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Convien nella moltitudine delle cose, diverse qualità di cose trovarsi. Niun campo fu mai sì ben coltivato, che in esso o ortica o triboli o alcun pruno non si trovasse mescolato tra le erbe migliori. |
Secondo F.P. Botti (cit., che qui cita Luciano Rossi, p. 85), la decima giornata conferma l'apertura spregiudicata di tutto il Decameron, mostrando come la nobiltà eroica alla quale subentra la classe mercantile produca effetti minimi rispetto alla grandezza dei gesti. Ma le conclusioni di Dioneo parlano di un "...movimento interminabile del testo, di una strategia compositiva riluttante ad ogni assestamento troppo perentorio dei suoi significati. E dunque l'impertinenza di Dioneo viene a sancire implicitamente il destino stesso della forma novella, ricordandoci che “la novella è il genere letterario fondato sulla coscienza che “le cose di questo mondo non hanno stabilità, ma sono sempre in mutamento, e […] propria del suo statuto è l'apertura al possibilismo, alla problematicità, alla varietà della casistica, alla mutevolezza degli eventi. E in questa prospettiva, allora, la sequenza delle cento novelle si chiude nell'esitazione di una possibile riapertura”. |
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F.P. Botti, cit: Qui, d'altronde, quella distanza oggettiva, inerente alla storicità della forma del Decameron di cui parlavamo or ora viene a trovarsi in un certo senso raddoppiata e complicata, giacché è lo stesso Boccaccio, come osservava già Salvatore Battaglia, a "valersi d'una strategica distanza storico-sociale (e, di conseguenza, umana e psicologica) per fare accettare" lo studioso si riferisce alla X 8, "una vicenda che egli sentiva anacronistica e abnorme", cioè, in generale, ad ambientare gli eccessi della virtù in ambienti temporali e culturali in cui risultino il più possibile verosimili. Ma si tratta, appunto, di una "distanza storico-sociale" non ironica; che, anzi, obbedisce all'intento di collocare in una dimensione favolosa, leggendaria gli emblemi di una condizione umana ormai d'altri tempi (o magari d'altri luoghi), di una magnanimità, come abbiamo detto, in "essilio perpetuo rilegata" dalla degradazione di un presente in cui domina l'idolo dell' "utilità": un'esperienza abnorme, in fondo, anche quando incompatibile con la (per così dire) modernità municipale e mercantile della sua Toscana. [Così la fontana al centro del locus amoenus descritto nell'Introduzione alla IV giornata, fa girare due mulini] Sta in questo, d'altronde, la grandezza storica del capolavoro di Boccaccio, la classicità di un testo che riesce a captare e tradurre fin nelle fibre della sua costituzione figurale, nei suoi congegni costruttivi, nelle stesse pulsazioni della scrittura l'avvento cruciale di una nuova epoca, l'alba della civiltà borghese. |
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La virtù impura è la stessa di Freud, che ci affida tutto quel che ha trovato insieme a quel che non ha trovato: eredità non narcisistica perché non tutto (Focchi: Manca sempre una cosa), che permette quindi di immaginare una strada che non sia già stata immaginata dal genitore. Così ogni attante fiabesco disegna con se stesso come pennello un percorso imprevisto, riunendo l'imprevidente Epimeteo e il previdente Prometeo. Non che gli dei non potrebbero decidere in concilio di donare il fuoco agli uomini, è che gli uomini l'ottengono come furto, figli della rottura di un tabù, nella Bibbia come nella Teogonia. Le gerarchie, e il sadomasochismo che le sostiene, affermano la purezza, nella realtà è l'impuro che s'impone, escludendo dalla realtà stessa chi resta fedele alla purezza, in manicomio o in carcere o nella malattia o nell'insignificanza. |
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click di seguito sui titoli delle
novelle per leggerle online (wikisource) |
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GIORNATA DECIMA NOVELLA PRIMA Neifile racconta Un cavaliere serve al re di Spagna; pargli male esser guiderdonato, per che il re con esperienza certissima gli mostra non esser colpa di lui ma della sua malvagia fortuna, altamente donandogli poi. MAGNANIMITÀ DEL RE DI SPAGNA
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Non avendo ricevuto castelli e terreni,
Ruggeri torna a casa scontento, e siccome il rÌe viene
a saperlo, lo fa richiamare e gli mostra come il
diverso trattamento ricevuto sia dovuto alla sua
sfortuna. Gli spiega inoltre che siccome non sarebbe
rimasto in Spagna, non era opportuno donargli terre o
castelli. E infine il cavaliere sceglie fra due
scrigni quello privo di valore, e mostrandogli come
possa essere stato sfortunato, il re gli regala quello
pieno di gioielli.
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Confrontare con il Lai di Lanval di Marie de France, contentente il meraviglioso (https://fr.wikisource.org/wiki/Po%C3%A9sies_de_Marie_de_France_(Roquefort)/Lai_de_Lanval; ultimo accesso 29 aprile 2024). Il cavaliere protagonista viene dimenticato dal re e per questo si riduce in miseria. | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
GIORNATA DECIMA NOVELLA SECONDA Elissa racconta Ghino di Tacco piglia l’abate di Cligni e medicalo del male dello stomaco, e poi il lascia; il quale, tornato in corte di Roma, lui riconcilia con Bonifazio papa, e fállo friere dello Spedale. |
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MAGNANIMO COMPORTAMENTO DI GHINO DI TACCO
E DELL'ABATE DI CLIGNÌ
L'abate guarisce del suo disturbo
allo stomaco grazie alla dieta povera di Ghino, che
poi è generoso con lui e il suo seguito. L'abate
chiede e ottiene il perdono per Ghino di Tacco.
