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Filostrato |
Lauretta |
Elissa |
PAMPINEA |
Ser Cepparello si confessa dal frate
teologo |
Abraham giudeo si converte vedendo
Roma |
Melchisedech racconta al Saladino |
Il monaco pareggia col priore |
La marchesana ferma il re bramoso |
Il vino dell'oste e la brodaglia dei frati |
Bergamino e l'avarizia di Cangrande |
Guiglielmo Borsiere e l'avaro | La donna oltraggiata e il sire di Cipro |
Maestro Alberto da Bologna e il porro virente |
laico <---> chierico |
ebreo <---> cristiano |
suddito <---> sovrano |
inferiore
<---> superiore |
donna
suddito <---> uomo sovrano |
popolano <---> chierico |
suddito <---> signore |
colto <---> ricco |
donna
suddito <---> uomo sovrano |
uomo
vecchio <---> donna giovane |
A ciascheduno aggrada narrare di chi, essendo superiore e potente, è giocato da chi è inferiore per classe, ceto, cultura, sesso o condizione temporanea, per errori e dabbenaggine o per sorte avversa, con l'arte del racconto o con un motto: viene così enunciata nella prima giornata la parità fra tutti gli esseri umani che si trovano nel Decameron, che quando avviene avviene grazie alla parola, come motto o racconto, in assenza di padroni, sia immanenti, sia trascendenti, con finalità giuste che ingiuste, sia veritiere che ingannevoli. (Continua) | ||||||||
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GIORNATA PRIMA NOVELLA PRIMA Panfilo racconta Ser Cepperello con una falsa confessione inganna uno santo frate, e muorsi; ed essendo stato un pessimo uomo in vita, è morto reputato per santo e chiamato san Ciappelletto. |
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UNA CONFESSIONE SORPRENDENTE
Cento canti formano la Commedia
di Dante, che per primo Boccaccio chiamò divina,
e la Divina Commedia è tale per noi da allora. Fu
incaricato di leggere Dante a Santo Stefano in Badia,
vicino alla casa di Dante. Tanti quanti i suoi canti
son le novelle, o favole, o parabole, o storie che
dir le vogliamo, del suo capolavoro che leggo e
rileggo ora, il libro Decameron, cognominato
Prencipe Galeotto nel quale si contengono cento
novelle in diece dì dette da sette donne e tre
giovani uomini.
Rileggendo la prima novella della
prima giornata, leggera e gravissima, mi chiedo se non
sia anche una dichiarazione d'amore per Dante e
insieme un passo oltre la sua opera. Per Dante il
giudizio degli uomini, anche dei papi, può essere
ingannevole: Manfredi creduto all'Inferno andrà in
Paradiso, mentre si trova all'Inferno Guido da
Montefeltro, che era consigliere del papa. Ser
Cepparello, che ne ha combinate di tutti i colori, per
finire in bellezza più che per non mettere nei guai i
suoi ospiti, confessandosi in punto di morte mente
sulla sua vita fino ad apparire santo. Fin qui come
Dante Boccaccio racconta che le apparenze possono
ingannare. Ma va oltre: il corpo del peccatore
blasfemo è mediatore di miracoli quanto quello dei
santi. La prima novella della prima giornata potrebbe
dirci che Boccaccio riceve da Dante il testimone e
procede oltre. E se questa lezione di Boccaccio fosse
ancora da comprendere? Panfilo dice che Dio guarda chi
prega e chiede una grazia, non il corpo del preteso
santo, ma in questo modo tutti i corpi dei santi e le
reliquie che ancora si trovano nelle chiese sono e non
sono dotate di potenza, come il gatto di Erwin
Schrödinger è vivo ed è morto. Come sono reliquie la
penna dell'arcangelo Gabriele e i carboni del martirio
di san Lorenzo mostrati ai fedeli da frate Cipolla.
