avendo il porporin capel cavato
al padre, e a Minòs darlo, che 'l volere


85
86
87

719
r
robusto suo facea del disarmato
Niso, privando lui della sua gloria:
Silla gittata poi nel mar salato,


88

720
n
n'andava lieto della sua vittoria.




CANTO XXV, 29 terzine e coda di un verso
 
Dove tratta de’ medesimi innamorati, e in parte di Biblide, che s’innamorò del fratello.

1
2
3

721
e
Era più là Alfeo, con le sue onde
piegate intorno e dietro ad Aretusa,
con quelle terre che correndo infonde.


4
5
6

722
l

Là era Egisto ancor, che per iscusa
del sacerdozio non andò a Troia
ma Clitemestra si tenea inchiusa,


7
8
9

723
l
lei imbracciata e prendendone gioia
a suo piacere, ben che poco appresso
le ne seguisse sconsolata noia.


10
11
12

724
o
Oh, come quivi, alquanto dop'esso,
seguian Cannace e Macareo dolenti,
divisi per lo lor fallo commesso!


13
14
15

725
n
Non molto dopo lor così scontenti
Biblide vidi lì, che seguitava
il suo fratel con atti molto ardenti.

Compassione di Boccaccio per l'amore di Biblide, che è trattat ocome una forma d'amore
16
17
18

726
m
Molto pietosamente a lui andava
dietro parlando, sì come parea
negli atti suoi che quivi dimostrava.


19
20
21

727
a
« Ahi dolce signor mio », ver lui dicea,
« deh, non fuggir, deh, prendati pietate
di me che per te vivo in vita rea!



22
23
24

728
g
Guarda con l'occhio alquanto mia biltate,
pensi l'animo tuo il mio valore,
lo qual perisce per tua crudeltate.


25
26
27

729
i
Io non t'ho per fratel ma per signore:
vedi ch'io muoio per la tua bellezza,
per te piango, per te si strugge il core.

28
29
30

730
n
Non tener più ver me questa fierezza,
e 'l superfluo nome di fratello
lascialo andar, ch'a tenerlo è mattezza.


31
32
33

731
a
Aiutami, che puoi, e farai quello
che più aspetta quella che si sface
considerando il tuo aspetto bello.

34
35
36

732
r
Riso, conforto ed allegrezza e pace
render mi puoi, se vuoi: dunque che fai?
Deh, contentami alquanto, se ti piace!

37
38
39

733



v
Vedi ch'io mi consumo in tanti guai,
ch'altra neuna mai ne sentì tanti
per te, cui io disio, e tu tel sai.


40
41
42

734
o
Omè, fortuna trista delli amanti!
come coloro che non sono amati
amando altrui, da tua rota son franti!

Non c'è sempre un fantasma d'incesto in ogni amore impossibile, che fa soffrire tanto l'amante rifiutato? Nota completa
43
44
45

735
s
Se tu riguardi però che chiamati
sorella e frate sian, non è niente,
com dissi, e minor fieno i tuoi peccati


46
47
48

736
t
togliendomi dolor, che se dolente
morir mi fai per non aconsentire
a quel che sol disia la mia mente.


49
50
51

737
r
Rivolgiti, per Dio, deh, non fuggire!
pensa ch'ogni animal tal legge tene
quale a te chiede il mio forte disire.


52
53
54

738
a
A te molto più tosto si conviene
in questo atto fallir, che dispietato
farmi morir nelle noiose pene.»

55
56
57

739
b
Biblide trista, quanto t'è in disgrato
veder colui, che ti dovria atare
da chi noia ti desse in alcun lato,


58
59
60

740
i
il tuo dolore in te forte aggregare!
e non che voglia fare il tuo disio,
ma tue parole non vuole ascoltare.


61
62
63

741
l
Là poi appresso, al mio parer, vid'io
Fillis allato star a Demofonte
e pianger sé di lui in atto pio.


64
65
66

742
t
Tutta turbata sue parole conte
li profferia, ricordandoli ancora
quant'ella e le sue cose tutte pronte


67
68
69

743
a
al suo servigio furono, e com'ora,
a lei fallita la promessa fede,
per troppo amor dolor grieve l'acora.


