ADALINDA GASPARINI              PSICOANALISI E FAVOLE
 
 

L'AMOROSA VISIONE DI GIOVANNI BOCCACCIO
OVVERO L'ACROSTICO PIÙ GRANDE DI OGNI TEMPO E PAESE
TERZA PARTE

INTRODUZIONE
ASAP - PP
HOME PAGE INDICE DEI NOMI
PRIMA PARTE
Primo sonetto
Canti I-XVI

SECONDA PARTE
Secondo sonetto
Canti XVI-XXXI

TERZA PARTE
Terzo sonetto
Canti XXXI-L


                                                                                              
SONETTO TERZO


CANTI XXXI-L
Dedicato ai lettori (a me che studio, a te che leggi)
Quartine rinterzate con due settenari, terzine rinterzate con un settenario, caudato con una terzina rinterzata con due settenari, 25 versi, 599 lettere

904-929
930-942
943-965
966-993
994-1009
1010-1040

1041-1067
1068-1081
1082-1113
1114-1144
1145-1163
1164-1189

1190-1219
1220-1247
1248-1264
1265-1295

1296-1323
1324-1350
1351-1368
1369-1395

1396-1420
1421-1436
1437-1463
1464-1477
1478-1502

A
a
B
B
b
A

A
a
B
B
b
A

C
D
d
C

D
C
c
D

E
e
E
f
F
O chi che voi vi siate, o gratiosi
     Animi virtuosi,
In cui amor come ’n beato loco
Celato tene il suo giocondo focho;
     I’ vi priego c’un poco
Prestiate lo ’ntelletto agli amorosi

Versi, li quali sospinto conposi,
     Forse da disiosi
Voler troppo ’nfiammato: o se ’l mio fioco
Cantar s’imvischa nel proferer broco,
     O troppo è chiaro o roco,
Amendatel’acciò che ben riposi.

Se in sè fructo, o forse alcun dilecto
Porgesse a vo’ lector, ringratiate
     Colei, la cui biltate
Questo mi mosse a ffar come subgiecto.

E perchè voi costei me’ conosciate,
Ella somigli’ amor nel su’ aspecto,
    Tanto c’alcun difecto
Non v’á a chi già ’l vide altre fïate;

E l’un dell’altro si gode di loro,
     Ond’io lieto dimoro.
Rendete a llei 'l meritato alloro,
     E più non dic’omai,
Perché decto mi par aver assai.







CANTO XXXI, 29 terzine e coda di un verso, versi 7-88

Dove tratta come vede la Fortuna, e' ben che dà e toglie; e nell'ultimo come si rammarica di lei.

904-924
O chi che voi vi siate, o gratiosi - terzo sonetto, prima quartina, primo verso, endecasillabo, 26 lettere





7
8
9

904

O

Oh quanto quivi in atto le figure
si mostravan tututte variate
dall'altre prime e non così sicure!

10
11
12

905
c Color con festa e con gioconditate
parevan tutte con be' vestimenti,
costor con doglia e con avversitate.


13
14
15

906
h Hai, quanto quivi parevan dolenti
e spaventati, qualunque vi s'era,
con vili e poverissimi ornamenti!


16
17
18

907
i Ivi vid'io dipinta, in forma vera,
colei che muta ogni mondano stato,
tal volta lieta e tal con trista cera,


19
20
21

908
c
col viso tutto d'un panno fasciato,
e leggermente con le man volvea
una gran rota verso il manco lato.


22
23
24

909
h
Horribile negli atti mi parea,
e quasi sorda a niun priego fatto
da nullo lo 'ntelletto vi porgea;


25
26
27

910
e
e legge non avea né fermo patto
negli atti suoi volubili e incostanti,
ma come posto talor l'avea fratto:


28
29
30

911
v
volvendo sempre ora 'n dietro ora avanti
la rota sua sanza alcun riposo,
con essa dando gioia e talor pianti.


31
32
33

912
o
« Ogni uom che vuol montarci su sia oso
di farlo, ma quand'io 'l gitto a basso
inverso me non torni allor cruccioso.


34
35
36

913
i
Io non negai mai ad alcuno il passo
né per alcun mia maniera mutai,
né muterò, né 'l mio girar fia lasso,


37
38
39

914
v venga chi vuol. » Così immaginai
ch'ella dicesse, perché riguardando
dintorno ad essa vi vid'io assai,


40
41
42

915
i
i qua' su per la rota aderpicando
s'andavan con le man con tutto ingegno,
fino alla sommità d'essa montando.


43
44
45

916
s
Saliti su parea dicesser: «  Regno »;
altri cadendo en l'infima cornice
parea dicessero: «  Io son sanza regno. »

46
47
48

917
i
In cotal guisa un tristo, altro felice
facea costei, secondo che la mente,
la qual non erra, ancora mi ridice.


49
50
51

918

a
Allor rivolto alla Donna piacente
dissi: « Costei, ch'io veggio qui voltare,
conosco io per nimica veramente.

Riferimento alla sua nascita illegittima?
52
53
54

919
t
Tra l'altre creature a cui mi pare
dover portar più odio, questa è dessa,
però ch'ogni sua forza ed operare

55
56
57

920
e
ell'ha contra di me opposta e messa:
né prieghi, né saper, né forza alcuna
pacificar mi può giammai con essa.


58
59
60
921
o
Ognora nella faccia persa e bruna
mi si mostra crucciata e sempre a fondo
della sua rota mi trae dalla cuna,


61
62
63

922
g
gravandomi di sì noioso pondo
che levar non mi posso a risalire,
onde giammai non posso esser giocondo ».


64
65
66
923
r
Ridendo allor mi cominciò a dire
la Donna: « Allora e' tu se' di coloro
ch'alle mondane cose hanno 'l disire?


67
68
69
924
a
ai quali se ella desse tutto l'oro
che è sotto la luna, pure aversa
riputerebber lei a' voler loro.


70
71
72
925
t
Torrotti adunque di cotal traversa
oppinione, e mostrerotti come
più son beati que' che l'han perversa.


73
74
75
926
i
Il dir Fortuna è un semplice nome,
il posseder quel ch'ella dà è vano,
o sanza frutto affanno se ne prome.


76
77
78
927
o
Odirai come: e se 'l mio dire estrano
è dalla verità, conceder puossi
che seguir vizio sia al salvar sano.


79
80
81
928
s
Solamente da te vo' che rimossi
sieno i pensier fallaci, se procede
il mio parlar con ver, sì che tu possi


82
83
84

929
i
inter vedere come si concede
che quel che più al vostro intendimento
agrada, piú con gravezza vi lede ».


930-942
animi virtuosi; prima quartina, secondo verso, settenario, 13 lettere

85
86
87

930

a


Allora rispos'io: « Io son contento,
Donna, d'udire, acciò che 'l mio errore
io riconosca, però che io sento


88

931
n
non aver nulla esser grave dolore ».





CANTO XXXII
Dove l'autore riprova que' che si rammaricano della Fortuna.

1
2
3

932
i
Incominciò allor costei a dire:
« Voi, terreni animal, disiderate
i voler vostri tututti seguire


4
5
6
933
m
mediante costei, cui voi chiamate
Fortuna buona e rea, secondo ch'essa
vi dà e to' mondana facultate.


7
8
9

934
i
In prima alcuni domandon ad essa
molta ricchezza, credendosi stare
sanza bisogno alcun possedendo essa.


10
11
12

935
v
Vaghi sono altri sol di poter fare
sii che avuti sieno in reverenza
da tutti, e 'n ciò s'ingegnan d'avanzare.


13
14
15

936
i
In alcuni altri aver somma potenza
par sommo bene, e questo van cercando,
tanto gli abaglia la falsa credenza.


16
17
18

937
r
Risplendere altri si vanno ingegnando
di nobil sangue ed il nome famoso
o per guerra o per pace van cercando.


19
20
21

938
t
Tai son che credon ch'esser copioso
di volontà carnal, ch'è van diletto,
faccia chi ciò possiede glorioso.


22
23
24

939
u
Vogliono alcuni, acciò che il difetto
del non poter si rivolga in potere,
ricchezza, e per poter porre in effetto


25
26
27

940
o
ogni libidinoso lor piacere;
così figliuoli alcuni, altri altre cose,
e questo interamente hanno in calere.


28
29
30

941
s
se forse una di queste hanno ritrose
al lor volere, qualunque s'è quello
ch'alcuna aver nell'animo propose,


41
32
33

942
i
incontanente con animo fello
contra questa si turba ed essa dice
nimica, e forse fu difetto d'ello.


943-965
in cui amor come 'n beato loco; terzo sonetto, prima quartina, terzo verso, endecasillabo, 23 lettere

34
35
36


943

i

Intendi adunque e vedi che felice
costei non puote giammai fare alcuno,
posto che del mondan sia donatrice.


37
38
39

944
n
Non vedi tu che e' non è nessuno,
che abondi in ricchezze, che non sia
d'ogni riposo e diletto digiuno?


40
41
42

945
c
Continovo nell'animo li fia
pensiero e cura di poter guardarle,
temendo di nascosa tirannia.


43
44
45

946
u
Vedi dunque che bene ha d'ammassarle,
poiché insidie tutto tempo teme
ed in più quantità voler recarle.


46
47
48

947
i
Il povero uom di tal cosa non geme,
né perde sonno, né lascia sentiero,
sol di sua vita trar pensiero il preme:


49
50
51

948
a
alla quale, a voler narrare il vero,
poco li basta, ma il ricco avaro
di molto aver non ha suo disio intero.


52
53
54

949
m
Me' puote ancora il ricco dar riparo
alle fami ed a' freddi, ben che puro
le sente alcuna volta, o spesso o raro.


55
56
57

950
o
Or quinci segue al pover che sicuro
vive di non cader, né spera mai
che caso fortunal li paia duro.


58
59
60

951
r
Ricchezza adunque, quand'ella è assai,
più fa indigente il suo posseditore,
con più pensier, con più cura e più guai.


61
62
63

952
c
Colui che vuol per dignitate onore,
veggian, se la Fortuna gliel concede,
s'egli avrà quel che e' disia nel core.


64
65
66

953
o
Or non agli occhi di qualunque vede
è manifesto che tornan viziosi
tantosto che neuna ne possiede?


67
68
69

954

m
Ma se per quelle forse virtuosi
ne ritornassero, io consentirei
che tutti voi ne fosti disiosi.


70
71
72

955 e
E d'altra parte dignità i rei
fa manifesti, ed ogni lor mancanza
è conosciuta più ch'io non potrei


73
74
75

956
n
né parlar, né mostrar: dunque v'avanza
questa se vi si mostra allor turbata,
quando chiedendo state in tale erranza.


76
77
78

957
b
Beati alcun si diceria se data
fosse lor forse potenza reale,
non conoscendo il mal di ch'è vallata.


79
80
81

958
e
E questa podestà niente vale,
ch'ella non può fuggire il duro morso
della sollecitudine, che male


82
83
84

959
a
a lei non faccia, né può dar soccorso
a quel noioso e rigido tormento
che di paura dà l'amaro sorso.


85
86
87

960
t
Togliendo questa cotal reggimento,
pace vi dona dove guerra avreste,
e voi nol conoscete; onde, scontento


88

961
o
ogni uom, pur quel, che dar non vuol, vorreste ».



CANTO XXXIII
Dove l’autore riprova que’ che si rammaricano della Fortuna.

1
2
3

962
L
La nobiltà del sangue altri a costei,
domanda, come se veracemente
sì fatto don procedesse da lei.


4
5
6

963
o
Oh quanto a domandare stoltamente
si muovon questi, se l'operazioni
non seguono il disio della lor mente!


7
8
9

964
c
Oh quanto a domandare stoltamente
si muovon questi, se l'operazioni
non seguono il disio della lor mente!


10
11
12

965
o
ogni anima che nasce, con amore
iguale; e quella si muove da Lui
vegnendo lieta al generato core.

966-993
Celato tene il suo giocondo focho; terzo sonetto, prima quartina, quarto verso, endecasillabo, 28 lettere
13
14
15

966
c
Considerando dunque che Costui
sia solo e falle egual, conosceremo
così gentil costui come colui,

16
17
18

967
e
e però manifesto vederemo
che chi seguisse la diritta via
delle virtù, come da Lui avemo,


19
20
21

968
l
l'un come l'altro così gentil fia;
e chi da questa torce si può dire
non che villano ma una bestia sia.


