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novelle per leggerle online (wikisource) |
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GIORNATA SESTA NOVELLA PRIMA Filomena racconta Un cavaliere dice a madonna Oretta di portarla con una novella a cavallo, e malcompostamente dicendola, è da lei pregato che a piè la ponga. |
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A CAVALLO
A Madonna Oretta, moglie di messer Geri Spina che incontreremo nella seconda novella di questa giornata, un cavaliere offre di portarla a cavallo mentre con una brigata vanno a piedi, cosa che realizzerà raccontandole una novella. Ben volentieri Madonna Oretta accetta il diversivo, e la novella sarebbe stata bellissima, ma il cavaliere ...or tre e quattro e sei volte replicando una medesima parola, ed ora indietro tornando, e talvolta dicendo: «Io non dissi bene», e spesso ne’ nomi errando, un per uno altro ponendone, fieramente la guastava: senza che, egli pessimamente, secondo le qualitá delle persone e gli atti che accadevano, proffereva. Di che a madonna Oretta, udendolo, spesse volte veniva un sudore ed uno sfinimento di cuore come se, inferma, fosse stata per terminare; la qual cosa poi che piú sofferir non potè, conoscendo che il cavaliere era entrato nel pecoreccio né era per riuscirne, piacevolemente disse: — Messer, questo vostro cavallo ha troppo duro trotto, per che io vi priego che vi piaccia di pormi a piè. L'arte del racconto, come l'arte della poesia, è nell'uso delle parole, perché un cattivo narratore rende noiosa e pesante qualunque storia, che invece un valente narratore renderebbe appassionante. |
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Appunti: Poesia e fabula | ||||||
GIORNATA SESTA NOVELLA SECONDA Pampinea racconta Cisti fornaio con una sola parola fa raveder messer Geri Spina d'una sua trascutata domanda. |
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VINI ECCELLENTI DA ORCIOLETTI, FIASCHI E
BOTTICELLE
Divenuto ricco col suo umile
lavoro, Cisti ha il miglior vino, sia rosso sia
bianco, che si possa acquistare, e con cortesia
sopraffina disseta quando passano dalla sua bottega
Geri Spina e gòi ambasciatori del papa che sono con
lui. Quando Geri Spina manda un servitore a invitare
il fornai oal suo convito, Cisti non può accettare, e
allora Geri Spina manda un servitore a chiedergli un
po' del suo eccellente vino bianco per servirne mezzo
bicchiere ai suoi commensali, il servitore si presenta
con un grosso fiasco, e Cisti gli risponde che
non è a lui che lo manda il suo signore, ma all'Arno.
Geri capisce e rimanda il servitore con un piccolo
fiasco: il fornaio non solo lo riempie, ma gliene
manda un orcioletto, spiegandogli che era certo che il
signore avesse ben compreso il pregio del vino bianco
che lui lui gli offriva ogni mattina.
Ecco che il fornaio, pur stando al suo posto - non propone il suo vino, ma bevendolo davanti alla sua bottega fa in modo che Geri si fermi a chiedergli che stia bevendo, dandogli modo di offriglielo; né si adatta a riempire il grosso fiasco che il servitore porta, come se dovesse prendere del vino di poco pregio, ma ne dona a Geri Spina molto di più di quello che il signore ha chiesto. Così si era fatto trovare Cisti fornaio al passaggio di Geri Spina e degli ambasciatori del papa: Ed avendo un farsetto bianchissimo indosso ed un grembiule di bucato innanzi sempre, li quali piú tosto mugnaio che fornaio il dimostravano, ogni mattina in su l’ora che egli avvisava, messer Geri con gli ambasciadori dover passare, si faceva davanti all’uscio suo recare una secchia nuova e stagnata d’acqua fresca ed un piccolo orcioletto bolognese nuovo del suo buon vin bianco e due bicchieri che parevano d’ariento, sí eran chiari: ed a seder postosi, come essi passavano, ed egli, poi che una volta o due spurgato s’era, cominciava a ber sí saporitamente questo suo vino, che egli n’avrebbe fatta venir voglia a’ morti. La qual cosa avendo messer Geri una e due mattine veduta, disse la terza: — Chente è, Cisti? è buono? — Cisti, levato prestamente in piè, rispose: — Messer sí: ma quanto, non vi potrei io dare ad intendere, se voi non n’assaggiaste. — Messer Geri, al quale o la qualitá del tempo o affanno piú che l’usato avuto o forse il saporito bere che a Cisti vedeva fare, sete avea generata, vòlto agli ambasciadori, sorridendo disse: — Signori, egli è buono che noi assaggiamo del vino di questo valente uomo; forse che è egli tale, che noi non ce ne penteremo — e con loro insieme se n’andò verso Cisti. |
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De mulieribus claris, Leena L
(il preambolo narrativo) e Epicari XCIII (la
conclusione) mostrano il tema del nascondimento della