70
71
72

744
t
Tra questi, oltre nel prato, vi si vede
Meleagro e Atalanta che ciascuno
segue un cinghial con solecito piede,


73
74
75

745
e
e quanto ad esso sforzandosi ognuno
offende, accesi d'amoroso foco,
non lasciandoli affar danno nessuno.


746-773
cerco con rime nuove farvi i' onore; secondo sonetto, prima terzina, terzo verso,

76
77
78


746

c

Costor preiva, più avanti un poco,
Aconzio in man con la palla dell'oro
ch'a Cidipe gittò nel santo loco,

79
80
81

747
e
e quella quivi ancor facea dimoro:
dicendo a lei Aconzio che sua era,
ella negandol, parlavan fra loro;


82
83
84

748
r
riguardando l'un l'altro, in tal maniera
Cidipe a lui dicendo: « Se ingannata
fu' i' da te, la mia voglia non v'era;


85
86
87

749
c
ché, s'io mi fossi della palla addata,
non l'avria mai rimirata né letta,
anzi l'avrei tosto indietro gittata:

88

750
o
onde mai non m'avrai e questo aspetta.






CANTO XXVI, 30 terzine e coda di un verso

Come l’autore trova nel detto giardino Ercole, e la sua donna Deidamia, e di Jole.

1
2
3

751
c
Com'io mirando andava quel giardino,
vi vidi in una parte effigiato
Ercule grande a Cidipe vicino;


4
5
6

752
o
ove con lui sedeva dall'un lato
Iole piacente e bella nello aspetto,
cui presa avea nel paese acquistato.


7
8
9

753
n
Non mirava Ercule altro che 'l conspetto
di lei, e quindi tanta gioia prendea
che duol li fora stato altro diletto.


10
11
12

754
r
Ramaricando dopo lui vedea
istar tutta turbata Deianira,
perch'a sé ritornarlo non potea.


13
14
15

755
i
Il molle petto acceso in foco d'ira
mostrava ch'ell'avesse, ognor soffiando
forse per rabbia che in lei si gira.


16
17
18

756
m
Ma, poco spazio, parea che parlando
dicesse a lui: « O signor valoroso,
volgiti a me, come tu suoli, amando,

19
20
21

757
e
e lascia cotestei, cui poderoso
guadagnasti per serva e 'l suo paese
insieme, con vittoria glorioso.


22
23
24

758
n
Non senti tu ch'a ogni uomo è palese
quel che la fama ora in contrario sona,
di te, alle passate tue imprese?


25
26
27

759
u
Veramente di te ogni uom ragiona,
ché tu col forte dito quella lana
fili che Iole pesando ti dona.


28
29
30

760
o
Ogni uomo ancora, ch'abbia mente sana,
crede che tu il canestro con le fusa
porti di dietro alla giovane strana.


31
32
33

761
v
Vogliono ancora dire ch'ella t'usa
in ciascuno atto come servidore,
né ti giova donare alcuna scusa.


34
35
36

762
e
È così ismarrito il tuo valore
che tu non pensi alle cose passate,
ogni virtute obliando ed onore?


37
38
39

763
f
forse t'ha ella le forze levate
con alcun suo ingegno falsamente,
come le donne fanno alle fiate?


40
41
42

764
a
Almen non dovria mai della tua mente
trar quel che tu in culla ancor facesti,
l'uno uccidendo e poi l'altro serpente.


43
44
45

765
r
Ricordar de' ti ancor che uccidesti
Busiri, ed in Libia il grande Anteo
della Terra figliuolo ancor vincesti.


46
47
48

766
v
Vinto traesti quel Cerbero reo
ch'avea tre teste, e tu con tre catene
legasti lui poi ch'a te si rendeo.


49
50
51

767
i
Il drago ancora con sudanti pene,
ch'ognor sanza dormir i pomi d'oro
guardando stava, fu morto da tene.


52
53
54

768
i
I forti corni al furioso toro
rompesti, ed i Centauri domasti
quando di pria combattesti con loro.


55
56
57

769
o
Or non fostù colui che consumasti
l'Idra, che doppi capi in suo aiuto
rimettea quando gliele avevi guasti?


