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GIOVAN FRANCESCO STRAPAROLA

DALLE PIACEVOLI NOTTI, VIII, 4

  BRANCALEONE

VERSIONE INGLESE DI WILLIAM GEORGE WATERS

VERSIONE ITALIANA PER BAMBINI DI ADALINDA GASPARINI


  ADALINDA  GASPARINI       PSICOANALISI E FAVOLE

ADALINDA GASPARINI
1996

GIOVAN FRANCESCO STRAPAROLA
1553
WILLIAM GEORGE WATERS
1894


Tanto tempo fa in una regione ricca di foreste selvagge e di piane coltivate viveva un mugnaio brutale e rozzo, che aveva un asino dalle orecchie lunghe lunghe, con grosse labbra pendule, che se ragliava faceva risuonare la sua voce per tutta la piana.
Il mugnaio gli dava così poco da mangiare che l'asino non ce la faceva a sopportare il duro lavoro, e lo bastonava così tanto che al povero animale era rimasta solo la pelle sulle ossa ammaccate. Una volta l'asino, arrabbiato per le botte che prendeva ogni giorno e per la scarsità del cibo, se ne andò dalla casa del mugnaio e col basto ancora sul dorso si allontanò per un buon tratto.
Dopo aver camminato tanto, ormai stanco morto, arrivò ai piedi  di un bel monte, dall'aspetto ospitale, non selvaggio. E vedendolo così verdeggiante e bello, decise fra sé di salire sul monte per abitare lì tutto il resto della sua vita. Mentre pensava queste cose, l'asino guardava intorno se qualcuno lo vedeva, e siccome non c'era nessuno che gli potesse dare fastidio, coraggiosamente salì sul monte, e con grande piacere si mise a pascolare, ringraziando il Cielo di averlo liberato dalle mani di quell'orribile tiranno e di avergli fatto trovare del cibo così buono per continuare la sua povera vita.
Mentre il buon asino abitava sul monte e si nutriva di piccole tenere erbe portando ancora il basto sul dorso, ecco un feroce leone uscire da un'oscura caverna: avendo visto l'asino lo guardò  con molta attenzione, e rimase meravigliato per l'arroganza e il coraggio che aveva avuto salendo sul monte senza dirglielo e senza chiedergli il permesso. E siccome il leone fino ad allora non  aveva mai visto animali di quella specie, ebbe paura di avanzare oltre. L'asino quando vide il leone si sentì accapponare la pelle e gli si rizzarono tutti i peli, per lo spavento smise di mangiare e non osava fare una mossa. Il leone, facendosi coraggio, andò un po' avanti e gli disse: "Che fai qua tu, caro compare? Chi ti ha dato il permesso di salire quassù? E chi sei tu?". Allora l'asino si diede un tono gagliardo e gli rispose:  "E tu chi sei per domandarmi chi sono io?". Stupito da questa risposta il leone disse: "Io sono il re di tutti gli animali".  "E come ti chiami di nome?", gli chiese l'asino, e lui rispose: "Leone è il mio nome, ma il tuo nome qual è?". Allora l'asino  tutto fiero disse: "E io mi chiamo Brancaleone!". "Questo," si  disse il leone, "dev'essere proprio più forte di me", e rivolto all'asino: "Brancaleone, il tuo nome e il tuo parlare mi dimostrano chiaramente che tu sei più possente e più gagliardo di  me; ma voglio che facciamo qualche prova". Allora l'asino si sentì molto più ardito e girando il suo deretano verso il leone disse: "Vedi questo basto e la balestra che ho sotto la coda? se io te la facessi sentire ci rimarresti secco". E così dicendo tirò un paio di calci in aria e sparò una scarica di peti che fecero quasi svenire il leone. Sentendo il gran rimbombo dei calci e il rumore tonante che veniva fuori dalla balestra, il leone si era spaventato moltissimo, e siccome ormai era quasi sera, disse: "Fratello mio, io non voglio che litighiamo, né che ci ammazziamo, perché non c'è cosa peggiore della morte, voglio che andiamo a riposarci, e quando sarà venuto il nuovo giorno ci ritroveremo e faremo una gara di tre grandi prove;  chi tra noi due sarà vincitore, diventerà padrone di questo monte", e così rimasero d'accordo.
La mattina dopo si incontrarono e il leone, che voleva vedere qualche bella prodezza, disse: "Brancaleone, mi piaci moltissimo, e non sarò contento finché non ti vedrò compiere qualche meravigliosa impresa". Camminando insieme arrivarono a un  fossato largo e profondo, e il leone disse: "Ora è giunto il tempo che vediamo chi di noi due è più bravo a saltare questo fosso". Il leone, gagliardo com'era, si avvicinò al fosso e con un balzo fu dall'altra parte; l'asino quando fu sulla sponda si fece animo e saltò, ma saltando cadde in mezzo al fosso, e finì a cavalcioni di un tronco rimanendo lì sospeso, e  un po' pendeva da una parte, un po' dall'altra, rischiando di rompersi l'osso del collo.  Vedendolo il leone gli chiese: "Che fai caro compare?", ma l'asino, che era trascinato via dalla corrente a gran velocità, non rispondeva. Allora il leone, temendo che l'asino morisse,  scese nel fosso e gli prestò aiuto. L'asino, appena fu fuori da quel pericolo, si diede un tono  fiero e rivoltandosi contro il leone gliene disse di tutti i colori. Il leone rimase di sasso,  e tutto meravigliato gli chiese perché lo offendeva così, dopo che gli aveva salvato la vita. L'asino, accendendosi di sdegno, rispose con fare superbo: "Ah! Disgraziato ignorante, tu mi chiedi perché ti offendo? Sappi che mi hai privato del piacere  più soave che io abbia mai goduto nella mia vita. Tu pensavi che morissi, e invece io mi divertivo ed ero felice". "E qual era il  tuo divertimento?", chiese il leone; "Io," rispose l'asino, "mi ero messo su quel tronco, e pendevo un po' da una parte e un po' dall'altra, perché volevo ad ogni costo scoprire che cosa mi pesava di più, se il capo o la coda". Disse il leone: "Ti prometto sul mio onore che non ti darò più fastidio in nessun caso, e mi rendo conto fin da questo momento che sarai tu il padrone del monte".
