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GIAMBATTISTA BASILE

PREZZEMOLINA


DAL CUNTO DE LI CUNTI, 1636

VERSIONE PER BAMBINI DI ADALINDA GASPARINI


  ADALINDA  GASPARINI       PSICOANALISI E FAVOLE


C'era una volta, lontano lontano, una donna incinta stava affacciata a una finestra che dava sul giardino di un'orca, e siccome vide un bel quadratino di prezzemolo gliene venne tanta voglia che si  sentì svenire. Così, non potendo resistere, guardò che non ci fosse l'orca e andò a prenderne un bel ciuffo. Ma quando l'orca ritornò a casa pensò di fare la salsa verde, e andando a cogliere il prezzemolo si accorse che qualcuno lo aveva strappato. Disse fra sé e sé: "Che io possa schiantare se non afferro questa mano lesta e non la faccio pentire, dovrà imparare a sue spese a mangiare nel suo piatto senza inzuppare di nascosto nelle pentole degli altri".
La povera donna incinta con quella voglia di prezzemolo continuava a scendere nell'orto, e una mattina l'orca ce la prese, e tutta arrabbiata e inviperita le disse: "Ti ho acchiappato, ladra matricolata! Mi paghi forse l'affitto dell'orto, per venire a cogliere la roba quando ti pare e piace? Ti giuro che questa volta non la passi liscia!".
La donna disperata cominciò a chiedere scusa, dicendo che non aveva ceduto alla tentazione perché fosse golosa o ingorda, la sua colpa dipendeva dal fatto che era incinta e aveva paura che non soddisfacendo quella voglia la creatura che aveva in seno avrebbe potuto nascere con le voglie di prezzemolo su tutto il corpo. "Queste sono solo chiacchere," tuonò l'orca, "e non pensare di accontentarmi con parole a vanvera! Preparati a pagare la tua colpa con la vita, a meno che tu non prometta di darmi quello che ti nascerà, maschio o femmina che sia". La povera donna, per scampare al pericolo mortale in cui si trovava, accettò questo patto, e l'orca la lasciò andare.
Quando venne il tempo, nacque una bambina così bella che ci si rallegrava a guardarla, e siccome aveva un  ciuffetto di prezzemolo disegnato in mezzo al petto, si chiamò Prezzemolina. La bambina cresceva benissimo, e quando ebbe sette anni cominciò ad andare da una maestra. ma tutte le volte che usciva per strada incontrava l'orca che le diceva: "Di' alla tua mamma di ricordarsi della promessa!". La mamma si confondeva a forza di sentirsi ripetere questo discorso, e un giorno che non ne poteva più disse a Prezzemolina: "Se incontri un'altra volta la solita vecchia e ti ripete le stesse parole, tu dille: 'e pigliatela!' ".
La bambina, che era all'oscuro di tutta la faccenda, incontrando l'orca che le disse: "Di' alla tua mamma di ricordarsi della promessa!", le ripose innocentemente come le aveva insegnato la mamma: "E pigliatela!".  Allora l'orca l'afferrò per i capelli e se la portò in un bosco dove il sole non entrava mai, perché gli alberi  erano troppo fitti, e la chiuse in una altissima torre che aveva fatto apparire lì per lì con un incantesimo. Questa torre non aveva porte né scale, ma solo un finestrino, attraverso il quale l'orca entrava e usciva, e per scendere e salire si attaccava alle trecce di Prezzemolina, che erano lunghissime e bionde.
Dopo un po' di tempo successe che mentre l'orca non era nella torre e Prezzemolina aveva sciolto le trecce al sole, passò il figlio di un re, che vedendo quei capelli scintillanti come l'oro si fermò incantato, poi alzando gli occhi vide il viso della fanciulla, e gli piacque tanto che le dichiarò  il suo amore. Prezzemolina si sentì subito conquistata dalla grazia del principe, e passarono un bel po' di tempo scambiandosi parole dolci, sospiri e promesse. Continuarono allo stesso modo per qualche tempo, finché decisero di trovare il modo di guardarsi più da vicino: quella notte lei avrebbe dato un sonnifero all'orca e il principe sarebbe salito in cima alla torre con i capelli di Prezzemolina.
Con questo accordo, quando venne l'ora stabilita, il principe arrivò ai piedi della torre e fece un fischio, la fanciulla calò le trecce, lui si attaccò con tutte e due le mani e disse: "Ora!"; lei lo tirò su e quando fu in cima il principe con un  salto entrò dal finestrino e si abbracciarono stretti. Poi, prima che si facesse giorno, lui scese giù servendosi della stessa scala d'oro e tornò al suo palazzo.
Erano così contenti di trovarsi insieme che continuarono a fare la stessa cosa per molte notti, ma un'amica dell'orca se ne accorse e andò subito a dirle di stare attenta, perché nella sua torre c'era un traffico che lei nemmeno se lo immaginava, col rischio che Prezzemolina prendesse il volo.
L'orca ringraziò la sua amica per il consiglio e le disse: "Ci penso io a chiuderle la strada, in ogni caso non può scappare, perché le ho fatto un incantesimo. Ci sono tre ghiande nascoste in una trave della cucina, e senza avere quelle in mano Prezzemolina non ha nessuna possibilità di sfuggirmi".
Ma mentre facevano questi discorsi la fanciulla, che stava sempre con le orecchie ben aperte, sentì tutto, così quella notte quando venne il principe lo fece salire sulla trave a cercare le ghiande.