Ghino di Tacco si firmava Bettino Craxi. Eugenio Scalfari che aveva chiamato Giuliano Amato 'dottor Sottile' nel 1986, da direttore di Repubblica trovò come soprannome per Craxi 'Ghino di Tacco'. |
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GIORNATA DECIMA NOVELLA TERZA Filostrato racconta Mitridanes, invidioso della cortesia di Natan, andando per ucciderlo, senza conoscerlo capita a lui, e da lui stesso informato del modo, il truova in un boschetto come ordinato avea; il quale riconoscendolo si vergogna, e suo amico diviene. |
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GENEROSITÀ REGALE
Natan, figlio di David e Betsabea,
personaggio dell'Antico Testamento non è il protagonista
di questa novella. Si tratta invece di Nathan o Natan,
re orientale, protagonista di una storia della
tradizione orientale, arabo-persiana.L'ambientazione orientale tollera bene l'intercambiabilità fra Paesi islamici, India e Cina, come accade anche secoli dopo in Petis de la Croix (Turandot, nei Milles et un jour) e in Galland (Aladino, nelle Mille et une nuits) tra la fine del XVII e l'inizio del XVIII secolo. La storia raccontata da Boccaccio è la stessa raccontata da Amir Khusrow (1253-1325), Storia dei quattro dervisci, e se è impossibile negare che Boccaccio rinarri questa storia, non è detto che sia venuto in contatto - a Napoli, nella biblioteca di Roberto d'Angiò - con l'opera di Amir Khusrow anziché con testi precedenti. Un re dell'Iran chiese e ottenne da un derviscio che gli raccontasse una storia, e il derviscio raccontò di un re che aveva mosso guerra a un re magicamente generoso, Hatim Tai, che gli lascia il regno senza combattere per salvare la vita al suo popolo, ritirandosi in meditazione. Siccome il nuovo re sentiva dire che aveva vinto solo grazie alla generosità di Hatim Tai, decise che doveva catturarlo e ucciderlo, altrimenti i suoi sudditi sarebbero sempre stati devoti a lui. Accade che un povero boscaiolo pensò di catturare Hatim Tai e ottenere una lauta ricompensa per la sua famiglia, ma decise di non farlo: allora Hatim Tai si consegnò ad altra gente e venne portato dal re che aveva preso il suo posto, al quale disse che il boscaiolo l'aveva catturato e meritava la ricompensa. A quel punto il boscaiolo raccontò la vera storia, e il re usurpatore restituì il suo trono ad Hatim Tai e torna nel suo paese. Il re dell'Iran decise allora di superare Hatim Tai e cominciò a distribuire monete d'oro ogni giorno a tutti quelli che si presentavano a chiedergli l'elemosina, ma un giorno rimproverò un derviscio: “Miserabile ingrato! Non dici neanche grazie! Non mi mostri nessun segno di stima; non sorridi, non ti inchini, e ogni giorno ritorni! Quanto tempo durerà ancora? Ti stai forse arricchendo a spese della mia bontà, oppure presti quest’oro con gli interessi? In verità, il tuo comportamento è indegno di un uomo che indossa il venerabile mantello a toppe!”. Non appena ebbe pronunciato queste parole, il derviscio gettò a terra le quaranta monete d’oro che aveva ricevuto e disse al re: “Sappiate, o re dell’Iran, che la generosità non può esistere se non è preceduta da tre cose: la prima è dare senza provare il sentimento di essere generosi; la seconda è la pazienza; la terza, l’assenza di sospetti”. Ma il re non imparò mai. Ai suoi occhi, la generosità era legata a ciò che la gente avrebbe pensato di lui e a ciò che egli provava nel sentirsi ‘generoso’. (Da La storia dei quattro dervisci, Testo disponibile online, vedi bibliografia) Il lieto fine della novella rispecchia il cambiamento catastrofico o miracoloso del re che aveva sfidato Hatim Tai, lo stesso personaggio di Natan, e non l'incapacità del re dell'Iran. Pensando a questa fonte di Boccaccio, mi chiedo come si possa interpretare la X 3 nei termini del passaggio dal medioevo feudale al tempo dei mercanti e dei banchieri, ovvero in termini marxisti. I riferimenti della X giornata a contesti lontanissimi dal presente dell'Onesta brigata dicono piuttosto l'opposto, vale a dire che la sublime generosità o l'abnegazione esistono indipendentemente da un particolare contesto storico e geografico, come esistono indipendentemente l'avidità o la vanagloria. |
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Nello
scenario esotico del "Cattaio", propizio alla
cristallizzazione mitica della realtà, la sagoma
sottimente borghese di Mitridanes riapre il gioco,
caro a Boccaccio, delle svolte impreviste, dell'animo
che muta, degli incontri e delle occasioni che
trasformano, dell'esperienza che educa. Riporta nel
cuore freddo della decima giornatale vibrazioni di un
protagonismo dinamico, squisitamente decameroniano,
che ha la sua verità storica nel nobile empirismo del
ceto mercantile. All'ideale umano della costanza,
della fedeltà incondizionata a un destino morale
contrappone l'apertura al movimento del mondo,
l'itinerario accidentato e incostante dell'esistenza,
la plasticità del carattere che si lascia sollecitare
dall'urto delle cose ed è comunque immerso nella
dimensione essenziale e nutritiva del tempo (la cui
'scoperta' costituisce una delle massime conquiste
della crisi culturale del Trecento, tra Petrarca e
