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GIORNATA OTTAVA NOVELLA PRIMA Neifile racconta Gulfardo prende da Guasparruolo denari in prestanza, e con la moglie di lui accordato di dover giacer con lei per quegli, sì gliele dà, e poi in presenzia di lei a Guasparruolo dice che a lei gli diede, ed ella dice che è il vero. |
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IL DISAMORATO TEDESCO
Gulfardo ottiene i favori dalla donna di
cui è innamorato, ma quando lei gli chiede una bella
somma per concederglieli si disamora, e dopo
esserseli fatti prestare dal marito di lei glieli
dà, e lei li conta in sua presenza. Una volta che
lei lo ha accolto, Gulfardo va a trovare
Guasparruolo Cagastraccio suo marito, e gli dà i
denari:
— Guasparruolo, i denari che l’altrier mi prestasti, non m’ebber luogo, per ciò che io non potei fornir la bisogna per la quale gli presi: e per ciò io gli recai qui di presente alla donna tua e si gliele diedi, e per ciò dannerai la mia ragione. — Guasparruolo, vòlto alla moglie, la domandò se avuti gli avea. Ella, che quivi vedeva il testimonio, nol seppe negare, ma disse: — Mai sí che io gli ebbi, né m’era ancor ricordata di dirloti. — Disse allora Guasparruolo: — Gulfardo, io son contento; andatevi pur con Dio, che io acconcerò bene la vostra ragione. — Gulfardo partitosi, e la donna rimasa scornata, diede al marito il disonesto prezzo della sua cattivitá: e cosí il sagace amante senza costo godè della sua avara donna. Questa è una delle tante fiabe che affermano il desiderio maschile come una pulsione che non può essere derisa o ignorata. Difficile non pensare al tormento di Boccaccio con l'amata Maria d'Aquino, alias Fiammetta, che secondo le biografie correnti gli fece sospirare a lungo i suoi favori, per poi preferirgli un altro amante dopo poco tempo. Boccaccio potrebbe aver composto le opere successive per salvare il suo amore nonostante la realtà. In questo senso i tre giovani rappresentano tre aspetti di Boccaccio, che sopravvive alla pena d'amore: Dioneo disilluso che riconosce la mutevolezza della pulsione erotica, Filostrato sempre sofferente come Troilo, il protagonista dell'opera Filostrato (1337-1339), e Panfilo, protagonista dell'opera Fiammetta, già Elegia di Madonna Fiammetta (1343). L'opera di Boccaccio si misura con l'ideale maschile e femminile della donna salvatrice (Beatrice) e angelicata (Laura) e va oltre, riconoscendo le sfaccettature dell'uomo e della donna e la complessità della loro relazione, irriducibile a un ideale e altrettanto irriducibile a una visione cinica, disincantata come quella rappresentata da Dioneo. Si dovrebbe riprendere il tema a proposito della centesima novella, nella quale sia Gualtieri sia Griselda compiono l'ideale maschile e femminile ottenendo il lieto fine della quinta giornata. Ma Dioneo, che l'ha raccontata, non rinuncia a ricordare che un bell'incontro erotico adeguatamente compensato con un bel vestito avrebbe potuto risolvere prima e meglio il tormento di Griselda di ritorno in camicia dal povero padre Giannucole. |
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GIORNATA OTTAVA NOVELLA SECONDA Panfilo Il Prete da Varlungo si giace con monna Belcolore; lasciale pegno un suo tabarro; e accattato da lei un mortaio, il rimanda e fa domandare il tabarro lasciato per ricordanza; rendelo proverbiando la buona donna. |
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IL MORTAIO E IL PESTELLO Il desiderio del prete di
Varlungo non gli impedisce di ingegnarsi a dar il meno
possibile a monna Belcolore, e lei analogamente cerca
di ottenere qualcosa da lui.