Andarono via da quel posto e arrivarono a un fiume largo e vorticoso, e il leone disse: "Voglio, Brancaleone mio, che ciascuno di noi dimostri quanto vale guadando questo fiume". "Mi sta bene," disse Brancaleone, "ma voglio che cominci tu". Il leone, che sapeva nuotare benissimo, con grande agilità attraversò il  fiume, e dall'altra sponda gridò: "Compare, che fai? attraversa anche tu il fiume". L'asino, capendo che non poteva tirarsi indietro, si buttò nell'acqua e nuotò tanto che ce la fece ad arrivare in mezzo al fiume, ma catturato dai gorghi un momento finiva a testa in giù, poi si trovava rigirato, poi andava tutto sott'acqua, tanto che il leone non lo vedeva quasi più. Ricordandosi che l'asino lo aveva maltrattato, se da una parte avrebbe voluto aiutarlo, dall'altra aveva paura che se lo salvava Brancaleone si sarebbe arrabbiato tanto da ucciderlo. Era molto incerto, ma a un certo punto decise, qualunque cosa potesse capitare, di aiutarlo, e si tuffò, gli andò vicino, e dopo averlo afferrato per la coda lo tirò e lo fece uscire dall'acqua. Quando si vide al sicuro sulla riva del fiume e capì che ormai non  annegava più, l'asino si rannuvolò tutto, e fremente d'ira urlò:  "Ah, infame!  Ah, ribaldo! non so chi mi tenga dallo scoccare la mia balestra e farti sentire quello che non vorresti provare! Tu sei la mia disgrazia e mi privi di tutte le gioie. Quando mai potrà capitarmi di divertirmi come poco fa?". Il leone, che aveva più paura di prima, disse: "Io, caro compare, avevo paura che tu annegassi nel fiume, e perciò sono venuto e ti ho aiutato,  pensando di farti un piacere, non certo un dispiacere". "Non  dire più nulla," ribattè l'asino, "voglio che tu mi dica solo  una cosa: quale beneficio, quale vantaggio hai ricavato dall'attraversamento del fiume?". "Nulla", rispose il leone. E l'asino voltandosi disse: "Guarda bene se godevo mentre ero nel  fiume", e scrollandosi l'acqua gli fece vedere i pesciolini e  gli altri animaletti che gli uscivano dalle orecchie, e con voce  addolorata disse: "Vedi che errore hai fatto? Se io andavo in fondo al fiume prendevo con mio immenso piacere dei pesci che ti avrebbero riempito di meraviglia. Ma fa in modo di non darmi più fastidio d'ora in avanti, perché sennò da amici come siamo diventeremmo nemici, e sarebbe peggio per te. E anche se tu mi vedessi morto, voglio che tu non ci pensi, perché quello che a te sembrerà morte, per me sarà piacere e vita". Ormai il sole stava tramontando, e il leone propose al suo compare che tutti e due andassero a riposare, per ritrovarsi la mattina dopo.
Appena fu giorno, l'asino e il leone si incontrarono, e decisero di andare a caccia uno da una parte e uno dall'altra, per poi  ritrovarsi in un posto a una certa ora: il monte sarebbe stato del cacciatore più bravo. Il leone cominciò a inseguire le sue prede, e ne prendeva tante, mentre l'asino, trovando la porta di una casa aperta, entrò dentro e vedendo nell'aia un immenso mucchio di sorgo si mise lì e ne mangiò tanto e tanto che il suo pancione rischiava di scoppiare. Poi, tornato al luogo dell'appuntamento,  si stese a dormire, ed essendo così pieno spesso alzava la coda e scoccava la balestra, che si apriva e si chiudeva come la bocca di un grosso pesce. Volando da quelle parti una cornacchia lo vide, e siccome era sdraiato in terra e non si muoveva, sembrava morto, e così guardando il sorgo mal digerito sotto la coda dell'asino accanto al deretano tutto imbrattato, la cornacchia si posò e cominciò a mangiare il sorgo, e beccando andò tanto avanti che per beccare gli mise la testa dentro il corpo. L'asino, sentendosi beccare strinse il didietro, la cornacchia rimase col capo dentro e soffocò.
Giunse il leone con tutte le sue prede e disse all'asino: "Hai visto che animali ho preso, caro compare?", e l'asino gli domandò: "E come hai fatto a prenderli?". Il leone raccontava in che modo li aveva cacciati, ma l'asino lo interruppe dicendo: "Ah, pazzo e sciocco che sei! Hai durato una fatica immane andando per boschi, foreste e montagne, mentre io me ne sono stato qua comodamente disteso e con il mio deretano ho catturato tante cornacchie e tanti altri animali che ho nella pancia, che come vedi è bella piena. Mi è rimasta mezza fuori solo questa cornacchia, che ho riservato a te, e ti prego di accettarla per farmi contento". Allora il leone ebbe ancora più paura, e dopo aver preso la cornacchia per far piacere al compare se ne andò.
E mentre correva via piuttosto impaurito, si imbatté nel lupo che andava molto di fretta. Il leone gli disse: "Compare lupo, dove vai solo solo, così di fretta?", e il lupo rispose: "Ho da fare una faccenda della massima importanza"; il leone voleva trattenerlo, ma il lupo temeva il leone e faceva di tutto per andarsene. Il leone, sicuro che andando da quella parte il lupo rischiava la vita, gli consigliava di non andarci: "Perché," gli disse, "poco più avanti c'è Brancaleone, un animale ferocissimo, che ha sotto la coda una balestra con la quale spara dei colpi esplosivi, e chi ne è colpito è spacciato. Ha poi sul dorso una cosa bigia di pelle durissima che lo copre quasi tutto, compie grandi prodezze, e spaventa chiunque gli si avvicina".
Ma il lupo, avendo capito bene dalla descrizione del leone di quale animale stava parlando, disse: "Compare, non aver paura, perché quello si chiama asino, è l'animale più vigliacco che sia stato creato, e non sa compiere altre imprese che portare la soma e prendere le bastonate. Io da solo ai miei tempi ne avrò divorato un centinaio. Andiamo compare, senza timore, e vedrai bene che è come dico io". "Compare," replicò il leone, "io non voglio venire, e se ci vuoi andare, vacci da solo". Il lupo continuava a dirgli che non c'era proprio da aver paura, e il leone, vedendo che il lupo non cambiava idea, disse: "Siccome tu vuoi che venga con te e dici che non c'è pericolo, voglio che ci leghiamo perbene per la coda, così se attaccherà resteremo insieme e ci aiuteremo a scappare". Così si annodarono strette le code e andarono a trovarlo.
L'asino, che si era alzato in piedi e stava brucando l'erba, vide il leone e il lupo di lontano, s'impaurì e fece per scappare, ma il leone, indicando Brancaleone al lupo, disse: "Guarda che si muove, ora ci attacca, non aspettiamo o ci farà fuori!". Il lupo, che aveva visto e riconosciuto l'asino, disse: "Fermati compare, non dubitare che quello è l'asino!", ma il leone impaurito scappò a gambe levate, e correva tra alberi e cespugli spinosi, saltando  ora una macchia, ora un'altra, e mentre balzava una lunga spina gli cavò un occhio.  Credendo di essere stato colpito dall'arma che Brancaleone portava sotto la coda, senza smettere di correre disse al lupo: "Compare, non te l'avevo detto io che bisognava scappare? Mi ha cavato un occhio con la sua balestra!", e correndo sempre più forte tirava il lupo e lo strascicava su cespugli spinosi, per fossi scoscesi, attraverso fitti boschi e altri luoghi accidentati e impervi, finché il lupo tutto ammaccato e lacerato morì. Quando si sentì in un posto sicuro il leone si fermò e  disse: "Compare, ora sciogliamoci le code", ma il lupo non rispondeva nulla. Allora il leone voltandosi vide che era morto e rimase di sasso, poi disse: "Compare, non te l'avevo detto io che ti avrebbe ucciso? Tu hai perso la vita, e io l'occhio sinistro, ma meglio aver perso una parte che il tutto". Si sciolse la coda,  lasciò lì il lupo morto e andò ad abitare per sempre nelle caverne e nelle foreste, mentre l'asino rimase signore e proprietario del monte ospitale, dove visse per tanto tempo allegramente.