58
59
60

770
n
non fu da te il guastator feruto
d'Arcadia? sì fu, e fu colui
ch'avea di carne umana riempiuto


61
62
63

771
o
ogni suo armento, togliendo l'altrui,
da te ucciso; e quel Cacco rubesto
tu uccidesti, rubato da lui,


64
65
66

772
r
reggendo ancora dopo tutto questo
il ciel gravante sopra le tue spalle,
ch'a ogni altr'uom saria stato molesto.


67
68
69

773
e E s'io volessi andar per dritto calle
ogni vittoria a tua mente rendendo,
io avrei troppo a fare a racontalle.


774-811 Questo mi mosse donna a compilare; secondo sonetto, seconda terzina, primo verso, 28 lettere

70
71
72

774

Q

Queste so c'hai a mente: or dunque, essendo
sanza pazzia, talora fra te stesso
non ti vergogni tu Iole seguendo?


73
74
75
775
u
Volesse Iddio che tu giammai a Nesso
non m'avessi levata, che mi amava,
e forse in gioia or mi sarei con esso!


76
77
78
776
e
E non per tanto io non imaginava
che mai per altra Donna mi lasciassi,
poiché te per altrui io non lasciava.


79
80
81
777
s
Se quella con cui tu ora ti passi
ismemorato in festa ed allegrezza,
tanta virtù in lei forse trovassi,


82
83
84
778
t
tanto piacere e tanto di bellezza
quanto in me, io non riputerei
l'aver lasciata me fosse mattezza.


85
86
87
779
o
Ognora più di ciò ti loderei:
ma s'io ho ben la sua bellezza intesa,
certo io son molto più bella di lei.


88
89
90

780
m
Molto mi tengo in questa parte offesa;
ma torna a me e tutto ti perdono,
e la tua forza in bene ovrar palesa:


91

781
i
io cheggo a te di grazia questo dono.




CANTO XXVII, 29 terzine e coda di un verso

Dov’era figurato come Paris dà per sentenza la palla dell’oro a Venus; e come va per Elena in Isparta, e rapiscela per forza.

1
2
3

782
m
Mostravasi ivi ancora effigiata
la valle d'Ida profonda ed oscura,
d'alberi molti e di frondi occupata,


4
5
6

783
o
ove io discernetti la figura
di quel Parìs, piacevole Troiano,
per cui Troia sentì la sua arsura.




7
8
9

784
s
Sol si sedeva là nel loco strano,
davanti al qual Pallade, Giuno e Venere
eran con una palla d'oro in mano.

Il primato dell'amore, spirituale e carnale, è qui testimoniato dal grande mito greco. Questo primato è già affermato da Boccaccio nella Caccia di Diana (1334). Nota completa
10
11
12

785 s Sanza alcun vestimento ignude, tenere,
bianche e vermiglie quivi e dilicate
le mi pareva nel sembiante scernere;


13
14
15
786
e
e diceano a Parìs: « In cui biltate
di noi più vedi, questo pomo d'oro
donalo a lei, quando ci avrai avisate. »


16
17
18

787
d
Dal capo al piè rimirava costoro
Parìs: ciascuna bella lì parea,
onde fra sé dicea: « Deh, quale onoro? »


19
20
21
788
o
Ognuna d'esse ad esso promettea
e chi senno e chi ricchezze e chi amore
di bella Donna, pur ch'a lei la dea.


22
23
24
789
n
Non si sapea esaminar nel core
Parìs qual d'esse più biltate avesse,
né qual ben si pigliar per lo migliore.


25
26
27
790
n
Nel lungo esaminare infine elesse
Venus per la più bella, e diella a lei,
sub condizion che ella gli attenesse


28
29
30
791
a
a farli avere in sua balia colei,
cui ella avea lodata per sì bella,
che nulla v'era simile di lei.


31
32
33
792
a
A cui pareva che rispondesse ella:
« Va tu per essa, ché col mio aiuto
io farò sì che tua si sarà quella.»


34
35
36
793
c
Costui vid'io, poco appresso, saluto
sur una nave e dar le vele al vento
e tosto in Ispartèn esser venuto;


37
38
39
794
o
ove disceso, sanza tardamento,
andando Menelao inverso Creti,
a fornir cominciò suo intendimento.