Boccaccio ci racconta come Panfilo ci spieghi che la trasformazione del nome Ciapparello in Ciappelletto è dovuta a un fraintendimento dei francesi. A Parigi, dove non sapevano che Ciapparello è diminutivo di Ciapo, a sua volta da Jacopo, pensarono che venisse da chapeau il nome del notaio pratese, che era piccolo di persona, e così lo chiamarono Ciappelletto (Chapelet): [N]on sappiendo li franceschi che si volesse dir Cepparello, credendo che «cappello», cioè «ghirlanda», secondo il lor volgare a dir venisse, per ciò che piccolo era, come dicemmo, non Ciappello ma Ciappelletto il chiamavano: e per Ciappelletto era conosciuto per tutto, lá dove pochi per ser Cepparello il conoscieno. Ciappelletto, Chapelet, caplét, a Concordia sulla Secchia, in provincia di Modena, ai confini della provincia di Mangtova, dove sono cresciuta, i tortellini si chiamano caplét, cappelletti, sono piccini come i tortellini bolognesi, ripieni di carne se in brodo, più grandi e ripieni di zucca e parmigiano se asciutti, conditi col burro o con un sugo di salsiccia o d'anatra. Per il vocabolario Treccani i cappelletti, solo al plurale, sarebbero sinonimo di tortellini, dai quali differiscono per la forma, simile a un piccolo cappello, o per il ripieno: mia nonna, ignorando i dizionari, usava la parola anche al singolare. Secondo mio padre, che citava una tradizione, la parola veniva dall'osservazione di un fenomeno atmosferico: quando grosse gocce cadono in una pozzanghera formano per un istante i caplét, i fan i caplét. A Bologna si dice che il tortellino è stato inventato nella loro città, e che la forma dipenda dall'attenta osservazione dell'ombelico di Venere. Ma allora perché chiamarli tortellini, piccole torte? Tornando a Boccaccio, chi vuole che la letteratura parli di tortellini o cappelletti già nel XIV secolo cita il Decameron: Ellissa dice che Maso del Saggio nella terza novella dell'ottava giornata racconta al povero Calandrino del Paese di Bengodi, dove lui stesso dice di essere stato una volta come mille. [E]ravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giú. Tuttora si chiama maccheroni tutta la pasta italiana, di cui gli stranieri non imparano i nostri diversi nomi e i sinonimi, e mi pare azzardato affermare che si trattasse di caplét o tortellini che dir si voglia, e non di pasta come le tagliatelle e le pappardelle - maccheroni - o ripiena - raviuoli. I maccheroni sarebbero comunque una pasta molto ricca, e il nome potrebbe derivare dal fatto che si preparavano e si servivano nel rituale banchetto col quale si celebrava il defunto: maccherone dal greco makàr, beato, come si poteva nominare banchettando in suo onore chi aveva lasciato questo mondo. (Peretola,12 luglio 2022) |
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GIORNATA PRIMA NOVELLA SECONDA Neifile racconta Abraam giudeo, da Giannotto di Civignì stimolato, va in corte di Roma; e veduta la malvagità de' cherici, torna a Parigi, e fassi cristiano (B I 40) |
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UNA CONVERSIONE SORPRENDENTE
Giannotto mercante a Parigi cerca inutilmente di convertire un amico ebreo, ricco mercante come lui e onesto, al cristianesimo. Abraam, più colto, soprattutto in materia teologica, decide di andare a Roma, per vedere di persona il centro della cristianità e i responsabili della Chiesa cristiana. Giannotto tenta inutilmente di dissuaderlo, pensando che vedendo il clero romano non che egli di giudeo si faccia cristiano, ma se egli fosse cristian fatto, senza fallo giudeo si ritornerebbe. In effetti Abraam trovò dal maggiore infino al minore generalmente tutti disonestissimamente peccare in lussuria, e non solo nella naturale ma ancora nella soddomitica, senza freno alcuno di rimordimento o di vergogna, intanto che la potenza delle meretrici e de’ garzoni in impetrare qualunque gran cosa non v’era di piccol potere. Oltre a questo, universalmente gulosi, bevitori, ebriachi e piú al ventre serventi a guisa d’animali bruti, appresso alla lussuria, che ad altro gli conobbe apertamente; e piú avanti guardando, intanto tutti avari e cupidi di denari gli vide, che parimente l’uman sangue, anzi il cristiano, e le divine cose, clienti che elle si fossero o a sacrifici o a benefici appartenenti, a denari e vendevano e comperavano, maggior mercatantía faccendone e piú sensali avendone che a Parigi di drappi o d’alcuna altra cosa non erano, avendo alla manifesta simonia «procureria» posto nome ed alla gulositá «sostentazioni», quasi Iddio, lasciamo stare il significato de’ vocaboli, ma la ’ntenzione de’ pessimi animi non conoscesse, ed a guisa degli uomini a’ nomi delle cose si debba lasciare ingannare. Dopo aver raccontato a Giannozzo quel del suo viaggio a Roma, Abraam spiega che proprio avendo visto la terribile corruzione del Papa e dei principi della chiesa ne ha dedotto che Dio protegge la chiesa. Dice quindi che vedendo la religione cristiana sempre aumentarsi e piú lucida e piú chiara divenire, meritamente mi par discerner lo Spirito santo esser d’essa, sí come di vera e di santa piú che alcuna altra, fondamento e sostegno. (Peretola, 5 luglio 2022) |
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GIORNATA PRIMA NOVELLA TERZA Filomena racconta Melchisedech giudeo con una novella di tre anella cessa un gran pericolo dal Saladino apparecchiatogli |
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NELLE NOVELLE DI BOCCACCIO E NELLE FIABE
SONO POSSIBILI SIA LA DEMOCRAZIA SIA LA PARITÀ
FRA TUTTI GLI ESSERI UMANI
Il grande saladino e l'usuraio
ebreo, ascoltatore e narratore, partecipano
paritariamente al gioco del racconto. Per far violenza
all'usuraio e prendergli il suo con la forza, il signore
arabo, bello di tante vittorie, dovrebbe rinunciare al
rispetto che deve all'intelligenza e all'arte del
racconto. Arte del racconto che come l'arte della
poesia, come l'arte della medicina, della navigazione,
dell'agricoltura e della gestione delle acque, gli arabi
esercitavano a livelli altissimi, avendole apprese sia
dai persiani sia dalla cultura alessandrina e greca.