In Arcadia, paese della Morea, detta da Arcade, figliuolo di Giove, ove primieramente fu trovata la rustica e boscareccia sampogna, abitava ne' passati tempi un monaio, uomo bestiale e crudele; ed era per natura sí sdegnoso, che poche legna accendevano il suo fuoco. Ei aveva un asino orecchiuto, con le labra pendule, il quale, quando raggiava, faceva tutto il piano risonare. Questo asino per lo poco mangiare e poco bere che il monaio gli dava, non poteva sostenere le gran fatiche né tolerare le dure bastonate che 'l patrone continovamente gli dava. Onde il povero asino sí distrutto e consumato divenne, che sola la pelle sopra le macerate ossa rimase. Avenne che 'l povero asino, tutto adirato sí per le molte busse che ogni giorno riceveva, sí anco per lo poco cibo ch'aveva, dal monaio si partí e col basto sopra il dorso molto da lui s'allontanò. Camminato ch'ebbe assai, il misero asino giá lasso e stanco giunse a' piè d'un dilettevol monte, che viepiú del domestico che del salvatico teneva. E veggendolo si verdeggiante e bello, fra sé stesso deliberò quello ascendere, ed ivi abitare e la vita sua finire. Dimorando adunque l'asino in questo pensiero, guatava intorno se da alcuno fusse veduto; né vedendo alcuno che noiar lo potesse, animosamente salí il monte; e con molto diletto e piacere si pose a pascolare, ringraziando tuttavia Iddio che liberato l'aveva dalle mani dell'iniquo e crudel tiranno, e che sí ottimo cibo per sostentamento della sua misera vita trovato aveva.
Abitando il buon asino sopra il monte e pascendosi di morbide e minute erbe, tenendo tuttavia il basto sopra 'l dorso, ecco un fiero leone uscire d'una cieca caverna; e veduto l'asino e quello attentamente mirato, molto si maravigliò ch'egli avesse avuto tanta arroganza e tanto ardire di ascendere il monte senza sua licenza e saputa. E perciò che il leone per l'adietro non aveva mai veduti di tal spezie animali, temette forte di piú innanzi andare. L'asino, veduto il leone, si sentí arricciare tutti i peli; e per la súbita paura cessò di mangiare, né ardiva pur di moversi. Il leone, preso pur ardire, fecesi inanti e disse all'asino: — Che fai tu qua, o buon compagno? Chi ti ha data licenza di salir qua su? E chi sei tu? — A cui l'asino insuperbito con ardito animo rispose: — E chi se' tu che m'addimandi chi sono io? — Il leone, maravigliandosi di tal risposta, disse: — Io son il re di tutti gli animali. — Disse l'asino: — E come ti chiami per nome? — Rispose egli: — Leone è il nome mio: ma il tuo come si appella? — Allora l'asino, fatto piú animoso, disse: — Ed io mi chiamo Brancaleone. — Questo udendo, il leone disse — Costui veramente debbe esser piú possente di me. — Disse il leone: — Brancaleone, il nome e 'l parlar tuo chiaramente mi dimostra che tu sei piú possente e piú gagliardo di me; ma voglio che noi facciamo alcuna isperienza. — Allora crebbe maggior ardire all'asino; e volte le natiche contra del leone, disse: — Vedi tu questo basto e la ballestra ch'io tengo sotto la coda? s'io te la facessi provare, tu morresti di spasmo. — E cosí dicendo trasse una coppia di calzi nell'aria e mollò alquante rocchette, che fecero il leone stordire. Sentendo il leone il gran rimbombo di calzi e 'l crepitante tuono che fuor della ballestra usciva, grandemente si spaventò. E perché omai s'approssimava la sera, disse il leone: — Fratello mio, io non voglio che facciamo parole tra noi, né che s'uccidiamo; perciò che non è la peggiore cosa che 'l morire: ma voglio che andiamo a riposarci, e venuto il sequente giorno, noi saremo insieme, e tra noi faremo tre famose prodezze; e qual di noi in farle sará superiore, quello fia del monte signore. — E cosí rimasero d'accordo.
Venuta la mattina, e trovatisi insieme, il leone, che desiderava di veder alcuna prodezza, disse: — Brancaleone, io sono acceso del tuo amore, né rimarrò contento sin a tanto ch'io non vegga alcuna mirabil prova di te. — E camminando insieme, aggiunsero ad un fosso molto largo e profondo. Disse il leone: — Ora è il tempo che noi vediamo qual di noi salterá meglio questo fosso. — Il leone, ch'era gagliardo, non sí tosto s'appresentò al fosso, che fu dall'altra parte. L'asino, appresentandosi alla sponda del fosso, animosamente saltò; ma nel saltare cadde in mezzo del fosso, e sopra alcune legna traversate attaccato rimase. Stava l'asino sospeso tra quelle legna, e parte su l'uno de' lati, e parte su l'altro pendeva; ed era in grandissimo pericolo di fiaccarsi il collo. Il che vedendo, il leone disse: — Che fai, compagno mio? — Ma l'asino, che se n'andava a piú potere, non rispondeva. Il leone, temendo che l'asino non morisse, discese giú nel fosso, e prestògli aiuto. L'asino, uscito fuori d'ogni periglio, prese maggior ardire; e voltatosi contra il leone, gli disse tanta villania, quanta si potesse mai dire a persona alcuna. Il leone, attonito di tal cosa, molto si maravigliò, e addimandollo per qual ragione sí fieramente il villanniggiava, avendolo sí amorevolmente campato da morte. L'asino, dimostrando che fusse acceso di sdegno, superbamente rispose: — Ahi, scelerato e tristo, tu m'addimandi perché ti villaneggio? Sappi che tu m'hai privo del piú soave piacere che mai io avesse a' giorni miei. Tu pensavi che io ne morisse, e io me ne stava in gioia e diletto. — A cui il leone: — E che piacere era il tuo? — Io, — rispose l'asino, — mi era posto sopra quelle legna, e parte pendeva da un lato e parte da l'altro; e voleva in ogni modo sapere qual mi pesava piú, il capo o la coda. — Disse il leone: — Ti prometto sopra la fede mia di non molestarti piú in conto alcuno, e fin'ora veggo e chiaramente conosco che del monte sarai patrone. — Indi partiti, aggiunsero ad un fiume largo e impetuoso; e disse il leone: — Voglio, Brancaleone mio, che l'uno e l'altro di noi dimostra il valor suo nel varcar il fiume. — Io ne son contento, — disse Brancaleone; — ma voglio che tu sii il primo a valicare. — Il leone, che sapeva ben nuotare, con molta destrezza varcò il fiume; e postosi sopra la sponda del fiume, disse: — Compagno, che fai? varca ancor tu, — L'asino, veggendo di non poter mancare della promessa, si gettò nell'acqua, e tanto nuotò, che venne a mezzo del fiume; e costretto dal ravogliamento dell'acqua, ora andava col capo in giú e ora coi piedi, e ora sí fattamente si sommergeva, che di lui nulla o poco si vedeva. Il che veggendo il leone e le ingiuriose parole nell'animo rivogliendo, da un canto molto temeva soccorrerlo, da l'altro temeva che, liberato, non l'uccidesse. Laonde stando tra il sí e 'l no, determinò, intravenga ciò che si voglia, d'aiutarlo. Ed attuffatosi nell'acqua, se gli accostò appresso; e presolo per la coda, tanto tirò, che lo condusse fuor d'acqua. L'asino, vedendosi sopra la riva del fiume e giá sicuro delle minacciose onde, tutto si turbò; e d'ira acceso, ad