40
41
42
795
m
Ma dopo molte cose, quivi lieti
egli ed Elena bella e graziosa
saliti in nave, pe' salati freti


43
44
45
796
p
poste le vele, sanza alcuna posa
tornava a Troia, e quivi si mostrava
la vita lor quanto fosse gioiosa.


46
47
48
797
i
Ivi Oenone ancora lagrimava
il perduto marito e con pietose
parole a sé invano il richiamava.


49
50
51
798
l
Là si vedea Ifi e Iante amorose
far festa pria che maschio ritornasse
que' che 'l suo sesso tanto tempo ascose.


52
53
54
799
a
Appresso mi parea che seguitasse
Laudomia bella sospirando,
come se del suo mal s'indovinasse.


55
56
57
800
r
Raviluppata tutta e non curando
di sé, Protessilao di bella cera
s'aveva fatto, lui raffigurando;

Non dal mito di Pigmalione, ma dalla storia di Laudamia e Protesilao Basile potrebbe aver tratto Panepinto. Salvo cambiare il finale, da tragico a felice, dopo la peripezia della sposa.
58
59
60
801
e
e poi a quella innanzi posta s'era
in ginocchion, dicendo: « Signor mio,
se io ti sono amanza e Donna vera,


802-824
la visione in parole rimate; secondo sonetto, seconda terzina, secondo verso, 23 lettere





61
62
63
802
l
leal come dicesti, fa che io
ti veggia ritornar con quella gloria,
ch'io l'arme tue presenti al forte iddio.


64
65
66
803
a
A que' c'hanno mestier della vittoria,
lasciali pria combatter, e il periglio
propio fuggi: ch'ognor ch'a memoria


67
68
69
804
v
viemmi quel ch'io già in alcun pispiglio
udii d'Ettòr, che tanti cavalieri
contasta combattendo, ogni consiglio


70
71
72
805
i
in me fugge di me, e volentieri
nel tuo andare ti vorrei aver detto
ch'alla battaglia tu fossi il derrieri.


73
74
75
806
s
Sola mia gioia, solo mio diletto,
fa sì ch'io sia di tua tornata lieta,
ché sanza te mai gioia non aspetto. »


76
77
78
807
i
In tal maniera quivi mansueta
si stava Laudomia, tal volta
d'angosciosi sospir tutta repleta.


79
80
81
808
o
Or era ancora verso lei rivolta
Penelopè, che aspettando Ulisse
giammai non fu dal suo amor disciolta.


82
83
84

809
n
Nella qual tenend'io le luci fisse,
fra me volvea quanto fosse il disire
di que' che mai non cre' ch'a lei reddisse,


85
86
87
810
e
e quanto volle del mondo sentire,
ché per voler veder trapassò il segno
dal qual nessun poté mai in qua reddire,


88

811
i
io dico forza usando né suo ingegno.






CANTO XXVIII, 29 terzine e coda di un verso

Dove l’autore tratta dello innamoramento di Dido e d’Enea, e come Enea si parte; e nell’ultimo della morte di Dido.

1
2
3
812
n
Non so chi sì crudel si fosse stato
che, quel ch'io vidi appresso rimirando,
di pietà non avesse lagrimato.

4
5
6
813
p
Pareva quivi apertamente quando
Dido partissi in fuga dal fratello,
e similmente come, edificando


7
8
9
814
a
a più poter, Cartagine nel bello
e util sito faceva avanzare,
e come a 'ngegno l'abitava quello.


10
11
12
815
r
Ricever quivi Enea ed onorare
lui e' suoi ancor vi si vedea
liberamente; e sanza dimorare


13
14
15
816 o oltre mirando, ancora mi parea
vederle in braccio molto stretto Amore,
ben che Ascanio aver vi si credea;


16
17
18
817
i
lo qual basciando spesso, del suo ardore
prendea gran quantità occultamente,
tuttor tenendol nel segreto core.


19
20
21
818
e
Eravi poi come insiememente
costei con Enea ed altri assai
a caval giva onorevolmente,


22
23
24
819
r
ripetend'ella in sé quel che giammai
più non pareva a lei aver sentito,
fuor per Sicceo, sì com'io avisai.