22
23
24

969
a
A questi puo' tu dir che in disire
vien d'esser forse tenuti gentili,
e cercan ciò per lor vizii coprire.


25
26
27

970
t

Tieni or ben mente e vedi quanto vili
sien lor domande, ché, s'ella concede,
superbi tornan dov'erano umili:


28
29
30

971
o
onde da questo poi spesso procede
ched elli scoppian niente tornando,
per che, s'ella nol fa, vie men li lede.


31
32
33

972
t
Tratti ciascun, con virtute operando,
d'aver ta' lode, ché questa giammai
non gliel torrà la sua rota voltando.


34
35
36

973
e
E chi la vuole in altro modo guai
va dimandando, e 'l come gli è coperto;
e se ben guardi tu te n'avedrai.


37
38
39

974
n
Né ciò è lungamente lor sofferto,
ché degno guiderdon dalla giustizia
etterna è lor di ciò in brieve offerto.


40
41
42

975
e
Ed alcuni altri son che gran letizia
fanno, quando costei concede loro
lussuriando poter lor malizia


43
44
45

976

i
in operazion porre; e di costoro
è il numero grande, i qua' beati
tengonsi quanto più a tal lavoro


46
47
48

977
l
lusingando ne recano i malnati;
e se questo costei forse lor niega,
incontanente ver lei son turbati.


49
50
51

978
s



Se ella forse copiosa spiega
tal grazia a' domandanti, in aspra pena,
non conoscendolo essi, i tristi lega.


52
53
54

979
u
Vorrieno alcuni aver la borsa piena
per poter comandare: oh quanto senno
poco costor per via malvagia mena!


55
56
57

980
o
Or credono e' che minaccevol cenno
faccian le lor ricchezze: anzi il faranno
quelli a cui per guardarle subbietti enno.


58
59
60

981
g
Già puoi veder che gli uomin poco sanno,
ché per aver delle cose mondane
consuman sé con non utile affanno.


61
62
63

982
i
In brieve adunque queste cose vane
si consumano e passano, e dovreste
in ciò tututti aver le menti sane,


64
65
66

983
o
ognor veggendo ciò ch'avien di queste,
come partendo e tornando tal volta
le menti vostre fanno liete e meste.


67
68
69

984
c
Costei, di cui parliam, s'a voi rivolta
con tristo viso vi si mostra spesso,
(se ben hai tutta mia ragion raccolta,


70
71
72

985
o
ov'io ho quasi tutto quanto messo
il suo poter) vi dovria rallegrare,
e non porger dolor negandovi esso.


73
74
75

986
n
Nostro verace ed util ragionare
troppo si stenderia volendo intero,
ciò che dir si porria, d'essa parlare.


76
77
78

987
d
Di ciò ch'è detto basti, e con sincero
parere fa che il prendi, sì che forse
non tragghi error del mio lucido vero.


79
80
81

988
o
Ogni parer che 'l rimirar ti porse,
di là vedendo, caccia e quel disio
massimamente che di lor ti morse:


82
83
84

989
f
fiso mirando quello per che io
qua entro ti menai, fa che col viso
segui com'io col mio parlar m'invio.


85
86
87

990
o
Ogni mondan valor vedrai conquiso
in termine assai brieve: fa ch'ascolti
e che non sia dal tuo intender diviso


88
991
c
ciò ch'io dirò qui appresso di molti ».





CANTO XXXIV
Della medesima Fortuna, e di molti di cui non conta per nome se non l’operazioni loro.

1
2
3

992
h
« Horribilmente percuote costei »,
cominciò ella a dir, « chiunque sale
su la sua rota fidandosi a lei;


4
5
6

993
o
onde ciascun, ch'è qui, per cotal male
piangendo si ramarca, ed essa vedi
che di tal pianto niente le cale.


994-1009
i' vi priego c'un poco; terzo sonetto, prima quartina, quinto verso, settenario, 16 lettere

7
8
9


994

I


Il suo officio fa, e vo' che credi
che rade volte aspetta il suo girare
che lo stato di uno a' terzi eredi


10
11
12

995
V
venga, ma con mirabile voltare
dà a costui a quell'altro levando,
come vedi un salire, altro abassare.


13
14
15

996
i
Intento dunque quivi riguardando
puo' tu veder quella città caduta
che Cadmo fece, lo bue seguitando.


16
17
18

997
p
Potente e grande, più ch'altra tenuta
ch'al mondo fosse, allora fu, ed ora
di pruni e d'erbe la vedi vestuta,


19
20
21

998
r
ruvinati gli ostier, né vi dimora
altro che bestie salvatiche e fiere,
e quanto fosse grande parsi ancora.


22
23
24

999
i
Iocasta trista vi puo' tu vedere
ch'al figlio moglie misera divenne,
ben ch'avenisse sanza suo sapere;


25
26
27

1000
e
e vedi que' che questa tutta tenne
contra 'l voler del frate, per cui questo
distruggimento misero n'avenne.


28
29
30

1001
g
Giace con lui in quel fuoco molesto,
che quivi vedi, il frate, che amendui
fu l'uno all'altro uccider così presto.


31
32
33

1002
o
Oltre un poco poi vedi colui
che sopra 'l mur da Giove fulminato
fu, dispregiando ancor negli atti lui.


34
35
36

1003
c
Con questi vedi Adastro allato allato,
con gli altri regi che l'accompagnaro
a quel distrugimento dispiatato.


37
38
39

1004
u
Vedi Tideo, vedi il pianto amaro
che fer le triste che a compimento,
in ristoro del duol, la consumaro.


40
41
42

1005
n
Non t'è occulto or quanto mutamento
dal bene al mal fosse quel di costoro,
e quasi fu in un picciol momento.


43
44
45

1006
p
Pon mente poi un poco dietro a loro:
Troia vedrai e 'l superbo Ilione,
ch'a pena alcuna parte par di loro.


46
47
48

1007
o
Ora non v'ha né tetto né magione,
ma qual caduto e qual arso si mostra,
come tu vedi, e sai ben la cagione.


49
50
51

1008
c
Così costei con cui le piace giostra,
sempre abattendo chi s'oppone ad essa;
ma perseguiamo alla materia nostra.


52
53
54

1009
o
Or mira a piè della città depressa,
e vedi que' che già ne fu signore
quando da' Greci fu con forza aggressa:


1010-1040
prestiate lo 'ntellecto agli amorosi; terzo sonetto, prima quartina, sesto verso, endecasillabo, 31 lettere

55
56
57


1010


p

Priamo dico, il cui sommo valore,
la sua ricchezza, la fama e l'ardire,
i molti figli, il potere e l'onore


58
59
60

1011
r
raccontar non porriasi mai né dire;
questa arsa e' figli morti innanzi ad esso
tututti vide avanti il suo morire.


61
62
63

1012
e
Ecuba trista puoi vedere appresso
per doglia andar latrando come cane,
morte chiamando, che l'uccida, spesso.


64
65
66

1013
s
Similemente ancor delle troiane
genti vi vedi assai in sanguinoso
lago star morte e d'ogni possa vane.


67
68
69

1014
t
Tra gli altri puoi vedere il valoroso
Ettor giacer, e non li valse niente
contra costei il suo esser famoso.


70
71
72

1015
i
Ivi Parìs ancora, insiememente
Troiolo, Polidoro e Pulisena
veder puoi tu giacere assai vilmente.


73
74
75

1016
a
Agamenòn insieme e la sua pena:
poi ch'ebbe Marte e Nettunno avanzato,
vedi ch'Egisto a lui l'ultima cena,


76
77
78

1017
t
togliendoli la vita, dà, ingannato
lui col vestir malizioso e fallace,
nel quale e' tristo s'è raviluppato.


79
80
81

1018
e

E vedi ancor Senacherìb che giace
morto dentro a quel tempio, e vedi Enea
che Turno, il qual si credea stare in pace,


82
83
84

1019
l
lui caccia via. » E appresso parea
Serse dolente e tristo nello aspetto,
del passare Ellesponto ancor piangea.


85
86
87

1020
o
Oh quanto pien di furia e di sospetto
Atamante teban, che uccise i figli,
quivi parea, nel sembiante dispetto,


88
1021
n
nelle lor carni ancor con tristi artigli!





CANTO XXXV
Della medesima Fortuna, e di quelli che di lei si rammaricano, ed ella di niente si cura, anzi fa suo corso.

1
2
3

1022
t
« Tu puoi », rincominciò la Donna a dire,
veder qui Alessandro, ch'assalio
il mondo tutto, per velen morire;


4
5
6

1023
e
e non esser però il suo disio
pien, ma più che giammai esser ardente,
e 'n tale ardor, come vedi, morio.


7
8
9

1024
l
Lo qual fu quanto alcun altro possente,
né però averia questa lasciato,
che se fosse vivuto, che vilmente


10
11
12

1025
l
lui non avesse in infimo voltato
della sua rota; ma quel che costei
non fé, morte adempié nel nominato.


13
14
15

1026
e
E poi appresso puoi veder colei
che pugnò con Pallade come stolta,
ch'ancor del fallo suo par dica omei.

Aracne
16
17
18

1027
c
Come la vedi ancor quivi ravolta
ne' suo' istracci, in ragnol trasmutata
fu dalla dea e dal laccio disciolta.


19
20
21

1028
t
Tu puoi appresso vedere effigiata
la sembianza di Dario, la quale
di leto aspetto in tristo par mutata.


22
23
24

1029
o
Oh come poco al presente li vale
essere stato grande! anzi gli è noia
or che si vede in disperato male.


25
26
27

1030
a
Aver puoi già udito quanta gioia
avesse Niobè de' suoi figliuoli,
e agual qui pare di dolor si muoia.


28
29
30

1031
g
Guarda un poco innanzi, se tu vuoli:
superba lei potrai quivi vedere
ancora incerta de' suoi tristi duoli;


31
32
33

1032
l
lor poi appresso ad uno ad un cadere
morti dintorno a lei ancor vedrai,
per la superbia e suo poco sapere.


34
35
36

1033
i
In trista angoscia ed in amari guai
la vedi quivi ritornata umile,
sanza suo pro di sé piangendo assai.


37
38
39

1034
a
Appresso vedi que' che con sottile
maestero del padre usci volando
del Laberinto, che tenendo vile

Icaro
40
41
42

1035
m
miseramente ciò ch'amaestrando
il padre gli avea detto, per volare
troppo alto, in giù, le sue reni spennando,


43
44
45
1036
o
ora si cala, e appresso affogare
più là il vedi ne' salati liti:
questo avien de' non savi seguitare.

Avviene a Icaro perché ha seguito il non savio Dedalo? Boccaccio trasforma l'impazienza giovanile in una condanna del genitore
46
47
48

1037
r
Riguarda poi più là: vedi smarriti
il fiero Ciro e Persio; ne' sembianti,
l'ardir perduto, paiono inviliti.


49
50
51

1038
o
Or vedi ancora a mano a man da quanti
uccelli il corpo di Nabùch è roso,
temendo il figlio che per tempo avanti,


52
53
54

1039
s
surgendo del sepolcro, poderoso
non ritornasse e lui cacciasse fore
del regno, dove vivea glorioso.


55
56
57

1040
i
Ivi ve' tu ancora il gran romore
che fanno le figliuole di Piero
voltate in piche per greve dolore.

piche, gazze, Pieridi
1041-1067
versi, li quali sospinto conposi; terzo sonetto, seconda quartina, primo verso, lettere 27

58
59
60


1041

v


Veggon sanza lor pro ora quel vero
ch'a lor superbamente s'ocultava
nel lor parer fallace e non intero ».


61
62
63

1042
e
E quivi appresso costei mi mostrava
Cartagine in ruvina, tutta accesa
d'ardente fuoco che la divampava.


64
65
66

1043
r
Riguardar quella con sembianza offesa
mi mostrò quella Donna Scipione,
al cui valor non potè far difesa.


67
68
69

1044
s
Seguiva con non poca ammirazione
Anibale, turbato nello aspetto
o di quella o di sua distruzione.


70
71
72

1045
i
in abito dolente e con sospetto
quivi Asdrubale ancora si vedea,
col capo basso mirandosi il petto.


