C'era una
volta, tanto tempo fa, nel lontano reame di
Castelvetro, una casina su un un poggio, dove
col suo marito ortolano viveva una contadina che
desiderava tanto avere un bambino. Ne aveva
voglia come un carcerato ha voglia di fuggire,
come un malato ha voglia di guarire, come un
povero ha voglia di soldi, ma nonostante suo
marito lavorasse la terra tutti i giorni lei
restava sterile e piena di malinconia.
Un
giorno il marito era andato nel bosco a fare una
gran fascina di legna, quando tornò a casa la
sciolse, e scappò fuori tra gli stecchi un piccolo
serpente. "Ecco!" disse la donna, "anche le serpi
fanno i loro serpolini, io sola sono così
sfortunata con questo marito che fa nascere tante
piante ma non sa farmi nascere quello che vorrei!"
A queste parole il serpentello rispose: "Se non
puoi fare i bambini, pigliati me come figliolo,
farai un buon affare e io ti vorrò più bene che a
una mamma". A sentir parlare un serpente la donna
s'impaurì tanto che quasi quasi sveniva, ma
poi si fece coraggio e disse: "Non fosse per
altro, perché sei così amoroso sono felice di
accettarti come se fossi uscito dal mio
ginocchio". Gli assegnò per camerina un buco nel
muro, e gli dava da mangiare con immenso affetto
dei pezzettini di tutto quello che mangiava lei .
Giorno
dopo giorno il serpente cresceva, e quando fu
grande disse all'ortolano: "Babbo mio, mi voglio
sposare". "Di sicuro", disse il babbo, "cercheremo
una bella serpe come te e faremo il matrimonio".
"Ma che serpe? cosa ho da spartire con vipere e
bisce? si vede che sei un po' sempliciotto e
prendi lucciole per lanterne! io voglio la
principessa, quindi va' dal re e digli che un
serpente vuole sposare sua figlia Colombina".
L'ortolano
non se ne intendeva di queste cose, ma andò
difilato dal re e gli fece la richiesta dicendo:
"Ambasciator non porta pena, chi la fa l'aspetti e
rosso di sera bel tempo si spera. Allora, devi
sapere, maestà, che il serpente vuole tua figlia
in isposa, e io, siccome sono un ortolano, ti
propongo di provare a mettere nella stessa cesta
il mio serpente e la tua Colombina". Il re, che a
lume di naso vide che era un po' tonto, per
levarselo di torno disse: "Di' a questo
serpente che se mi farà diventare d'oro
tutti i frutti del parco reale, gli farò sposare
mia figlia. Vai, vai!", e con una risata lo mandò
via.
Quando
il contadino riferì la risposta al serpente, il
serpente gli disse: "Va' domattina, e raccogli
tutti i noccioli di frutta che trovi per la città,
seminali nel parco, e si vedranno meraviglie!"
Appena
si alzò il sole il contadino prese un bel paniere
e si mise all'opera. Cammina cammina andò per le
strade e le piazze della città a raccogliere
noccioli di pesche, albicocche, ciliegine,
amarene, mirabelle, nespole, e tutti gli altri
noccioli che trovò. Poi andò nel parco reale e li
seminò, come gli aveva insegnato il serpente:
immediatamente germogliarono, e in un batter
d'occhio crescevano i tronchi delle piante, i
rami, i fiori e i frutti d'oro scintillante:
quando il re si affacciò alla finestra vide questo
spettacolo e non stava più nella pelle dalla
meraviglia e dalla gioia.
Ma
quando l'ortolano, mandato dal serpente, andò a
chiedergli la principessa Colombina, il re disse:
"Non avere tanta furia, io voglio un'altra cosa
per concedergli la mano di mia figlia: che ricopra
tutte le mura e il terreno del parco di pietre
preziose".
L'ortolano
tornò
dal serpente a riferire questa nuova richiesta, e
il serpente gli disse: "Va' domattina, e raccogli
tutti i cocci che ci sono per terra, gettali
intorno al muro e nei sentieri del parco, e
vediamo se mettiamo a posto il re".