Boccaccio ne era ben consapevole, e nel Decameron se ne
trovano tante dimostrazioni, non solo quella, ormai
riconosciuta, della storia cornice che circolava in
Europa con le Mille e una notte. Ricordiamo che
i manoscritti più antichi della raccolta araba sono
dello stesso secolo del Decameron.QUALE VENGA PRIMA SOMIGLIA ALLA QUESTIONE DELL'UOVO E DELLA GALLINA Una piccola deviazione, ricordando il lupo dell'apologo di Fedro che vanta il diritto di mangiarsi l'agnello accusandolo di sporcargli l'acqua del fiume al quale entrambi si stanno dissetando: quando l'agnello gli dice che non può essere vero perché lui, l'agnello, è a valle rispetto al lupo, il lupo ribatte che allora è stato il nonno dell'agnello a sporcargliela e lo mangia. Il grande saladino non può abbassarsi al livello del lupo, altrimenti sarebbe una bestia, e questa nobiltà d'animo sarà nel Decameron di tanti, che pur potendolo fare rinunciano a comportarsi come il lupo di Fedro. La terza novella della prima giornata dice che il saladino ha bisogno di denaro e pone a Melchisedech una domanda che varrebbe come un tranello: strignendolo il bisogno, rivòltosi tutto a dover trovar modo come il giudeo il servisse, s’avvisò di fargli una forza da alcuna ragion colorata. Qual è, chiede il gran saladino all'ebreo Melchisedech, la vera religione, la giudaica, la saracina o la cristiana? L'ebreo intuendo il tranello, risponde con una favola: ecco che Melchisedech è il narratore di terzo grado, dopo quello di primo grado, Boccaccio, e quello di secondo grado, Filomena. C'era una volta un preziosissimo anello, che di padre in figlio era segno di legittimazione a ricevere l'eredità paterna e ad essere onorato al di sopra degli altri fratelli, fino a quando accadde che un padre che aveva l'anello aveva tre figli che amava e stimava allo stesso modo. Per questo fece fare due copie perfette dell'anello dandone così uno a ciascuno dei tre figli. Li quali dopo la morte del padre volendo ciascuno l’ereditá e l’onore occupare, e l’uno negandolo all’altro, in testimonianza di dover ciò ragionevolmente fare ciascuno produsse fuori il suo anello: e trovatisi gli anelli sí simili l’uno all’altro, che qual fosse il vero non si sapeva conoscere, si rimase la quistione, qual fosse il vero erede del padre, in pendente, ed ancor pende. Come ancora pende la questione delle tre religioni abramitiche, che con le loro varianti o scissioni, riuniscono la maggioranza degli esseri umani, ciascuna delle quali afferma di essere la definitiva, considerando le altre due religioni devianti o corrompenti rispetto alla propria. ll Saladino conobbe, costui ottimamente esser saputo uscire del laccio il quale davanti a’ piedi teso gli aveva, e per ciò dispose d’aprirgli il suo bisogno e vedere se servire il volesse: e cosí fece, aprendogli ciò che in animo avesse avuto di fare, se cosí discretamente, come fatto avea, non gli avesse risposto. Il giudeo liberamente d’ogni quantitá che il Saladino il richiese il serví, ed il Saladino poi interamente il sodisfece, ed oltre a ciò gli donò grandissimi doni e sempre per suo amico l’ebbe ed in grande ed onorevole stato appresso di sé il mantenne. |
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E furono fatte molte e lunghe dispute, chi di loro meritasse di averla; e fino al presente pende la causa sotto il giudice. A cui veramente aspettar si debba, lasciolo giudicare a voi. Così finisce la quinta e ultima favola della settima delle Piacevoli notti di Straparola, nella quale si racconta di tre fratelli dotati di straordinarie abilità che riescono a conquistare la bellissima Aglaia, liberandola dalla torre nella quale stava prigioniera, oltre a grandi ricchezze che dividono in quattro parti uguali fra loro e col padre. Ma quando arrivano alla bella prigioniera, l'equa partizione di quanto i fratelli superdotati hanno conquistano non è possibile. Non è difficile sentire un'eco della novella di Boccaccio: ...ed ancor pende ...e fino al presente pende. Fino al presente pende la causa della bella Aglaia in Straparola, si rimase la quistione ... in pendente, ed ancor pende, su quale sia la vera religione in Boccaccio. La forza delle tre religioni del libro, e il pregio della bella prigioniera, consistono rispettivamente nell'impossibilità di affermare definitivamente la verità di una sola delle tre religioni, e di vantare il diritto alla proprietà esclusiva di una donna. La questione irrisolta fino ad oggi nel finale della novella di Straparola è la stessa impossibilità di risolvere l'enigma della Sfinge, vale a dire la questione del nodo edipico: chi ama di più la donna, il marito o il figlio? Lasciare la questione aperta, e tollerare un'oscillazione fra le due risposte possibili - dove la donna è soggetto e oggetto rispetto al marito e ai figli in posizione di oggetto e soggetto - come fra le tre religioni del libro con Melchisedech e il Saladino e con i tre fratelli e il padre. Non si ottiene una risposta, ma il riconoscimento di due istanze, egualmente esistenti: l'esigenza di una risposta e la sua impossibilità. La necessità di una risposta e la sua impossibilità riguardano ogni evento fondamentale della nostra vita, in primo luogo dei due eventi che la delimitano e la rendono possibile: la nascita e la morte. Se Boccaccio risuona in Straparola, in Boccaccio può risuonare Dante: Tre persone, come tre età