alta voce disse:— Ahi, tristo! ahi, ribaldone! non so che mi tenga che io non scocchi la ballestra mia, e ti facci sentire quello che non vorresti. Tu sei la mia seccagine e la privazione d'ogni mio piacere. E quando, misero me, arrò il maggior solazzo? — Il leone, piú timoroso che prima divenuto, disse: — Io, compagno mio, fortemente temeva che tu non t'affocassi nel fiume, e però venni e ti aiutai, pensando di farti cosa grata e non spiacere. — Or non dir piú, — disse l'asino; — ma una sol cosa desidero da te sapere: qual frutto, qual utile hai tu conseguito del tuo varcare il fiume? — Nulla, — rispose il leone. — Ma l'asino, voltatosi, disse: — Guata bene se nel fiume sentiva piacere. — E crollatasi la persona e l'orecchie, che erano piene di acqua, li mostrò i pesciculi e gli altri animaletti che uscivano delle sue orecchie; e dolendosi disse: — Vedi tu quanto error facesti? Se io me n'andava al fondo del fiume, prendeva, con grandissimo mio piacere, pesci che ti arebbeno fatto stupire. Ma fa che per l'innanzi piú non mi annoi; perciò che di amici veniressimo nemici, e sarebbe il peggio per te. Ed avenga che morto mi vedesti, non però voglio che tu te ne curi punto; perciò che quello che ti parrá in me morte, sará in me piacere e vita. — Oramai il sole per la sua partita dopplicava le ombre, quando il leone al compagno fece motto che l'uno e l'altro andasse a riposare, ritrovandosi però insieme la mattina sequente.
Venuto il chiaro giorno, l'asino e il leone si ritrovarono insieme, ed ivi determinarono d'andare alla caccia, ma uno in uno luoco e l'altro nell'altro, e poscia ad una medesima ora ritrovarsi insieme: e qual di loro avrá preso maggior numero di animali, il monte sia suo. Il leone, andato in preda, prese molte fiere salvatiche; ma l'asino, trovato l'uscio d'una casa aperto, entrò dentro; e veduto nell'aia un grandissimo cumolo di melega, a quello s'avicinò, e tanta ne prese, che quasi il pancirone era per scoppiare. Ritornato l'asino a l'ordinato luoco, si mise a posare; e per la gran pienezza spesso scoccava la ballestra, la quale ora s'apriva, ora si serrava, a guisa della bocca di un gran pesce ch'è fuori del fiume in secca terra. Vedendo una gracchia, che per l'aria volava, l'asino in terra prostrato giacere, né punto muoversi, che morto pareva, e vedendo sotto la coda la mal digesta melega e le natiche tutte imbrattate di sterco, scese giú e cominciò beccare; e tanto innanzi se n'andò, che pose il capo dentro delle natiche. L'asino, sentendosi beccare nel forame, chiuse le natiche; e la gracchia col capo dentro presa rimase, e se ne morí. Tornato il leone con la gran preda al diputato luogo, vide l'asino giacere in terra; e dissegli: — Vedi, compagno mio, gli animali ch'io presi? — Disse l'asino: — In che modo facesti a prenderli? — Il leone raccontò il modo che tenuto aveva. Ma l'asino interrompendolo disse: — O pazzo e privo di senno! tu ti affaticasti tanto stamane circondando i boschi e le selve e i monti, e io me ne sono stato qui d'intorno; e prostrato a terra, con le natiche presi tante gracchie e tanti altri animali, che mi sono, come tu vedi, lautamente pasciuto. E questa sola mi è rimasta nelle natiche, la quale a tuo nome riservai, e pregoti che per amor mio la prendi. — Allora il leone maggiormente si paventò; e presa la gracchia per amor dell'asino, quella tenne, e senza dir altro, ritornò alla preda.
E camminando di galoppo, non però senza timore, s'incontrò nel lupo che molto in fretta se n'andava. A cui disse il leone: — Compare lupo, dove andate, cosí soletto, in fretta? Rispose il lupo: — Io me ne vo per un servigio molto importante. — E pur il leone cercava intrattenerlo; ma il lupo, temendo della vita, fortemente instava che no 'l tenesse a bada. Il leone, vedendo il gran pericolo nel quale incorreva il lupo, sollecitava che piú innanzi andar non dovesse: — perché poco discosto di qua vi è Brancaleone, animal ferocissimo, il quale porta una ballestra sotto la coda che mena gran vampo, e mal è per colui che sotto s'abbatte. Ed oltre ciò ha certa cosa di pelle sopra il dorso, che in maggior parte lo copre, ed è di pelo biso; e fa gran fatti, e paventa ciascuno che se gli avicina. — Ma il lupo, che per gl'indizi dati apertamente s'accorgea qual fusse l'animale di cui il leone parlava, disse: — Compare, non abbiate timore; perciò che egli s'addimanda l'asino, ed è il piú vil animale che la natura creasse, e non è da altro se non da soma e da bastone. Io solo a' giorni miei ne divorai piú d'un centenaio. Andiamo dunque, compare, sicuramente, e vederete la prova. — Compare, — disse il leone, — io non voglio venire; e se voi vi volete andare, andatene in pace. — E pur replicava il lupo che il leone non avesse timore. Vedendo il leone il lupo star fermo nel suo pensiero, disse: — Poscia che voi volete che io venga con voi e mi assicurate, voglio che s'avinchiamo le code strette l'una con l'altra, acciò che, come sará da noi veduto, non scampiamo, né alcun di noi rimanga in podestá di lui. — Annodatesi strettamente le code, andarono a ritrovarlo.
L'asino, che in piedi era levato e di erba si pasceva, vide dalla lunga il leone e il lupo, e molto smarrito volse fuggire; ma il leone, dimostrando Brancaleone al lupo, disse: — Eccolo, compare: egli viene verso noi; non l'aspettiamo, che veramente moriremo. — Il lupo, che aveva allora l'asino veduto e conosciuto, disse: — Affermiamosi, compare; non dubitate, che egli è l'asino. — Ma il leone, piú timoroso che prima, si mise a fuggire; e cosí correndo per duri dumi, or saltava una macchia, or l'altra; e nel saltare, una pungente spina li cavò l'occhio sinistro. Il leone, credendo la spina stata fusse una di quelle artigliane che Brancaleone sotto la coda portava, disse, correndo tuttavia, al lupo: — Non te lo dissi io, compare: scampiamo? Non mi ha egli cavato un occhio con la sua ballestra? — E sempre piú forte correndo, strascinava il lupo e menavalo per ispidi dumi, per ruinati fossi, per folti boschi e per altri luochi stretti ed aspri. Per il che il lupo tutto franto e rotto se ne morí. Il leone, quando li parve di essere in luogo sicuro, disse al lupo: — Compare, ormai è tempo che si disciogliamo le code; — ed egli nulla rispondeva. E voltatosi verso lui, vidde che era morto. Onde attonito disse: — Compare, non ve lo dissi io, che 'l vi ucciderebbe? Vedete quello avete guadagnato? Voi avete perduta la vita, ed io l'occhio sinistro; ma meglio è aver perduta una parte che 'l tutto. — E sciolta la coda, lasciò il lupo morto, e andossene ad abitar le grotte; e l'asino rimase signore e possessore del monte: dove lungo tempo allegramente visse. Di qua procede che gli asini abitano i luoghi domestici, ed i leoni i luoghi inabitabili e silvestri; perciò che il vil animale con sue astuzie e fraudi avanzò il feroce leone.

