Tanto
tempo fa in una regione ricca di foreste selvagge
e di piane coltivate viveva un mugnaio brutale e
rozzo, che aveva un asino dalle orecchie lunghe
lunghe, con grosse labbra pendule, che se
ragliava faceva risuonare la sua voce per tutta
la piana. Il mugnaio gli dava così poco da mangiare che l'asino non ce la faceva a sopportare il duro lavoro, e lo bastonava così tanto che al povero animale era rimasta solo la pelle sulle ossa ammaccate. Una volta l'asino, arrabbiato per le botte che prendeva ogni giorno e per la scarsità del cibo, se ne andò dalla casa del mugnaio e col basto ancora sul dorso si allontanò per un buon tratto. Dopo aver camminato tanto, ormai stanco morto, arrivò ai piedi di un bel monte, dall'aspetto ospitale, non selvaggio. E vedendolo così verdeggiante e bello, decise fra sé di salire sul monte per abitare lì tutto il resto della sua vita. Mentre pensava queste cose, l'asino guardava intorno se qualcuno lo vedeva, e siccome non c'era nessuno che gli potesse dare fastidio, coraggiosamente salì sul monte, e con grande piacere si mise a pascolare, ringraziando il Cielo di averlo liberato dalle mani di quell'orribile tiranno e di avergli fatto trovare del cibo così buono per continuare la sua povera vita. Mentre il buon asino abitava sul monte e si nutriva di piccole tenere erbe portando ancora il basto sul dorso, ecco un feroce leone uscire da un'oscura caverna: avendo visto l'asino lo guardò con molta attenzione, e rimase meravigliato per l'arroganza e il coraggio che aveva avuto salendo sul monte senza dirglielo e senza chiedergli il permesso. E siccome il leone fino ad allora non aveva mai visto animali di quella specie, ebbe paura di avanzare oltre. L'asino quando vide il leone si sentì accapponare la pelle e gli si rizzarono tutti i peli, per lo spavento smise di mangiare e non osava fare una mossa. Il leone, facendosi coraggio, andò un po' avanti e gli disse: "Che fai qua tu, caro compare? Chi ti ha dato il permesso di salire quassù? E chi sei tu?". Allora l'asino si diede un tono gagliardo e gli rispose: "E tu chi sei per domandarmi chi sono io?". Stupito da questa risposta il leone disse: "Io sono il re di tutti gli animali". "E come ti chiami di nome?", gli chiese l'asino, e lui rispose: "Leone è il mio nome, ma il tuo nome qual è?". Allora l'asino tutto fiero disse: "E io mi chiamo Brancaleone!". "Questo," si disse il leone, "dev'essere proprio più forte di me", e rivolto all'asino: "Brancaleone, il tuo nome e il tuo parlare mi dimostrano chiaramente che tu sei più possente e più gagliardo di me; ma voglio che facciamo qualche prova". Allora l'asino si sentì molto più ardito e girando il suo deretano verso il leone disse: "Vedi questo basto e la balestra che ho sotto la coda? se io te la facessi sentire ci rimarresti secco". E così dicendo tirò un paio di calci in aria e sparò una scarica di peti che fecero quasi svenire il leone. Sentendo il gran rimbombo dei calci e il rumore tonante che veniva fuori dalla balestra, il leone si era spaventato moltissimo, e siccome ormai era quasi sera, disse: "Fratello mio, io non voglio che litighiamo, né che ci ammazziamo, perché non c'è cosa peggiore della morte, voglio che andiamo a riposarci, e quando sarà venuto il nuovo giorno ci ritroveremo e faremo una gara di tre grandi prove; chi tra noi due sarà vincitore, diventerà padrone di questo monte", e così rimasero d'accordo. La mattina dopo si incontrarono e il leone, che voleva vedere qualche bella prodezza, disse: "Brancaleone, mi piaci