Boccaccio). (Botti, pp. 103-104) L'agnizione è catartica, è una conversione, qualcosa che nel Decameron è detto come passaggio immediato dall'odio all'amore, dal rifiuto all'accettazione, e viceversa. Alla conversione cristiana delle vite dei santi subentra un mutamento catastrofico: la nobiltà non finisce col feudalesimo, anche se coloro che vivono nell'immanenza, da ser Ciappelletto a Griselda, senza eccezioni, possono contare solo su quel che percepiscono e sul modo in cui sono percepiti. Non c'è vita che nella vita. Da Boccaccio a oggi - ma non in Boccaccio! - il lavoro culturale è consistito nel cercare un motore immobile che finzionasse al posto di Dio, compresi i totalitarismi del Novecento, che non hanno finito di seminare morte. Nel momento in cui si vede che questo motore immobile non esiste, allora si sostituisce al paradiso delle religioni e delle ideologie realizzate, il panorama terrificante del vuoto post-atomico, o post-riscaldamento-globale. La questione diventa come si fosse potuto o dovuto prevenire il disastro, dimenticando le glaciazioni e i periodi di surriscaldamento attraversati dalla terra anche prima che la forma umana emergesse accanto a quella degli altri animali. La questione, come nella psicosi maniaco-depressiva, è prendere su di sé la colpa e suicidarsi, mentre altri sottomettono o uccidono altri per garantirsi la sopravvivenza, nella forma paranoica della psicosi. Altri si pongono la domanda così formulata da Severino Boezio: Si quidem deus est, unde mala? Bona vero unde, si non est? Porsi questa domanda significa due cose non scontate: la prima, vedere che esistono sia il bene che il male, la seconda, sopportare di non avere una risposta. Una parte di noi, quella che prende possesso di tutto l'essere nella psicosi, non sopporta di non avere una risposta, non può rinunciare al delirio di saper rispondere a tutto mentre gli altri non vogliono ascoltare - paranoia - o che qualcuno abbia la risposta per tutto ma non voglia darcela - depressione. Questa impossibilità di tollerare l'incertezza (Caillos: L'incertitude qui vien des reves) impedisce di vedere che esistono l'uno accanto all'altro, intrecciati, e causa uno dell'altro, bene e male, e quindi regredisce a una certezza assoluta come quella dell'animale, come quella di Epimeteo, che non prevede. D'altra parte Prometeo, colui che prevede, da solo non esiste. La possibilità di porsi e di porre la domanda è l'umanizzazione, è la nostra storia. In riferimento a questa decima giornata, è la domanda che possiamo fare a Boccaccio/Dioneo: se volevi fare la battuta finale, perché hai scelto di raccontare di Griselda? E se volevi raccontare, come hai fatto, di Griselda, perché poi hai fatto quella battuta finale? Perché, credo, dal Trecento in Europa, ci sono fratelli maggiori, maestri, non santoni: magister, colui che prevale in un confronto, non colui che è ispirato da Dio, colui che condivide il suo sapere con chi glielo chiede, non colui che dotato di un sapere superiore viene consultato dagli inferiori, che ne possono essere illuminati. Giustamente Fachinelli lamentava la trasformazione della psicoanalisi da disciplina delle domande a disciplina delle risposte. (Peretola, 26 luglio 2022) |
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[L']esercizio
della virtù non è per il giovane Mitridanes una
vocazione spirituale o una scelta nobilmente
disinteressata, un abito esistenziale che s'appaga di
sé, bensì un mezzo per affermare, e a quasiasi costo,
la propria individualità. Al paradosso della
liberalità che induce all'assassinio si aggiunge
quello della liberalità subordinata a un principio di
utilità, della dedizione agli altri che si fonda su un
progetto egoistico. (Botti, p. 98) Continua poi osservando che mentre di Natan Boccaccio precisa che era di nobile lignaggio, non altrettanto dice di Mitridanes. Si tratterebbe quindi di un costume mentale, prima ancora che etico, radicato nella tradizione di una classe al punto di apparire una seconda natura mentre Mitridanes apparterrebbe a una prospettiva ideologica assai diversa, all'emisfero culturale borghese, in cui (schematizzando recisamente) anche i valori ideali tendono a trasformarsi - o a degradarsi - in strumenti, perché l'individuo li utilizzi e li sottometta al fine della sua affermazione nell'agone della società. L'A. continua leggendo in Mitridanes la società mercantile e in Natan i nobili; e nel grido di Mitridanes "Vegliardo, tu se' morto!" legge il livore omicida in un conflitto generazionale dove il figlio vuol liberarsi del suo irraggiungibile modello, dove il dinamismo della classe mercantile vuole appropriarsi dei valori del feudalesimo [quali?!?] nel momento in cui lo soppianta. Se solo Botti avesse dato un'occhiata alla fonte orientale della storia non avrebbe proposto questa interpretazione pallido-marxista. Dice fra l'altro che il comportamento di Natan è disumano ed esprime la tendenza, presente in quasi tutti i personaggi della giornata, ad agire, letteralmente, contro la natura umana. (p. 100) Dimentica che lo spazio del racconto è altro dallo spazio della realtà, dimentica che è spazio di sospensione dalla bruttura della peste. Né tiene conto del fatto che nell'esempio orientale il re nemico e Hatim Tai sono entrambi di nobile lignaggio e che al racconto dei quattro dervisci narrato da Amir Khousrow era ben estranea l'ascesa di una classe di mercanti e banchieri che subentravano ai nobili. Poi cita il discorso di Natan a Mitridanes: Figliuol mio, alla tua impresa, chente che tu la vogli chiamare o malvagia o altramenti, non bisogna di domandar né di dar perdono, per ciò che non per odio la seguivi, ma per potere esser tenuto migliore. Vivi adunque di me sicuro, ed abbi di certo che niuno altro uom vive il quale