virtù, come in questa novella. VI 2 Vita della prostituta Leena [ctrl]"Così le due ministre del mondo [natura e fortuna] spesso le lor cose più care nascondono sotto l'ombra dell'arti reputate più vili, acciò che di quelle alle necessità traendole più chiaro appaia il loro splendore" De mulieribus claris L: "Insuper, adeo virtuti obnoxii sumus ut, non solum quam insigni loco consitam cernimus, elevamus, sed et obrutam tegmine turpi in lucem meritam conari debemus educere; est enim ubique preciosa, nec aliter fedatur, scelerum contagione, quam solari radiusceno inficiatur immixtus. Si ergo, aliquando pectori, detestabili offitium, ut sue laudes non minuantur virtuti, cum tanto mirabilior digniorque in tali sit, quanto ab eadem putabatur remotior" (cit. da Elsa Filosi 128) Oberrare crederem naturam rerum aliquando, dum mentem mortalium corporibus nectit, illam scilicet pectori infundendo femineo quam virili immisisse crediderat. Sed cum Deus ipse dator talium sit, eum circa opus suum dormitari nephas est credere. (De mulieribus claris, XCIII, Elsa Filosi) |
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eum circa opus |
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GIORNATA SESTA NOVELLA TERZA Lauretta racconta Monna Nonna de’ Pulci con una presta risposta al meno che onesto motteggiare del vescovo di Firenze silenzio impone |
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MORDERE I MORDACI
[V]i voglio
ricordare, essere la natura de’ motti cotale, che
essi, come la pecora morde, deono cosí mordere
l’uditore, e non come il cane, per ciò che, se come il
cane mordesse il motto, non sarebbe motto ma villania.
La qual cosa ottimamente fecero e le parole di madonna
Oretta e la risposta di Cisti. È il vero che, se per
risposta si dice, ed il risponditore morda come cane,
essendo come da cane prima stato morso, non par da
riprender come, se ciò avvenuto non fosse, sarebbe: e
per ciò è da guardare e come e quando e con cui e
similmente dove si motteggia. Alle quali cose poco
guardando giá un nostro prelato, non minor morso
ricevette che il desse; il che io in una piccola
novella vi voglio mostrare. |
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GIORNATA SESTA NOVELLA QUARTA Neifile racconta Chichibio, cuoco di Currado Gianfigliazzi, con una presta parola a sua salute l’ira di Currado volge in riso, e sé campa dalla mala ventura minacciatagli da Currado. |
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QUANTE SONO LE COSCE DELLE GRU
[Currado Gianfigliazzi] ...con un
suo falcone avendo un dí presso a Peretola una gru
ammazzata, trovandola grassa e giovane, quella mandò
ad un suo buon cuoco il quale era chiamato Chichibio
ed era viniziano, e sì gli mandò dicendo che a cena
l’arrostisse e governassela bene. Chichibio, il
quale, come nuovo bergolo era, cosí pareva, acconcia
la gru, la mise a fuoco e con sollecitudine a
cuocerla cominciò.
Questa è una delle novelle più famose, con il cuoco veneto che dà una coscia alla donna di cui è innamorato, e poi, quando il suo signore gli chiede dove sia l'altra coscia, risponde che ce n'era una sola. Il giorno dopo Currado porta Chichibio nella palude di Peretola dove ci sono molte gru, che stando su una gamba sola danno modo a Chichibio di sostenere la sua tesi. Quando Currado batte le mani e le gru poggiano a terra l'altra gamba e si mettono a correre, Chichibio dice al signore che forse non ha battuto le mani quando ha preso la gru che lui ha cucinato. E divertito Currado lo perdona invece di punirlo. |
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Vedi
questa novella nel film Decameron di Pier Paolo
Pasolini (1971; il video contiene anche II, V e IV, 5),
https://www.youtube.com/watch?v=z9BQDRBLIFk;
ultimo accesso 04/07/2022 |
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GIORNATA SESTA NOVELLA QUINTA Panfilo racconta Messer Forese da Rabatta e maestro
Giotto dipintore,
venendo di Mugello, l'uno la sparuta apparenza dell'altro motteggiando morde |
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UOMINI DI ASPETTO INSIGNIFICANTE E DI
VALORE GRANDE
E messer
Forese, cavalcando ed ascoltando Giotto, il quale
bellissimo favellatore era, cominciò a
considerarlo e da lato e da capo e per tutto: e
veggendo ogni cosa cosí disorrevole, e cosí
disparuto, senza avere a sé niuna considerazione,
cominciò a ridere e disse: — Giotto, a che ora,
venendo di qua alla ’ncontro di noi un forestiere
che mai veduto non t’avesse, credi tu che egli
credesse che tu fossi il migliore dipintor del
mondo, come tu se’? — A cui Giotto prestamente
rispose: — Messere, credo che egli il crederebbe
allora che, guardando voi, egli crederebbe che voi
sapeste l’abici. — Il che messer Forese udendo, il
suo error riconobbe, e videsi di tal moneta pagato
quali erano state le derrate vendute.