Quando reclama quel che lui le aveva promesso, il prete le risponde per le rime: — Dira’le quando tu la vedrai che, se ella non ci presterá il mortaio, io non presterò a lei il pestello; vada l’un per l’altro. — Bentivegna si credeva che la moglie quelle parole dicesse perché egli l’aveva garrito, e non se ne curò: ma la Belcolore venne in iscrezio col sere e tennegli favella infino a vendemmia; poscia, avendola minacciata il prete di farnela andare in bocca del Lucifero maggiore, per bella paura entro la capanna, col mosto e con le castagne calde, si rappattumò con lui, e piú volte insieme fecer poi gozzoviglia: ed in iscambio delle cinque lire le fèce il prete rincartare il cembal suo ed appiccovvi un sonagliuzzo, ed ella fu contenta. |
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GIORNATA OTTAVA NOVELLA TERZA Elissa Calandrino, Bruno e Buffalmacco giù per lo Mugnone vanno cercando di trovar l’elitropia, e Calandrino se la crede aver trovata; tornasi a casa carico di pietre; la moglie il proverbia, ed egli turbato la batte, e a’ suoi compagni racconta ciò che essi sanno meglio di lui. |
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CALANDRINO E L'ELITROPIA
Misero Calandrino, che s'illude di
ottenere o di aver ottenuto quello che tutti vorrebbero,
senza avere l'intelligenza o le risorse economiche per
ottenerlo, addirittura la pietra ,magica che rende
invisibili. La colpa delle sue sconfitte ricade e
sulla moglie, che vedendolo e chiamandolo avrebbe
distrutto la magia dell'invisibilità. In chiesa Maso
parla delle virtù delle pietre e Calandrino abbocca:Maso rispose che le piú si trovavano in Berlinzone, terra de’ baschi, in una contrada che si chiamava Bengodi, nella quale si legano le vigne con le salsicce, ed avevavisi una oca a denaio ed un papero giunta, ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevano che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giú: e chi piú ne pigliava piú se n’aveva; ed ivi presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciola d’acqua. — Oh! — disse Calandrino — cotesto è buon paese; ma dimmi, che si fa de’ capponi che cuocon coloro? — Rispose Maso: — Mangianglisi i baschi tutti. — Disse allora Calandrino: — Fostivi tu mai? — A cui Maso rispose: — Di’ tu se io vi fu’ mai? Si, vi sono stato cosí una volta come mille! — Disse allora Calandrino: — E quante miglia ci ha? — Maso rispose: — Haccene piú di millanta, che tutta notte canta. — Disse Calandrino: — Adunque dèe egli essere piú lá che Abruzzi. Credendo alla storia dell'elitropia, Calandrino invita ad andare con lui Bruno e Buffalmacco, che a un certo punto gli fanno credere di non vederlo più e gettando via le loro inutili pietre gliele tirano addosso: Calandrino, sentendo il duolo, levò alto il piè e cominciò a soffiare, ma pur si tacque ed andò oltre. Buffalmacco, recatosi in mano un de’ codoli che raccolti avea, disse a Bruno: — Deh! vedi bel codolo: cosí giugnesse egli testé nelle reni a Calandrino! — E lasciato andare, gli die’ con esso nelle reni una gran percossa: ed in brieve, in cotal guisa, or con una parola ed or con un’altra, su per lo Mugnone infino alla porta a San Gallo il vennero lapidando; quindi, in terra gittate le pietre che ricolte aveano, alquanto con le guardie de’ gabellieri si ristettero, le quali, prima da loro informate, faccendo vista di non vedere, lasciarono andar Calandrino con le maggior risa del mondo. I due terribili amici gli spiegano che la donna ha fatto perdere la virtù alla pietra, dicendo, ...di queste cose niuna colpa aver la donna ma egli, che sapeva che le femine facevano perdere la vertú alle cose, e non l’aveva detto che ella si guardasse d’apparirgli innanzi quel giorno. La moglie di Calandrino si chiama monna Tessa, lo stesso nome della nutrice di Beatrice Portinari. Possibile che sia casuale? e se non lo fosse, cosa mai vorrebbe dire? |
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GIORNATA OTTAVA NOVELLA QUARTA Emilia Il proposto di Fiesole ama una donna vedova; non è amato da lei, e credendosi giacer con lei, giace con una sua fante, e i fratelli della donna vel fanno trovare al vescovo suo. |
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GIORNATA OTTAVA NOVELLA QUINTA Filostrato Tre giovani traggono le brache ad un
giudice marchigiano in Firenze, mentre che egli,
essendo al banco, teneva ragione.