73
74
75

1046
l
Là similmente veder mi parea
la struzione della antica cittate
di Fiesole, la qual tutta cadea.


76
77
78

1047
i
Ivi pareva la gran crudeltate
che 'l pistolese pian sostenne pieno
di Catellino, le cui opre spiatate


79
80
81

1048
q
quasi narrando non verrian mai meno,
avvegna ch'a ragion posto li fosse
nella sfrenata bocca cotal freno.


82
83
84
1049
u
Vedevanvisi ancora le percosse
che Mario da Lucio sostenne,
quando la briga cittadina mosse.


85
86
87
1050
a
A' quei così, come a colui n'avenne,
possa avenir, che nelle città loro
a suscitar battaglia metton penne,


88
1051
l
lasciando il comun ben per suo lavoro.






CANTO XXXVI
Della medesima Fortuna, dove pone Alessandro vinto il mondo, esser poi alla morte, non poter niente.

1
2
3

1052
i
« Intento ora ti volgi a riguardare
la vendetta di Dio, che non oblia
mai fallo alcun che si debbia purgare
4
5
6

1053
s
Se 'n parer posto forse ad alcun sia
ch'ella si muova con un lento passo,
non è così, ma que' troppo disia;


7
8
9

1054
o
o se va forse adagio al tristo lasso
ch'aspetta quella per la fatta offesa,
non giova già, che più grave fracasso


10
11
12

1055
s
segue per quello indugio: sì compesa
al fatto fallo, sì che igualmente
da ogni parte la bilancia pesa.


13
14
15

1056
p
Pon mente là: colui che sì vilmente
veste e si tien la mano alla mascella,
mostrando sé nel sembiante dolente »,


16
17
18

1057
i
incominciò colei, « oh quanto fella
fu l'aspra signoria che 'n Siragusa
tenne, mentre per lui si guardò quella!


19
20
21

1058
n
Nel tempo avanti che li fosse chiusa,
tiranneggiando fieramente in essa
sanza ricevere o priego o iscusa,


22
23
24

1059
t
tenea la gente sì vilmente oppressa,
ch'ognun piangeva e dicer non osava
la doglia sua, per tema d'altra ressa.


25
26
27

1060
o
Oh come fiero li tiranneggiava!
e Dionisio fero fu chiamato
per la fierezza la quale elli usava.


28
29
30

1061
c
Così avenne che ne fu cacciato
con tanta noia e con tanto furore,
ch'a lui parve aver vinto esser campato.


31
32
33

1062
o
Onde fuggendo ad Atena, il dolore
mitigato, pensò, per non morire
di fame, farsi in lettera dottore.


34
35
36

1063
n
Nol vedi tu ched e' fa là aprire
i libri a' garzonetti e mostra loro
com'una lettera altra dee seguire?


37
38
39

1064
p
Poi guarda avanti nel dolente coro,
e vederai Tesaglia sanguinosa
del roman sangue mischiato e di ploro.


40
41
42

1065
o
Or guarda quivi, e vedi sconcia cosa
tanti grandi uomin, tanti valorosi
sser sommessi a rovina angosciosa.


43
44
45

1066
s
Simile guarda quanto ponderosi
son gli alberi del sangue che portati
v'hanno li piè delli uccellon golosi,


46
47
48

1067
i
i qua' prima si son ben satollati
de' corpi morti, che sanza alcun foco
o sepoltura stan quivi gelati.


1068-1081
forse da disiosi; terzo sonetto, seconda terzina, secondo verso, settenario, 14 lettere

49
50
51


1068

f

Fra folti boschi o tane o altro loco
leon né lupo né can par rimaso
che non si pasca quivi o molto o poco.


52
53
54

1069

o
Ondeggiar vedi del dolente caso
i tristi fiumi, ed ispumanti, rossi
del tristo sangue non isparto in vaso.


55
56
57

1070
r
Riguarda là Pompeo con volti dossi
che fuggendo abandona il campo tristo,
ed ancor ve' come a Lesbòs posossi.


58
59
60

1071
s
Se là rimiri, con sembiante misto
di lagrime Cornelia accoglier lui
vedrai, poi che sconfitto l'ebbe visto;


61
62
63

1072
e
E vedi ancor come quindi con lui
si parte e vanne per mare in Egitto,
in sé immaginando che colui


64
65
66

1073
d
dovesse lui ricevere, respitto
avendo al regno che avuto avea
da lui: ma 'l suo pensier non venne dritto ».


67
68
69

1074
a
Avanti mi mostrò, dov'io vedea
come scendea del suo legno Pompeo,
perché carico troppo li parea,


70
71
72

1075
d
di quello entrando in un che Tolomeo
per Achillàs insieme con Futino,
sotto spezie d'onor, menar li feo.


73
74
75

1076
i
In quel già assettato lui meschino,
i traditori, alquanto indi lontani,
pigliaron lui, quasi al suo mal divino,


76
77
78

1077
s
sì com parea: il capo l'aspre mani
a lui tagliaro, il tronco in mar gittaro,
e quello al sir portaron di lor cani.


79
80
81

1078
i
Ivi pareasi ancora il duolo amaro
che Codro fece quando vide il busto
del capo, ch'a' Roman fu tanto caro.


82
83
84

1079
o
Onde dolente, povero e vetusto
prendea di notte quello, al mio parere,
e poi che 'n picciol fuoco lui combusto


85
86
87

1080
s
sotterrato ebbe secondo il potere
in piccioletta fossa, ricoprendo
lui del sabbione, con lagrime vere


88

1081
i
il suo infortunio ripetea piangendo.






CANTO XXXVII
Dove si contiene della medesima Fortuna, e in parte di Dionisio tiranno.

1082-1113
voler troppo 'nfiammato; o se 'l mio fioco; terzo sonetto, seconda quartina, terzo verso; 32 lettere

1
2
3


1082

v

Vedevavisi appresso quanto e quale
già fosse stato Cesare, tenendo
in prima in Roma offizio imperiale.


4
5
6

1083
o
Oh quanto poco questo possedendo
il vedea gloriar! che quivi allato
tra' sanatori il vedeva morendo,


7
8
9

1084
l
lui avendo essi tutto pertugiato
co' loro stili, e quegli era piggiore
cui elli aveva già più onorato.


10
11
12

1085
e
E simile la rabbia e 'l gran furore
di Neron si vedeva terminare
in brieve tempo con molto dolore.


13
14
15

1086
r
Risplendevavi ancora, ciò mi pare,
ciò che fé Giuba mai, ed ivi appresso
dopo 'l salir il suo tristo calare.


16
17
18

1087
t
Tarquin, Porsenna e Lentulo dop'esso,
Ovidio, Tulio, Amulcar si vedieno
ed altri molti, i quali io con espresso


19
20
21

1088
r
riguardo non mirai, perché già pieno
di tal materia aveva lo 'ntelletto,
ed eran tanti che non venien meno.


22
23
24

1089
o
« O beato », diss'io, « que' che l'effetto
ad altre cose tira che a queste,
le quali istato mostrano imperfetto!


25
26
27

1090
p
Più vili ch'altre sono e più moleste,
piene d'inganno e d'affanno gravoso,
e la lor fine è sola mortal peste ».


28
29
30

1091
p
Poi mi voltai al viso grazioso
di quella Donna che m'avea condotto,
dicendo: « Il mio voler, che fu ritroso,


31
32
33

1092
o
or è tornato dritto, e già non dotto
che questi ben terren son veramente
que' che a' vizi ciascun mettono sotto.


34
35
36
1093
n
Nessun porria pensar che tanta gente,
così famosa e di tanta virtute,
Fortuna avesse sfatti sì vilmente.


37
38
39
1094
f
Fosse chi nol vedesse? o chi salute
ispererà omai, se non coloro
che le vere ed etterne han conosciute?


40
41
42
1095
i
Il più far qui omai lungo dimoro,
Donna, mi spiace: però giamo omai
dove volete, e qui lascian costoro ».


43
44
45
1096
a
Allor disse la Donna: « Or t'è assai
aperto che costei esser turbata
vi dà salute ed iscemavi guai?


46
47
48
1097
m
Ma se tu fossi stato altra fiata
così disposto, come ora ti sento,
già meco fori in capo alla montata.


49
50
51
1098
m
Ma poi che del seguirmi se' contento
ed hai veduto le mondane cose
volubili e caduche più che vento,


52
53
54
1099
a
appresso viemmi, ché le gloriose
ed etterne vedrai. Ma non torniamo
onde venimmo, per le 'mpetuose


55
56
57
1100
t
tralciute vie, ma di qua teniamo,
ché picciola rivolta alla portella
prima ci menerà, che noi vogliamo »


58
59
60
1101
o
Ora si mosse questa ed io dop'ella,
di quelle cose molto ragionando
ch'eran dipinte nella sala bella.


61
62
63
1102
o
Ognor seguendo lei, così mirando
intorno a me per veder ciò che v'era
e nella mente ogni cosa recando.


64
65
66
1103
s
sì vi vidi io, per una porta ch'era
alla sinistra mano, un bel giardino
fiorito e bello com di primavera.


67
68
69

1104
e
« Entrian », diss'io, « in questo orto vicino,
Donna, se piace a voi, ché poi alquanto
ricreati terrem nostro cammino ».


70
71
72

1105
l
Là entro udiva io festa e gran canto,
onde mi crebbe d'esservi il disio,
sì ch'altri mai non disiò cotanto.


73
74
75
1106
m
Mirandomi allor dopo, mi vid'io
i due primier che dicean: « Che, non passi
dentro, poiché ardi di volere? » ed io


76
77
78

1107
i
infra me gia dicendo: «  Se tu lassi
costei per colà entro voler gire,
s'ella non vien, chi guiderà i tuoi passi?


79
80
81
1108
o
« Oh » cominciò costei allora a dire,
« che credi tu che colà entro sia?
Troppo ti volge ogni cosa il disire.


82
83
84
1109
f
Faccian, mentre avem tempo, nostra via,
ché, come tu costà pinto hai veduto,
così v'è dentro mondana vania.


85
86
87

1110
i
Il ver che ora avanti conosciuto,
secondo il tuo parlar, avevi tutto,
seguilo, e non voler con non dovuto


88

1111
o
operar seguir danno e perder frutto ».




CANTO XXXVIII
Dove tratta che trova un nobile giardino, dov'era una bellissima fontana intagliata.

1
2
3

1112
c
Comincia' io allora: « A te che face
l'entrar là entro ed un poco vedere?
Io verrò poi là ovunque ti piace ».


4
5
6

1113
o
« Or veggio ben che tu il tuo parere
vuo' pur seguire in ciascheduna cosa,
e fai quel che tu vuo' a me volere ».


1114-1144
cantar s'imvischa nel proferer broco, terzo sonetto, seconda quartina, quarto verso, 31 lettere

7
8
9


1114


c

Così mi disse, e quasi dispettosa
soggiunse: « Andian, ched e' potrà seguire
che quando tu in più pericolosa


10
11
12
1115
a
angoscia ti vedrai, vorrai reddire
con meco adietro e non esser forse ito,
ed io ti lascerò in tal martire ».


13
14
15
1116
n
Non fu il suo parlar da me udito
allor per poco, tanto avea la mente
pure al giardin verdeggiante e fiorito.


16
17
18
1117 t
Tutti e quatro v'entrammo insiememente:
tanta gioia vi vidi, che ciò ch'io
dinanzi vidi ivi m'usci di mente.


19
20
21
1118
a
Ahi quanto egli era bello il luogo ov'io
era venuto, e quanto era contento
dentro da me l'ardente mio disio!


22
23
24
1119
r
Rimirando m'andava intorno attento
per lo gioioso loco, scalpitando
l'erbette e' fior col passo lento lento.


25
26
27
1120
s
Sì con diletto per lo loco andando
vidi in un verde e piccioletto prato
una fontana bella e grande; e quando


28
29
30
1121
i
io m'appressai a quella, d'intagliato
e bianco marmo vidi assai figure,
ognuna in diverso atto ed in istato.


31
32
33
1122
m
Mirando quelle, vidi le scolture
di diversi color, com'io compresi,
qua' belle e qua' lucenti e quali oscure.


34
35
36
1123
v
Vidi lì un bel marmo; e quel sedesi
sopra la verde erbetta, di colore
sanguigno tutto, e 'n su quella stendesi


37
38
39
1124
i
in piano, e s'io già non presi errore
nell'avisare, una canna per verso,
quadro e basso e lucido di fore.