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Pruova Michele Scalza a certi giovani
come i Baronci sono i più gentili uomini del mondo o
di maremma, e vince una cena.
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I
BARONCI SONO I PRIMI DISEGNATI DA DIO Voi sapete che,
quanto gli uomini son piú antichi, piú son gentili,
e cosí si diceva pur testé tra costoro: ed i Baronci
son piú antichi che niuno altro uomo, sí che son piú
gentili; e come essi sien piú antichi mostrandovi,
senza dubbio io avrò vinta la quistione. Voi dovete
sapere che i Baronci furon fatti da Domenedio al
tempo che egli aveva cominciato d’apparare a
dipignere, ma gli altri uomini furon fatti poscia
che Domenedio seppe dipignere. E che io dica di
questo il vero, ponete mente a’ Baronci ed agli
altri uomini: dove voi tutti gli altri vedrete co’
visi ben composti e debitamente proporzionati,
potrete vedere i Baronci qual col viso molto lungo e
stretto, e quale averlo oltre ad ogni convenienza
largo, e tal v’è col naso molto lungo e tale l’ha
corto, ed alcuni col mento in fuori ed insú rivolto,
e con mascelloni che paion d’asino, ed èvvi tale che
ha l’uno occhio piú grosso che l’altro, ed ancora
chi ha l’un piú giú che l’altro, sí come sogliono
essere i visi che fanno da prima i fanciulli che
apparano a disegnare; per che, come giá dissi, assai
bene appare che Domenedio gli fece quando apparava a
dipignere, sí che essi son piú antichi che gli
altri, e cosí piú gentili.
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GIORNATA SESTA NOVELLA SETTIMA Filostrato racconta Madonna Filippa dal marito con un suo amante trovata, chiamata in giudizio, con una pronta e piacevol risposta sé libera e fa lo statuto modificare. |
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LA DONNA CHE FA CAMBIARE LA LEGGE
A Prato la legge voleva che
fossero arse le donne che tradivano il marito e quelle
che facevano sesso a pagamento. Un marito tradito
portò la sua in tribunale, perché venisse giustiziata,
ma nonostante tutti le consigliassero di negare di
avere un amante, lei disse che mai aveva negato i suoi
favoria al marito, ogni volta che glielo aveva
chiesto, e il maritò confermò.
— Adunque, — seguí prestamente la donna — domando io voi, messer podestá, se egli ha sempre di me preso quello che gli è bisognato e piaciuto, io che doveva fare o debbo di quel che gli avanza? debbolo io gittare a’ cani? Non è egli molto meglio servirne un gentile uomo che piú che sé m’ama, che lasciarlo perdere o guastare? — Eran quivi a cosí fatta esaminazione e di tanta e sí famosa donna quasi tutti i pratesi concorsi, li quali, udendo cosí piacevol domanda, subitamente, dopo molte risa, quasi ad una voce tutti gridarono, la donna aver ragione e dir bene: e prima che di quivi si partissono, a ciò confortandogli il podestá, modificarono il crudele statuto e lasciarono che esso s'intendesse solamente per quelle donne le quali per denari a' lor mariti facesser fallo. |
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GIORNATA SESTA NOVELLA OTTAVA Emilia racconta Fresco conforta la nepote che non si specchi, se gli spiacevoli, come diceva, l’erano a veder noiosi. |
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NON SI SPECCHI CHI NON VUOL SAPERE I SUOI
LIMITI
Alla qual Fresco, a cui li
modi fecciosi della nepote dispiacevan fieramente,
disse: — Figliuola, se cosí ti dispiaccion gli
spiacevoli come tu di’, se tu vuoi viver lieta, non
ti specchiar giá mai. — Ma ella, piú che una canna
vana ed a cui di senno pareva pareggiar Salamone,
non altramenti che un montone avrebbe fatto intese
il vero motto di Fresco, anzi disse che ella si
voleva specchiar come l’altre: e cosí nella sua
grossezza si rimase, ed ancor vi si sta.