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LE BRACHE DEL GIUDICE SQUASIMODEO
Messer lo
giudice, tirate insú le brache in presenza d’ogni
uomo, come se da dormir si levasse, accorgendosi
pure allora del fatto, domandò dove fossero andati
quegli che dell’uose e della valigia avevan
quistione: ma non ritrovandosi, cominciò a giurare
per le budella di Dio che e’ gli conveniva
conoscere e saper se egli s’usava a Firenze di
trarre le brache a’ giudici quando sedevano al
banco della ragione. Il podestá, d’altra parte,
sentitolo, fece un grande schiamazzio; poi per
suoi amici mostratogli che questo non gli era
fatto se non per mostrargli che i fiorentin
conoscevano che, dove egli doveva aver menati
giudici, egli aveva menati becconi per averne
miglior mercato, per lo migliore si tacque, né piú
avanti andò la cosa per quella volta.
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Bruno e Buffalmacco imbolano un porco a
Calandrino; fannogli fare la sperienzia da
ritrovarlo con galle di gengiovo e con vernaccia, e
a lui ne danno due,
l’una dopo l’altra, di quelle del cane confettate in aloè, e pare che l’abbia avuto egli stesso; fannolo ricomperare, se egli non vuole che alla moglie il dicano. |
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IL
PORCO INVOLATO A CALANDRINO Mi pare che questa sia la beffa
più feroce fatta al povero Calandrino, al quale viene
rubato il suo porco, viene fatto bere amaro a
significare che lui stesso se lo è rubato in un
esperimento organizzato coi suo i soldi,e infine deve
dare due capponi agli amici se non vuole che
raccontino tutta la storia a monna Tessa.
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GIORNATA OTTAVA NOVELLA SETTIMA Pampinea Uno scolare ama una donna vedova, la quale, innamorata d’altrui, una notte di verno il fa stare sopra la neve ad aspettarsi; la quale egli poi, con un suo consiglio, di mezzo luglio ignuda tutto un dì la fa stare in su una torre alle mosche e a’ tafani e al sole. |
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ASAP - PPCQ
Un giovane gentile era stato a
Parigi, dove aveva studiato...
...non per vender poi la sua scienza a minuto, come molti fanno, ma per sapere la ragion delle cose e la cagion d’esse, il che ottimamente sta in gentile uomo, tornò da Parigi a Firenze: e quivi, onorato molto sí per la sua nobiltá e sí per la sua scienza, cittadinescamente viveasi. Ma come spesso avviene, coloro ne’ quali è piú l’avvedimento delle cose profonde, piú tosto da amore essere incapestrati, avvenne a questo Rinieri; al quale, essendo egli un giorno per via di diporto andato ad una festa, davanti agli occhi si parò questa Elena, vestita di nero sí come le nostre vedove vanno, piena di tanta bellezza, al suo giudicio, e di tanta piacevolezza quanto alcuna altra ne gli fosse mai paruta vedere: e seco estimò, colui potersi beato chiamare al quale Iddio grazia facesse lei potere ignuda nelle braccia tenere. Per bocca di Pampinea, nome assegnato a una delle sue amanti napoletane, Boccaccio ci dice che la cultura, pur profonda, non protegge dalla violenza dell'innamoramento, e anzi sembra che richiami l'esperienza d'amore. La donna ha un giovane amante e vuol solo prendere in giro il giovane colto, lo fa quindi andare sotto la sua finestra per Natale, sotto la neve, lo fa aspettare finché se ne va quasi assiderato. Dopo qualche tempo il giovane amante della vedova l'abbandonò, e lei credette di poter farlo tornare con qualche arte negromantica di cui doveva aver cognizione lo studente innamorato quasi assiderato, che l'accontenta per vendicarsi. La induce a salire su una torre dove brucia al sole dopo un rituale con immagini e bagno nel torrente Lo scolare, il quale in sul far della notte col suo fante tra salci ed altri alberi presso della torricella nascoso s’era ed aveva tutte queste cose