moltissimo, e non sarò contento finché non ti vedrò compiere qualche meravigliosa impresa". Camminando insieme arrivarono a un fossato largo e profondo, e il leone disse: "Ora è giunto il tempo che vediamo chi di noi due è più bravo a saltare questo fosso". Il leone, gagliardo com'era, si avvicinò al fosso e con un balzo fu dall'altra parte; l'asino quando fu sulla sponda si fece animo e saltò, ma saltando cadde in mezzo al fosso, e finì a cavalcioni di un tronco rimanendo lì sospeso, e un po' pendeva da una parte, un po' dall'altra, rischiando di rompersi l'osso del collo. Vedendolo il leone gli chiese: "Che fai caro compare?", ma l'asino, che era trascinato via dalla corrente a gran velocità, non rispondeva. Allora il leone, temendo che l'asino morisse, scese nel fosso e gli prestò aiuto. L'asino, appena fu fuori da quel pericolo, si diede un tono fiero e rivoltandosi contro il leone gliene disse di tutti i colori. Il leone rimase di sasso, e tutto meravigliato gli chiese perché lo offendeva così, dopo che gli aveva salvato la vita. L'asino, accendendosi di sdegno, rispose con fare superbo: "Ah! Disgraziato ignorante, tu mi chiedi perché ti offendo? Sappi che mi hai privato del piacere più soave che io abbia mai goduto nella mia vita. Tu pensavi che morissi, e invece io mi divertivo ed ero felice". "E qual era il tuo divertimento?", chiese il leone; "Io," rispose l'asino, "mi ero messo su quel tronco, e pendevo un po' da una parte e un po' dall'altra, perché volevo ad ogni costo scoprire che cosa mi pesava di più, se il capo o la coda". Disse il leone: "Ti prometto sul mio onore che non ti darò più fastidio in nessun caso, e mi rendo conto fin da questo momento che sarai tu il padrone del monte". Andarono via da quel posto e arrivarono a un fiume largo e vorticoso, e il leone disse: "Voglio, Brancaleone mio, che ciascuno di noi dimostri quanto vale guadando questo fiume". "Mi sta bene," disse Brancaleone, "ma voglio che cominci tu". Il leone, che sapeva nuotare benissimo, con grande agilità attraversò il fiume, e dall'altra sponda gridò: "Compare, che fai? attraversa anche tu il fiume". L'asino, capendo che non poteva tirarsi indietro, si buttò nell'acqua e nuotò tanto che ce la fece ad arrivare in mezzo al fiume, ma catturato dai gorghi un momento finiva a testa in giù, poi si trovava rigirato, poi andava tutto sott'acqua, tanto che il leone non lo vedeva quasi più. Ricordandosi che l'asino lo aveva maltrattato, se da una parte avrebbe voluto aiutarlo, dall'altra aveva paura che se lo salvava Brancaleone si sarebbe arrabbiato tanto da ucciderlo. Era molto incerto, ma a un certo punto decise, qualunque cosa potesse capitare, di aiutarlo, e si tuffò, gli andò vicino, e dopo averlo afferrato per la coda lo tirò e lo fece uscire dall'acqua. Quando si vide al sicuro sulla riva del fiume e capì che ormai non annegava più, l'asino si rannuvolò tutto, e fremente d'ira urlò: "Ah, infame! Ah, ribaldo! non so chi mi tenga dallo scoccare la mia balestra e farti sentire quello che non vorresti provare! Tu sei la mia disgrazia e mi privi di tutte le gioie. Quando mai potrà capitarmi di divertirmi come poco fa?". Il leone, che aveva più paura di prima, disse: "Io, caro compare, avevo paura che tu annegassi nel fiume, e perciò sono venuto e ti ho aiutato, pensando di farti un piacere, non certo un dispiacere". "Non dire più nulla," ribattè l'asino, "voglio che tu mi dica solo una cosa: quale beneficio, quale vantaggio hai ricavato dall'attraversamento del fiume?". "Nulla", rispose