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Guido
Cavalcanti dice con un motto onestamente villania a
certi cavalier fiorentini li quali soprappreso
l’aveano. |
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GUIDO CAVALCANTI
A Betto Brunelleschi come a
tutte le compagnie fiorentine sarebbe piaciuto aver
Guido Cavalcanti, perché era...
...un de’ miglior loici che avesse il mondo, ed ottimo filosofo naturale, delle quali cose poco la brigata curava, si fu egli leggiadrissimo e costumato e parlante uom molto, ed ogni cosa che far volle ed a gentile uom pertenente seppe meglio che altro uom fare: e con questo era ricchissimo, ed a chiedere a lingua, sapeva onorare cui nell’animo gli capeva che il valesse. Ma a messer Betto non era mai potuto venir fatto d’averlo, e credeva egli co’ suoi compagni che ciò avvenisse per ciò che Guido alcuna volta, speculando, molto astratto dagli uomini divenia: e per ciò che egli alquanto tenea dell’oppinione degli epicuri, si diceva tra la gente volgare che queste sue speculazioni erano solo in cercare se trovar si potesse che Iddio non fosse. E così, trovandolo un giorno tra i sepolcri di Santa Reparata, quelli della compagnia di Betto Brunelleschi pensarono bene di andare... ...a dargli briga. — E spronati i cavalli, a guisa d’uno assalto sollazzevole gli furono, quasi prima che egli se n’avvedesse, sopra, e cominciarongli a dire: — Guido, tu rifiuti d’esser di nostra brigata: ma ecco, quando tu avrai trovato che Iddio non sia, che avrai fatto? — A’ quali Guido, da lor veggendosi chiuso, prestamente disse: — Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace. — E posta la mano sopra una di quelle arche, che grandi erano, sí come colui che leggerissimo era, prese un salto e fussi gittato dall’altra parte, e sviluppatosi da loro se n’andò. |
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GIORNATA SESTA NOVELLA DECIMA Dioneo racconta Frate Cipolla promette a certi contadini di mostrar loro la penna dell’agnolo Gabriello; in luogo della quale trovando carboni, quegli dice esser di quegli che arrostirono san Lorenzo. |
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FRATE CIPOLLA MAESTRO DEL GIOCO DEI
SIGNIFICANTI
Freud ha mostrato la quotidiana
presenza di lapsus e atti mancati come indizi e prove
dell'esistenza di quanto non sappiamo e non dominiamo.
Chiamarlo inconscio è un'operazione gravida di
ambiguità: sarebbe come se, scoprendo l'oceano dopo aver
concepito solo la terra con i corsi d'acqua e i laghi lo
chiamassimo non-terra, o viceversa, come se i pesci e le
altre creature acquatiche chiamassero la terra
non-acqua. Alla definizione in negativo - come il
negativo è il rovescio di luci e ombre di una fotografia
stampata - manca quel che Freud non poteva teorizzare,
vale a dire l'incommensurabilità di quanto non è compreso
- alla lettera: preso nell'insieme - dallo
psichismo cosciente. Fino a Freud la collocazione del non-compreso
era quella della religione con le sue articolazioni
trascendenti, la cui spiegazione era sospesa fino alla
parusia alla fine dei tempi (ma perché spiegare i tempi
solo quando i tempi finiscono? non è proprio come
l'obiezione di Einstein all'indecidibilità della
condizione del gatto di Schrödinger quando la scatola è
chiusa, quando dice che è una condizione temporanea, che
ha la sua soluzione appena si apre la scatola. Vale a
dire: si può tralasciare l'ignoto perché possiamo
aspettare che diventi noto. Prima o poi succede, come
racconta Collodi, quando i medici intorno al capezzale
di Pinocchio pronunciano la loro diagnosi e prognosi.