nell'enigma della sfinge greca, tre età distinte e indistinguibili nella vita di ogni essere umano, che si alternano - distinte come le tre persone della Trinità eppure coincidenti e indistinguibili - eppure non scompaiono mai. L'espressione del neonato ha qualcosa di misterioso e sapienziale, che scompare appena comincia a sorridere e rispondere alle nostre attenzioni, e il vecchio torna a chiedere insistentemente come il bambino, appena smette di essere vigile come l'adulto ancora lucido e presente a se stesso. Entrambi ignorano beatamente le esigenze degli adulti che devono provvedere alle loro esigenze, calmare il loro lamento, quietarli, consolarli di non essere ancora adulti e di smettere di essere adulti, di essere nella prossimità perturbante alla non esistenza come origine il neonato, alla non esistenza come fine il vecchio. Mestier non era parturir Maria, necessità dovuta alla felix culpa della progenitrice nel giardino terrestre, Eva, subito seguita dal progenitore Adamo. La carne della quale lo spirito non può fare a meno, il corpo di Maria di Nazareth, concepita senza peccato per esser degna di portare nel suo seno per nove mesi il figlio di Dio che non può non essere figlio della donna... Maria, l'immacolata, l'unico essere umano concepito senza peccato, erede di tutte le prerogative della dea Iside, alla quale si può rivolgere quasi parola per parola la stessa preghiera di Lucio/Asino/Apuleio, a sua volta propone una questione analoga per mancanza di soluzione a quelle della Trinità e della sfinge di Edipo. Se la morte è la condanna per il peccato originale, l'assenza della macchia di questo peccato nella Vergine fin dal suo concepimento la libera dalla morte come punizione: l'Immacolata concezione si festeggia l'8 settembre. Infatti è Assunta in cielo anima e corpo, quindi non muore: è assunta in cielo dove ritrova il figlio che vi era asceso qualche anno prima, e incontra le altre due persone che sono e non sono lui, il Padre e lo Spirito Santo. Solo due corpi camminano in Paradiso, anzi, in tutto l'Aldilà, dove è entrato il corpo del Divino Poeta, dove era entrato Enea, fondatore dell'impero nel quale si era inserita, come un seme o una talea in un vaso, come una nuova creatura in seno a una donna. Ma sia Dante, sia Enea, che ci sono entrati da vivi, come Eracle e Orfeo, ne sono anche usciti, per poi tornarvi come i credenti, dopo la morte.Matto è chi spera che nostra ragione Se il Figlio e la Madre hanno un corpo come il nostro, esiste per loro un desco quotidiano? Se non mangiano il loro corpo è diverso dal nostro, mortale, e non si sa cosa sia. Se invece si nutrono devono avere uno stomaco e un intestino, e se è così occorre un luogo analogo al nostro gabinetto. Chi si presta a fare da parrucchiere, chi farà manicure e pedicure a Gesù e Maria? Avranno un cuoco o una cuoca? e un fornitore di frutta e verdura L'assunzione in cielo della Madonna e l'ascensione del Figlio, preceduta dalla sua visita nell'Aldilà, con tutto il corpo rappresentano qualcosa di sublime per il riconoscimento del valore della carne del corpo che abbiamo per vivere in questo mondo, che ha permesso a Dio di incarnarsi come figlio, ma proprio per questo portano in campo paradossi impossibili da risolvere. Si capisce che a un certo punto siano state vietate dal papa le dispute che tentavano di risolvere le questioni poste dal passaggio di Maria Vergine dalla vita sulla terra a quella in cielo. La Dormitio virginis è una soluzione come la risposta di Edipo all'enigma della sfinge: la transizione dalla veglia al sonno e dal sonno alla veglia è una questione semplicissima e allo stesso tempo impossibile da risolvere, come sa chi soffre d'insonnia, come ce la pone una persona in coma, che è presente e assente, sia fra noi vivi sia fra i nostri morti. È una questione tecnica che pone la questione della coscienza di veglia, che si alterna al sonno, durante il quale la coscienza si eclissa come il sole al tramonto, per tornare al mattino. E la coscienza è quanto ci permette il rispetto dell'integrità nostra e degli altri, che si può interrompere, anche se non ci siamo addormentati, e allora possiamo violentare, uccidere, smembrare, agire come nelle più inquietanti tragedie greche. Cos'è la coscienza, che i neuroscienziati non trovano nel cervello, cos'è la veglia che abbiamo in comune con tutti i mammiferi e che come loro si eclissa nel sonno, e cos'è la coscienza come morale, quando si dice ci vuole coscienza, mettiti una mano sulla coscienza, avere il pelo sulla coscienza... cos'è? |
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GIORNATA PRIMA NOVELLA QUARTA Dioneo racconta Un monaco, caduto in peccato degno di gravissima punizione, onestamente rimproverando al suo abate quella medesima colpa, si libera dalla pena |
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VANTAGGI DELLA PRUDENZA
Il bello di questa novella è
che né il novizio né il priore agiscono in modo
impulsivo. Il novizio seduce la fanciulla con dolci
parole, convincendola a seguirlo nella sua cella al
convento. Poi, quando si accorge di essere stato
scoperto dal priore, decide di prendere tempo e
vedere come si mette la sua faccenda. Il
priore in un primo momento pensa di scoprire
il peccato del novizio a tutti i frati, poi, per
riguardo al padre della ragazza, decide di non
rendere pubblico lo scandalo. Assentatosi il