Quando
le ombre della notte stavano svanendo il contadino
si mise un paniere sotto il braccio e andò tra le
case a raccogliere vetri di bicchieri rotti,
minuzzoli di tappi e coperchi, cocci di pentole e
tegami, bordi di vassoi, manici di brocche, orli
di vasi da notte, mettendo insieme lampade
sciupate, tazze sbreccate, vasi da fiori incrinati
e tutti i pezzi di piatti e scodelle che trovò per
le strade. Appena li ebbe gettati dove gli aveva
detto il serpente, si vide il parco rivestito di
smeraldi e topazi, intonacato di rubini e
acquemarine, in uno splendore abbagliante. Tutti
quelli che passavano di lì si fermavano
affascinati col cuore ricolmo di meraviglia.
Vedendo
questo miracolo il re rimase estasiato, e non
sapeva se dormiva o era desto, ma quando sentì che
il serpente gli mandava a chiedere di mantenere la
promessa, disse: "Tutto quello che il serpente mi
ha procurato fino a ora è inutile, se non mi fa
diventare d'oro il palazzo".
Ancora
una volta l'ortolano tornò dal serpente a riferire
la terza voglia del re, e il serpente gli disse:
"Va' e raccogli un gran fascio di erbe d'ogni
specie, strofinale contro le fondamenta del
palazzo, e vediamo se accontentiamo questo re",
Senza
metter tempo in mezzo l'ortolano fece un gran
fascio di menta, aglietti, rucola, erba Luigia,
prezzemolo, basilico, timo, nepitella, e tutte le
altre erbe che trovò, e appena lo ebbe strofinato
alla base il palazzo cominciò a brillare
dappertutto, come se si fosse scoperto un tesoro,
sufficiente a far diventare ricchi tutti i
poveri del reame.
Quando l'ortolano venne a chiedere
per il serpente la mano di Colombina, il re,
rendendosi conto che non c'era più nulla da
fare, chiamò la principessa e le disse: "Figlia
mia, per prendere in giro un tuo pretendente gli
ho imposto dei compiti impossibili, ma è
riuscito a fare tutto quello che ho chiesto, e
ora devo mantenere la parola data. Ti prego,
figlia cara, non farmi tradire la mia parola, e
accetta il marito al quale ti ho promesso". "Sia
quello che vuoi tu, mio signor padre",
rispose la principessa, "non mi sogno neanche
lontanamente di cambiare quello che hai fissato
per le mie nozze".
Allora il re
disse all'ortolano che il serpente poteva venire a
sposare la principessa, e appena il serpente lo
seppe partì su un carro d'oro, trainato da quattro
elefanti tutti d'oro.
Quando arrivò in città la gente che lo vedeva
passare così grosso e terribile fuggiva
terrorizzata, e i nobili di corte appena entrò nel
palazzo reale cominciarono a tremare e si
nascosero di qua e di là, mentre anche i servitori
e le cameriere se la davano a gambe. Il re e la
regina sconvolti dalla paura gridarono: "Fuggi
Colombina, fuggi, si salvi chi può!" e andarono a
rinchiudersi in uno stanzino mentre la
principessa, senza batter ciglio, diceva: "Perché
dovrei scappare dallo sposo che mi avete dato?".
Ed
ecco che il serpente entrò nella stanza, avvolse
la coda intorno alla vita di Colombina e cominciò
a baciarla, mentre il re che guardava la scena dal
buco della serratura si sporcò le mutande con una
scarica di diarrea e la regina svenne. Stringendo
la principessa con la coda il serpente la portò
nella camera nuziale e chiuse la porta, poi si
scosse la pelle di dosso e si trasformò in un
giovane con i capelli biondi come oro fino, con
occhi tanto belli da innamorare tutte le donne, e
abbracciando Colombina ottenne tutto il suo amore.
Il
re uscì dallo stanzino e vedendo che il serpente
si era chiuso con la principessa, disse alla
regina: " Che il Cielo dia pace all'anima
innocente di nostra figlia, perché di sicuro quel
serpente maledetto a quest'ora l'avrà ingoiata
tutta intera". E avvicinandosi alla porta della
camera degli sposi si chinò a guardare dal buco
della chiave. Appena vide la bellezza e la nobiltà
di quel giovane diede un calcio alla porta, entrò
con la regina, raccolsero la pelle di serpente e
senza pensarci la bruciarono. "Ah,
sciagurati!" gridò il principe serpente,"cosa mi
avete fatto!", si trasformò in una colomba e volò
alla finestra, battè e ribatté contro i vetri
finché li ruppe e fuggì, ferito e insanguinato.