Vale la pena leggere questa geniale anticipazione della
questione di Schrödinger per intero, nel capitolo la cui
rubrica recita: La bella Bambina dai capelli
turchini fa raccogliere il burattino: lo mette a
letto, e chiama tre medici per sapere se sia vivo o
morto. (Pinocchio,
pdf online)Come tutti sanno, o forse dovrebbero sapere, Collodi era un figlio illegittimo, cosa che lo accomunava a Boccaccio e a Leonardo da Vinci, ma se essere figli illegittimi pare un elemento significativo per la libertà di questi Autori dagli schemi passati, presenti e futuri, e per la loro ricchezza indipendente dai tempi e dalle mode culturali, non basta certo a descrivere la loro genialità. Una certa anarchia può essere sia della condizione illegittima che della genialità, ma i figli non legittimati sono raramente dotati di arte e scienza come Boccaccio, Leonardo e Collodi. Come tutti sanno, o forse dovrebbero sapere, se non avesse avuto bisogno di danaro per i suoi debiti di gioco forse non avrebbe accettato la proposta del suo editore di tradurre le fiabe francesi di Perrault e del Cabinet des Fées, attività che gli fece attingere al registro fiabesco senza il quale Pinocchio non avrebbe visto la luce. Ma c'è ancora una cosa che forse tutti sanno, e dovrebbero sapere: che cioè Collodi aveva chiuso la sua storia di autore di Pinocchio facendolo morire impiccato alla quercia dal Gatto e dalla Volpe. È appena il caso di notare le ultime parole del povero burattino, ricordandone l'illegittimità come umanità incompiuta, insieme alla mancanza della legittimazione paterna del suo geniale autore: Oh babbo mio! se tu fossi qui!... E non ebbe fiato per dire altro. Chiuse gli occhi, aprì la bocca, stirò le gambe e, dato un grande scrollone, rimase lì come intirizzito. (Ivi) (La riflessione continua sul file La linearità ironica e finalmente tragica della prima parte del libro, questo lo sappiamo tutti, si muta in un gioco d'artificio di elementi tratti dal meraviglioso fiabesco di tutti i tempi, dall'Asino d'oro di Apuleio, per ricordare la fonte più alta che Carlo Lorenzini aveva ben presente, ma soprattutto dagli artifici narrativi dei favolisti francesi. La seconda parte, scritta su sollecitazione dell'editore, a sua volta sensibile alla richiesta dei suoi lettori, comincia col rovesciamento di una cornucopia di elementi meravigliosi, che prendono la scena come una conversione, dalla sadica conclusione che vedeva il povero burattino dondolare nel vento, alle possibilità virtualmente illimitate della fantasia. Credete forse, sembra dire Collodi, che chi sa come la vita possa essere crudele e accanirsi anche su un povero burattino, non possa attingere alll'armamento dei favolisti? (Ivi) Ed ecco nel capitolo successivo la fata dai capelli turchini vede il legnoso impiccato che si muove solo per i colpi di vento, ecco che la fatina, madre, donna, bambina, proprio come Maria Vergine, batte le mani. Questo fa arrivare un grosso falco che va a liberare Pinocchio dalla corda che lo soffoca o lo ha soffocato e lo posa sul prato. Il consulto, che proseguirà con i medici classici, piuttoso einsteniani, mentre la fatina e le creature che rispondono al semplice battito delle sue mani sono piuttosto vicini alla fisica quantistica, comincia col grosso falco, al quale pareva morto, ma potrebbe essere anche vivo, perché una volta liberato dal capestro ha esclamato ora mi sento meglio. Mantenendo l'analogia col paradosso del gatto di Erwin Schrödinger (1935) la scatola è ancora chiusa, vale a dire che le quattro parole riferite alla bambina fatina - una buonissima Fata che da più di mill'anni abitava nelle vicinanze di quel bosco (ivi) - non le bastano, e per questo il burattino vivo-e-morto, non-vivo-e-non-morto, deve essere portato dalla fatina. Per questo potrebbe bastare il grosso falco parlante, ma non è il momento di risparmiare elementi fantastici, ed ecco il secondo animale, un cane fra i più stupefacenti e intelligenti della comunità canina, il Can-barbone, ovvero, mi pare, un barbone gigante, uso a camminare sulle zampe posteriori, eretto quindi come gli esseri umani. Ma come e più di un servitore umano il barbone è sontuosamente abbigliato e ornato e imparruccato - una parrucca bianca con lunghi riccioli sul collo: ora, nessun cane supera il barboncino o la sua versione gigante nella quantità di riccioli, nella morbidezza del pelo, e nelle possibilità quasi illimitate di tosarlo e acconciarlo in molte stupefacenti fogge. La maestria di Collodi