veduto, e passandogli ella quasi allato cosí ignuda, ed egli veggendo lei con la bianchezza del suo corpo vincere le tenebre della notte, ed appresso riguardandole il petto e l’altre parti del corpo, e veggendole belle e seco pensando quali infra piccol termine dovean divenire, sentì di lei alcuna compassione; e d’altra parte, lo stimolo della carne l'assalì subitamente e fece tale in piè levare che si giaceva, e confortavalo che egli da guato uscisse e lei andasse a prendere ed il suo piacer ne facesse: e vicin fu ad essere tra dall’uno e dall’altro vinto. Ma nella memoria tornandosi chi egli era e qual fosse la ’ngiuria ricevuta e perché e da cui, e per ciò nello sdegno raccesosi, e la compassione ed il carnale appetito cacciati, stette nel suo proponimento fermo e lasciolla andare. La povera donna capisce in che tranello è caduta, e quando il giovane viene a vederla lo supplica di liberarla, non per amor di lei, ma per rispetto alla sua propria cortesia. Lo scolare, con fiero animo seco la ricevuta ingiuria rivolgendo e veggendo piagnere e pregare, ad una ora aveva piacere e noia nell’animo: piacere della vendetta la quale piú che altra cosa disiderata avea, e noia sentiva movendolo l’umanitá sua a compassion della misera. Ma pur non potendo l’umanitá vincere la fierezza dell’appetito... Il giovane studioso la lascia in quel supplizio così dicendo: Dove per te non rimase di far morire un valente uomo, come tu poco avanti mi chiamasti, la cui vita ancora potrá piú in un dì essere utile al mondo che centomilia tue pari non potranno mentre il mondo durar dèe. Insegnerotti adunque con questa noia che tu sostieni che cosa sia lo schernir gli uomini che hanno alcun sentimento e che cosa sia lo schernir gli scolari, e darotti materia di giá mai piú in tal follia non cader, se tu campi. Ma se tu n’hai cosí gran voglia di scendere, ché non te ne gitti tu in terra? E ad una ora con l’aiuto di Dio, fiaccandoti tu il collo, uscirai della pena nella quale esser ti pare e me farai il piú lieto uom del mondo. Ora io non ti vo’ dir piú: io seppi tanto fare, che io costá sú ti feci salire; sappi tu ora tanto fare, che tu ne scenda, come tu mi sapesti beffare. Gualtieri marchese di Saluzzo ha il terrore che gli capiti una moglie che gli rende impossibile la vita, come ogni donna secondo lui può fare col suo sposo, ed è deciso a impedire che possa accadere, per questo non vuole sposarsi, per questo finalmente prende Griselda col patto che sappiamo, spogliandola di quel poco che è suo. Il rifiuto di unirsi a una donna per non subirne il tradimento è il motivo di avvio delle Mille e una notte. Se ipotizziamo che Boccaccio abbia conosciuto la tradizione narrativa araba e persiana, possiamo capire che non solo la cornice Boccaccio prese da questa narrativa, come i trobadores e gli stilnovisti appresero la poesia, ma il tema centrale della complessa unione tra uomo e donna, unione che, seguendo Joseph Campbell, diventa pensabile a partire dal discorso di Eloisa (1092-1164) rivolto ad Abelardo (1079-1142). Quando Eloisa dice ad Abelardo che può chiederle di chiudersi come lui in convento, ma non di pensare a Dio più che al loro amore. La leggenda dice che nemmeno Abelardo pensava soprattutto a Dio: quando Eloisa morì, ventidue anni dopo il suo amato, fu sepolta con Abelardo. Quando aprirono l'avello, videro che Abelardo aveva aperto le braccia per accogliere l'amata. Come tutti (?) i mammiferi, la vita delle femmine non è quella dei maschi. Apparentemente maschi e femmine vivono sempre insieme, in realtà i maschi hanno pensieri separati dalle donne, e le donne li hanno separati dagli uomini. Li hanno sempre avuti separati, anche se il gineceo era scomparso. Allo stesso modo i folli so no separati dai normali, anche se il manicomio non c'è più. Così chi è destinato ad arrivare ai più alti gradi della cultura da chi non può farcela, facendo lettera vuota della costituzione. |