il leone. E l'asino voltandosi disse: "Guarda bene se godevo mentre ero nel fiume", e scrollandosi l'acqua gli fece vedere i pesciolini e gli altri animaletti che gli uscivano dalle orecchie, e con voce addolorata disse: "Vedi che errore hai fatto? Se io andavo in fondo al fiume prendevo con mio immenso piacere dei pesci che ti avrebbero riempito di meraviglia. Ma fa in modo di non darmi più fastidio d'ora in avanti, perché sennò da amici come siamo diventeremmo nemici, e sarebbe peggio per te. E anche se tu mi vedessi morto, voglio che tu non ci pensi, perché quello che a te sembrerà morte, per me sarà piacere e vita". Ormai il sole stava tramontando, e il leone propose al suo compare che tutti e due andassero a riposare, per ritrovarsi la mattina dopo. Appena fu giorno, l'asino e il leone si incontrarono, e decisero di andare a caccia uno da una parte e uno dall'altra, per poi ritrovarsi in un posto a una certa ora: il monte sarebbe stato del cacciatore più bravo. Il leone cominciò a inseguire le sue prede, e ne prendeva tante, mentre l'asino, trovando la porta di una casa aperta, entrò dentro e vedendo nell'aia un immenso mucchio di sorgo si mise lì e ne mangiò tanto e tanto che il suo pancione rischiava di scoppiare. Poi, tornato al luogo dell'appuntamento, si stese a dormire, ed essendo così pieno spesso alzava la coda e scoccava la balestra, che si apriva e si chiudeva come la bocca di un grosso pesce. Volando da quelle parti una cornacchia lo vide, e siccome era sdraiato in terra e non si muoveva, sembrava morto, e così guardando il sorgo mal digerito sotto la coda dell'asino accanto al deretano tutto imbrattato, la cornacchia si posò e cominciò a mangiare il sorgo, e beccando andò tanto avanti che per beccare gli mise la testa dentro il corpo. L'asino, sentendosi beccare strinse il didietro, la cornacchia rimase col capo dentro e soffocò. Giunse il leone con tutte le sue prede e disse all'asino: "Hai visto che animali ho preso, caro compare?", e l'asino gli domandò: "E come hai fatto a prenderli?". Il leone raccontava in che modo li aveva cacciati, ma l'asino lo interruppe dicendo: "Ah, pazzo e sciocco che sei! Hai durato una fatica immane andando per boschi, foreste e montagne, mentre io me ne sono stato qua comodamente disteso e con il mio deretano ho catturato tante cornacchie e tanti altri animali che ho nella pancia, che come vedi è bella piena. Mi è rimasta mezza fuori solo questa cornacchia, che ho riservato a te, e ti prego di accettarla per farmi contento". Allora il leone ebbe ancora più paura, e dopo aver preso la cornacchia per far piacere al compare se ne andò. E mentre correva via piuttosto impaurito, si imbatté nel lupo che andava molto di fretta. Il leone gli disse: "Compare lupo, dove vai solo solo, così di fretta?", e il lupo rispose: "Ho da fare una faccenda della massima importanza"; il leone voleva trattenerlo, ma il lupo temeva il leone e faceva di tutto per andarsene. Il leone, sicuro che andando da quella parte il lupo rischiava la vita, gli consigliava di non andarci: "Perché," gli disse, "poco più avanti c'è Brancaleone, un animale ferocissimo, che ha sotto la coda una balestra con la quale spara dei colpi esplosivi, e chi ne è colpito è spacciato. Ha poi sul dorso una cosa bigia di pelle durissima che lo copre quasi tutto, compie grandi prodezze, e spaventa chiunque gli si avvicina". Ma il lupo, avendo capito bene dalla descrizione del leone di quale animale stava parlando, disse: "Compare, non aver paura, perché quello si