te quanto io ami, avendo riguardo all’altezza dell’animo tuo, il quale non ad ammassar denari, come i miseri fanno, ma ad ispender gli ammassati s’è dato: né ti vergognare d’avermi voluto uccidere per divenir famoso, né credere che io me ne maravigli. I sommi imperadori ed i grandissimi re non hanno quasi con altra arte che d’uccidere, non uno uomo, come tu volevi fare, ma infiniti, ed ardere paesi ed abbattere le cittá, li loro regni ampliati, e per conseguente la fama loro; per che, se tu, per piú farti famoso, me solo uccider volevi, non maravigliosa cosa né nuova facevi, ma molto usata. Ci rendiamo conto che Boccaccio con questo discorso mette sullo stesso piano i re e i condottieri dell'antichità classica e del feudalesimo e l'intenzione omicida di Mitridanes nei suoi confronti? Questa è al conclusione di Botti: Pur nel falsetto di una cerimoniosa parzialità (ma lo spazio che ad esse concede l'autore - nella cui opera peraltro, più di una volta ricorrono "posizioni dissacranti degli eroi e degl'imperi più acclamati" [Branca, Boccaccio medievale, p. 1133, n. 8] - ne rivela la plausibilità, la dignità conoscitiva), le parole di Natan dicono, siglando esemplarmente il regime di ambiguità che avvolge la giornata conclusiva del Decameron, che i valori affondano le loro radici impure nella violenza della storia, sono come un'altra faccia della volontà di potenza degli uomini. (sic!, p.105) |
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GIORNATA DECIMA NOVELLA QUARTA Lauretta racconta Messer Gentil de' Carisendi, venuto da Modena, trae della sepoltura una donna amata da lui, sepellita per morta; la quale riconfortata partorisce un figliuol maschio, e messer Gentile lei e 'l figliuolo restituisce a Niccoluccio Caccianimico, marito di lei. |
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VERO AMORE
È una delle novelle più
affascinanti del Decameron, nella quale l'amore
vince la morte - Gentile non esita a visitare la
donna che ama anche se si trova nel sepolcro, e cede
al desiderio di toccarle il seno. Quando sente che
il cuore batte, senza esistare porta la donna ancora
senza sensi a casa sua e la madre lo aiuta a
curarla, e la fa tornare in vita. Resta a casa
dell'uomo che la ama e dà alla luce un bambino, dopo
un certo tempo Gentile invita alla sua tavola i
maggiorenti della città compreso il marito di
Catalina, e dopo aver raccontato la storia del
servitore messo fuori dalla porta dal padrone e
raccolto e curato e guarito da un altro, e aver
chiesto a chi appartenga secondo giustizia quel
serviìo, fa venire Catalina, che resta in silenzio
mentre i presenti le stanno attorno e le fanno
domande alle quali lei non risponde. Filnalmente
racconta tutta la storia e la dà al legittimo marito
rallegrandosi per esser stato causa della salvezza
della donna amata, che sarebbe sua, come il servo
della favola, ma della quale lui fa dono al
marito insieme al bambino figlio loro, che però ha
chiamato Gentile, col suo nome.
Che adunque qui, benigne donne,
direte? Estimerete, l’aver donato un re lo scettro e
la corona, ed uno abate senza suo costo avere
riconciliato un malfattore al papa, ed un vecchio
porgere la sua gola al coltello del nemico, essere
stato da agguagliare al fatto di messer Gentile? Il
quale, giovane ed ardente, e giusto titolo
parendogli avere in ciò che la trascutaggine altrui
aveva gittato via ed egli per la sua buona fortuna
aveva ricolto, non solo temperò onestamente il suo
fuoco, ma liberamente quello che egli soleva con
tutto il pensier disiderare e cercar di rubare,
avendolo, restituí. Per certo niuna delle giá dette
a questa mi par simigliante. (W)
Un amante avendo diritto a tener con sé l'amata la lascia al marito dopo averla fatta tornare in vita. È come Pelle d'asino, con la presenza costante della madre dell'innamorato che lo aiuta a conquistare la fanciulla meravigliosa, salvo che l'innamorato è pago di esser stato causa della vita della sua amata. I fratelli Taviani caricano la storia modificandola pesantemente: Messer Gentile tiene per sé la donna, che guardando il marito che desidera riprenderla ricorda come non l'abbia accarezzata per la madre che lo ha trattenuto e allontana la sua mano come la madre gliela aveva allontanata quando lui voleva carezzarla. Catalina inoltre per i Taviani non è incinta, ed è stata abbandonata come se avesse avuto la peste, della quale si dice che Gentile era stato malato e ne era guarito. I Fratelli Taviani spingono la novella nel registro della favola, cosa che riesce perfettamente, e la favola è quella di Pelle d'Asino, per vari elementi, anche se manca il tentativo d'incesto del padre della protagonista. |
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Gentile de' Carisendi (YouTube 19:13) Dal film Maraviglioso Boccaccio (2015) di Paolo e Vittorio Taviani |
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GIORNATA DECIMA NOVELLA QUINTA Emilia racconta Madonna Dianora domanda a messer
Ansaldo un giardino di gennaio bello come di maggio;
messer Ansaldo con l'obligarsi a uno nigromante
gliele dà;
il marito le concede che ella faccia il piacere di messer Ansaldo, il quale udita la liberalità del marito, l'assolve della promessa, e il nigromante, senza volere alcuna cosa del suo, assolve messere Ansaldo. |
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Il re Carlo vecchio, vittorioso, d'una
giovinetta innamoratosi, vergognandosi del suo folle
pensiero, lei e una sua sorella onorevolmente
marita.