novizio, vede la giovane e pensando che peccato
celato è mezzo perdonato, entra dalla giovane
e ponendosela sopra ne gode senza accorgersi che il
novizio lo sta spiando. Questa prudenza e
intelligenza viene premiata, quando il novizio dice
al priore che ancora non sapeva l'usanza del
convento
Il monaco prontissimamente rispose: — Messere, io non sono ancora tanto all’ordine di san Benedetto stato, che io possa avere ogni particularitá di quello apparata; e voi ancora non m’avevate mostrato che i monaci si debban far dalle femine priemere come da’ digiuni e dalle vigilie: ma ora che mostrato me l’avete, vi prometto, se questa mi perdonate, di mai piú in ciò non peccare, anzi farò sempre come io a voi ho veduto fare. — L’abate, che accorto uomo era, prestamente conobbe, costui non solamente aver piú di lui saputo, ma veduto ciò che esso aveva fatto; per che, dalla sua colpa stessa rimorso, si vergognò di fare al monaco quello che egli, sí come lui, aveva meritato: e perdonatogli ed impostogli di ciò che veduto aveva silenzio, onestamente misero la giovanetta di fuori, e poi piú volte si dèe credere la vi facesser tornare. Non è un caso chesia Dioneo il narratore di questa novella, così fine per la prudenza dei due frati, il vecchio e il giovane, che grazie alla loro dote ottengono di godere della giovane anche dopo quella volta. |
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GIORNATA PRIMA NOVELLA QUINTA Fiammetta racconta La marchesana di Monferrato con un
convito di galline e con alquante leggiadre
parolette reprime il folle amore del re di Francia
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il re viene ben
accolto, ma la sola carne sono galline. Allora il re
pone la domanda: - Dama, nascono in questo paese solamente galline senza gallo alcuno? — La marchesana, che ottimamente la domanda intese, parendole che secondo il suo disidèro Domenedio l’avesse tempo mandato opportuno a poter la sua intenzion dimostrare, al re domandante, baldanzosamente verso lui rivolta, rispose: — Monsignor no, ma le femine, quantunque in vestimenti ed in onori alquanto dall’altre variino, tutte per ciò son fatte qui come altrove. — Il re, udite queste parole, raccolse bene la cagione del convito delle galline e la vertú nascosa nelle parole, ed accorsesi che invano con cosí fatta donna parole si gitterebbono, e che forza non v’avea luogo; per che cosí come disavvedutamente acceso s’era di lei, saviamente s’era da spegnere per onor di lui il male concetto fuoco. E senza piú motteggiarla, temendo delle sue risposte, fuori d’ogni speranza desinò, e finito il desinare, acciò che col presto partirsi ricoprisse la sua disonesta venuta, ringraziatala dell’onor ricevuto da lei, accomandandolo ella a Dio, a Genova se n’andò. Così senza offendere il re, la bella signora fedele all'ottimo marito temporaneamente assente gli fa comprendere che non ha alcun mezzo per indirla a tradire lo sposo. |
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Confonde un valente uomo con un bel
detto la malvagia ipocresia de’ religiosi
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GESÙ
CRISTO DEGUSTATORE E LA BRODAGLIA AI POVERI Il povero produttore di vino
buono viene perseguitato dall'avido inquisitore, che è
costretto a pagargli una bella somma per evitare di
essere punito più duramente. Deve anche visitare i
frati, e quando vede quale brodaglia distribuiscono ai
poveri, li compiange, citando il Vangelo: Voi
riceverete per ognun cento, e possederete la vita
eterna.
Immagina infatti che nell'Aldilà annegheranno nella brodaglia. L'Inquisitore allora, punto nel vivo, mentre tutti ridono, gli dice di fare quel che più gli piace e lo libera dalle penitenze che gli aveva imposto. Alla lettera l'Inquisitore interpreta la battuta dell'oste che celebra il suo vino, e alla lettera l'oste interpreta il vangelo a proposito della brodaglia che i frati elargiscono in abbondanza ai poveri. Così l'oste poco esperto di linguaggio somiglia al grullo della fiaba umbra che non conosce il valore metaforico del linguaggio, ma in questo modo mette in ridicolo l'interpretqazione tendenziosa delle sue parole da parte dell'avido inquisitore. |
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Bergamino, con una novella di Primasso
e dello abate di Clignì, onestamente morde
un'avarizia nuova venuta in messer Cane Grande della
Scala
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AVARIZIA
Bergamino capita da Cangrande
quando questi, diventato da munifico avaro, non invita
nessuno a casa sua e fa licenziare tutti. Ma siccome
Bergamino non è stato licenziato, resta in albergo e
per pagare l'alloggio per sé e per i servi dà all'oste
dei suoi begli abiti. Capita dal signore che per
prenderlo in giro gli dice che ha una brutta cera, e
Bergamino gli racconta di un signore male in arnese
che aveva tre pani e li mangiò uno dopo l'altro,
mentre l'abate di Clignì non volendo dargli nulla
perché gli pareva male in arnese restava in camera e
teneva spoglie le mense. Ma arrivato al terzo pane -
come Bergamino è arrivato al terzo abito ceduto
all'oste - l'abate si vergogna della sua improvvisa
avariia, e informatosi sul signore che è in realtà un
nobile uomo, lo onora e gli dona un cavallo, col quale
torna da dove è venuto dopo aver provato la
munificenza dell'abate, considerato il più ricco che
si trovi, dopo il papa.