La
principessa in pochi istanti era passata dalla
mestizia alla gioia e dalla gioia alla
disperazione, si era sentita prima perduta nelle
spire di un serpente, poi felice tra le braccia di
un bellissimo principe, poi disgraziata perché era
volato via; così piangeva, si graffiava il viso e
si strappava i capelli, rimproverando il padre e
la madre che per la fretta di bruciare la pelle
del serpente avevano mandato in fumo il suo
matrimonio. Il re e la regina le dissero che
avevano agito per il suo bene, le chiesero perdono
e cercavano di consolarla, ma lei non smise di
piangere, e a notte fonda, con un dolore che
aumentava ora dopo ora, decise di andare per il
mondo a cercare il suo sposo.
Mise
in una borsetta le sue cose più preziose, uscì da
una porticina secondaria, percorse le vie della
città, verso i campi, e continuò a camminare al
lume della luna. A un certo punto una volpe
si mise a trotterellare accanto a lei, e le chiese
se voleva una compagna di strada. La principessa
le rispose: "Ne sarei felice, perché sono sola, e
non conosco la via". Andando e andando arrivarono
a un bosco così fitto che nemmeno i raggi della
luna riuscivano a illuminare i loro passi, così si
fermarono a riposare sotto un albero accanto a una
fontana d'acqua freschissima.
Dormirono su
un letto di erba soffice fino al mattino, poi si
svegliarono all'alba, e mentre si scaldavano ai
primi raggi di sole gli uccelli zirlavano,
fischiavano e gorgheggiavano tra i rami. La
principessa confidò alla volpe che le piaceva
molto ascoltare il canto degli uccelli, e la volpe
le disse: "Ti piacerebbe anche di più se tu
capissi quello che si stanno dicendo". Siccome la
principessa era molto curiosa, chiese alla
volpe di rivelarle i discorsi degli uccelli, e
questa, dopo essersi fatta pregare a lungo, le
disse: "Stanno parlando di una disgrazia, accaduta
a un principe, che era così bello che un'orca si
era innamorata perdutamente di lui. Siccome lui
non aveva voluto saperne del suo amore, l'orca lo
aveva trasformato in serpente:
l'incantesimo non si sarebbe mai spezzato se il
serpente non avesse ottenuto la mano di una
fanciulla di sangue reale. Gli uccelli dicono
anche che c'era riuscito, ma quando aveva appena
lasciato la pelle di serpente il re e la regina
l'hanno bruciata, allora lui si è
trasformato in colomba, e fuggendo da una vetrata
si è ferito tanto gravemente che sta per
morire".
Sentendo
che si parlava proprio della sua storia e della
sua disgrazia, la principessa domandò chi era
questo principe, e se c'era un modo per guarirlo.
La volpe rispose che si trattava di Sauro, unico
figlio del re di Belcolle. Quanto al rimedio, gli
uccelli dicevano di sì, che c'era: l'unico farmaco
capace di far chiudere le ferite dalle quali la
vita se ne stava volando via era proprio il sangue
degli uccelli che raccontavano la storia.
La
principessa allora chiese alla volpe di
acchiappare quegli uccelli per mettere il loro
sangue in una ampollina, così sarebbero andate
insieme dal re di Belcolle e curando il principe
avrebbero avuto una bella ricompensa, che
avrebbero diviso a metà da buone amiche. "Piano,"
disse la volpe, "aspettiamo che scenda la notte, e
appena gli uccelli si addormentano ci penso io,
salgo sull'albero e li acchiappo uno ad uno".
Passarono
quella giornata parlando della bellezza del
principe Sauro, della sciagura provocata dai
genitori della sposa, delle magie, dei patimenti e
degli incantesimi, poi venne la sera, e poi la
notte. Allora la volpe, controllando che gli
uccelli si fossero addormentati sui rami, salì
quatta quatta e li catturò uno dopo l'altro, li
ammazzarono e riempirono col loro sangue
un'ampollina che la principessa aveva portato con
sé.