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GIORNATA OTTAVA NOVELLA OTTAVA Fiammetta Due usano insieme; l’uno con la moglie dell’altro si giace; l’altro, avvedutosene, fa con la sua moglie che l’uno è serrato in una cassa, sopra la quale, standovi l’un dentro, l’altro con la moglie dell’un si giace. |
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OCCHIO PER OCCHIO
Due amici hanno due belle mogli,
e uno dei due ha una relazione con la moglie
dell'altro, che scoprendolo decide di pareggiare i
conti, unendosi alla moglie dell'amico su una cassa
nella quale ha fatto chiudere l'amico stesso:
— E cosi detto, abbracciatala e cominciatala a basciare, la distese sopra la cassa nella quale era il marito di lei serrato, e quivi su, quanto gli piacque, con lei si sollazzò, ed ella con lui. Spinelloccio, che nella cassa era ed udite aveva tutte le parole dal Zeppa dette e la risposta della sua moglie, e poi avea sentita la danza trivigiana che sopra il capo fatta gli era, una grandissima pezza sentì tal dolore, che parea che morisse: e se non fosse che egli temeva del Zeppa, egli avrebbe detta alla moglie una gran villania, cosí richiuso come era. Poi, pur ripensandosi che da lui era la villania incominciata e che il Zeppa aveva ragione di far ciò che egli faceva, e che verso di lui umanamente e come compagno s’era portato, seco stesso disse di volere esser piú che mai amico del Zeppa, quando volesse. Fiammetta dice introducendo la novella che rispetto alla novella precedente racconta che... ... assai dèe bastare a ciascuno se quale asino dá in parete tal riceve, senza volere, soprabbondando oltre la convenevolezza della vendetta, ingiuriare, dove l’uom si mette alla ricevuta ingiuria vendicare. |
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Maestro
Simone medico, da Bruno e da Buffalmacco, per esser
fatto d’una brigata che va in corso, fatto andar di
notte in alcun luogo, è da Buffalmacco gittato in una fossa di bruttura e lasciatovi. |
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IL MEDICO CHE CREDEVA DI ANDARE CHISSÀ
DOVE
Dovete adunque, —
disse Bruno — maestro mio dolciato, sapere che egli
non è ancora guari che in questa cittá fu un gran
maestro in nigromantia il quale ebbe nome Michele
Scotto, per ciò che di Scozia era, e da molti
gentili uomini, de’ quali pochi oggi son vivi,
ricevette grandissimo onore; e volendosi di qui
partire, ad istanza de’ prieghi loro ci lasciò due
suoi sufficienti discepoli, a’ quali impose che ad
ogni piacere di questi cotali gentili uomini che
onorato l’aveano, fossero sempre presti. Costoro
adunque servivano i predetti gentili uomini di certi
loro innamoramenti e d’altre cosette liberamente;
poi, piacendo loro la cittá ed i costumi degli
uomini, ci si disposero a voler sempre stare e
preserci di grandi e di strette amistá con alcuni,
senza guardare che essi fossero piú gentili che non
gentili o piú ricchi che poveri, solamente che
uomini fossero conformi a’ lor costumi. E per
compiacere a questi cosí fatti loro amici,
ordinarono una brigata forse di venticinque uomini
li quali due volte almeno il mese insieme si
dovessero ritrovare in alcun luogo da loro ordinato:
e quivi essendo, ciascuno a costoro il suo disidèro
dice, ed essi prestamente per quella notte il
forniscono; co’ quali due avendo Buffalmacco ed io
singulare amistá e dimestichezza, da loro in cotal
brigata fummo messi, e siamo. E dicovi cosí che,
qualora egli avvien che noi insieme ci raccogliamo,
è maravigliosa cosa a vedere i capoletti intorno
alla sala dove mangiamo e le tavole messe alla reale
e la quantitá de’ nobili e belli servidori, cosí
femine come maschi, al piacer di ciascuno che è di
tal compagnia, ed i bacini, gli orciuoli, i fiaschi