è tale che non si può non citare per intero la descrizione di Medoro, così si chiama questo servitore della bambina fata: Medoro deve andare a prendere il burattino mezzo morto: genialità linguistica di Carlo Lorenzini, che propone un'ambiguità che solo il linguaggio verbale, l'espressione artistica da sempre possono accogliere, grazie alla quale il gatto sunnominato e il nostro burattino possono avere un doppio stato, fino a quando non si potrà stabilire se son ovivi o morti. Devo richiamare alla memoria un'esperienza comune: quandi si perde una persona cara, pur sapendo bene che è morta, essendo andati a vederla per l'ultimo saluto e avendo piamente partecipato al suo funerale, si continua a pensare che potrà venire a cena da noi come ha fatto tante volte, o, se andremo a casa sua, a un certo punto verrà a sedersi a tavola con noi come ha sempre fatto. Questa percezione non ha nulla di paranormale, né è un'attesa di fantasmi perturbanti o sapienti. Semplicemente la presenza di chi ci viveva accanto, di chi ha sempre fatto parte della nostra vita, come un genitore o un fratello, non finisce con la morte. Cosa significa? Ha a che fare con una continuità degli affetti, con una permanenza oltre la fine fisica dell'esistenza - di altri ora, nostra un giorno - che ci consola della brutalità della fine, tragica come l'immagine del malizioso ma sostanzialmente innocente burattino che pende per il collo al vento strapazzato dal notturno? Procediamo sull'analogia della seconda parte di Pinocchio con l'esperimento del gatto, cavia mentale del fisico quantistico austriaco e di tutti noi, e godiamoci la partenza della carrozza-ambulanza verso il burattino adagiato sull'erba: Di lì a poco, si vide uscire dalla scuderia una bella carrozzina color dell’aria, tutta imbottita di penne di canarino e foderata nell’interno di panna montata e di crema coi savoiardi. La carrozzina era tirata da cento pariglie di topini bianchi, e il Can-barbone, seduto a cassetta, schioccava la frusta a destra e a sinistra, come un vetturino quand’ha paura di aver fatto tardi. A questo punto la fatina, pur con tutte le sue magie, che le consentono una carrozza dentro alla quale ci si trova come affondando in una raffinata zuppa inglese, ricorre alla scienza del tempo, alla medicina. Continuiamo la nostra anologia, per la quale Collodi, la letteratura e l'arte in genere somigliano ai fisici quantistici, mentre i medici somigliano ai fisici classici, e la estendiamo alla psicoanalisi, che poniamo dalla parte di Collodi e di Schrödinger, mentre vediamo affollati dall'altra parte, insieme ai fisici classici e ai medici, psichiatri, psicoterapeuti, pedagogisti e assistenti sociali. Purtroppo ci sembra che si siano rifugiati con quella maggioranza anche molto psicoanalisti, col guadagno di essere i migliori fra gli psicoterapeuti, a fronte della perdita della condizione paradossale ma tanto più aderente alla realtà che si impone alla nostra indagine che Freud ha cognominato come inconscio, come Boccaccio aveva cognominato il suo Decameron prencipe Galeotto, e Divina l'opera del suo amatissimo Dante. Anarchico e pertanto potenzialmente rivoluzionario è Eros. Non vale la pena fornire dimostrazioni, basta, se si vuole riconoscerlo, rimemorare il senso di vita che si sperimenta essendo innamorati e nell'estasi erotica, basta a riconoscere che per domare e ridurre all'ordine gerarchico Eros occorre uccidere chi ne è portatore, come fa Tancredi con Guiscardo, come fanno i fratelli di Lisabetta, come lo sposo che cucina il cuore dell'amante e lo fa mangiare alla sua ignara sposa, e, alla fine, se stessi, condannandosi all'amara solitudine e al rimpianto. Tancredi si trova piangere morta l'unica figlia morta che voleva tenere per sé, i fratelli di Lisabetta per salvare il lor oonore si trovan ocostretti a lasciare Messina mentre la sorella muore, e lo sposo la cui moglie si suicida buttandosi dalla finestra quando sa di aver mangiato il cuore del suo amante, e costretto ad andarsene per l'orrore provocato dalla sua crudeltà. Mi piacerebbe enunciare un seguito alla geniale scoperta di Freud pubblicata nel 1921: Jenseits des Lustprinzips. C'è una relazione strettissima fra Eros e Thanatos, ma non perché stiano in coppia, ma perché eliminando il primo si ottiene l'altro. E la presenza della morte provoca un bisogno irrinunciabile di pensare all'amore che ci ha legato al genitore, al fratello, come allargando il cuore per formare uno spazio di memoria affettuosa