40
41
42
1125
s
Sovr'ogni canto di quel marmo terso
di marmo una figura si sedea,
ben che ciascuna avea atto diverso,


43
44
45
1126
c
ch'umil, bella, soave mi parea
l'una di queste, e due spiritelli
con l'una mano a pie di sé tenea.


46
47
48
1127
h
Habituati, parlando con quelli,
gli aveva sì in un voler recati,
che ciascuno contento è di quel ch'elli


49
50
51
1128
a
all'altro vedea 'n voglia; e colorati
eran li suoi vestir di tanti e tali
color, ch'io non li avrei mai avisati.


52
53
54
1129
n
Nell'altro canto, a man destra, ch'iguali
spazio occupava, una Donna vi stava
ad ogni creatura disiguali.


55
56
57
1130
e
Ella nel capo suo quivi mostrava
tre visi, ed è vestita, ciò mi pare,
come di neve e così biancheggiava.


58
59
60
1131
l
Là vid'io poi nel terzo angulo stare
una Donna robusta tutta armata,
ad ogni affanno presta di portare.


61
62
63

1132
p
Parea di ferro questa ivi formata
tutta a veder; e dopo lei seguia
un'altra sopra 'l quarto angul fermata.


64
65
66
1133
r
Rimirando colei ognun diria
che di fino smeraldo fatta fosse,
in abito piacente, umile e pia.


67
68
69
1134
o
Or quel che più a mirarle mi mosse
fu un vaso vermiglio grande e bello,
che tutte sostenien con le lor posse.


70
71
72
1135
f
Fermato sopra loro, il bel vasello
più chè 'l sanguigno marmo si spandeva
sopra 'l fiorito e verde prato quello.


73
74
75
1136
e
Egli era tondo, e 'n mezzo d'esso aveva
fermata una colonna piccioletta
che diamante in vista mi pareva,


76
77
78

1137
r
ritonda e bella; e sopra quella eretta
un capitel v'aveva di fino oro,
fatto con maestria, non miga in fretta;


79
80
81

1138
e
e sopra quel tre figure dimoro
faceano ignude, e le spalle rivolte
erano l'una all'altra di costoro.


82
83
84

1139
r
Rideva l'una in atto, ben che molte
lagrime fuor per gli occhi ella gittasse,
che poi nel vaso parevan racolte.


85
86
87

1140
b
Bruna era e nera; e poi che somigliasse
foco pareva l'altra e dalla poppa
d'acqua gittava; e la terza sopr'a sé


88

1141
r
rampollava ancor, bianca ma non troppa.




CANTO XXXIX
Dove tratta della medesima fonte, e di suoi ornamenti come spande per giardino.

1
2
3

1142
o
Oh quanto bella tal fonte pariemi
e quanto da lodar, tal che giammai
di mirarla saziato non sariemi!


4
5
6

1143
c

Com'io a basso al vaso riguardai,
dove l'acqua cadea ch'era gittata
da quelle tre, se bene immaginai


7
8
9

1144
o
o vidi il vero, io vidi ch'adunata
era da parte quanta ne gittava
la bianca Donna e là effigiata.


1145-1163
o troppo è chiaro o roco; terzo sonetto; seconda quartina, quinto verso, settenario, 19 lettere

10
11
12


1145

o


Onde uscia quella del vaso vi stava
un capo d'un leone, e ver levante
d'un picciol fiume il bel giardin rigava.


13
14
15

1146
t
Tolto di quivi e fattomi più avante,
ciò che la Donna vermiglia spandea
nel vaso vidi fare il simigliante.


16
17
18

1147
r
Rimirando esso ancora vi vedea
una testa d'un toro, al mio parere,
del qual quell'acqua adunata scendea;


19
20
21

1148
o
oltre ver mezzogiorno il suo sentiere
tenendo, mi parea che se ne andasse
ancor rigando il piacente verziere.


22
23
24

1149
p
Poi mi parve ch'alquanto mi tirasse
inver la terza Donna tutta nera,
che ridendo parea che lagrimasse.


25
26
27

1150
p
Parevami che, poi ch'adunato era
suo lagrimar nel vaso, che scendesse
per una testa ancora che quivi era;


28
29
30

1151
o
ove mirando, parve ch'io vedesse
che lupo fosse, e questa se ne gia
or qua or là, né parea che tenesse


31
32
33

1152
è
en l'andar suo nulla diritta via:
ad aquilon talora e ver ponente
scendendo, non so dove si finia.


34
35
36

1153
c
Ciò che dal leon cade pianamente
dico che corre, e sopra li suoi liti
d'erbe e di fior si vede ognor ridente.


37
38
39

1154
h
Herba non v'ha, né frutti che smarriti
teman dell'autunno, ma tuttora
con frutti e frondi be' verdi e fioriti


40
41
42

1155
i
ivi dimoran, né mai si scolora
prato, ma bel di variati fiori
la state e 'l verno sempre vi dimora.


43
44
45

1156
a
A que' 'l ruscel, che al toro di fori
cade di bocca, similmente è bello
d'erbe e di fior di diversi colori;


46
47
48

1157
r
rivestito di ciascuno albuscello
è 'l dolce lito, che porti verdura,
e similmente d'ogni gaio uccello.


49
50
51

1158
o
Odesi alcuna volta en la pianura
le frondi risonar per dolce vento,
il qual si move da quell'aere pura.


52
53
54

1159
o
Ogni pratel di quel lito è contento
di mutar condizione a tempo e loco,
secondo c'ha 'l vigore acceso e spento.


55
56
57

1160
r
Rallegrasi ogni animale e gioco
vi fa, secondo che amor lo strigne
sotto la forza sua o molto o poco.


58
59
60

1161
o
Ovunque la natura più dipigne
la terra di bellezza, è a rispetto
nulla di quello che quel fiume tigne.


61
62
63

1162
c
Così veduto quel, con lo 'ntelletto
io corsi a quel che fuor del lupo usciva:
ov'io non vidi un albero soletto


64
65
66

1163
o
o altra pianta, la qual verde o viva
vi sia, ma secca la pianura trista,
biancheggiar tutto con l'occhio scopriva.


1164-1189
amendatel acciò che ben riposi; terzo sonetto, seconda quartina, sesto verso, 26 lettere

67
68
69


1164

a


Aveva ben del fiumicel la lista
tinta la terra d'un suo color perso,
che quasi lo schifava la mia vista.


70
71
72

1165
m
Mossimi allora quindi, ed a traverso
presi il sentiero per lo bel giardino,
per gire al fiume del bel toro emerso.

73
74
75

1166
e
E quella Donna con cui il cammino
impresi prima, disse: « Se ti piace,
andian per questa via, ché più vicino


76
77
78

1167
n
ne fia 'l sentier che ci merrà a pace.
Dove tu vai, come tu hai veduto,
è del bel transitorio e fallace;


79
80
81

1168
d
del qual se tu ti se' bene aveduto,
come dicevi e come il tuo parlare
mostrava che avessi conosciuto,


82
83
84

1169
a
a quel non guarderesti, ma andare
il lasceresti come cosa vana
e 'ntenderesti a sol me seguitare.


85
86
87

1170
t
Trai dalla mente tua quel che insana
esser la fa, giovi quel ch'io ti dico,
e per quel falla che ritorni sana:


88

1171
e
e non esser di te stesso nimico ».





CANTO XL
Dove nel detto giardino trova molte donne, delle quali s’innamora d’una sopra tutte l’altre.

1
2
3

1172
l
La Donna mi parlava, ed io mirando
con l'occhio andava pure ove 'l disio
mi tenea fitto, non so che ascoltando.

4
5
6

1173
a
Avevami davanti, al parer mio,
su quella riva assai donne vedute,
di cui veder in tal voglia venn'io,


7
8
9

1174
c
ch'io dissi: « Donna mia, a mia salute
non pensar più ch'i' voglia, a tempo e loco
farò d'adoperar la tua virtute;


10
11
12

1175
c
ch'ora di novo m'è nel cor un foco
venuto d'esser là: però o vienci,
o tu m'aspetta infin ch'i' torni un poco.


13
14
15

1176
i
In qual parte vorrai poi insieme andrenci:
nostra stanza fia poca veramente,
che noi da veder quelle liberrenci ».


16
17
18

1177
ò
Oltre n'andai, sanza dir più niente,
co' due che mi traevano, e costei
quasi scornata mi teneva mente


19
20
21

1178
c
con intentivo sguardo, ed io a lei;
sanza dir nulla io la vi pur lasciai,
o bene o mal non so qual io mi fei.

Boccaccio prende la strada che ha scelto senza aspettare la risposta della Donna che lo ha accompagnato.
22
23
24

1179
h
Hardito con costoro oltre passai,
e 'n sulla riva del bel fiumicello
io vidi donne ch'io conobbi assai;


25
26
27

1180 e
e riguardando lor con occhio snello,
qual gia cantando e qual cogliendo fiori,
chi sedea, chi danzava in un pratello.


28
29
30

1181 b
Bello era il loco e di soavi odori
ripien per molte piante che 'l coprieno
dal sole e dalli suoi già caldi ardori;


31
32
33

1182
e
e' suoi cavalli, al mio parer, salieno
già sopra la quarta ora e mezzo il segno
del friseo monton co' piè tenieno.


34
35
36

1183
n
Non credo ched e' sie sì alto ingegno
che 'nteramente potesse pensare
le bellezze di quelle ch'io disegno.


37
38
39

1184
r
Rimanga adunque qui questo lodare,
sol procedendo a' nomi di coloro
ch'io vi conobbi degne di nomare.


40
41
42

1185
i
Infra quel bello e grazioso coro
di tante donne, vidi una bellezza
ch'ancora stupefatto ne dimoro.


43
44
45

1186
p
Pietoso Appollo, alquanto dell'altezza
del tuo ingegno presta, o tu ispira
ora per me con la tua sottigliezza!


46
47
48

1187
o
Omero, Maro, Naso, o chi più mira
discrizione o di Donna o di dea
fé, saria poco a quella che si gira


49
50
51

1188
s
sopra quel prato, ov'io vidi sedea
giovinetta leggiadra e tanto bella,
ch'io la pensai per fermo Citarea.


52
53
54

1189
i
Inginocchia' mi per volere ad ella
far reverenza, ma poscia m'avidi
ch'era mondana e somigliava stella.


1190-1219
Se in sé fructo o forse alcun dilecto; terzo sonetto, prima terzina, primo verso, 26 lettere

55
56
57


1190

S


Sallosi Amore che i piatosi gridi
del cor sentì a sì mirabil vista,
ch'io nol so dir, ché non ho chi mi guidi,


58
59
60

1191
e
e s'io pur conforto l'anima trista
poi che per li occhi senti' 'l dolce raggio
di tal bellezza, per obliqua lista.

61
62
63

1192
i
Istesi adunque inver di lei il visaggio,
e s'a sua posta l'alma, ch'altra guarda,
dar si potesse, io muterei coraggio.

64
65
66

1193
n
Nel viso che d'amor sempre par ch'arda
afigurai, mirando con diletto,
che costei era la bella lombarda.

67
68
69

1194
s Signore etterno, a cui nessuno effetto
mai si nascose, alla giusta preghiera
rispondi e dì: fu mai sì bello aspetto?

70
71
72
1195
é
Essa sopra la verde primavera
si riposava con altre dintorno,
delle quali il bel luogo ripien era,


73
74
75
1196
f
faccendo con la luce dell'adorno
e bellissimo viso, riflettendo
con lume, troppo più il chiaro giorno;


76
77
78
1197
r
rimirando talor, fra sé ridendo
ver me di me, che arso m'accendeva
di nova fiamma ancora lei vedendo.


79
80
81
1198
u
Udire appresso questa mi pareva
cantar tanto soave in voce lieta
che me di me sovente mi toglieva.


82
83
84
1199
c
Così al canto libera e quieta
tutta la mente avea disposta, allora
che con benigna voce e mansueta:


85
86
87
1200
t
« Troppa qui lunga dispendiam dimora »,
i due mi dissero; a' qua' rivoltato
risposi: « Andiam, sed e' vi pare, ancora ».


88

1201
o
Oltre la via prendemmo per lo prato.