25
26
27
820
i
Il chiaro viso bello e colorito,
mirando Enea con benigno aspetto,
tornava bianco spesso e scolorito.


28
29
30
821
m
Ma pervenuti quivi ad un boschetto,
lasciando i cani a' cerbi paurosi
di dietro, incominciaro il lor diletto.


31
32
33

822
a
Altri cornavano ed altri animosi
correvan dietro, e gridando faceano
i can più per lo grido valorosi.


34
35
36
823
t
Tutto un gran monte già compreso aveano
i cacciatori, e 'n una valle oscura
Dido ed Enea rimasi pareano.


37
38
39
824
e
E sì faccendo, fuor d'ogni misura
un vento quivi pareva levato,
che di nuvoli avea già la pianura


825-850
che io vi mando qui per mio amore; secondo sonetto, seconda terzina, terzo verso, 26 lettere

40
41
42


825

c


chiuso ed il monte ancora: onde tornato
pareva il sole indietro e divenuto
oscura notte il dì in ogni lato.


43
44
45
826
h
Horribili e gran tuon ciascun sentuto
aveva, e lampi venivano ardenti
con piover tal che mai non fu veduto.


46
47
48
827
e
Enea e Dido là fuggian correnti
in una grotta, e la lor compagnia
perduta avean, di ciò forse contenti.


49
50
51
828
i
Ivi parea che Dido ad Enea pria
parlasse molte parole amorose,
dopo le quali suo disio scopria:


52
53
54

829
o
ove Enea ascoltar quelle cose
vedeasi, lei, abracciata tenere,
e quel fornir che ella li propose.


55
56
57
830
v
Venuti poi al lor reale ostiere
ed in tal gioia lungo tempo stati,
l'uno adempiendo dell'altro il piacere,


58
59
60
831
i
in quel luogo medesimo cambiati
vi si vedea dell'uno i sembianti
e dell'altro i voleri esser mutati.


61
62
63
832
m
Molto affrettando li suoi navicanti
Enea vi si vedea per mar fuggire,
le vele date all'aure soffianti.


64
65
66
833 a
A cui Dido parea di dietro dire:
« Omè, Enea, or che t'aveva io fatto
che fuggendo disii il mio morire?


67
68
69
834
n
Non è questo servar tra noi quel patto
che tu mi promettesti: or m'è palese
lo 'nganno c'hai coperto con falso atto.


70
71
72
835
d
Deh, non fuggir! Se l'essermi cortese
forse non vuogli, vincati pietate
almen de' tuoi, che vedi quante offese


73
74
75
836
o
ognora ti minaccian le salate
onde del mar, per lo verno noioso
ch'ora 'ncomincia; e già hanno lasciate


76
77
78
837
q
qualunque leggi nel tempo amoroso
sogliono avere i venti, e ciascheduno
esce a sua posta e torna furioso.


79
80
81
838
u
Vedi ch'ad ora ad or ritorna bruno
l'acre e nebuloso e molti tuoni
e lampi lui percuotono, e nessuno


82
83
84
839
i
impeto è che or non s'abandoni
e faccia danno; e tu col tuo figliuolo
ora cercate nuove regioni!


85
86
87
840
p
Posati adunque tu ed il tuo stuolo,
lasciami almeno apparare a biasmarmi
immaginando il mio etterno duolo:


88

841
e
e poi, se tu vorrai, potrai lasciarmi.»






CANTO XXIX, 29 terzine e coda di un verso

Dove tratta della medesima visione, e nell’ultimo di Lancillotto, e di Tristano e d’Isotta.

1
2
3
842
r
Riversata piangendo quivi appresso
si stava Dido in sul misero letto,
dov'era già dormitasi con esso,


4
5
6
843
m
maladicendo sé e 'l tristo petto
pien d'aspre cure aspramente battendo,
ripetendo ivi il perduto diletto.


7
8
9
844
i
In atto mi parea così dicendo:
« O doloroso luogo nel qual fui
già con Enea, tanta gioia sentendo,


10
11
12
845
o
omè, perché come ci avesti dui,
due non ci tieni? perché consentisti
che te giammai vedessi sanza lui?