dopo che il fratello ha lasciato vuoto lo spazio fisico che occupava finché era vivo. Eros e Thanatos hanno una relazione fortissima, ma per esclusione, non per analogia. Noi abbiamo a che fare con entrambi, e vivere queste due relazioni è l'arte che siamo chiamati a esercitare dalla nascita alla morte, un'arte solo nostra e allo stesso tempo un'arte che ci accomuna a tutti i nostri vicini, i nostri prossimi. Ma torniamo a Pinocchio, che dopo aver viaggiato immerso nella carrozza di panna montata crema e savoiardi, viene preso in braccio dalla fata bambina e messo a letto in una camerina dalle pareti di madreperla. Che ci fanno in un contesto come questo tre medici, i più famosi del vicinato (ivi), che per essere tali scartano la fantasia, l'arte, e forse anche la panna montata? Sono un Corvo, una Civetta e un Grillo-parlante: il terzo oltre che la medicina rappresenta il moralismo più comune, e per questo più convincente. Il primo credo, per la livrea nera come quella dei becchini, va da considerato per l'allocuzione uccellaccio del malaugurio, che si applica anche al secondo medico, la civetta, qui non tanto uccello di Athena, quanto uccello della notte, il cui verso è maleaugurante nella superstizione popolare. A loro la fata chiede se il burattino sia vivo o morto, cosa che evidentemente è indecidibile, come l'essere vivo o morto del gatto quantistico, in barba al fatto che il burattino parla e sospira. A questo proposito possiamo ricordare che i fenomeni di morte apparente sono studiati e raccontati, e il passaggio dalla vita alla morte è tutt'altro che immediato, pensiamo ai borborigmi, che si possono sentire anche dopo il decesso, o alla crescita delle unghie e dei capelli. Porre confini netti rassicura, tra vita e morte, tra vero e falso, reale e immaginario, sanità e malattia, equilibrio e follia, ed è un'esigenza irrinunciabile della nostra mente. Ma pensare che questa esigenza possa essere sempre soddisfatta è come pretendere da noi stessi di non immaginare e quasi aspettare che il nostro fratello possa venire a tavola nella nostra o nella sua casa insieme agli altri familiari, quando sappiamo che no npuò più accadere. Einstein incarna l'esigenza di decidere fra due stati incompatibili, quando dice che l'incertezza sulla vita e sulla morte del gatto è temporanea, perché passato un certo tempo, quando si apre la scatola, si vede chiaramente in quale dei due stati si trovi. Schrödinger incarna invece l'esigenza di sopportare che la nostra esigenza di decidere non corrisponda alla realtà nella quale ci troviamo immersi, che si nega alla conoscenza nel momento in cui pretendiamo di circoscriverla nel nostro - irrinunciabile! - bisogno di controllarla. Lo stregone della tribù sconvolta dall'eclissi del sole che certifica che la minaccia all'esistenza del mondo è conseguente a una colpa della comunità, indicando per lavare questa colpa quale sacrifico umano si debba compiere, ottiene che il sole torni a splendere e rassicura sulla possibilità dei credenti fedeli di fare in modo che la vita ricominci. Se la vita vuole la morte, se la morte è compresa dalla vita, allora se noi uccidiamo per difendere la vita - i familiari, i delinquenti, i malati terminali, i nemici - noo controlliamo la morte. La controlliamo come la tribù col suo stregone controlla l'eclisse. Ma torniamo dal burattino che in un letto soffice viene visitato dai tre medici, e osserviamo il consulto richiesto dalla fatina: – Vorrei sapere da lor signori, – disse la Fata, rivolgendosi ai tre medici riuniti intorno al letto di Pinocchio, – vorrei sapere da lor signori se questo disgraziato burattino sia morto o vivo!...Così non si sbaglia. Chiunque abbia avuto un incontro ravvicinato con la follia, se non è riuscito a rimuoverlo insieme al turbamento che ha provocato, se è riuscito solo ad allontanarsene, come dall'orlo di un abisso, sa che la follia è un sistema psichico e affettivo che non risponde né alle ingiunzioni né alle esortazioni del senso comune. Eppure il folle, sia una persona che curiamo per passione e professione, sia un familiare o una persona comunque intima, è un essere umano come noi, a meno che non siamo pronti a chiuderlo oltre un muro, di mattoni e cemento come quelli dei manicomi, o chimico, come quello degli psicofarmaci. L'intervento farmacologico come cura per la psicosi è l'uso autorizzato dallo stato di sostanze che modificano pesantemente l'assetto psichico e affettivo della persona: tentano di ri-farlo, di renderlo