CANTO XLI
Dove nel medesimo giardino trova un ballo di nobili donne.

1
2
3

1202
o
Oltre passando tra' fiori e l'erbette,
in loco pien di rose e d'albuscelli
venimmo, ove ciascun di noi ristette;


4
5
6

1203
f
fra li qua' canti piacenti d'uccelli
s'udivan tai, che io mi saria stato
quasi contento pure ad udir quelli.


7
8
9

1204
o
Or mirando più là nel verde prato,
donne vi vidi una carola fare
ad uno strano suon, ch'una dallato


10
11
12

1205 r ritta a me mi parve udir sonare.
Io non conobbi lei, posto ch'assai
bella paresse a me nel riguardare:


13
14
15
1206
s
sì ch'io avanti all'altre riguardai,
ornata quale a sua somma grandezza
si conveniva, in atti lieti e gai,


16
17
18

1207
e
esser la mira e piacevol bellezza
di Perigota, nata genitrice
dell'onor di Durazzo e dell'altezza.


19
20
21
1208
a
Ahi quanto allor mi reputai felice,
non risparmiando gli occhi a mirar quella
che per bellezza si può dir fenice!


22
23
24
1209
l
La qual non Donna, ma diana stella,
con passo rado la menava attenta,
non altrimenti che si voglia ad ella,


25
26
27
1210
c
con gli occhi bassi, del mirar contenta
che io faceva in lei, che già sentia
come d'altrui per biltà si diventa.


28
29
30
1211
u
Vaga e leggiadra molto la seguia
la ninfa fiorentina, al cui piacere
oppongon tai, che non san che si sia,


31
32
33
1212
n
nel viso lei parere un cavaliere,
onesta andando sì umilemente
ch'oltra dovere me ne fu in calere.


34
35
36
1213
d
Dopo essa, attenta al suon similemente,
veniva quella Lia che trasse Ameto
dal volgar uso dell'umana gente,


37
38
39
1214
i
in abito soave e mansueto,
inghirlandata di novella fronda,
con lento passo e con aspetto lieto.


40
41
42
1215
l
Lì dopo lei, bianca e rubiconda
quanto conviensi a Donna nel bel viso,
tutta gentile, graziosa e gioconda,


43
44
45
1216
e
era colei di cui nel fiordaliso
il padre fu dall'astuzia volpina,
col zio e col fratel di lei, conquiso


46
47
48
1217
c
con molta della gente fiorentina:
li quai libraron lor poscia, per merto,
troppo più che 'l dover pace vicina.


49
50
51
1218
t
Tra tanto ben, quanto a' mie' occhi offerto
era 'n quel loco, vid'io poi seguire,
come 'l ramemorar me ne fa certo,


52
53
54
1219
o
ognor più belle è più conte nel gire
donne altre assai, i nomi delle quali
io non saprei di tutte ben ridire.


1220-1247
porgesse a vo' lector rengratiate; terzo sonetto, prima terzina, secondo verso, 28 lettere

55
56
57

1220

p


Però le taccio, ma con disiguali
passi e maniere si movea catuna,
sì come il suon ne porgeva segnali,


58
59
60
1221
o
oltre, al parer mio; e ciascheduna
a tal bisogna conta, lieta e presta
mi pareva che fosse, perch'ognuna,


61
62
63
1222
r
ridendo in sé, prendeva gioia e festa,
sanza mostrar negli atti ch'altra cura
le fosse forse dentro al cor molesta.


64
65
66
1223
g
Givansi adunque su per la verdura
sopra i fior che novi produceva
allato al rivo la bella pianura;


67
68
69
1224
e
e talor quella che le conduceva
fino alla bella fonte se ne giva
e 'ntorno ad essa in giro si torceva,


70
71
72
1225
s
sopra tornando per la chiara riva
del fiumicello e poi nel pian tornando
che di diversi odor tututto oliva.


73
74
75
1226
s
Sempre con l'occhio quelle seguitando
m'andava io, e dentro lo 'ntelletto
la lor bellezza giva immaginando;


76
77
78
1227
e



79
80
81
1228
a
alla mia voglia quiveritta il mio
libero albitrio: ma pur si ritenne
con vigorosa forza il mio disio.


82
83
84

1229
v
Voltatomi a que' due, allor mi venne,
ch'eran con meco, verso lor dicendo:
« Oh quanto a queste natura sovenne,


85
86
87
1230
o
ogni bellezza in esse componendo!
Beati que' che della grazia d'esse
son fatti degni, quella mantenendo,


88

1231
l
la qual volesse Iddio che io l'avesse! ».





CANTO XLII
Dove nel medesimo giardino trova un’altra danza, dov’era la figliuola di Carlo.

1
2
3
1232
e
E mentre ch'io m'andava sì parlando
con questi due, ed ecco d'altra parte
molte donne gentili assai danzando.


4
5
6
1233
c
Certo non credo che natura od arte
bellezze tante formasse giammai,
quanto ne' visi a quelle vidi sparte.


7
8
9
1234
t
Tra me medesmo men maravigliai,
ma volto il viso a lor, come venieno
così nella memoria le fermai.


10
11
12
1235
o
Onde mi par che quella, cui seguieno
danzando a nota d'una canzonetta
che due di quelle cantando dicieno,


13
14
15
1236 r
raffigurando, era una giovinetta
dell'alto nome di Calavra ornata,
di Carlo figlia gaia e leggiadretta:


16
17
18
1237
r
reggendo quella alla nota cantata
con volte degne e passi, a cotal danza,
come mi parve, appresso seguitata


19
20
21
1238
i
ivi dall'alta ed unica intendanza
del Melanese, che col Can lucchese
abatté di Cardona l'arroganza.


22
23
24
1239
n
Nelle man della qual poi la cortese
Donna di quel cui seguita Ungheria,
bellissima si fece a me palese:


25
26
27
1240
g
graziosa venendo, onesta e pia,
con lieta fronte, in atto signorile,
fece maravigliar l'anima mia.


28
29
30
1241
r
Riguardando oltre, con sembianza umile
venia colei che nacque di coloro,
che tal fiata con materia vile


31
32
33

1242
a
aguzzando lo 'ngegno a lor lavoro,
fer nobile colore ad uopo altrui,
multiplicando con famiglia in oro.


34
35
36
1243
t
Tra l'altre nominat' è da colui
che con Cefàs abandonò le reti
per seguitare il Maestro, per cui


37
38
39
1244
i
i tristi duoli e gli angosciosi fleti
fur tolti a' padri antichi, e parimente
da Lui menati nelli regni leti.


40
41
42

1245
a

Appresso questa assai vezzosamente
se ne veniva la novella Dido,
di nome, non di fatto veramente,


43
44
45
1246
t
tenendo acceso nel viso Cupido,
di tale sposa ch'assai mal contenta
credo la faccia nel marital nido.


46
47
48
1247
e
Ed il nome di lui di due s'imprenta,
d'un albero e d'un tino, e 'l poco fatto
dal suo diminutivo s'argomenta.


1248-1264
colei la cui biltate; terzo sonetto, prima terzina, terzo verso, settenario, 17 lettere

49
50
51

1248

c


Costei seguiva con piacevol atto
Donna che del sussidio d'Orione
il nome tien, quando sonò per patto.


52
53
54

1249
o
Oh quanto ella vorria, ed a ragione,
vedova rimaner partenopea
di tal c'ha nome da quel che menzione


55
56
57
1250
l
l'agosto dà ad Ascesi! E poi vedea
dopo essa molte, le qua' raccontare
per più brieve parlar meglio è mi stea.


58
59
60
1251
e
E com'io dissi, ad un dolce cantare,
in voce fatto angelica e sovrana,
era guidata, qual di sotto pare.


61
62
63
1252
i
« In chiunque dimora alma sì vana
ch'esser non voglia suggetta ad Amore,
da nostra festa facciasi lontana.


64
65
66
1253 l
Lo suo inestimabile valore,
che adduce virtute e gentilezza,
a ciascuna di noi disposto ha il core


67
68
69
1254
a
a sempre seguitar la sua grandezza,
e lui servendo staremo in disire,
tanto che sentiren quella dolcezza


70
71
72
1255
c
ched e' concede altrui dopo 'l martire:
null'altra gioia al suo dono è iguale,
poiché per quel sembra dolce il morire.


73
74
75
1256
u
Vita che sanza lui dura non vale
né più né meno che se ella fosse
cosa insensata o d'un bruto animale.


76
77
78
1257
i
In quel disio adunque in che ci mosse,
quando a noi fé sua signoria sentirsi,
a sostenere inforzi nostre posse:


79
80
81
1258
b
benivol poi essendoci a largirsi,
sì che, deh, non ci paian le ferute
di lui noiose né grave il soffrirsi,


82
83
84
1259
i
in cui consiste la nostra salute;
quando parralli, la dobbiamo avere,
dandola tosto con la sua virtute ».


85
86
87
1260
l
L'altre poi tutte appresso, al mio parere,
rispondendo diceano: « O signor nostro,
in te si ferma ogni nostro volere,


88

1261
t
tutte disposte siamo al piacer vostro ».





ù
CANTO XLIII
D'altre donne che trova nel detto giardino.

1
2
3
1262 a
Aveami già quel canto e la bellezza
delle giovani donne l'alma presa
e riempiuta di nuova allegrezza,


4
5
6
1263
t
tanto che ad altro la mente sospesa
con gli occhi non tenea, che non faceano
alli raggi di lor nulla difesa;


7
8
9
1264
e
e com'io loro alzai, vidi sedeano
donne più là, quasi sé riposando,
che forse fatta festa innanzi aveano.


1265-1295
questo mi mosse a ffar come subgiecto; terzo sonetto, prima terzina, terzo endecasillabo, quarto verso, 31 lettere

10
11
12

1265

q


Queste, mentre io andava riguardando,
d'erbe e di frondi tutte coronate
vidi ed insieme d'amor ragionando.


13
14
15

1266
u
Ver è ch'ell'eran di maturitate,
di costumi, di senno e di valore
e di bellezza molto e molto ornate.


16
17
18
1267
e
E volto verso là, il primo ardore
della bellezza dell'altre fu spento,
di tutte, fuor che d'una, nel mio core;


19
20
21
1268
s
sì ch'io con passo mansueto e lento
a quelle m'appressai com'io potei,
ed a mirarle mi disposi attento.


22
23
24
1269
t
Tra l'altre che io prima conoscei,
fu una ninfa sicula per cui
già si maravigliaron gli occhi miei.


25
26
27
1270
o
Oh quanto bella lì negli atti sui,
biasimando le fiamme di Tifeo,
si sedea ragionando con altrui!


28
29
30
1271
m
mostrando come per quelle perdeo
l'amato sposo in cieco marte preso,
allor che tutto vinto si rendeo


31
32
33
1272
i
in Lipari lo stuolo, ond'elli offeso
col bianco monte nel campo vermiglio
ne fu menato, ove ancora è difeso,


34
35
36
1273
m
mudando in chiusa dell'aureo giglio;
donde doleasi, perch'a lui riavere
non valean prieghi, danar, né consiglio.


37
38
39
1274
o
Ove costei così, al mio parere,
quivi doleasi, attenta l'ascoltava
giovane Donna di sommo piacere,


40
41
42
1275
s
simile a cui nessuna ve ne stava,
per quel ch'a me paresse, nel suo viso
che d'ogni biltà pien si dimostrava.


43
44
45

1276 s
Sariasi detto che di paradiso
fosse discesa da chi 'ntentamente
l'avesse alquanto rimirata fiso.


46
47
48
1277
e
E com'io seppi, ell'era della gente
del Campagnin che lo Spagnuol seguio
nella cappa, nel dire e con la mente,


49
50
51
1278
a
a sé faccendo sì benigno Iddio,
che d'ampio fiume di scienza degno
si fece, come poi chiar si sentio,


52
53
54
1279
f
faccendo aperte col suo sommo ingegno
le scritture nascose, e quinci appresso
da Carlo pinto gì nello dio regno;


55
56
57
1280
f
faccendo sé da quella, in cui compresso
stette Colui che la nostra natura
nobilitò, nomar, che poi l'eccesso


58
59
60
1281
a

absterse della prima creatura
con la sua pena; e quivi coronata
della fronda pennea, con somma cura


61
62
63
1282
r
raggiugnea fior per farsi più ornata,
mostrando sé tal fiata piatosa
della noia dell'altra a lei narrata.