e le coppe e l’altro vasellamento d’oro e d’ariento
ne’ quali noi mangiamo e beiamo: ed oltre a questo,
le molte e varie vivande, secondo che ciascun
disidera, che recate ci sono davanti ciascuna a suo
tempo. Io non vi potrei mai divisare chenti e quali
sieno i dolci suoni d’infiniti strumenti ed i canti
pieni di melodia che vi s’odono, né vi potrei dire
quanta sia la cera che vi s’arde a queste cene né
quanti sieno i confetti che vi si consumano e come
sieno preziosi i vini che vi si beono. E non vorrei,
zucca mia da sale, che voi credeste che noi stessimo
lá in questo abito o con questi panni che ci vedete:
egli non ve n’è niun sí cattivo, che non vi paresse
uno imperadore, sì siamo di cari vestimenti e di
belle cose ornati. Ma sopra tutti gli altri piaceri
che vi sono si è quello delle belle donne, le quali
subitamente, pur che l’uom voglia, di tutto il mondo
vi son recate. Voi vedreste quivi la donna de’
barbanicchi, la reina de’ baschi, la moglie del
soldano, la ’mperadrice d’Osbech, la ciancianfera di
Norrueca, la semistante di Berlinzone e la scalpedra
di Narsia. Che vi vo io annoverando? E’ vi sono
tutte le reine del mondo, io dico infino alla
schinchimurra del Presto Giovanni: or vedete oggimai
voi! Dove, poi che hanno bevuto e confettato, fatta
una danza o due, ciascuna con colui a cui istanza
v’è fatta venire se ne va nella sua camera: e
sappiate che quelle camere paiono un paradiso a
vedere, tanto son belle! E sono non meno odorifere
che sieno i bossoli delle spezie della bottega
vostra, quando voi fate pestare il comino; ed havvi
letti che vi parrebber piú belli che quel del doge
di Vinegia, ed in quegli a riposar se ne vanno. Or
che menar di calcole e di tirar le casse a sé, per
fare il panno serrato, faccian le tessitrici,
lascerò io pensar pure a voi! Ma tra gli altri che
meglio stanno, secondo il parer mio, siam
Buffalmacco ed io, per ciò che Buffalmacco le piú
delle volte vi fa venir per sé la reina di Francia
ed io per me quella d’Inghilterra, le quali son due
pur le piú belle donne del mondo: e sì abbiamo
saputo fare, che elle non hanno altro occhio in capo
che noi; per che da voi medesimo pensar potete se
noi possiamo e dobbiamo vivere ed andare piú che gli
altri uomini lieti, pensando che noi abbiamo l’amore
di due cosí fatte reine: senza che, quando noi
vogliamo un mille o un dumilia fiorini da loro, noi
non gli abbiamo. E questa cosa chiamiam noi
volgarmente «l’andare in corso», per ciò che, sí
come i corsari tolgono la roba d’ogni uomo, e cosí
facciam noi: se non che di tanto siamo differenti da
loro, che eglino mai non la rendono, e noi la
rendiamo come adoperata l’abbiamo. Ora avete,
maestro mio da bene, inteso ciò che noi diciamo
«l’andare in corso»: ma quanto questo voglia esser
segreto, voi il vi potete vedere, e per ciò piú nol
vi dico né ve ne priego. —
Il medico vuol far sentire com'è bravo e canta una canzone a Bruno, che resiste alla voglia di ridere. I nomi inventati in questa novella sono straordinariamente belli. E finita la canzone, ed il maestro disse: — Che te ne pare? — Disse Bruno: — Per certo con voi perderieno le cetere de’ sagginali, sí artagoticamente stracantate. — Disse il maestro: — Io dico che tu non l’avresti mai creduto, se tu non m’avessi udito. — Per certo voi dite vero — Fissata la notte nella quale il medico sarà condotto in quel paradiso, viene buttato in un fosso di liquame, e il giorno dopo, essendosi dipinti lividi sulla pelle di tutto il corpo, Bruno e Buffalmacco gli dicono che è tutta colpa sua, perché non avrebbe dovuto nominare Iddio, cosa che ha fatto vedendo il diavolaccio che era Buffalmacco mascherato in piazza Santa Maria Novella. Loro stessi sono stati quasi ammazzati di botte a causa sua, e ormai non potranno più portare nessuno in quel paradiso. Il divieto di nominare Dio è un motivo delle Mille e una notte. |