Allora Cangrande capisce e dona vesti e altro a Bergamino. |
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Guglielmo Borsiere, con leggiadre
parole, trafigge l'avarizia di messere Erminio de'
Grimaldi
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LA FIGURA DELLA CORTESIA
Erminio Grimaldi è il più ricco e
il più avaro d'Italia, e a differenza degli altri
genovesi non curava il prorpio abito e la propria
persona, né il mangiare e il bere: lo chiamavano
quindi Erminio Avarizia. Arriva a Genova il munifico
Guiglielmo Borsiere, e Erminio volle incontrarlo, e
avendolo portato in una sua casa nuova, gli chiese
secondo lui cosa vi mancasse.
A cui Guiglielmo allora prestamente disse: — Fateci dipignere la cortesia. — Come messere Ermino udí questa parola, cosí subitamente il prese una vergogna tale, che ella ebbe forza di fargli mutare animo quasi tutto in contrario a quello che infino a quella ora aveva avuto, e disse: — Messer Guiglielmo, io la ci farò dipignere in maniera, che mai né voi né altri con ragione mi potrá piú dire che io non l’abbia veduta e conosciuta. — E da questo di innanzi, di tanta vertú fu la parola da Guiglielmo detta, fu il piú liberale ed il piú grazioso gentile uomo e quello che piú ed i forestieri ed i cittadini onorò che altro che in Genova fosse a’ tempi suoi. Ed ecco che anche in questa ottava novella il motto detto al momento opportuno trasforma un'avaro in un signore liberale. |
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Il re di
Cipri, da una donna di Guascogna trafitto, di cattivo
valoroso diviene |
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APPELLO ASTUTO E DISPERATO
Una gentil donna di Guascogna
tornando dalla visita al Santo Sepolcro viene
oltraggiata a Cipro, dove le dicono di non rivolgersi
al re, che copre tutte le nefandezze. Ancora
un motto geniale, che fa cambiare il re:
La qual cosa udendo la donna, disperata della vendetta, ad alcuna consolazione della sua noia propose di voler mordere la miseria del detto re; ed andatasene piagnendo davanti a lui, disse: — Signor mio, io non vengo nella tua presenza per vendetta che io attenda della ’ngiuria che m’è stata fatta: ma in sodisfacimento di quella ti priego che tu m’insegni come tu sofferi quelle le quali io intendo che ti son fatte, acciò che, da te apparando, io possa pazientemente la mia comportare, la quale, sallo Iddio, se io farlo potessi, volentieri la ti donerei, poi cosí buono portatore ne se’. — Il re, infino allora stato tardo e pigro, quasi dal sonno si risvegliasse, cominciando dalla ’ngiuria fatta a questa donna, la quale agramente vendicò, rigidissimo persecutore divenne di ciascuno che contro all’onore della sua corona alcuna cosa commettesse da indi innanzi. Assolutamente geniale: ognuno sceglie di che favellare, ma sono l'intelligenza e il discorso che viene dopo aver mosso l'intelligenza il tema di tutta la giornata. In particolare è la parte considerata inferiore a vincere su quella che si considera suoperiore. |
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Nel 1875, anno del quinto centenario dalla
morte di Giovanni Boccaccio il bibliofilo e bibliografo
italiano Giovanni Papanti pubblicò I parlari italiani
in Certaldo alla festa del V centenario di Messer
Giovanni Boccacci. Omaggio di Giovanni Papanti ai
Municipii di Certaldo, Firenze, Napoli e Parigi. A
Livorno, coi tipi di Francesco Vigo, 1875. Il libro,
insuperabile per il numero delle versioni della novella
nona della prima giornatai, incluse molte isole
alloglotte, è disponibile on line (Digitized by GOOGLE
from Library of the Taylor Institution. University of
Oxford. May 1940): https://archive.org/details/iparlariitalian00villgoog/page/42/mode/1up;
ultimo accesso, 8 febbraio 2023. Vedi anche in questo sito, l'elenco alfabetico delle versioni, almeno seicento. |
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Maestro
Alberto da Bologna onestamente fa vergognare una
donna, la quale lui d’esser di lei innamorato voleva
far vergognare |
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IL PORRO BIANCO NEL CAPO E VERDE NELLA
CODA
Valorose
giovani, come ne’ lucidi sereni sono le stelle
ornamento del cielo e nella primavera i fiori de’
verdi prati, cosí de’ laudevoli costumi e de’
ragionamenti piacevoli sono i leggiadri motti; li
quali, per ciò che brievi sono, molto meglio alle
donne stanno che agli uomini, in quanto piú alle
donne che agli uomini il molto parlare e lungo,
quando senza esso si possa far, si disdice, come
che oggi poche o niuna donna rimasa ci sia la
quale o ne ’ntenda alcun leggiadro o a quello, se
pur lo ’ntendesse, sappia rispondere: general
vergogna e di noi e di tutte quelle che vivono.