Lui le trovò e le diede a Prezzemolina, che essendo stata fatata dall'orca sapeva cosa farne, poi intrecciarono una scala di spago, scesero insieme dalla torre, e appena toccarono terra si diedero alla fuga a gambe levate. L'amica li vide e cominciò a strillare per avvertire l'orca, e a forza di urlare riuscì a svegliarla. Quando sentì che Prezzemolina era scappata, l'orca scese dalla torre lungo la stessa scala di spago e cominciò a rincorrere i due innamorati.
Loro, quando se la videro dietro che correva come un cavallo matto, si sentirono perduti, ma Prezzemolina si ricordò delle tre ghiande e ne buttò una in terra. Ecco che in un batter d'occhio apparve un cagnone terrificante, che abbaiando e spalancando l'enorme bocca si stava avventando sull'orca per mangiarla in un boccone. Ma lei, che ne sapeva una più del diavolo, si mise una mano in tasca, tirò fuori una pagnotta e la buttò al cane, che abbassò la coda e si mise a mangiarla buono buono.
L'orca si rimise a correre a tutta potenza dietro ai fuggitivi e Prezzemolina, vedendo che si avvicinava, buttò in terra la seconda ghianda: ne uscì un ferocissimo leone che, frustando il terreno con la coda e scuotendo la grande criniera, era pronto a ingoiare l'orca nella sua gola immensa. Vedendo il leone l'orca tornò indietro, scuoiò un asino che pascolava su un prato, e dopo essersi messa la sua pelle addosso corse verso il leone, che credendola un asino si impaurì e scappò lontanissimo.
Superato anche questo ostacolo, l'orca riprese a inseguire a gran velocità i due poveri giovani, che vedendo un'immensa nuvola di polvere capirono che stava di nuovo per raggiungerli. L'orca, temendo di ritrovarsi davanti al leone, non si era ancora levata la pelle d'asino; quando Prezzemolina buttò in terra la terza ghianda ne uscì un terribile lupo, che senza darle il tempo di trovare un'altra soluzione, credendola un asino inghiottì l'orca in un batter d'occhio.
Così gli innamorati uscirono dal pericolo e piano piano andarono al reame del principe, che con la benedizione di suo padre sposò Prezzemolina, e vissero sempre in allegria e prosperità.




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TESTO
Adalinda Gasparini, Basile e Straparola: Le prime fiabe del mondo, Giunti-Gemini: Firenze 1996. Altre edizioni:  Giunti Scuola: Firenze 1999; Brescia: La Scuola 1999.


FONTE


Giambattista Basile, Cunto de li cunti o Pentamerone (1634-1636), Petrosinella, Trattenemiento primo de la iornata seconna. Vedi, in Fabulando, l'e-book della fiaba: https://www.fairitaly.eu/joomla/Fabulando/Prezzemolina/mobile/index.html
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IMMAGINE Warwick Goble: Giambattista Basile. Stories from the Pentamerone. E. F. Strange, editor. Warwick Goble, illustrator. London: Macmillan & Co. 1911.
Fonte: http://www.all-art.org/world_literature/images/p/goblepent31.jpg; consultato il 24 ottobre 2011. 
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NOTE
Salire senza servirsi delle trecce...
Prezzemolina che invita il principe a salire da lei servendosi delle sue trecce, con uno dei gesti più affascinanti delle fiabe, ha un'antenata persiana nel secolo XI, di cui narra il poeta Firdawsi. Il principe persiano la raggiungerà senza voler approfittare dell'offerta:

Ricci su ricci
Eran davver quai serpentelli inserti
A serpentelli, ciocche sovra ciocche
Più in giù dal mento. Così fu che ratto
Ella cader lasciò da' merli sommi
I bei capelli che, scendendo, il piede
Toccar di quella torre, indi dall'alto
Dell'ardue mura mandò voce e disse:
Prence, figlio di tal che già nascea
Di valorosi, or fa di salir ratto
A me; qui traggi la persona tua,
Dilata il petto leonino e schiudi
La tua mano di re! Prendi un de' capi
D'esti capelli miei; per te soltanto
Vennero all'uopo le mie trecce. A questo,
A questo fin voll'io crescermi il crine,
Perché un giorno porgessero a chi m'ama
Inattesa un'aita. — E Zal guardava
La vaghissima donna e si stupìa
Per quel volto sì bello e il lungo crine,
Indi tal bacio su le trecce brune
Stampò, che di quel bacio il chiaro suono
Dall'alto udì la giovinetta. Intanto
Ei così rispondea: Non giusta cosa
Fia questa inver, ne splenda mai quest'almo
Sole nel giorno ch'io porrò la mano,
Stolto! su lei ch'è l'alma mia, mandando
Nel ferito suo cor strai di dolore.
Da un suo valletto prese un laccio, ad arte
L'intorse e l'avventò, né fé' parola.
Un de' merli sporgenti entro a que' nodi
Del laccio s'impigliò; così dal basso
Fino alla cima il giovinetto eroe
Salir potea.

Da: Firdusi, Il Libro dei re. Poema epico recato dal persiano in versi italiani da Italo Pizzi. Volume primo. Torino: Vincenzo Bona, Tipografo di S. M., 1886. VI. Colloquio di Zàl e di Rùdàbeh, pp. 357. Grazie a Claudia Chellini per questo riferimento ringrazio Claudia Chellini.



















Online dal: 25 gennaio 2012
Ultima revisione 22 marzo 2024