64
65
66
1283
c
Con questa era colei ch'essere sposa
e figliuola perdé quasi in un anno,
di brun vestita e nel viso amorosa:


67
68
69
1284
o
oggi tornando dove i fabbri stanno
vulcanei e' miropoli e coloro
ch'ornan di freno e di sella, all'affanno


70
71
72
1285
m
me' sostener l'animal, ch'al sonoro
percuoter di Nettunno apparve fori
nel bel conspetto del celeste coro.


73
74
75
1286
e
Ed il bel nome che' gemmier maggiori
danno alla perla è suo, il cui cognome
gli Asini legan, di que' guardatori.


76
77
78
1287
s
Splendida, chiara e bella era sì come
nel ciel si mostra qual più luce stella,
di vel coperte l'auree chiome.


79
80
81
1288
u
Vaga più ch'altra, si sedea con ella
un'altra fiorentina in atto onesto,
assai passante di bellezza quella.


82
83
84
1289
b
Ben m'accors'io chi era e che dal sesto
Cesare nominato era il marito,
qual chi 'l conosce il pensa a lei molesto.


85
86
87
1290 g
Guardando adunque nel piacente sito
costoro ed altre che v'erano assai,
sentiva ben da me mai non sentito,


88
1291
i
in guisa tal ch'io men maravigliai.






CANTO XLIV
28 terzine + coda di 1 verso, 85 versi
Dove nomina le donne che trova, e di cui sono, e delle lor bellezze.

1
2
3
1292
e
Era più là, di donne accompagnata,
la Cipriana, il cui figliuolo attende
d'aver la fronte di corona ornata,


4
5
6

1293
c
con quello onore che ad essa si rende
dell'isola maggior de' Baleari,
se caso fortunal non gliel contende.


7
8
9
1294
t
Tra le quali era, in atto non dispari
della gran Donna, un'altra tanto bella,
che mi fur gli atti suoi a mirar cari.


10
11
12
1295
o
Ognuna quivi riguardava ad ella   
per la sua gran bellezza, ed io con loro
che già in me riconosceva quella.


1296-1323
E perché voi costei me' conosciate; terzo sonetto, seconda terzina, primo verso, endecasillabo, 28 lett.

13
14
15

1296

e


Ell'è colei di cui il padre nell'oro
l'azzurro re de' quadrupedi tene
nel militare scudo, e di coloro


16
17
18
1297
p
passata stassi, come si convene,
isposa d'un che la fronzuta pera
d'oro nel ciel per arma ancor ritene.


19
20
21
1298
e
E con queste a seder bellissim'era,
simile a riguardare ad una dea,
la sposa di colui che la rivera


22
23
24
1299
r
rosseggiar fé di Lipari, eolea
isola, poi togliendo in guidardone
l'amiraglia da chi dar la potea.


25
26
27

1300
c
Con essa questa ancora ad un sermone
conobb'io quella che fu tratta al mondo,
onde fuggita s'era in religione,


28
29
30
1301
h
honesta e gaia nel viso giocondo,
moglie di tal che me' saria non fosse:
ma chi più sia non mosterrò del fondo.


31
32
33
1302 é
E l'altre oltre mirando, mi percosse
ma non so che, e tutto quasi smorto
subito altrove gli occhi e me rimosse.


34
35
36
1303
v
Venend'io così men sanza conforto,
tremando tutto, mi ritorna' a mente
ch'io vidi in una parte di quell'orto,


37
38
39

1304
o
onesta e graziosa umilemente,
una Donna sedere il cui aspetto
tutto dintorno a sé facea lucente.


40
41
42

1305
i
In questo alquanto nel tremante petto
con forza ritornò l'alma smarruta,
rendendo forza al debile intelletto.


43
44
45

1306
c
Così mi ricordò che io veduta
avea costei tra quelle donne prima,
e 'n altra parte ancora conosciuta.


46
47
48

1307
o
Onde se sua bellezza la mia rima
qui al presente perfetta non dice,
maraviglia non è; ma tanto estima


49
50
51

1308 s
sentendo l'alma mia, che om felice
mirando quella dovria divenire,
e la memoria mia ver mi ridice.


52
53
54

1309
t
Tenendo mente lei, sommo disire
d'entrar mi venne dentro allo splendore
che delli suoi belli occhi vedea uscire;


55
56
57

1310
e
e 'n ciò pensando subito nel core
punger sentimmi, e quasi in un momento
mi ritrovai nel piacevol lustrore.


58
59
60

1311
i
Ivi mirabile il dimoramento
pareami, e quasi in me di me facea
beffe di sì notabile ardimento.


61
62
63

1312
m
Ma lì essere stato mi parea
tanto che quattro via sei volte il sole
con l'orizonte il ciel congiunto avea.


64
65
66

1313
e
E come nell'orecchia talor sole
subito dolce suon percuoter tale
che quello udendo poi le piace e vole,


67
68
69

1314
c
così orribil mi venne cotale
e spaventommi per lungo soggiorno,
né mi fé già, ben ch'io temessi, male:


70
71
72

1315
o
« O tu » dicendo, « ch'e' nel chiaro giorno
del dolce lume della luce mia,
che a te vago si raggia dintorno,


73
74
75

1316
n
non ischernir con gabbo mia balia,
né dubitar però per mia grandezza,
la quale umil, quanto vorrai, ti fia.


76
77
78

1317
o
Onora con amor la mia bellezza,
né d'alcun'altra più non ti curare,
se tu non vuo' provar mia rigidezza ».


79
80
81

1318
s
Sentimmi poi il cor dentro legare
co' cari crini del suo capo, e adesso
più volte intorno avolgere e girare.


82
83
84

1319
c
Così mi parve, se bene in me stesso
ricordo, che costei dicesse: ond'io
risposi: « Donna, a te tutto sommesso


85

1320
i
io sono e sarò sempre, e ciò disio ».





CANTO XLV
Dove tra le dette donne ve n'è una di cui l'autore se ne innamora

1
2
3

1321
a
A tal partito nel beato loco
istandomi, io mi senti' nel core
raccender più ardente questo foco,


4
5
6

1322
t
tal ch'io pensai che 'l novello ardore
oltre al dovuto modo mi tirasse,
tal nel principio suo mostrò furore.

7
8
9

1323
e
E 'l cor, che ciò pareva che pigliasse
a sé, lo 'ncendio, quantunque potesse,
oltre a dovuta parte a sé ne trasse.


1324-1350
ella somigli' Amor nel su' aspecto; terzo sonetto, seconda terzina, secondo verso, endecasillabo, 27 lett.

10
11
12


1324

e

E così stando parve ch'io vedesse
questa Donna gentile a me venire
ed aprirmi nel petto, e poi scrivesse


13
14
15

1325
l
là entro nel mio cor posto a soffrire,
il suo bel nome di lettere d'oro
in modo che non ne potesse uscire.


16
17
18
1326
l
La qual, non dopo molto gran dimoro,
nel mio dito minore uno anelletto
metteva tratto di suo gran tesoro;


19
20
21
1327
a
al qual pareami, se 'l mio intelletto
bene stimò, che una catenella
fosse legata, che infino al petto


22
23
24
1328
s
si distendeva della Donna bella,
passando dentro, e con artigli presa,
come ancora scoglio, tenea quella.


25
26
27
1329
o
Oh quanto da quell'ora in qua accesa
fu la mia mente del piacer di lei,
che mai non era più stata offesa!


28
29
30
1330
m
Moveami questa ove pareva a lei
co' suoi belli occhi, e sol pensando andava
com'io potessi piacere a costei.


31
32
33
1331
i
Infra quel circuito che ocupava
la luce sua, quasi come 'nretito,
a forza a rimirarla mi girava.


34
35
36
1332
g
Gravoso mi parea l'esser fedito
e più fiate lagrime ne sparsi,
non potend'io durar l'esser partito


37
38
39
1333
l
là onde quella soleva mostrarsi
agli occhi miei gentile e graziosa,
e più nel cor sentia 'l foco allumarsi.


40
41
42
1334
i
Io non trovava nella mente posa,
sì mi stringea pur di lei vedere
la mente ardente di sì bella cosa.


43
44
45

1335
A
Adunque seguitando il mio volere,
dovunque era costei, così tirato
parea ch'io fossi dal suo bel piacere;


46
47
48
1336
m
ma certo in ciò Amor m'era assai grato,
sol che 'l disio non fosse oltra misura
nell'amoroso cor troppo avanzato.


49
50
51
1337
o
Ognora che la sua bella figura
disiava vedere, Amor faceva
di ciò contenta la mia mente scura,


52
53
54
1338
r
rendendo lei umil quand'io voleva.
E questo più m'accendeva, vedendo
che 'l mio disio adempier si poteva,


55
56
57
1339
n
né per lei rimaneva ma, sentendo
forse maggior periglio, consentia
che io avanti mi stessi piangendo,


58
59
60
1340
e
e graziosa mostrandosi e pia
verso di me, con sua benignitate
in conforto tenea la mente mia.


61
62
63
1341
l
Lungamente seguendo sua pietate,
ora in avversi ed ora in graziosi
casi reggendo la mia volontate,


64
65
66
1342
s
sollecito del tutto mi proposi
di pur sentire l'ultima possanza
che in loro hanno i termini amorosi.


67
68
69
1343
u
Ver è che molto prolissa speranza
mi tenne in questa via, non però tanto
che 'l mio proposto gisse in oblianza.


70
71
72
1344
a
Alla seconda con sospiri e pianto,
quando con festa, sempre seguitai
il mio proponimento, infino a tanto,


73
74
75

1345
s
sottilmente guardando, m'avisai
che la Donna pensava terminare
con savio stile i disiosi guai.


76
77
78

1346
p
Però alquanto lasciai 'l pensare,
dicendo: « Tosto credo proveduto
fia da costei il mio grave penare.


79
80
81
1347
e
Ell'ha ben ora tanto conosciuto
del mal ch'io sento e del mio disio,
ch'io credo che di me le sia incresciuto


82
83
84
1348
c
Così fra me gia ragionando io,
pure aspettando che la sua grandezza
si dichinasse alquanto al dolor mio


85
86
87
1349
t
torre potere con la sua bellezza:
la qual l'anima mia più ch'altra brama
e più che altra alcuna in sé l'apprezza,


88

1350
o
onorandola sempre quanto l'ama.






CANTO XLVI
Dove l'autore tratta della donna, dove a lui pare avere gran piacere.

1351-1368
Tanto c'alcun difecto; terzo sonetto, seconda terzina, terzo verso, settenario, 18 lettere

1
2
3


1351


t

Tenendo me il valor di colei
dentro a sua luce in tal modo costretto,
sempre con lo 'ntelletto volto a lei,


4
5
6

1352
a
avendo spesso dolore e diletto,
riposo e noia con isperanza assai,
com'io qui poco di sopra ho detto,


7
8
9

1353
n
non sappiendo a che termine mai
si dovesse finire, un poco appresso
inver di lei alquanto mi voltai


10
11
12

1354
t
traendomi più là, e con sommesso
parlar le chiesi che al mio dolore
fine ponesse, qual doveva, adesso,


13
14
15

1355
o
ognor servando quel debito onore
che si convene a' suoi costumi adorni,
di gentilezza pieni e di valore.


16
17
18

1356
c
Cinque fiate tre via nove giorni
sotto la dolce signoria di questa
trovato m'era in diversi soggiorni,


19
20
21

1357
a
allora ch'io senti' che la molesta
pena, che m'era nello cor durata,
convertir si doveva in lieta festa.


22
23
24

1358
l
Lasciando adunque la mia vesta usata
in parte più profonda del verziere,
mi parea ritrovar quella fiata


25
26
27

1359
c
con gioia smisurata, al mio parere,
e nelle braccia la Donna piatosa
stupefatto mi parea tenere.


28
29
30

1360
u
Vinceva tanto l'anima amorosa
la gioia, che la lingua stando muta
divenuta pareva dubitosa,


31
32
33

1361
n
né diceva niente, ma l'aguta
voglia di star dov'esser mi parea
facea parermi falsa tal paruta.


34
35
36

1362
d
Dond'io fra me spesse volte dicea:
« Sogni tu? o se' qui come ti pare? »
« Anzi ci son », poi fra me rispondea.