13
14
15

846
a
A' miei sconsolati membri e tristi
porgi con falsa immagine letizia,
quando per te li spando, ove copristi


16
17
18
847
m
molte fiate già quel che 'n tristizia
ora mi fa sanza cagione stare
per lo suo inganno e coperta malizia. »


19
20
21
848
o
Oh come trista lì ramaricare
la vi vedea con quella spada in mano
che fé poi la sua vita terminare!


22
23
24
849
r
Rompendosi le nere veste, invano
chiamando il nome d'Enea che l'atasse,
si pose quella al suo petto non sano:


25
26
27
850
e
e poi sopr'essa parve si lasciasse
cader piangendo e sospirando forte,
perché la spada di sopra passasse.


851-877
Fatele onor secondo il su' valore; secondo sonetto, coda (distico), primo verso, 27 lettere
28
29
30
851
F
Forata quivi, dolorosa morte
l'occupò sopra 'l letto ove sedea
prima piangendo sua misera sorte.


31
32
33
852
a
Appresso questo, al mio parer,
vedea tanto contenti Florio e Biancifiore,
quantunque più ciascuno esser potea:


34
35
36
853
t
Tututto il lor trapassato dolore
v'era dipinto, degno di memoria.
pensando al lor perfettissimo amore.


37
38
39
854
e
E dopo questa piacevole storia,
vi vidi Lancilotto effigiato
con quella che sì lunga fu sua gloria.


40
41
42
855
l
Lì dopo lui, dal suo destro lato,
era Tristano e quella di cui elli
fu più che d'altra mai innamorato;


43
44
45

856 e
E più assai ancora dopo a quelli
n'avea ch'io non conobbi, o che la mente
non mi ridice bene i nomi d'elli.


46
47
48
857
o
Ond'io, che 'n maggior parte la presente
faccia compresa avea, ritornai 'l viso
a quella Donna più ch'altra piacente.


49
50
51
858
n
Nol so, ma credol che di Paradiso
ella venisse, come io già dissi,
tant'ha biltà, valore e dolce riso.


52
53
54
859
o
« Oh felice colui », con gli occhi fissi
a lei allora a dire incominciai,
« cui tu del tuo piacer degno coprissi!


55
56
57
860
r
Ringraziato possa esser sempre mai
il tuo Fattore, sì com'elli è degno,
veggendo le bellezze che tu hai.


58
59
60
861
s

Se un'altra volta il suo beato ingegno
ponesse a far sì bella creatura,
credo che lieto il doloroso regno


61
62
63
862
e
E' metterebbe in gioia fuor di misura,
che' santi scenderieno alla tua luce
e que' d'abisso verrieno in altura »,


64
65
66
863
c
« Con quanta gioia, credo, si conduce
ciascun di questi ch'è pien della grazia
di quel », ricominciai, « che qui è duce.


67
68
69
864
o
Oh quanto è glorioso chi si spazia
ne' suoi disii mediante questo,
se con vile atto tosto non si sazia!


70
71
72
865
n
Non è occulto ciò, poscia che presto
chi più ha pena più oltre s'invia
a volerne sentir, ben che molesto,


73
74
75
866
d
dolendo sé, altrui dica che sia:
dunque se questo martire è soave,
la pace che ne segue chente fia?


76
77
78
867
o
Oh quanti e quali già il tenner grave
ch'avrieno il collo a via maggior gravezza
posto, sappiendo il dolce che 'n sé have!


79
80
81
868
i
Invidiosi alcuni dicon mattezza
esser seguir con ragion quello stile
che dà questo signor di gentilezza,


82
83
84
869
l
lo qual discaccia via ogni atto vile:
piacevole, cortese e valoroso
fa chi lui segue e più ch'altro gentile.


85
86
87
870 s
Superbia abatte, onde ciascun ritroso
o di vil condizione esser non puote
di sua schiera, e quinci invidioso


88
871
u
va ischernendo que' cui e' percuote ».






CANTO XXX, 29 terzine e coda di un verso

Dove l’autore pone ch’egli trova la prima donna bellissima, e com’egli la seguita.

1
2
3
872
v
Volendo porre fine al recitare,
ch'a tutto dir troppo lungo saria,
tanto più ch'io non dico ancor vi pare,


4
5
6

873
a
a quella Donna graziosa e pia
che dentro alla gran porta principale
col suo dolce parlar mi mise pria,


7
8
9
874
l
lei mirando, volta'mi: « Oh quanto vale »,
dicendo, « aver vedute queste cose
che diciavate ch'eran tanto male!