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ASAP
- PPCQ La fonte dell'episodio si trova
nel De mulieribus claris, LXXIV, come osserva
Elsa Filosa p. 70.
https://www.ledonline.it/ledonline/589-filosa-studi/589-filosa-studi.pdf
Valerio Massimo racconta di Terza Emilia moglie di Scipione l'Africano, che non accusò il marito per l'attrazione provata da vecchio per una giovane ancella, non volendo come donna accusare un grande uomo per la propria incapacità di sopportare la sua debolezza. Dopo la morte del marito la liberò e la diede in isposa ad un suo liberto. (Filosa 68) Brevissima quindi la descrizione di Valerio Massimo, alla quale Boccaccio aggiunge l'età senile di Scipione, presentando Terza Emilia come nobile per nascita e per matrimonio, e dicendo che per un'altra ragione è una donna illustre. Poi passa a raccontare della passione senile di Scipione, fermo di carattere da giovane, ora meno rigoroso nei principi morali. Così quello Scipione Africano tanto valoroso non sa difendersi nella vecchiaia dalle lusinghe dei sensi. E Boccaccio scrive: Et quis dubitet quin egerrime tulerit? Asserunt enim non nulle, omne oris rubore seposito, nil iniuoriosius, nil intolerabilius nupte mulieri fieri posse quam iure thori suum dicunt a viro extere concedi femine; et ego edepol facile credam. [Brutta traduzione] Chi potrebbe mettere in dubbio il dispiacere arrecatole da questa notizia? Alcune, messa da parte ogni vergogna, affermano che per una donna sposata niente riesca più oltraggioso e intollerabile del fatto che il marito conceda ad altra donna il letto che esse dichiarano proprio, per diritto matrimoniale. La liberalità di Terza Emilia è degna dei protagonisti delle novelle della X giornata, e - aggiungo io - ricorda Griselda per la pazienza e l'amore senza limiti con cui onora il marito. Perché di onore della donna si tratta, l'onore che riceve dalla fama del marito come la luna riceve la luce dal sole. Se si pensa a Leuk, luce riflessa, passiva, e Diòs, luce attiva (ctrl) si fa riferimento a una sapienza che ricorda l'I Ching e le Mille e una notte. |
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GIORNATA DECIMA NOVELLA SETTIMA Pampinea racconta Il re Piero, sentito il fervente amore portatogli dalla Lisa inferma, lei conforta e appresso a un gentil giovane la marita; e lei nella fronte baciata, sempre poi si dice suo cavaliere. |
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Si narrava ai tempi di Boccaccio
la storia vera dell'avventuriera siciliana Machalda di
Scaletta innamorata del re Pietro d'Aragona, che
potrebbe aver fornito la materia per la settima
novella della decima giornata (vedi S. M. Cingolani, Historiografía,
propaganda i comunicació al segle XIII: Bernat
Desclot i les dues redaccions de la seva crònica,
2006) La novella è un'elogio della poesia, che
rende possibile un incontro altrimenti impensabile,
che vola libero dalle convenzioni che impedirebbero
l'incontro fra un re e la figlia di uno speziale, per
quanto ricco. Lisa e re Pietro sono infatti pari
perché conoscono, con un dolore che può portare alla
morte l'una, con una generosità che salva l'innamorata
l'altro, l'intensità dell'amore e del desiderio per
l'altro. Lontanissimi l'uno dall'altro per convenzione
sociale, il loro intelletto d'amore rende
possibile l'incontro e il lieto fine, grazie alla
poesia e alla musica la canzone che Lisa
chied e di comporre a Minuccio
d'Arezzo, finissimo cantatore e sonatore, volentieri
dal re Pietro veduto (questa e le seguenti
citazioni in corsivo sono tratte dal testo della
novella linkato al titolo), che girò la
commissione a Mico da SIena, assai buon dicitore a
rima, e con prieghi lo strinse a far la canzonetta che
si trova nella novella.In tre giorni Minuccio compose
la musica, e dopo averla eseguita a corte rispose al
re che gli chiedeva di dove venisse quella musica mai
udita prima: Monsignore, e' non son ancora tre
giorni che le parole si fecero ed il suono. Poi,
dicendo che a lui sono poteva rivelarne l'origine,
andò col re nelle sue stanze e gli raccontò la storia.
L'eccellenza di cui si racconta nella decima giornata
è nella sensibilità che comprende il valore della
poesia, pari a quello delle fate che intervengono
nelle fiabe. Non possiamo non ricordare che le fiabe,
qualunque sia stata la loro circolazione orale,
vengono pubblicate per la prima volta due secoli dopo
il Decameron in una raccolta di novelle che riprende
il nostro capolavoro, mentre una completa raccolta di
fiabe, che la tradizione cognominerà Pentamerone,
aspetterà un altro secolo prima di vedere la luce.
Prima della fine del secolo barocco Charles Perrault
darà alle stampe la novella di Griselda, e
successivamente comporrà la raccolta che supererà in
fama quella secentesca di Basile.
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Sofronia, credendosi esser moglie di
Gisippo, è moglie di Tito Quinzio Fulvo e con lui se
ne va a Roma, dove Gisippo in povero stato arriva; e
credendo da Tito esser disprezzato, sé avere uno
uomo ucciso, per morire, afferma. Tito,
riconosciutolo, per iscamparlo dice sé averlo morto;
il che colui che fatto l'avea vedendo se stesso
manifesta; per la qual cosa da Ottaviano tutti sono
liberati, e Tito dà a Gisippo la sorella per moglie
e con lui comunica ogni suo bene.
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AMICIZIA ILLIMITATA
Botti cita Bausi, cit.: Se
"oggetto precipuo della decima giornata" è la
" 'magnanimità' aristotelica e tomistica, ossia la
virtù che rende più grandi e più splendide tutte le
altre virtù, portandole al sommo grado di
perfezione", "ne consegue che le gesta dei
protagonsiti di questa giornata no nsono e non
vogliono essere, semplicemente, gesta 'virtuose', ma
gesta di eccezionale e straordinaria virtù, giacché
la dimensione dell' "eccesso" e dell'
"oltranza" pertiene specificamente alla magnanimitas:
donde le "inverosimili" e iterate prove di amicizia
fra Tito e Gisippo, donde la "disumana" pazienza e
umiltà di Griselda.