Per ciò che quella vertú che giá fu nell’anime
delle passate hanno le moderne rivolta in
ornamenti del corpo, e colei la quale si vede
indosso li panni piú screziati e piú vergati e con
piú fregi si crede dovere essere da molto piú
tenuta e piú che l’altre onorata, non pensando
che, se fosse chi addosso gliele ponesse, uno
asino ne porterebbe troppo piú che alcuna di loro:
né per ciò piú da onorar sarebbe che uno asino. Io
mi vergogno di dirlo, per ciò che contro all’altre
non posso dire che io contro a me non dica: queste
cosí fregiate, cosí dipinte, cosí screziate o come
statue di marmo mutole ed insensibili stanno o si
rispondono, se sono addomandate, che molto sarebbe
meglio l’aver taciuto; e fannosi a credere che da
puritá d’animo proceda il non saper tra le donne e
co’ valenti uomini favellare, ed alla lor
milensaggine hanno posto nome onestá, quasi niuna
donna onesta sia se non colei che con la fante o
con la lavandaia o con la sua fornaia favella, il
che se la natura avesse voluto, come elle si fanno
a credere, per altro modo loro avrebbe limitato il
cinguettare. È il vero che, cosí come nell’altre
cose, è in questa da riguardare ed il tempo ed il
luogo e con cui si favella, per ciò che talvolta
avviene che, credendo alcuna donna o uomo con
alcuna paroletta leggiadra fare altrui arrossare,
non avendo ben le sue forze con quelle di quel
cotal misurate, quello rossore che in altrui ha
creduto gittare sopra sé l’ha sentito tornare. Per
che, acciò che voi vi sappiate guardare, ed oltre
a questo acciò che per voi non si possa quel
proverbio intendere che comunemente si dice per
tutto, cioè che le femine in ogni cosa sempre
pigliano il peggio, questa ultima novella di
quelle d’oggi, la quale a me tocca di dover dire,
voglio ve ne renda ammaestrate, acciò che, come
per nobiltá d’animo dall’altre divise siete, cosí
ancora per eccellenza di costumi separate
dall’altre vi dimostriate.
E così si racconta di una donna che non aveva valutato la forza di colui che credeva di prendere in giro, Malgherida de' Ghisolieri, giovane vedova, mentre il medico maestro Alberto è ormai settantenne. La giovane lo invita con alte donne credendo di prenderlo in giro, e lui invece racconta che spesso le donne prendono il porro in mano dalla parte bianca, che è la testa, e mangiano le foglie, mentre il bianco è la parte migliore: se lo sapessero, prenderebbero lui come amante e non i giovani che non sanno di nulla. Il porro torna anche nell'intervento del narratore di primo grado nell'introduzione alla giornata quarta, dove si racconta la novella delle papere che il giovane vorrebbe pasturare: Credo che chi conosce il valore della donna conosca anche il valore dell'uomo, e questo è il solo senso della parità che possiamo immaginare, riconoscere, coltivare, imparare. Il tema della prima giornata è il valore della parola, solo luogo umano nel quale le nostre componenti ferine - avarizia, voracità, ingiustizia - possono stemperarsi e trasformarsi. Mi chiedo se Boccaccio non abbia visto nel femminile questa potenza metamorfica, e se non possiamo guardare al Decameron come a un invito inattuale - attualissimo - a unire quel che era ed è ancora separato: quel che del femminile è isolato nel bosco come Artemide, nella Colchide come Medea, come Circe ad Aeaea, e l'arte della parola. La stessa con la quale la donna violata ottiene giustizia dal re di Cipro e l'uomo non più giovane fa emergere l'ignoranza della donna che in base al dato anagrafico intendeva renderlo ridicolo.E quegli che contro alla mia etá parlando vanno, mostra mal che conoscano che, perché il porro abbia il capo bianco, che la coda sia verde; a’ quali, lasciando il motteggiar dall’un de’ lati, rispondo che io mai a me vergogna non reputerò infino nello stremo della mia vita di dover compiacere a quelle cose alle quali Guido Cavalcanti e Dante Alighieri giá vecchi e messer Cino da Pistoia vecchissimo onor si tennero, e fu lor caro il piacer loro. (Introduzione alla giornata quarta) |
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Dopo questo appunto di qualche settimana o mese fa, leggo in Picone che il tema libero della prima giornata apre novelle orientate verso l'esaltazione della parola salvifica, che costituisce, invece, l'argomento trattato nella sesta giornata, avente tema obbligato. (Michelangelo Picone) A me pare che nella prima giornata sia marcata la disparità gerarchica fra chi con la salva o si salva e chi avrebbe il potere di condannare o condannarsi. E quel che più aggrada a ogni narratore è quindi il valore della parola, del motto, nella potenza di ribaltare una posizione succube del soggetto, sia assegnata dal caso, sia conseguente a una sua scelta fallimentare, trasformandola in una posizione vantaggiosa. Da perdente a vincente. Il ribaltamento di una posizione svantaggiata, se non una condanna apparentemente senza appello, attraverso la parola, mette in campo fin dalla prima giornata, nella quale sotto il reggimento di Pampinea ognuno è libero di scegliere il tema su cui novellare, quel che lega l'onesta brigata: il valore dellaparola. I giochi di parole, siano gli acrostici di AX, siano i tautogrammi di altre, sono altrettante esperienza di fruizione della potenza del linguaggio verbale, nella quale si attinge liberamente - e liberalmente - al patrimonio preservato dalle generazioni dai tempi più lontani, dalla creazione stessa, dal fiat biblico, e dal verbum