10
11
12
875
o
Or come si porria più valorose,
che queste sien, giammai per nullo avere
o pensare o udir più maravigliose? ».


13
14
15
876
r
Rispose allor colei:  « Parti vedere
quel ben che tu cercavi qui dipinto,
ché son cose fallaci e fuor di vere?


16
17
18
877
e
E' mi par pur che tal vista sospinto
t'abbia in falsa oppinion la mente,
ed ogni altro dovuto ne sia stinto.


878-903
avendo a tempo poi di me pietate; secondo sonetto, coda (distico) secondo verso; lettere 26

19
20
21

878

a

Adunque torna in te debitamente:
ricorditi che morte col dubioso
colpo già vinse tutta questa gente.


22
23
24
879
v
Ver è ch'alcun più ch'altro valoroso
meritò fama, ma se 'l mondo dura
e' perirà il suo nome glorioso.


25
26
27

880
e
È questa simigliante alla verdura
che vi porge Ariete, che vegnendo
poi Libra appresso seccando l'oscura.


28
29
30
881
n
Nullo altro ben si dee andar caendo
che quello ove ci mena la via stretta,
dove entrar non volesti qua correndo.


31
32
33
882 d
Deh, quanto quello a' più savi diletta,
grazioso ed etterno! ed io il ti dissi
quando d'entrar pur qui avesti fretta.


34
35
36
883
o
Or dunque fa che più non stieno fissi
gli occhi a cotal piacer: ché se tu bene
quel ch'egli è con dritto occhio scoprissi,


37
38
39

884
a
aperto ti saria che 'n gravi pene
vive e dimora chiunque ha speranza
non saviamente, e a cotai cose tene.


40
41
42

885
t
Tu t'abagli te stesso in falsa erranza
con falso immaginar, per le presenti
cose che son di famosa mostranza.


43
44
45

886
e
Ed io, acciò che' vani avedimenti
cacci da te, vo' che mi segui alquanto;
e mosterrotti contro a quel ch'or senti,


46
47
48

887
m
mostrandoti la gioia e 'l lieto canto
de' tristi, che 'n ta' cose ebber già fede,
mutarsi in brieve in doloroso pianto.


49
50
51

888
p
Potrai veder colei, in cui si crede
essere ogni poter ne' ben mondani,
quanto arrogante a suo mestier provede,


52
53
54

889
o
or dando a questo, or ritornando vani
ciò che diede a quell'altro, molestando
in cotal guisa l'intelletti umani.


55
56
57

890
p
Per quel potrai veder vero, pensando
quanto sia van quel ben che' vostri petti
va sanza ragion nulla stimolando;


58
59
60

891
o
onde, seguendo que' beni imperfetti
con cieca mente, morendo perdete
il potere acquistare poi i perfetti.


61
62
63

892
i
In tal disio mai non si sazia sete:
dunque a quel ben, che sempre altrui tien sazio
e per cui acquistar nati ci sete,


64
65
66

893
d
dovrebbe ognuno, mentre ch'egli ha spazio,
affannarsi ad avere. Omai andiamo,
ché già il luminoso e gran topazio


67
68
69

894
i
in sulla seconda ora esser veggiamo
già sopra l'orizonte, ed il cammino
è lungo al poco spazio che abbiamo.


70
71
72

895
m
Ma io spero che 'l voler divino
ne farà grazia, ed io così li cheggio,
ched e' non ci fallisca punto infino


73
74
75

896
e
entrati sarem là, ove quel seggio
del perfetto riposo è stabilito
per que' che non disian d'aver peggio ».


76
77
78

897
p
Poi ch'io ebbi sì parlare udito
a quella Donna, io le rispuosi: « Andate,
nullo mio passo fia da voi partito.


79
80
81

898
i
In questo sol vi priego che m'atiate,
che là dove 'l disio mi trasportasse
contra vostro piacer, mi correggiate ».


82
83
84

899
e
Ella mostrò negli atti ch'accettasse
la mia domanda, e mossesi e rivolta
mi disse allora ch'io la seguitasse.