Ogni stranezza in questo gioco di rapporti affettivi è tributaria della prospettiva di superiore moralità abbracciata dall'autore, è in funzione, cioè, del mito ciceroniano dell'amicizia ben presente nella cultura medievale (si pensi solo all'importanza che Dante attribuisce alla lettura del Lelius) e dunque boccacciana, e specificamente consono alla caratura filosofica dei due protagonisti, che "non sono tanto chierici da ascoltare il consiglio di Teofrasto riportato nell'Adversus Jovinianum di San Girolamo, secondo cui al sapiente non conviene prender moglie", ma che "hanno studiato abbastanza filosofia da far prevalere amicizia su amore" (Botti, cit, che cita Bruni, cit. p. 276) Nella storia della donna fatta a pezzi, che Giaafar deve risolvere, pena la morte, ovvero La storia delle tre mele, il padre e il marito della donna si accusano dell'omicidio pur essendo innocenti. |
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"Il difetto sostanziale del Boccaccio nel comporre la novella di Tito e Gisippo consiste nell'applicare questa sua nuova sensibilità della situazione umana su uno schermo assoluto e categorico, che contraddice alla mobilità della vita. La sua grande arte mira, di solito, a trasferire l'emblematicità esemplare nel probabilismo dell'esperienza; e qui, invece, egli ha imprigionato il dinamismo psicologico dei suoi attori in una paradossale astrattezza etica" (Salvatore Battaglia, La coscienza letteraria del Medioevo, p. 512; cit da F. P. Botti, in "La virtù impura", cit. p. 84) | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Le virtù e i vizi degli uomini. In
particolare: il timore di Dio, l’ipocrisia, la saggezza,
il silenzio e la nobiltà. In questa sezione sono
riportati numerosi proverbi di filosofi non
identificati. Ogni proverbio è introdotto da “alius
philosophus”. I proverbi sono intervallati da exempla.
Uno dei più interessanti è l’exemplum de integro
amico.[9] Il
racconto narra di due amici mercanti che in nome della
loro amicizia si danno reciprocamente pieno sostegno;
uno dei due si assume persino la colpa di aver commesso
un crimine per proteggere l’altro che era stato
erroneamente accusato di essere colpevole. Interessante
è notare che lo spazio in cui si muovono non è
caratterizzato dal punto di vista religioso, ma solo
geografico in nome dell’universalità degli insegnamenti
di Pietro Alfonsi. (https://it.wikipedia.org/wiki/Disciplina_clericalis) |
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Il Saladino
in forma di mercatante è onorato da messer Torello;
fassi il passaggio; messer Torello dà un termine alla
donna sua a rimaritarsi; è preso e per acconciare uccelli viene in notizia del soldano, il quale, riconosciutolo e sé fatto riconoscere, sommamente l'onora; messer Torello inferma e per arte magica in una notte n'è recato a Pavia; e alle nozze che della rimaritata sua moglie si facevano da lei riconosciuto con lei a casa sua se ne torna. |
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ASAP - PPCQ
Il letto volante è fratello del
tappeto volante delle Mille e una notte, ed è la
probabile fonte del volo notturno della novella di
Straparola della sposa che per riavere il marito che
si è fermato nelle Fiandre ricorre a una maga che
evoca un diavolo che la porta avanti e indietro da
Firenze alle Fiandre. I voli notturni nella raccolta
araba sono possibili per i jinn, geni, demoni, nella
novella IX della X giornata da un negromante, nella
novella cinquecentesca da un diavolo. La protagonista
di Straparola, nella finale agnizione, dice che è
stato un angelo, perché se dicesse che, stanca di
pregare senza ottenere nulla, è ricorsa a una strega
che ha evocato i diavoli dell'inferno, verrebbe
bruciata come strega lei stessa.
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GIORNATA DECIMA NOVELLA DECIMA Dioneo racconta Il marchese di Saluzzo da' prieghi de' suoi uomini costretto di pigliar moglie, per prenderla a suo modo piglia una figliuola d'un villano, della quale ha due figliuoli, li quali le fa veduto d'uccidergli; poi, mostrando lei essergli rincresciuta e avere altra moglie presa a casa faccendosi ritornare la propria figliuola come se sua moglie fosse, lei avendo in camiscia cacciata e a ogni cosa trovandola paziente, piú cara che mai in casa tornatalasi, i suoi figliuoli grandi le mostra e come marchesana l'onora e fa onorare. |
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E TU UNA CAMISCIA NE PORTA
La novella di Griselda prima, poi
tutta la decima giornata, mi hanno invitato a rileggere
integralmente il Decameron, e quindi a proporre a
chi lo desideri di partecipare all'immenso e raffinato
piacere che la lettura di Boccaccio, Maestro italiano ed
europeo, offre gratuitamente, ovvero gratia et amore
Dei. Sono del resto gratuite tutte le cose più
preziose, il cui valore non può tradursi in un prezzo
che si possa quotare in borsa, o in una rendita che
garantisca qualche certezza. E così, questo lavoro sul
Decameron ha alle spalle una decina d'anni di
riflessioni informali su Griselda, comincia ora
l'avventura online e potrebbe fermarsi anche domani,
come potrebbe suggerire di scrivere un libro,
organizzare un convegno, un Piccolo Festival, una
pubblica lettura (PPCQ, Prima Possibile Chissà Quando).
Di certo non si può lasciare da parte nessuna delle
cento novelle, pena l'impossibilità di riconoscere
l'ordine segreto, il gioco algebrico e
geometrico disposto da Boccaccio, come l'ordine che si
può vedere nella sestina lirica e nella Divina Commedia
(vedi, in questo sito, Lo
ferm voler di Arnaut Daniel, 2012).
L'esperienza estetica - in greco aisthèsis, da
qui estasi, significava nel greco antico percezione,
sensazione, sentimento - rivelandoci la nostra
parentela col mondo, la nostra intimità con tutte le sue
creature, uomini e donne, animali e piante, presenti,
passate e future, offre una forma di liberazione
irrevocabile, preceduta dalla legittimazione paterna.