In Arcadia, a region of the Morea which gets its name from Arcadius, the son of Jove, a land in which was first discovered the rustic woodland shepherd's pipe, there dwelt in times now long past a certain miller, a brutal and cruel fellow, and one so irascible by nature that it needed but very little provocation to produce in him a violent access of rage. This man was the owner of an ass with long ears and down-drooping lips, who, whenever he raised his voice, would make the whole plain re-echo with the sound of his braying. This poor ass, on ac count of the niggardly provender he got from the miller, both in eating and in drinking, was no longer able to undergo the hard work of the fields, or to endure the cruel beatings with the stick which his barbarous master was for ever inflicting upon him. Wherefore the wretched animal presented such a picture of lean and wasted misery that one could see nothing but his hide stretched over his miserable bones. One day it happened that the poor ass, exasperated beyond endurance by the many and heavy blows which were rained upon him every day by his cruel master, and by the scant supply of food he received, took flight from the miller, and went off bearing his pack-saddle still on his back.
The wretched beast travelled a long way on the road, and when he was almost worn out with hunger and fatigue he came to the foot of a very delightful mountain, which had little about it that was savage or wild, but seemed more like a fair and cultivated domain. The ass, remarking how green and beautiful it was, deter mined to ascend this mountain and to spend there all the rest of his life. Whilst he was deliberating over this question, he cast his eyes round about on all sides to make sure that he might not be ob served of anybody, and, not seeing anyone round about who was likely to trouble him, he courageously mounted the hill, and with the greatest delight and pleasure began to take his fill of the sweet herbage which grew there, at the same time thanking God who had delivered him from the hands of that wicked and cruel tyrant his master, and had guided him to this place, where was to be found such abundant and excellent food for the sustenance of his wretched life. Whilst our good ass was thus living upon the mountain, feeding every day upon tender and fine grass, and having all the while his pack-saddle upon his back, lo and behold! a savage lion issued from a dark cave and saw the ass. Having looked at him for some time very attentively, he was mightily astonished that this beast should have been arrogant enough to dare to come up upon this mountain without his licence and knowledge. And for the reason that the lion had never before beheld an animal of this sort, he was afraid to go near him, and the ass, when he saw the lion, felt every hair on his body bristle and stand on end. Be cause of the sudden fear that seized him, he left off eating straightway, and did not dare to stir from the place where he stood feeding.
The lion, having plucked up a little courage, came forward and said to the donkey, 'What is it that you do here, my good friend? Who gave you leave to mount into these parts? And who may you be?' To these questions the ass, with rising pride and with arrogant spirit, said, 'And who may you be your self who venture to ask me who I am?' The lion, greatly amazed at hearing this retort, answered, 'I am the king of all the animals.' 'And what may your name be?' inquired the ass. The other answered, 'Lion is my name. But you, what do men call you?' At these words the ass, putting on a still more braggart air, said, 'And I am called Brancaleone [clawed lion].' When the lion heard this speech, he said to himself, 'By his name, in truth, this animal before me may well be more powerful than I am myself.' Then he said to the ass: 'Ser Brancaleone, both your name and your manner of speech show tome clearly that you are more puissant and stronger withal than I am. But nevertheless it would please me greatly that we two should make certain trials of our prowess, one against the other.' At these words the valour of the ass in creased mightily, and, having turned his hinder parts towards the lion, said: 'Do you see this pack-saddle, and the piece of artillery I carry under my tail. Be sure if I were to give you a sample of its powers you would straightway die with fright.' And as he spake thus he gave a couple of kicks high in the air and at the same time let off divers crackers which were so loud that they set the lion's brain in a whirl. The latter, when he heard the resounding noise of the donkey's kicks, and of the cracking bombardment of his field-piece, fell in sooth into a fit of terror, and, because by this time evening was drawing near, he said to the ass: 'Good brother, it is in no wise my will that there should be any bandying of words between us, or that we should kill one another, seeing that there is in this world nothing that is worse than death. I would counsel, however, that we should both of us lay ourselves down to rest, and when the morrow shall have come we will meet, and then and there we will thrice make trial of our strength and prowess. Who ever of us two shall prove himself to be the worthier in these encounters shall remain the supreme lord and master of this mountain.' And so they agreed that it should be.
When the morning of the next day had come and the two competitors were duly met together, the lion, who desired especially to witness some proof or other of skill, said: 'Brancaleone, I am in sooth become filled with the warmest regard for you, and I shall know no rest until such time as I shall have seen some wondrous deed wrought by you.' Whereupon they set out on their way, and as they journeyed together they came to a certain gorge of the mountain, very wide and deep. Then said the lion: 'Good comrade, the time is now come when we may see which one of us can best leap over this gorge.' The lion, who was very strong and active, no sooner went up to the gorge than he found himself on the other side of it. Then the ass, presenting himself with a great show of boldness at the brink of the gorge, made an effort leap it, but in the course of his spring he fell right in the middle of the abyss, and there he remained suspended on a heap of up rooted timber, so that his fore part hung down on one side and his hind part on the other, thus leaving him in the greatest danger of breaking his neck. When the lion saw what had happened, he cried out, 'What is it you are doing, comrade?' but the ass, who for the moment had come to the end of his powers, made no reply. Whereupon the lion, fearing amain lest the ass should die, descended forthwith into the gorge and went to succour him. As soon as Brancaleone