37
38
39

1363
i
In cotal guisa spesso a disgannare
me quella Donna gentile abracciava
e con disio la mi parea basciare,


40
41
42

1364
f
fra me dicendo ch'io pur non sognava,
posto che mi pareva grande tanto
la cosa, ch'io pur di sognar dubbiava.


43
44
45

1365
e
E se per comprazion volessi quanto
fu la mia gioia porre, essemplo degno
nol crederia trovar; ma dopo alquanto,


46
47
48

1366
c
con quella gioia che io qui disegno,
la quale immaginar non si porria
da alcuno mai per altezza d'ingegno,


49
50
51

1367
t
tratto un sospiro, graziosa e pia
la Donna inver di me disse: « Ora dimmi,
come venisti qui, anima mia? ».


52
53
54

1368
o
Ond'io a lei: « Poi ch'Amore aprimmi
gli occhi a conoscer la vostra biltate
a cui io per mia voglia consentimmi,


1369-1395
Non v’á a chi già ’l vide altre fïate; terzo sonetto, seconda terzina, quarto verso, endecasillabo, 27 lettere

55
56
57


1369

N

nel cerchio della vostra potestate
entrato con affanno e con sospiri,
sempre sperando en la vostra pietate,


58
59
60
1370
o
ò lui pregato che a' miei martiri
dia fine grazioso, ed e' menato
m'ha qui per fine porre a' miei disiri.


61
62
63
1371
n
Nel giardin là ver è ch'i' ho lasciato
stare una Donna, la qual lungamente
prima m'avea benigna accompagnato


64
65
66
1372
v
venendo qui »; e non lasciai niente
a dire a lei e di que' due ancora
con cui io venni qui similemente.


67
68
69
1373
a
Alquanto stette quella Donna allora
in abito sospesa, in sé pensando:
e poi, non dopo molto gran dimora:


70
71
72
1374
a
« Andrai », mi disse, la Donna cercando,
e lei seguisci però ch'ella è quella
che 'n dritta via ripon chi va errando.


73
74
75
1375
c
Ciò ch'ella vuoi, vo' facci, fuor che s'ella
me ti volesse far di mente uscire:
in ciò non vo' che ubidischi ad ella.


76
77
78
1376
h
Humiliati sempre al suo disire
e me porta nel cuor, né ti sia grave,
che ben te ne vedrai, credo, seguire.


79
80
81
1377
i
Il portar te in me tanto soave
m'è, che per pace corro a tua figura
quando gravezza alcuna il mio cor have.


82
83
84
1378
g
Giammai non fu neuna creatura
che tanto mi piacesse: fatti lieto,
e di ciò tien l'anima tua sicura.


85
86
87
1379
i
Io volli ora al presente far quieto
il tuo disio con amorosa pace,
dandoti l'arra che finirà 'l fleto:


88

1380
a
adunque va omai quando ti piace ».





CANTO XLVII
Dove l’autore piglia congio dalla detta Donna, e dove ritrova la Donna che lo guida.

1
2
3
1381
l
La Donna tacque allora, ed io congedo
presi in un atto in me molto contento
e 'n altro più dolente che mai, credo,


4
5
6
1382
v
ver quella parte ritornando lento
dov'io aveva la Donna lasciata,
che fu mia guida nel cominciamento.


7
8
9
1383
i
Io mi giva pensando con bassata
testa a quel ben che io avuto avea,
e doleami di sì corta durata.


10
11
12
1384
d
Di più disio ancora mi parea
tutto arder dentro nel trafitto core
vie più che nel principio non facea;


13
14
15

1385
e
e diceva fra me: «  Deh, se l'ardore
ora non manca, non credo che mai
egli esca omai della mente di fore.


16
17
18

1386
a
Avuto ho quel che io più disiai:
deh, che cercherò io per mia salute?
chi stuterà cotal fuoco oramai?


19
20
21
1387
l
La volontà che d'Amor le ferute
mi porsero, non è in me finita
ma è cresciuta in me la sua virtute


22
23
24
1388
t
Tra' fiori e l'erba con vista smarrita
m'andava in me in tal guisa pensando,
dispregiando e lodando la mia vita.


25
26
27
1389
r
Riguardandomi a' piedi, così andando,
mi trovai alla fonte non avendo
vedute quelle donne festeggiando;


28
29
30
1390
e
e 'l viso alzai, me stesso riprendendo
del perduto diletto, e ver me vidi
quella Donna venir cui io caendo


31
32
33
1391
f
fra quel giardino andava, « Ove ti fidi? »
ver me dicendo, e con le braccia aperte
mi prese, e: « Non cre' tu che io ti guidi


34
35
36
1392
i
in qual parte vorrai? perché perverte
tua volontà il mio consiglio vero,
per vanità lasciando cose certe? »


37
38
39
1393
a
Allor risposi: « Madonna, sincero
m'è il tuo mostrar tornato di colei
grazia che m'ha disposto a tal sentiero.


40
41
42
1394
t
Tu verrai, se ti piace, infino a lei,
e quivi insieme ci dimoreremo
quanto piacer sarà tuo e di lei;


43
44
45
1395
e
e poi insieme tutti e tre andremo
dove vorrai, ché io credo segnare
sotto 'l piacer di lei il dì estremo ».

Verificare se Boccaccio resta per poi procedere non da solo ma insieme alla donna. Significherebbe che lui vuol procedere con l'amata insieme alla guida, non che l'amata lo guida. La guida è donna, e l'amata non è morta e salvata. Rivoluzione nella poesia trobadorica e stilnovista.
1396-1420
E l’un dell’altro si gode di loro; terzo sonetto, coda, primo verso, endecasillabo, 25 lettere

46
47
48


1396

e

Ed allora: « Il tuo adimandare
è d'ordine di fuor, ché io so bene
quel che tu vo' che io vi venga a fare.


49
50
51

1397
l
La Donna meco assai più si convene,
che tu non fai: dove menar mi vuoi
e ben conosco qual disio ti tene.


52
53
54

1398
u
Vieni con meco ed a lei andrem poi ».
« Ma andian là » risposi, « prima ed essa
insieme meneren con esso noi.


55
56
57

1399
n
Non c'è bisogno d'aver sì gran pressa:
ancora il sole al cerchio di merigge
non è, e 'l nostro andar però non cessa ».


58
59
60

1400
d
Diss'ella allora: « Io so che ti trafigge
di lei il piacer e non ti puoi partire,
però pur qui tua volontà si figge.


61
62
63

1401
e
E però se in questo il tuo disire
io seguirò, tu giurerai di fare
quel ch'io vorrò ed altro non seguire ».


64
65
66

1402
l
La mia risposta fu: « Non comandare
ch'io non ami costei, ogni altra cosa
al tuo piacer mi fia lieve osservare.

Se seguendo Campbell la risposta di Eloisa apre il soggetto moderno, ben più chiaramente Boccaccio lo fonda, sciogliendo l'amore trobadorico dal debito sacro, e anzi sacralizzando il profano - o riportando alla terra il sacro. Qui mistico ed erotico coincidono. Coire, coito. E se coincidono accade il dissoggettamento e la soggettivazione, che esclude fin dalla vita - non solo oltre la vita - la gerarchia uomo-donna, e quindi ogni altra gerarchia.
67
68
69
1403
l
La qual se io sol per libidinosa
voglia fornire amassi, in veritate
con dover ne saresti crucciosa;


70
71
72
1404
a
anzi con quella intera caritate
che prossima persona amar si dee,
amo, servo ed onoro sua bontate;


73
74
75
1405
l
la qual, si come manifesto v'ee,
non trova pari in atti né 'n bellezza,
né in saper nel mondo simil ee ».


76
77
78
1406
t
« Tu hai », mi disse quella con dolcezza,
sì presa me pur di voler vedere
costei, cui Donna fai di gentilezza


79
80
81
1407
r
real posseditrice, che potere
non ho sanza vederla d'ire altrove
né di negare a te il tuo piacere.


82
83
84
1408
o
Or dunque insieme ce n'andiam là dove
tu l'hai lasciata, e veggian manifesto
se quello è vero a che il tuo dir mi move ».


85
86
87
1409
s
Subitamente ragionato questo
insieme ci movemmo e nel conspetto
venimmo di colei, che 'n atto onesto

Le droghe aprono lo scambio tra i due emisferi? Per questo sono desiderate e per questo sono pericolose?
88

1410
i
incontro venne a noi con lieto aspetto.
Perché si sono differenziati i due emisferi, e perché necessitano di aperture e di chiusure?




CANTO XLVIII
Dove l’autore pone che la Donna che ’l guida si fanno festa colla sua amanza.

1
2
3

1411
g
Graziosamente si feciono onore
quivi insieme le donne, ed in brieve
l'una dell'altra conobbe il valore.


4
5
6

1412
o
« Ora mi fia », la prima Donna, « lieve »,
ver me rivolta disse, « farti quella
grazia che per adietro m'era grieve.


7
8
9

1413
d
Dolce, cara e benigna mia sorella
tengo costei, e s' tu m'avessi detto
di lei il nome, già saremmo ad ella,


10
11
12

1414
e
è gran pezza, venuti nel conspetto.
Costei sanza 'l fedel consiglio mio
non ferma fatto né compon suo detto:


13
14
15

1415
d
dunque per tale essemplo il tuo disio
raffrena e serva il verace piacere,
il qual più volte t'ho già mostrat'io.


16
17
18

1416
i
Intero fa che servi il suo parere:
altro che ben non ten potrà seguire,
però ch'ell'ha ver te il mio volere ».


19
20
21

1417
l
Lei prese poi per mano e così a dire
incominciò: « Figliuola di virtute,
cui questi qui del tutto vuol servire


22
23
24

1418
o
ognor con più disio, per sua salute
pensa, sì ch'egli, ch'ogn'altra ha lasciata
per servir te, con laude dovute


25
26
27
1419
r
ringrazi te, cui elli ha essaltata
nel mio conspetto tanto che giammai
nulla ne fu per tal modo lodata.

Boccaccio ci dice che la sua lode alla donna non è mai stata fatta prima di lui, afferma quindi la sua originalità e la sua continuità rispetto a Dante e Petrarca. Qui comincia la funzione dissoggettivante e soggettivante insieme della letteratura, e la sua pericolosità estrema. Assoggettivante è la prima infanzia, prima delle onde alfa. Comprensibile che le donne non dovessero studiare. Comprensibile che il soprano fosse un uomo - e solo attori maschi in scena! - comprensibile che poi sia una donna, restando il significante maschile, tanto che soprano è sia femminile che maschile. 
28
29
30
1420
o
Ond'io udendo ciò immaginai
che fuor che tu altr'esser non potea,
e però a venir qui m'inviai ».

Le onde alfa presiederebbero alla comunicazione fra i due emisferi, una specie di ponte fra due aree altrimenti separate. Prima delle onde alfa: ogni volta che quel che è esclusivo di uno dei due emisferi è attivo l'altro emisfero non è attivo. Così si forma la condizione umana che esamina la realtà limitando gli impulsi endogeni. Una volta che questa condizione di veglia è stabilizzata, compaiono le onde alfa per costruire un ponte fra le due, mentre fino a quel punto erano nettamente distinte. Tutto l'equilibrio psichico dipende dalla tenuta del ponte, e dalla sua permanenza. Si può dire che il compito del soggetto è mantenere e manutenere il ponte. L'arte è il ponte stesso.
1421-1436
Ond’io lieto dimoro; terzo sonetto, coda, secondo verso, settenario, 16 lettere

31
32
33


1421

O

Ove poi per la destra mi prendea
e davami a costei, così dicendo
ancora inver di lei, ciò mi parea:


34
35
36
1422
n
« Non ebbe questi mai fren che tenendo
andasse in modo buon sua giovanezza,
se non ch'io ora di porgliele intendo,


37
38
39
1423
d
dirizzando esso verso quella altezza
onde tu discendesti a dimostrare
alli mondan quaggiù la tua bellezza.


40
41
42
1424
i
Imperciò ch'io il sento ancora a fare
a te ogni servigio molto presto,
per la fé che mi dei ti vo' pregare,


43
44
45
1425
o
ogni cagion rimossa, che in questo
e' sia in quanto può racomandato,
drizzando lui col tuo parlare onesto


46
47
48
1426
l
là ove sia onorevole stato
di lui e tuo e suo contentamento,
in modo che a me non sia disgrato.