(Peretola, 1 luglio 2022)Griselda rivolge due motti a Gualtieri, con i quali lo stringe costringendolo a riconoscere la sua indomabile libertà, pur rispettando la parola di lui come ordine e come patto che onora alla lettera. Ma il motto di spirito, come il lapsus, come la poesia, come il sogno e il sintomo, non dipendono dagli ordini né dai patti ed eludono la lettera. Il primo motto di Griselda è quando Gualtieri, fingendo di aver ottenuto dal papa una dispensa che gli consente di sposare una nobildonna le ordina tornare da suo padre nuda, perché tutti i suoi abiti li ha avuti da lui: Comandatemi che io quella dota me ne porti che io ci recai, alla qual cosa fare né a voi pagatore né a me borsa bisognerá né somiere, per ciò che di mente uscito non m’è che ignuda m’aveste: e se voi giudicate onesto che quel corpo nel quale io ho portati figliuoli da voi generati, sia da tutti veduto, io me n’andrò ignuda: ma io vi priego, in premio della mia virginitá che io ci recai e non ne la porto, che almeno una sola camiscia sopra la dota mia vi piaccia che io portarne possa. — Gualtieri, che maggior voglia di piagnere aveva che d’altro, stando pur col viso duro, disse: — E tu una camiscia ne porta. Il marchese Gualtieri ha imposto a Griselda di non disobbedire mai ai suoi ordini, e di non mostrarsi mai dispiaciuta o triste, qualunque cosa lui faccia. Ma non ha immaginato di aver lui voglia di piangere, e se ne vergogna: per questo si forza a nascondere la sua emozione. Anche il giovane scolaro della novella VII dell'ottava giornata sente commozione vedendo il corpo bianchissimo della crudele amata della quale vuole vendicarsi, anche lui resiste più volte, ma la sua collera è più grande della compassione. Il marchese, non contento di aver fatto credere a Griselda di aver ucciso i loro due figli e di averla rimandata nella povera casa del padre, la manda a chiamare per organizzare la casa e il convito per le sue nuove nozze: indicandole quindi la nuova giovanissima sposa le chiede che gliene sembri. Ora Griselda rivolge al nobile marito il secondo motto: Signor mio, — rispose Griselda — a me ne par molto bene; e se cosí è savia come ella è bella, che il credo, io non dubito punto che voi non dobbiate con lei vivere il piú consolato signor del mondo: ma quanto posso vi priego che quelle punture, le quali all’altra che vostra fu giá, déste, non diate a questa, ché appena che io creda che ella le potesse sostenere, sí perché piú giovane è, e sí ancora perché in dilicatezze è allevata, ove colei in continue fatiche da piccolina era stata. Così Griselda parla in terza persona di se stessa, e rispettando il patto che ha preceduto le sue nozze con il marchese non dice una parola della propria sofferenza, ma ricordando le prove che lui le ha inferto gli dice che se le infliggesse alla giovane sposa potrebbe ucciderla. Così Griselda, rispettando il patto col quale Gualtieri ha creduto di mettere al sicuro il suo potere fallico e unico, gli rivela che il solo potere assoluto che lui può esercitare sulla donna è quello di ucciderla. È lo stesso che a distanza di sette secoli spinge gli uomini a uccidere le donne quando si sottraggono al loro potere, preferendo la loro rovina, quella dei figli e di se stessi se non riescono a immaginare di rinunciare a dominarle. Il banchetto della figura qui sopra a sinistra, con i figli cresciuti lontano ma vivi, sarebbe il lieto fine. La terza immagine del Maestro di Griselda (Siena, XV secolo) mostra a destra Griselda in piedi, interpellata da Gualtieri, mentre a sinistra è seduta a capotavola fra le braccia del marito, come in un lieto fine della novella finale del Decameron. Così conclude Dioneo la sua ultima novella: Che si potrá dir qui, se non che anche nelle povere case piovono dal cielo de’ divini spiriti, come nelle reali di quegli che sarien piú degni di guardar porci che d’avere sopra uomini signoria? Chi avrebbe altri che Griselda potuto col viso non solamente asciutto ma lieto sofferir le rigide e mai piú non udite pruove da Gualtier fatte? Al quale non sarebbe forse stato male investito d’essersi abbattuto ad una che, quando fuor di casa l’avesse in in camiscia cacciata, s’avesse sì ad uno altro fatto scuotere il pilliccione, che riuscito ne fosse una bella roba. Aprendo l'ingrandimento della terza immagine qui sotto, se osserviamo l'espressione dipinta sui volti di Gualtieri e di Griselda a capotavola a sinistra, abbracciati, non pensiamo solo a un finale felice: forse il senese Maestro di Griselda era d'accordo con Dioneo? O forse Boccaccio era consapevole degli ostacoli alla parità, che prima di tutto è parità fra uomo e donna, possibile, ma ancora praticamente impossibile fuori dalla novella o favola o fiaba che dir si voglia. Sembra che la sola gerarchia che riusciamo a combattere sia quella che non ci riguarda direttamente o quella che ci vede in posizione inferiore. Eppure, finché c'è racconto c'è speranza. |
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E
se Boccaccio avesse capito che il desiderio degli uomini
è aver autorità sulla donna, come conditio sine qua
non possono averla come sposa e madre dei loro
figli, e che questo aspetto del desiderio fa soffrire
gli uomini quanto le donne? Non è questo che allontana i
figli da entrambi? La cedevolezza di Griselda è in fondo
presente in quel che si chiedeva alla donna che si
sposava: di prendere quel che dicevano e facevano
il marito e i figli maschi una volta cresciuti, proprio
come Griselda si impegna a fare con Gualtieri su sua
richiesta. È solo che Griselda con Gualtieri porta
questa acquiescenza alle estreme conseguenze,
mostrandone così il carattere inumano, che corrompe il
carattere e la reputazione di chi la esige, Gualtieri. E
uccide la donna se non è, come Griselda, avvezza alla
durezza della vita. |
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Se
somigliamo agli altri mammiferi, com'è probabile, il
maschio che sente l'estro della femmina l'insegue, la
trova, la corteggia - fino a nove notti e nove giorni,
come ho sentito dire, il leone con la leonessa - la
monta. Siamo l'unica specie che si accoppia vis-a-vis.