had been delivered from all pressing danger, he turned towards the lion with renewed arrogance, and heaped the most villainous abuse upon him that one creature could use to another. The lion, confounded beyond measure at what he heard, was filled with amazement, and demanded of the ass forth with what might be the cause of this savage outburst of abuse, considering that he had, out of the love he felt towards him, saved him from death. Hereupon the ass, in order to show that he was in sooth greatly angered, answered haughtily, 'Wretched knave that you are! Do you ask me why I thus abuse you? I tell you that you have robbed me of the greatest pleasure I ever felt in the course of all my life. You indeed must needs fancy that I was dying, whereas all the time I was enjoying the purest delight.' Then asked the lion, 'And what was this great de light of yours? ' The ass replied, 'I had bestowed myself carefully on the top of that wood, with one part of me hanging on this side thereof and the other on that, desiring the while to learn for certain which part of me weighed the heavier, my head or my tail.' 'Now, I promise you, on my faith,' said the lion, 'that for the future I will not interfere with you on any account, and as far as I can see and clearly understand, you will surely be the lord and sovereign of this mountain.'
Thereupon they once more set forth, and after a time came to a river, very wide and swift in its current. Then said the lion, 'My good Brancaleone, I would that we should both of us now make an exhibition of our prowess by swimming over this river.' 'I could think of no trial which I would more readily undertake,' said Brancaleone, 'but I will ask you to take the water first.' The lion, who was mightily ex pert as a swimmer, swam over the river with great dexterity, and, after he had crossed, he stood upon the bank of the stream and cried out, 'Comrade, it is now your turn to swim over.' The ass, when he perceived that he could in no way go back from his promise to face the trial, cast himself into the river, and swam in such fashion that, by the time he was come into the middle thereof, he was so greatly hampered by the whirling eddies of the water that he was borne along, now with his head uppermost, and now his feet, and sometimes sinking so deep in the stream that little or nothing of him was to be seen. The lion, looking upon this sight, and at the same time turning over in his mind the insulting words spoken by the ass, felt, on the one hand, that he dare not go to his rescue, and, on the other, the greatest fear lest he should be drowned if he were not succoured at once. Where fore, standing in debate between yes and no, he determined (let anything happen which might) to go to his aid; so, having plunged into the water, he swam up close to the donkey's side, and seized him by the tail, and dragged him along until he got him out of the water safe on shore. The ass, as soon as he found himself standing upon the river's bank and now in no danger from the threatening waves, flew into a violent passion, and, all inflamed with rage, cried out in a loud voice, 'Ah! wretch that you are, and loutish knave, of a truth I know not what holds me back from making play with my artillery and letting you have experience of something which you might not find entirely to your liking. You are indeed the plague of my life and the destroyer of all my pleasure. When, forsooth, unfortunate wight that I am, shall I find another delight as great as the one you have just taken from me 'On hearing this, the lion, now more overwhelmed with fear than ever, said, 'But, my good comrade, I feared horribly lest you should be suffocated in the stream, wherefore I swam out to you and gave you my aid, thinking thereby to render you a service which would please you, and not an of fence.' 'I bid you cease your prating at once,' replied the ass; 'but, first of all, there is one thing I want you to tell me. What gain, what advantage, have you reaped through your swimming across the river?' 'None at all,' answered the lion. Then the ass, turning towards him, said: 'Now look well here, and see whether, whilst I w in the river, I must not have found abundant diversion.' And with these words he shook himself violently, and straight- way from his ears, which were filled with water, there came forth a great quantity of little fishes and of other small water- beasts, which he showed to the lion, saying the while in a tone of grief and complaint, 'Now do you see what a huge mistake you have made? If you had only allowed me to go down to the bottom of the river, I should have had the greatest pleasure in capturing fish of a sort which would have made you stand aghast with wonder. Therefore, take care for the future that you molest me no more; for if you do we shall become foes instead of friends, and that assuredly will be the worse for you. Indeed, should I at any time appear to you to be dead, I do not wish that you should give yourself trouble on my account, for as much as that thing in me which may seem to you to be death will be in reality nought but contentment and life.'
Now the sun was already sinking beneath the horizon and making deeper and duskier the shadows on the earth, when the lion said to his companion that the time was now come when they ought to retire to rest, with the agreement that they should meet again on the following morning. And when another day had broken brightly the ass and the lion met as they had duly covenanted, and then and there settled that they would go to the chase, the one in this quarter, and the other in that, and afterwards, at a certain fixed hour, they should both return, and whichever of the two should then be found to have taken the greatest number of beasts of the chase should be adjudged to be the lord and master of the mountain. Forthwith the lion went in search of game, and in his hunting contrived to capture a great quantity of wild animals; but the ass, having found standing open the gate of a farm made his way into the same and came upon a vast heap of rye stacked in the midst of the court. He straightway went up to this, and ate thereof such a huge quantity that his belly had like to burst. After he had thus filled himself he returned to the spot where he had agreed to meet the lion, and lay down at full length, whereupon, through the crowding of his belly, his battery of artillery kept up a bombardment loud and long. It happened that a chough which was flying through the air above beheld the ass lying prostrate upon the earth and moving not a limb, wherefore the bird concluded that he must be dead, and, having cautiously approached him, began to peck at his buttocks. The ass, as soon as he felt the sharp beak of the chough at work upon his hinder parts, gave a quick twist with his tail and caught the chough between it and his rump, and thus crushed the life out of him.