che si fa carne nel Vangelo di Giovanni. Giocare con le parole significa sperimentare una libertà vertiginosa eppure vincolata a contrainte liberamente scelte, e pertanto sospendere la percezione infantile di un mondo regolato dai genitori e dagli educatori in genere, al di fuori del quale sitrova solo l'annientamento, una condanna peggiore della morte. Comprendere che l'uso di droghe, soprattutto pesanti, è una tentativo di riformarsi, e ricrearsi, perché qualcosa nel proprio essere è percepito - ai genitori, dagli insegnanti, da chi adotta la parvenza del Superio, una funzione che mescola il superio crudele materno con quello paterno, legato alla legge - come inadatto alla vita. Per questo, e per altro da approfondire, da esplicitare, i giochi di parole possono costituire uno strumento prezioso nel lavoro d'analisi, avendo lo stesso effetto dell'uso di droghe. La percezione dell'insufficienza o della inefficienza della propria de-formazione, come risultato dell'infanzia alla prova della vita nell'adolescenza, viene mitigata dall'uso della droga, con la quale si modulano artificialmente stati dell'anima procedendo in una immaginaria nacherzeihung, che dovrebbe colmare i vuoti lasciati dall'educazione familiare e scolastica. Come riprogrammazione di stati dell'anima al di là, jenseits, della sfera d'influenza genitoriale, fuorilegge, dà di per sé un sollievo, ma se riesce troppo si ribalta nell'opposto una inadeguatezza senza appello che somma i vuoti dell'educazione parentale a quelli della tossicodipendenza. Modulare i procedimenti di riprogrammazione di se stessi, fluidificare la propria nacherziehung, è il compito dell'analisi, che può realizzarsi attraverso il transfert, questa ricreazione misteriosa dell'opus educativo infantile. Nel quale il pagamento è la componente adulta, il coinvolgimento affettivo quella infantile. Che non si sovrappongono completamente, mentre nella nacherziehung tentata con l'uso di droghe finiscono col coincidere. La nacherziehung realizzata attraverso le droghe tente inevitabilmente a una finale coincidenza fra dipendenza e danno infantile, che amplia quella storica e condanna il soggetto alla morte o a una assoluta dipendenza. La nacherziehung dell'analisi tende a una loro disgiunzione.(15 ottobre 2022, dopo aver colto il significato di autoformazione o autocreazione nei racconti di NY sull'uso delle droghe, quando si mescolano alcool e cocaina e anfetamine per ottenere effetti sorprendenti o equilibrati). |
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Ho letto il libro di Renzo Bragantini
(Carocci Editore 2022), e a proposito della prima giornata
riporto quanto scrive Gualberto Alvino recensendo Il
Decameron e il Medioevo rivoluzionario di Boccaccio
nel sito https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/recensioni/recensione_366.html:Che le novelle della prima giornata debbano essere rubricate sotto la categoria dei motti presta il fianco a obiezioni, innanzi tutto perché molte di esse, piuttosto che sulla produzione del motto, si soffermano sulla capacità del personaggio «intendente» di mettere a frutto la lezione impartitagli, ma altresì perché in quella casella non sembrano poter rientrare numerose altre, come la 1, 2, 3, 7, 9.Sono tornata al termine intendente di Boccaccio ripreso più volte da Bragantini rivedendo la pagina html dedicata alla fiaba Lo cuorvo dove si parla del capitano della nave su cui viaggia il principe con la sposa meravigliosa che ha trovato per il fratello re. E cossí navicanno allegramente, ecco sentettero sotto la nave vervesiare l'onna, che si be' parlava sotto lengua, lo patrone della nave, che era comprennuoteco, gridaie: «Ogne ommo all'erta, ca mo se ne la vene no temporale, che Dio ce la manne bona!».Comprennuoteco nel Cunto de li cunti equivale a intendente nel Decameron e indica la capacità di reagire alle circostanze in base a un indizio. Oserei dire che è il metodo abduttivo inaugurato nel Peregrinaggio dei tre giovani figlioli del re di Serendippo (Internet Archive: https://archive.org/details/bub_gb_ncpOAAAAcAAJ/page/n21/mode/2up; ultimo accesso 22 aprile 2024; anche su wikisoure: http://it.wikisource.org/wiki/Peregrinaggio_di_tre_giovani_figliuoli_del_re_di_Serendippo; vedi inoltre http://www.alaaddin.it/biblio/index.html#CRISTOFORO_ARMENO. Perché accada occorre che l'assoggettamento ai genitori non abbia impedito il dissoggettamento che è il terreno sul quale germoglia la libertà della persona umana. Né una fiducia assoluta nei genitori prima, poi nelle altre figure importanti nella propria formazione, infine nelle istituzioni pubbliche e private, né una precoce sfiducia consentono la fioritura dell'essere umano. Ma il bilanciamento è come una ricetta semplice che difficilmente riesce. Dovrò rileggere la prima giornata e verificare se questo, come sembra possibile, è il filo conduttore della prima giornata. In fondo anche Ciappelletto mentendo per non danneggiare i suoi compari fauna buona azione in articulo mortis, e questa potrebbe bastare per accoglierlo come santo? Oppure è la sola fede nella santità a operare miracoli, ma la confessione di Ciappelletto determina comunque un rinnovamento della fede e nuovi miracoli. Felix culpa, come quella di Eva, o vie imperscrutabili del Signore? In ogni caso, grado massimo di comprensione - e narrazione - della complessità impadroneggiabile della vita. (Peretola, 22 aprile 2024) |