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GIORNATA OTTAVA NOVELLA DECIMA Dioneo Una ciciliana maestrevolmente toglie ad un mercatante ciò che in Palermo ha portato; il quale, sembiante faccendo d’esservi tornato con molta più mercatantia che prima, da lei accattati denari, le lascia acqua e capecchio. |
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IANCOFIORE E SALABAETTO: PALERMO E FIRENZE
Madama Iancofiore è una siciliana
che adesca e spoglia di tutto o di una parte i mercanti
che depositano le loro cose alla Dogana di Palermo, e il
fiorentino Niccolò da Stignano, detto Salabaetto,
lasciato un certo valore di merce se ne va in giro per
la città. Essendo bello e florido e ricco, viene
avvicinato da Iancofiore che gli pare una gran donna
innamorata di lui per la sua bellezza, e così ricevendo
da lei un anello si dichiara pronto a visitarla ovunque
lei voglia. E qui comincia una scena d'amore da Mille e
una notte, tanto più significativa in quanto si svolge
in Sicilia, dove gli arabi avevano vissuto ed erano
rimasti anche dopo la conquista dei normanni, basti
pensare alla Tabula
rogeriana, grande opera di geografia realizzata a Palermo dal nobile arabo al-Idrisi e dal re Ruggero, fra XI e XII secolo. Profumi, bagni odorosi, cibi squisiti e bevande sopraffine, che anticipano il piacere dell'incontro erotico. Dopo un certo numero d'incontri, fingendo una disgrazia improvvisa, Iancofiore si fa dare cinquecento fiorini d'oro. Salabaetto si accorge della trappola, e torna a Palermo fingendo di depositare un valore di duemila fiorini nel fondaco: Iancofiore gli rende i cinquecento sperando di prendergliene duemila. Poi se ne fa prestare mille, dando in garanzia la sua merce, e con quelli torna a Napoli e dopo aver pagato tutti i suoi creditori smette di fare il mercante. La dama siciliana... ...Iancofiore tenendosi scornata, lungamente pianse i cinquecento renduti e troppo più i mille prestati, spesse volte dicendo: — Chi ha a far con tosco, non vuole esser losco. — E così, rimasasi col danno e con le beffe, trovò che tanto seppe altri quanto altri. Iancofiore fa pensare a Biancifiore, tenera e innocente protagonista del Filocolo, romanzo in sette libri scritto su invito di Maria d'Aquino con la storia narrata in tutta l'Europa. Difficile immaginare qualcosa di più dissacrante da parte di Dioneo, che usare questo nome per la astuta e raffinata adescatrice siciliana, dotata di tutti i mezzi delle signore delle Mille e una notte. Ricordiamo che i manoscritti più antichi della raccolta araba sono del secolo di Boccaccio. Il nome della signora palermitana è quello della protagonista di una delle più celebri storie di amanti sfortunati della letteratura medievale, ripreso da Boccaccio attraverso diverse fonti, tra le quali un cantare in ottava rima, e così riassunto in Wikipedia: I due protagonisti sono Florio, figlio saraceno del Re di Spagna, e Biancifiore, un'orfana di fede cristiana, il padre della quale era stato ammazzato dal padre di Florio. Essi si innamorano dopo essere cresciuti insieme, mentre leggono l' Ars Amandi di Ovidio. Questo amore è inviso al Re di Spagna, al tal punto che decide di far vendere Biancifiore ai mercanti che la mandano quindi all'ambasciatore di Alessandria, il quale la imprigiona. I due amanti sono costretti ad affrontare molte peripezie e disgrazie che li dividono, ma alla fine, dopo numerosi viaggi di Florio sotto lo pseudonimo di Filocolo, riescono a coronare il loro amore. Nella VIII 10 quindi Boccaccio/Dioneo dissacra ferocemente la tenera innocente innamorata della storia popolare che ha rinarrato nel Filocolo dando il suo nome a una abile adescatrice, che però viene presa in giro dal giovane toscano capitato in una città straniera: Palermo per VIII 10, Napoli per Boccaccio. |
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