A short time after this the lion came back to the appointed place, charged with the prey he had captured, and when he beheld the ass lying prone on the ground, he cried out and said to him: 'See, good comrade! here are the beasts of the chase which I have taken.' Then said the ass, 'Tell me now in what fashion did you contrive to capture them,' and the lion at once recounted to him what manner of venery he had followed. But the ass, breaking in upon his discourse, said, 'What a fool and witless loon you must be! You have half killed yourself with fatigue this morning, ranging round the thickets and the woods and the mountains, while I have never moved from this same place, and, as I lay upon the earth, have managed to catch with my tail and my buttocks such a vast quantity of choughs and of all sorts of animals that (as you may easily see) I have filled my carcass plentifully there with. This one here is all I now have left, and this I reserved on your behalf, wherefore I beg that you will accept it as a mark of my high esteem.'
At hearing these words of Brancaleone, the lion was more stricken with astonishment even than before, and, having accepted the gift of the chough for the respect he had for the ass, took it, and without uttering another word re turned to his own booty. Then, as he was making his way at full gallop through the forest (not without a certain fear in his heart), he met a wolf, who was also going along at a great pace. The lion hereupon said to the wolf, 'Goodman wolf, where are you going all alone and so fast?' The wolf replied,' I am bound on the execution of a certain business, which is of the highest moment to me.' Hearing these words, the lion sought to know what this business might be; but the wolf, as if he were in terror of his life, begged to be let go and not further delayed. Then the lion, perceiving the great peril into which the wolf was about to run, besought him earnestly that he would not go forward along that path; 'for,' said he, 'a little further on you will of a surety meet with Brancaleone, a very fierce and dreadful animal, who carries under his tail a certain piece of artillery which goes off with a mighty explosion, and ill-fated indeed is he who comes within its fire. Besides this, he bears upon his back a certain thing made of leather, which covers the greater part of his body. He is covered with grey hair, and works all manner of wonderful deeds, and is a thing of terror to all those who come near him.' But the wolf, who perceived clearly enough from the account given by the lion what manner of animal this was concerning whom the lion spake, cried out, 'Good gossip, I beg you not to be at all afeard, for of a surety this one you speak of is nothing more nor less than a donkey, the vilest beast that nature ever made, and one fit for nothing else than to carry heavy burdens and to be well belaboured with the stick. I alone, in the course of my life, have eaten more than a hundred of this sort. Let us, therefore, go on together, good gossip, with assurance, and you shall witness the proof of all I say.' Then said the lion, 'Good gossip, I have indeed no mind to go with you, but if you feel that you needs must go, go in peace.' Hereupon the wolf once more replied that there was no reason why the lion should have fear of aught, and the lion, when he perceived that the wolf stood quite firm in his contention, said: 'Since you wish so earnestly that I should be your companion in this enterprise, and since, furthermore, you give me full assurance that we shall run into no danger, it seems to me that it would be more prudent for us to approach him with our tails well knotted together, so that when we shall have come into his presence there may be no danger that one of us may run away and the other be left in his power.' Whereupon, after they had tied their tails tightly together, they issued forth to find Brancaleone.
The ass, who by this time had once more got up on his four feet and was cropping the grass, espied the lion and the wolf while they were yet far off, and straightway fell into such a fit of terror that he deliberated whether he should not take to flight. But the lion, who had pointed out Brancaleone to the wolf, said: 'There he is, good gossip. See, he is coming towards us. Let us not tarry here, for if we do, we shall of a surety both of us die.' The wolf, who by this time had seen the ass, and recognized what manner of beast he was, said: 'Let us stand our ground here somewhat, good gossip, and set your mind at ease, for I assure you that what we see over there is no other than an ass.' But the lion, whose fears seemed to grow greater every time he caught sight of Brancaleone, here turned tail and took to flight, and whilst he was thus fleeing through rough brambles and jumping now over one thicket and now over another, a sharp thorn struck him as he was leaping and tore out his left eye. When he felt the prick of the thorn, he at once imagined it to be caused by a shot from that terrible cannon which Brancaleone carried under his tail, and, coursing the while at the top of his speed, said to the wolf, 'Did I not tell you how it would be? Let us now fly for our lives. Do you not see that he has al ready shot out one of my eyes with his field-piece?' And quickening his pace every moment, he dragged the wolf along with him through sharp-piercing brambles, over scattered rocks, through thick woods, and other waste desolate places, till at last the poor wolf, all mangled and shattered, gave up the ghost.
After running some long distance the lion, deeming that they had by this time come to a place of safety, said to the wolf, ' Good gossip, now it seems to me that we might well untie our tails,' but to this the wolf answered nothing, and the lion, looking towards him, saw that he was dead. Wherefore, stricken with amazement, he said: 'Alas! did I not tell you the truth when I said that he would kill you? See what has befallen us through going to meet him. You have lost your life and I have lost my left eye. But it is better to have lost a part than the whole.' Then, having un tied the knotted tails, he left behind him the dead wolf and departed, dwelling hereafter in the caves of the rocks, while the ass remained lord and master of the mountain, upon which he lived joyfully for many years. And for this reason it happens that nowadays asses are always found inhabiting civilized and cultivated regions, and lions in deserted and savage places, forasmuch as the common beast, by his fraud and cunning, proved him self to be the master of the ferocious lion.