85
86
87

900
t
Tutti e tre insieme, avvegna che con molta
fatica, la seguimmo, e la cagione
fu perché quistionammo alcuna volta


88

901
a
a non voler seguir sua mostrazione.





CANTO XXXI, 29 terzine e coda di un verso, versi 1-6

Dove tratta come vede la Fortuna, e’ ben che dà e toglie; e nell’ultimo come si rammarica di lei.

1
2
3

902
t
Tosto finì il suo cammin costei,
che di quel loco per una portella
in altra sala ci menò con lei.


4
5
6

903
e
Ell'era grande, spaziosa e bella,
ornata tutta di belle pinture,
sì come l'altra ch'è davanti ad ella.




NOTE ECCEDENTI LO SPAZIO A LATO DEL TESTO


600
Principe Galeotto è il nome del Decameron.
Galeotto (Galehaut), nel ciclo bretone spinge all'unione Lancillotto e Ginevra.
Nel Canto V della Divina Commedia Galeotto è chiamato il libro che Paolo e Francesca leggono prima di manifestare il loro amore e cedere al desiderio di amarsi: Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse. Il libro spinge gli amanti l'uno nelle braccia dell'altra come Galeotto favorisce l'unione dell'amico Lancillotto e di Ginevra.
Comincia il libro chiamato Decameron, cognominato prencipe Galeotto, così comincia il grande libro di Boccaccio. Decameron è il nome - chiamato - e Galeotto il cognome - cognominato. Il Decameron - l'opera, il libro - e chi lo scrisse - Giovanni Boccaccio - spingono gli innamorati a cedere al loro amore e unirsi.
Questa è l'opera di assoggettamento all'amore, che permette il dissoggettamento dalle gerarchie e apre la possibilità della soggettivazione. Che non deve nulla a nessuna gerarchia, né appartiene a un popolo o a un'ideologia o a una religione particolare: nel Decameron il Saladino è liberale quanto il re cristiano, l'oste o il cuoco possono vincere in liberalità o in intelligenza il nobile, e infine la donna di umilissima origine, Griselda, vince il nobile marchese Gualtieri di Saluzzo.



734
Non c'è sempre un fantasma d'incesto in ogni amore impossibile, e che fa soffrire tanto l'amante rifiutato? Non c'è sempre l'impossibile dell'infanzia e il necessario rifiuto non accettato?
Non è sempre e solo questa la castrazione? il riconoscimento della propria condizione infantile diversa da quella adulta, che è la sola condizione per crescere?
Non è questa la castrazione di cui parla Lacan? O che intende Lacan? O almeno io l'intendo così. Solo la liberazione dal fantasma incestuoso permette quel condono tombale che secondo me si deve fare nei confronti dei genitori. Ogni rimostranza violenta attesta invece l'incesto in corso, quanto l'attaccamento morboso.


784
Il primato dell'amore, spirituale e carnale, è qui testimoniato dal grande mito greco. Questo primato è già affermato da Boccaccio nella Caccia di Diana (1334). Torna in tanti passaggi di questo poema, in maniera diretta quando Boccaccio sceglie una porta diversa da quella della virtù indicata dalla sua guida. La forza del desiderio erotico è la forza della vita: così in tutte le novelle del Decameron, in chiaro nell'intervento in prima persona nella novella delle oche da imbeccare, quando il padre si rassegna di fronte alla sconfitta della sua educazione repressiva. Se Freud avesse conosciuto Boccaccio, ci avrebbe scritto qualcosa.
A questo proposito torna psicoanaliticamente l'idea del primato erotico come regolatore della supermappa umana. Incorniciato da tutte le gerarchie sociali, ma indispensabile perché la vita scorra dentro e fuori di noi. Il creodo erotico, già il più potente nei mammiferi, resta dominante espandendosi oltre i confini del ciclo erotico, con limiti che possono sempre esser spostati. E' come se la mappa erotica avesse accettato limiti alla sua dominanza, mantenendo la prerogativa di accendere l'essere al di là - Jenseits! - di qualsiasi limite. Quel che Saviano racconta dei mafiosi testimonia questo dato di fatto 









As
Soon
As
Possible

Prima
Possibile














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