accettabile se non gradito a se stesso e agli altri. Ci si fa di droghe, si è fatti di sostanze psicotrope, come si è fatti di psicofarmaci. Si tenta, o contro genitori, medici, educatori, polizia, o obbedendo loro, di ri-farsi. L'esito raramente è fausto. Il farsi dell'essere umano, dal suo concepimento alla nascita alla crescita, fino all'adolescenza prima e alla maturità poi, implica il lavoro di miliardi e miliardi di cellule nervose, che interagiscono fra loro come con elementi esterni all'individuo. Ogni cura psichica ha possibilità di riuscita se e solo se è pensata e attuata come tentativo rigoroso e rischioso di riattivare il lavoro di chissà quante popolazioni di neuroni, mentre fallisce se si illude di operare in loro vece. Sarebbe come pensare di sfamare un paese intero invitando a pranzo tre persone. Ma ecco che il terzo esperto, che è ancora un pedagogo di vocazione, nonostante per il suo precedente non richiesto intervento moralistico da una martellata del burattino, dopo aver parlato da medico parla da educatore: Senso di colpa? Superio paterno? La formazione di Pinocchio è dell'artefice, del falegname, come dice Geppetto a mastro Ciliegia:- Del resto quel burattino lì non m’è fisonomia nuova: io lo conosco da un pezzo!... Il pezzo di legno nel quale già si troval'anima di Pinocchio, come si sa, risponde complimentandosi con Geppetto (Bravo Polendina!), che credendosi preso in giro dal collega si azzuffa con lui, per poi far la pace e ricevere il pezzo di legno che cercava, un po' concesso da mastro Ciliegia, un po' corso da lui e battuto autonomamente nei suoi stinchi.– Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno; ma un burattino maraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di vino; che ve ne pare? (Ivi) Si è a ragione paragonata la coppia Geppetto/Pinocchio a quella più antica e solenne di Jahvè/Adamo, di certo chi legga la Genesi può vedere come gli esseri umani fin dalla prima battuta non rispettino le aspettative del creatore, e, ancor più, come ci sia un legame fra loro impossibile da sciogliere, conflittuale, malizioso, sincero, fatto di inganni e confessioni, di potere e di libertà. L'idea di potenza e perfezione rappresentata dal padre divino, si intreccia fin dalla prima battuta con l'anarchia del cuore umano: da questo viene la storia. E così, il timore di causare la morte del proprio padre, di essere la causa della sua scomparsa e della sua assenza, descritta dal figlio illegittimo Carlo Lorenzini, mette fine alle dissertazioni dei medici, e apre la scatola del gatto, ovvero mette fine all'indecidibilità sull'essere vivo o morto del burattino. Eppure i medici non comprendono che hanno un'ottima occasione per tacere, e mettono il sigillo della loro ottusa sapienza sulla scena tragicomica del pianto del burattino: – Quando il morto piange, è segno che è in via di guarigione, – disse solennemente il Corvo. – Mi duole di contraddire il mio illustre amico e collega, – soggiunse la Civetta, – ma per me, quando il morto piange è segno che gli dispiace a morire. |
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Si è ipotizzato che la prontezza di
Frate Cipolla, che trasforma una situazione
imbarazzante in un successo abbia un antecedente nella
letteratura orientale, che poteva essere diffusa ad
esempio alla corte di Carlo d'Angiò, durante la
permanenza del giovane Boccaccio a Napoli, col padre
banchiere. Già nel poema sanscrito Pañcatantra
si trova la storia di un tranello al quale l'uomo
d'ingegno - qui il corrispettivo di frate Cipolla è il
ministro degli esteri del re - reagisce trasformando
una situazione pericolosa in una vantaggiosa. Il
soldato che si trova nella stessa situazione non sa
come reagire e viene picchiato e cacciato.
Così il re di Pandya fece
comprendere alla regina per quale ragione pagava molte
monete d'oro al suo ministro. La circolazione della
storia, che figurava in molti manoscritti del lontano
oriente, potrebbe essere stata nota a Giovanni
Boccaccio, oltre alla storia cornice delle Mille e una
notte. I manoscritti più antichi della raccolta sono
trecenteschi come il Decameron, e si trovano in alcune
biblioteche europee. Certo potrebbero essere stati
acquisiti molti secoli dopo (certamente è il caso del
manoscritto conservato alla Bibliothèque Nationale di
Parigi, che Antoine Galland si fece inviare dalla
Siria), è in ogni caso un mistero e un vero peccato
che nessuno di questi sia stato pubblicato secondo
rigorosi criteri filologici. |