Al
mattino si misero in cammino, e la principessa non
stava in sé dalla gioia, ma la volpe disse "Il tuo
bel progetto non lo realizzerai, perché ti manca
l'ingrediente fondamentale, perché al sangue degli
uccelli bisognerebbe aggiungere il mio!", e
scappò. La principessa passò dalla gioia alla
tristezza, ma non si arrese, pensò che nessuna
volpe poteva impedirle di guarire il suo principe
e cominciò a blandirla di lontano con queste
parole: "Volpe, volpina mia, avresti ragione a
fuggire se io non ti volessi bene, ma tu sei tanto
cara e io non potrei mai farti del male, faremo a
meno di guarire questo principe, ma continuiamo a
viaggiare insieme e chissà quante belle avventure
potranno capitarci... vieni, torna da me, stai
sicura che non ti faccio nulla, vieni..."
Tanto
disse e tanto chiamò che la volpe, che si credeva
più furba di tutti, tornò indietro. Avevano fatto
pochi passi quando la principessa afferrando un
bastone glielo picchiò sulla testa, e la volpe
cascò in terra. La principessa le fece uscire
appena un pochino di sangue raccogliendolo
nell'ampollina, e corse nella capitale del reame
di Belcolle. Si coprì il capo con un velo e bussò
alle porte del palazzo, poi chiese a una
guardia di avvertire il re che era arrivato chi
poteva guarire il principe. Il re scese di corsa e
quando vide una fanciulla rimase meravigliato
e le chiese come pensava di poter riuscire
dove i migliori medici avevano fallito. Colombina
rispose: "Ho i miei segreti, maestà, ma voglio che
mi promettiate che se riuscirò a guarire vostro
figlio lo concederete a me come sposo". Il re, che
aveva già cominciato a piangere la morte del
figlio, le disse: "Se tu me lo rendi bello e
guarito, guarito e bello io te lo farò
sposare, perché se tu mi darai un figlio io ti
darò un marito".
Salirono
insieme nella camera dove il principe giaceva sul
letto con gli occhi chiusi, già pallido come un
cadavere, e Colombina senza perdere tempo medicò
le sue ferite con il sangue dell'ampollina. Allora
Sauro aprì gli occhi, sentì che il calore della
vita tornava a scorrergli nelle vene e si
alzò perfettamente guarito. Il re lo abbracciò
piangendo di gioia, poi indicò la fanciulla che
era in un angolo della camera, nell'ombra, e gli
disse : "Figlio mio, sembravi morto e ora sei vivo
per merito suo. In cambio della tua guarigione, le
ho promesso che le avresti dato la fede nuziale.
Non mi pare troppo per chi ti ha ridato la vita.".
"Caro
padre mio," rispose il principe, "vorrei tanto
accontentarti, ma tu hai promesso qualcosa che non
ho più: ho già dato la mia fede a una principessa
che amo e spero che la fanciulla che mi ha salvato
non vorrà farmi tradire la mia sposa". Colombina,
sentendo quanto il principe Sauro teneva a lei,
sentì una gioia immensa, e arrossendo gli chiese:
"Se facessi in modo che questa tua sposa
rinunciasse e mi lasciasse il suo posto accanto a
te, vorresti allora essere mio?"
"Mai
potrò cancellare," rispose Sauro,"la bella
immagine che ho nel cuore, e preferirei morire
piuttosto che rinunciare a Colombina!". La
principessa non resisteva più: aprì le finestre
che erano socchiuse, si levò il velo e si fece
riconoscere. Il principe Sauro pieno di meraviglia
la strinse a sé, poi con una grande felicità
raccontarono al re tutto quello che era successo e
quanto avevano sofferto.
Quello
stesso giorno mandarono a chiamare il re e la
regina di Castelvetro insieme alla contadina e
all'ortolano che avevano curato il serpente come
un figlio, e quando si riunirono la gioia fece
dimenticare a tutti le pene passate.
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