La femmina deve garantire la bontà dell'uomo, in
modo che freni la sua aggressività. Lei deve sospendere
qualunque aggressività diretta contro l'uomo, ed
esercitarla solo nei rapporti fra femmine. Nelle novelle
di Boccaccio, come la VII della giornata VIII, la
crudeltà dell'uomo contro la donna che lo ha colpito e
sconfitto è illimitata, come quella di Gualtieri contro
Griselda, come quella di Shahriyar contro le fanciulle
prese la sera e fatte uccidere al mattino. Come nella
legge relativa al delitto d'onore. E Kalaf sta a
Turandot come Shahrazad sta a Shahriyar. Ha pietà delle
sue vittime, e vuol evitare che ce ne siano altre, anche
se lo stesso Kalaf - come Shahrazad - potrebbe
completare la serie di quelli che perdono la testa. La narrativa dopo il secolo XI, sia araba, sia cristiana, dice che la sottomissione della donna non è garantita. Ma la donna non può eliminare il male, può solo sospenderlo col racconto. Così Boccaccio racconta pensando alle donne, e dà voce a sette donne mentre solo tre sono gli uomini, proprio come Shahrazàd. Salva la donna dalla morte, la lascia in vita, cede alla commozione, come Gualtieri con Griselda, diversamente dallo scolaro con la bella vedova della settima novella dell'ottava giornata. |
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https://www.academia.edu/15250239/Boccaccio_canta_il_Decameron_nel_teatro_musicale_in_Autori_e_lettori_di_Boccaccio_a_cura_di_Michelangelo_Picone_Firenze_Cesati_2002_pp_409_420?email_ work_card=reading-history |
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Fra
il 1701 e il 1735 opere liriche tratte dalla centesima
novella del Decameron e dalla traduzione latina del
Petrarca andarono in scena prevalentemente a Venezia.
Antonio Goldoni modificò un precedente libretto su
richiesta di Vivaldi che ne compose le musiche. (da
completare) Fra il 1701 e il 1798 si contano venti drammi in musica nuovi e diversi, senza contare il ballo di Ronzi né le commedie di Maggi, Riccoboni e Goldoni |
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La
bellezza della donna, la sua accoglienza, che non
significa il suo possesso da parte del marito, come la
bella che deve stare nel castello e accettare la compagnia della
Bestia, amando la Bestia le rende possibile
umanizzarsi. Quindi da Boccaccio in poi, e nelle
fiabe, da Straparola in poi, e con alcuni
cantinbanchi, comunque successivi a Boccaccio, non è
più solo ciò che induce l'uomo a rivolgere solo
all'esterno l'aggressività, lasciando libera la
famiglia, ma anche ciò che spinge l'uomo ad
acquisire la sensibilità della quale è privo il
misogino Gualtieri, che se non fosse per avere
eredi, non si sposerebbe. Nasce quindi con
Boccaccio, e si celebra col genere fiaba, un nuovo
tipo di relazione maschile-femminile, che è allo
stesso tempo un nuovo ordine gerarchico, un nuovo
sguardo sul diverso: cosa già del resto presente nel
Decameron e in tutta l'opera di Boccaccio.
(20/08/22) , |
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https://www.spiweb.it/dossier/dossier-psicoanalisi-e-guerre-gennaio-2014/note-per-una-rilettura-del-pensiero-di-franco-fornari-sulla-guerra/ Nel pensiero di Fornari c'è la risposta che corrisponde alla vicenda di Griselda. Per non cadere nella paranoia distruttiva Gualtieri ha bisogno che la donna lo tratti come buono, vale a dire che bonifichi i suoi impulsi cattivi, rappresentati dalle azioni crudeli. Ma quando si commuove smette di pretendere questa assoluta assoluzione da parte della donna, perché, se la pretendesse da una sposa non avvezza alle privazioni, la ucciderebbe. Griselda non è santa, Griselda è erede di Diotima. |
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Qui sotto le tre immagini del Maestro di
Griselda (datazione incerta, forse 1490) sono precedute
dalla quarta opera di Botticelli col banchetto di nozze
fra Nastagio degli Onesti e la sua amata (come le prime
tre tavole databile al1483, vedi
la nota sulla novella di Nastagio degli Onesti).
La stretta relazione fra le due opere è certamente stata
osservata, qui ci interessa come indice della relazione
fra il lieto fine di Griselda - centesima novella del
Decameron - e il lieto fine delle novelle della quinta
giornata, vale a dire di quelle che completano il numero
di cinquanta. |
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BIBLIOGRAFIA DEI TESTI CITATI IN QUESTA PAGINA | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Amina Shah, La storia dei quattro dervisci di Amir Khusru, Vicenza: Edizioni Il Punto d’Incontro, 1992. | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Bausi,
Francesco, Gli spiritimagni. Figure aristoteliche e
tomistiche nella decima giornata del Decameron |
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Botti,
Francesco Paolo, "La virtù impura. La novella di Natan
e Mitridanes e la X giornata del Decameron"
in: D. Capasso, Nella moltitudine delle cose,
cit. (pp. 84-106,
testo integralmente disponibile online) ultimo
accesso 26/07/2022. |
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Capasso, Danilo, a cura di, Nella moltitudine delle cose. Convegno internazionale su Giovanni Boccaccio a settecento anni dalla nascita. USA NC: Ae Aonia edizioni, Lulu Press, 2016. (testo parzialmente disponibile online) ultimo accesso 26/07/2022. | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Nerucci, Gherardo, Sessanta novelline popolari montalesi. Introduzione, note e glossario di Roberto Fedi.MIlano: Rizzoli BUR 1977. | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||