49
50
51
1427
i
Io il ti dono tutto, i' 'l ti presento:
sempre sia tuo, né giammai sia ardito
di sé partir dal tuo comandamento ».


52
53
54
1428
e
E poi rivolta a me mi disse: « Udito
hai ch'io t'ho dato a questa: fa che 'n guisa
la servi che 'l mio don sia gradito.


55
56
57
1429
t
Tiella per Donna tua, né mai divisa
sia da lei l'alma tua fin che la vita
dal mortal colpo in te non è conquisa.


58
59
60
60
1430

o
Or qui alquanto per questa fiorita
campagna dolcemente ti riposa,
sì che poi sie più forte alla salita


61
62
63
1431
d
dove menarti intendo, e la gioiosa
Donna con noi, acciò che la via
del tutto paia a ciascun dilettosa ».


64
65
66
1432
i
Io dissi allor: « Madonna, così sia!
se tal grazia mi fai, quando ti piace
a tal camin con noi dietro t'invia.


67
68
69

1433
m
Manifesto conosco altro che pace
io non potrei aver, poi questa vene
che per conforto sola nel cor giace,


70
71
72
1434
o
ond'io sento alleggiare le mie pene.
Dio voglia ch'ella ci stia lungamente,
con allegrezza aggiugnendoci bene! ».


73
74
75
1435
r
Ridendo e festeggiando insiememente
su per l'erbette insieme n'andavamo
e d'amor ragionando lietamente.


76
77
78
1436
o
Ora innanzi ora 'ndietro tornavamo,
e talora cogliendo erbette e fiori
sopra li verdi prati abassavamo,


1437-1463
Rendete a llei 'l meritato alloro; terzo sonetto, coda, terzo verso, endecasillabo, 27 lettere

79
80
81


1437

r

rinnovando con gli occhi più gli ardori
degli animi, e andando per la via
soave al naso per diversi odori.


82
83
84
1438
e
E con colei ch'a me più agradia
cercando ogni boschetto, noi soletti,
sanza la Donna ch'adietro venia,


85
86
87
1439
n
n'andavan tutti prendendo diletti;
tanto che quella, entrati in chiuso loco,
più non vedemmo, onde: « Ciascun s'assetti »,


88
1440
d
dicendo, « qui or aspettianla un poco ».





CANTO XLIX
Dove in visione era per pigliare colla detta Donna l’ultimo diletto.

1
2
3
1441
e
Era quel loco, dove ci trovamo,
soletto tutto, né persona appresso
di nulla parte a noi non sentavamo.


4
5
6
1442
t
Tutto dintorno ed ancora sopra esso
era di frondi verdi il loco pieno,
e di quelle era ben follato e spesso.


7
8
9
1443
e
Entrar non vi potea sol né sereno,
e di vermiglie rose in circuito
gran quantità ancor vi si vedieno.


10
11
12
1444
a
Allor vedendo il dilettevol sito
e me con quella dimorar soletti
e d'ogni altra compagna esser partito,    


13
14
15
1445
l
là fra me dissi: « Io non so ch'io m'aspetti:
perché, poi che qui sono, ora non prendo
di questa i tanti affannati diletti?


16
17
18
1446
l
Lo loco ov'ora dimorian sedendo
to' ogni sospetto, né qui mai trovarci
quella potria che ci venia seguendo,


19
20
21
1447
e
ed altro non cred'io che impacciarci
potesse: costei vuole ed io 'l disio,
dunque perché cercar più d'indugiarci?


22
23
24
1448
i
In cotal ragionar m'acosta' io
a quella, e presa lei che 'n sull'erbetta
sonniferava già, al parer mio,


25
26
27
1449
l
lei nelle braccia mi reca' istretta:
mille fiate credo la basciai
pria si svegliasse la bella angioletta.


28
29
30
1450
m
Ma subito stordita a dir: « Che fai? »
cominciò isvegliata, « deh, non fare!
se quella Donna vien, come farai? ».


31
32
33
1451
e
Ed io allora cominciai a parlare:
« Donna, io non so quando mi riavesse
quel che tu ora mi vuoi far lasciare.


34
35
36
1452
r
Ragion sarebbe ch'io sempre piangesse,
se per preghiera che non dee valere
quel ch'io ho mattamente perdesse ».


37
38
39

1453
i
In cotal guisa stando, al mio parere,
già questa bella Donna stava cheta,
consentendo umilmente, al mio piacere


40
41
42
1454
t
tutta disposta, quando l'alma lieta
di cotal bene tanta gioia prese
in sé, che ritener dentro a sua meta     


43
44
45
1455
a
allora non poté, ma 'l sonno offese
là dov'io dolce allor facea dimora,
per che si ruppe e più non si difese.


46
47
48
1456
t
Tutto stordito mi riscossi allora
e strinsi a me le braccia, e mi credea
intra esse madama avervi ancora.


49
50
51
1457
o
Omè, quanto angosciosa e quanto rea
tal partita mi fu, e quanto caro
mi fu il dormir mentre 'n braccio v'avea!


52
53
54
1458
a
Ahi come ritornò in duolo amaro
quel diletto che 'l sonno m'avea porto,
ch'a ogni affanno avea posto riparo!


55
56
57

1459
l
Lasso, angoscioso e sanza alcun conforto,
levato pur dintorno mi mirava
immaginando ancora star nell'orto.


58
59
60
1460
l
La fantasia non so come m'errava,
e, mentre avea sognato, mi credeva
non sogno avesse e così estimava.


61
62
63
1461
o
Ora stordito sognar mi pareva,
e lungo spazio non seppi ov'io m'era
né vero sentimento in me aveva.


64
65
66
1462
r
Ritornato ch'io fui poi nella vera
conoscenza di prima e lagrimato
ebbi per certo spazio quivi ov'era:


67
68
69
1463
o
« Omè », dicendo, «  dove son io stato
con tanta gioia? Ora fosse piaciuto
a Dio ch'i' non mi fossi mai destato,


1464-1477
E più non dic’omai; terzo sonetto, coda, quarto verso, settenario, 14 lettere

70
71
72

1464


E


e 'n cotal gioia sempre sare' suto!
Ancor mi fora leggiero il dormire
se più tal don mi fosse conceduto.     


73
74
75
1465
p
Pianto ed angoscia e noioso martire
di ciò mi crebbe, e multiplicò 'l foco
in me vie più d'amoroso disire,


76
77
78
1466
i
il quale io sento che a poco a poco
tutto mi sface; e già saria finita
la vita mia, se non che a quel loco


79
80
81
1467
u
veracemente spero che reddita
ancor farò con essenza perfetta,
allor prendendo quella gioia compita,


82
83
84
1468
n
nella quale ora dormendo imperfetta
stetti. E questo l'amorosa mente
solo disia e fermamente aspetta,


85
86
87
1469
o
ove Colui, che di tutto è potente,
mi rechi e servi nella vostra grazia
quanto vi piace, madonna piacente,


88

1470
n
nella qual sempre fia la mente sazia.






CANTO L 31 terzine + coda di 1 verso
L’ultimo dell’Amorosa visione, dove l’autore si sveglia dal sonno.

1
2
3
1471
d
Dico che poi che 'l sonno fu partito
tutto di me, che stava lagrimando
ancora in me di tal bene smarrito,


4
5
6
1472
i
in piè drizzato, intorno a me guardando
vidi la bella Donna, la qual voi
per lo giardin mi feste andar cercando.


7
8
9
1473
c
« Che pensi? » disse a me, e poco poi
soggiunse: « Andiam, ch'egli è voler di quella
che nel tuo sonno mi ti diè ancoi ».


10
11
12
1474
o
Ond'io risposi stupefatto ad ella:
« E dove andremo? e torneren noi forse
dov'io era or con quella Donna bella? ».    


13
14
15
1475
m
« Mai sì », disse allora, « e ciò che porse
il tuo dormire alla tua fantasia
tututto avrai, se da me non ti smorse.


16
17
18
1476
a
Ancora più per me dato ti fia
di grazia, di veder ciò che perdesti
quando lasciasti la mia compagnia.


19
20
21
1477
i
In quella parte là, dove or dicesti,
sanza consiglio molto esaminato
ir non si vuol, ché tu ten penteresti.


1478-1502
Perché decto mi par aver assai; terzo sonetto, coda, quinto verso, endecasillabo, 25 lettere

22
23
24


1478

P

Primieramente là dove m'è grato
seguita, ché sanza dubbio intenta
farò di farti a tempo consolato:


25
26
27

1479
e
e quel disio, che or più ti tormenta,
porrò in pace con quella bellezza
che l'alma al cor tuttora ti presenta ».      


28
29
30

1480
r
Ristette allora, ed io tanta dolcezza
presi della promessa, che nel viso
tututto sfavillava d'allegrezza.


31
32
33

1481
c
Con voce piana e tutto pien di riso
risposi a lei: « Donna gentile, io vegno,
né più da te voglio esser mai diviso.


34
35
36

1482
h
Humile e pian, quant'io posso, m'assegno
a te: fa sì ch'al piacer di colei,
di cui io sono, io non trapassi il segno ».


37
38
39

1483
e
« Ell'ha del mio voler », disse costei,
« in mano il fren, sì ch'io non posso fare
se non sol quel ch'è in piacere a lei.


40
41
42

1484
d
Di tanto sempre mi veggo onorare
da essa, ch'io lei lascio, che giammai
oltre alla voglia mia non vuoi mutare ».


43
44
45

1485
e
E questo detto disse: « Andiamo omai,
che 'l tempo è brieve a quel che voi fornire »;
per ch'io sanza più dir la seguitai.


46
47
48

1486
c
Così adunque vo per pervenire,
Donna gentile, al loco dove sendo
voi ebbi tanta gioia nel mio dormire,


49
50
51

1487
t
tuttor notando quel ch'andrò vedendo
dietro a costei per la portella stretta,
e di scriverlo oltre ancora attendo.


52
53
54

1488
o
Or vi voglio pregar, Donna diletta,
che poi che la passata visione
tututta con diletto avrete letta,


55
56
57

1489
m
mirando dove cade riprensione
mi correggiate, e cara la teniate
pensando alla mia buona affezione.


58
59
60

1490
i
Io non mi curo poi se dispregiate
fien forse le sue rime e sua sentenza,
sol che a voi sien dilettose e grate.


61
62
63

1491
p
Per vostro onore e somma reverenza
della fé ch'io vi deggio, come a Donna
di virtuosa e somma intelligenza,


64
65
66

1492
a
atando me la possa che s'indonna
in ciascun cuor gentil che da virtute
per accidente alcun mai non si sdonna,


67
68
69

1493
r
rispetto avendo ancora alla salute
che da vo' isperanza mi promette
a mitigar l'amorose ferute,


70
71
72

1494
a
aggio composte queste parolette
in rima, e fine faccio col piacere
di voi, in cui l'alma tutta si rimette,

73
74
75
1495
v
vaga e contenta solo di potere
far cosa che v'agrada, e questo vole,
questo disia e questo l'è 'n calere,


76
77
78
1496
e
ed il contrario più ch'altro le dole.
Dunque, Donna gentile e valorosa,
di biltà fonte, com di luce sole,


79
80
81

1497
r
rimirate alla fiamma che nascosa
dimora nel mio petto, ed ispegnete
quella con l'esser verso me piatosa.


82
83
84

1498
a
Amor mi diede a voi, voi sola sete
il ben che mi promette la speranza,
sola mia vita in gioia tener potete.


85
86
87

1509
s
Solo mio ben, sola mia disianza,
solo conforto della vaga mente,
sola colei che mia virtute avanza


88
89
90

1500
s
sete e sarete sempre al mio vivente;
né più disio né disiar più voglio
fuor che d'esser a tal biltà servente.


91
92
93

1501
a
Adunque quello ardor in cui m'invoglio
terminerete omai quando vi piace,
ch'io vi sono entro ognor più ch'i' non soglio:


94

1502
i
io v'acomando al Sir di tutta pace.







NOTE ECCEDENTI LO SPAZIO A LATO DEL TESTO
























As
Soon
As
Possible

Prima
Possibile

online dal 18 luglio 2024
lavori in corso