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TESTO
Giovan Francesco Straparola, Le piacevoli notti, a cura di Giuseppe Rua; Bari: Gius. Laterza e Figli Tipografi-Editori-Librai, 1927; Notte decima, favola II.

Vedi anche: Le piacevoli notti. A cura di Donato Pirovano. Roma: Salerno Editrice, 2000. 2 Tomi. Tomo II, pp. 625-635.
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TRADUZIONE ITALIANA
© Adalinda Gasparini (Firenze: Giunti 1996), da Giovan Francesco Straparola (1554–1557) Le piacevoli notti. Notte decima, favola II.
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TRADUZIONE INGLESE
The Facetious Nights of Straparola. Translated by W. G. Waters; illustrated by E. R. Hughes A.R. W.S. London: Lawrence and Bullen 1894. http://www.surlalunefairytales.com/facetiousnights/night10_fable2.html;  consultato il 15 ottobre 2018. Non accessibile il 28 marzo 2024.
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IMMAGINE

Phryx Aesopus Habitu Poetico, by Hieronymus Osius, 1574.
Fonte: http://mythfolklore.net/aesopica/osius/181.htm; ultimo accesso: 28 marzo 2024.
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NOTE
Questa fiaba riprende un motivo della mitologia classica: durante la guerra fra gli dei olimpici e i giganti, l'asino di Sileno, terrorizzato, si mise a ragliare tanto fragorosamente che mise in fuga i giganti, convinti che una tale voce appartenesse a un mostro immane e invincibile schierato contro di loro dagli dei olimpici. (Fonte: Dizionario della favola o mitologia greca, latina, egizia, celtica, persina, siriaca, indiana, chinee, maomettana ... vedi: http://www.alaaddin.it/biblio/index.html#NOEL)

Il motivo del confronto fra animali così diversi è presente anche in altri Paesi, ad esempio in Birmania.  La fiaba mostra come l'astuzia vinca la forza, e come il desiderio possa affermarsi a dispetto del senso comune: si tratta del messaggio opposto a quelle dell'apologo di Esopo, dove la superiorità del leone ridicolizza le sciocche pretese dell'inferiore asino. Da una parte, la possibilità di riscatto, dall'altra, l'ordine dato dalla forza. Nel mondo delle fiabe, come nella realtà psichica, non vige il principio di non contraddizione. Né vige nei proverbi, per i quali è vero che l'unione fa la forza, non meno che chi fa da sé fa per tre.






 © Adalinda Gasparini
Online dal 10 gennaio 2000
Ultimo aggiornamento 27 marzo 2024