chiama asino, è l'animale più vigliacco che sia stato creato, e non sa compiere altre imprese che portare la soma e prendere le bastonate. Io da solo ai miei tempi ne avrò divorato un centinaio. Andiamo compare, senza timore, e vedrai bene che è come dico io". "Compare," replicò il leone, "io non voglio venire, e se ci vuoi andare, vacci da solo". Il lupo continuava a dirgli che non c'era proprio da aver paura, e il leone, vedendo che il lupo non cambiava idea, disse: "Siccome tu vuoi che venga con te e dici che non c'è pericolo, voglio che ci leghiamo perbene per la coda, così se attaccherà resteremo insieme e ci aiuteremo a scappare". Così si annodarono strette le code e andarono a trovarlo. L'asino, che si era alzato in piedi e stava brucando l'erba, vide il leone e il lupo di lontano, s'impaurì e fece per scappare, ma il leone, indicando Brancaleone al lupo, disse: "Guarda che si muove, ora ci attacca, non aspettiamo o ci farà fuori!". Il lupo, che aveva visto e riconosciuto l'asino, disse: "Fermati compare, non dubitare che quello è l'asino!", ma il leone impaurito scappò a gambe levate, e correva tra alberi e cespugli spinosi, saltando ora una macchia, ora un'altra, e mentre balzava una lunga spina gli cavò un occhio. Credendo di essere stato colpito dall'arma che Brancaleone portava sotto la coda, senza smettere di correre disse al lupo: "Compare, non te l'avevo detto io che bisognava scappare? Mi ha cavato un occhio con la sua balestra!", e correndo sempre più forte tirava il lupo e lo strascicava su cespugli spinosi, per fossi scoscesi, attraverso fitti boschi e altri luoghi accidentati e impervi, finché il lupo tutto ammaccato e lacerato morì. Quando si sentì in un posto sicuro il leone si fermò e disse: "Compare, ora sciogliamoci le code", ma il lupo non rispondeva nulla. Allora il leone voltandosi vide che era morto e rimase di sasso, poi disse: "Compare, non te l'avevo detto io che ti avrebbe ucciso? Tu hai perso la vita, e io l'occhio sinistro, ma meglio aver perso una parte che il tutto". Si sciolse la coda, lasciò lì il lupo morto e andò ad abitare per sempre nelle caverne e nelle foreste, mentre l'asino rimase signore e proprietario del monte ospitale, dove visse per tanto tempo allegramente. |
In
Arcadia, paese della Morea, detta da Arcade,
figliuolo di Giove, ove primieramente fu
trovata la rustica e boscareccia sampogna, abitava
ne' passati tempi un monaio, uomo bestiale e
crudele; ed era per natura sí sdegnoso, che poche
legna accendevano il suo fuoco. Ei aveva un asino
orecchiuto, con le labra pendule, il quale, quando raggiava,
faceva tutto il piano risonare. Questo asino
per lo poco mangiare e poco bere che il monaio gli
dava, non poteva sostenere le gran fatiche né
tolerare le dure bastonate che 'l patrone
continovamente gli dava. Onde il povero asino sí
distrutto e consumato divenne, che sola la pelle
sopra le macerate ossa rimase. Avenne che 'l povero
asino, tutto adirato sí per le molte busse che ogni
giorno riceveva, sí anco per lo poco cibo ch'aveva,
dal monaio si partí e col basto sopra il dorso molto
da lui s'allontanò. Camminato ch'ebbe assai, il
misero asino giá lasso e stanco giunse a' piè d'un
dilettevol monte, che viepiú del domestico che del
salvatico teneva. E veggendolo si verdeggiante e
bello, fra sé stesso deliberò quello ascendere, ed
ivi abitare e la vita sua finire. Dimorando adunque
l'asino in questo pensiero, guatava intorno se da
alcuno fusse veduto; né vedendo alcuno che noiar lo
potesse, animosamente salí il monte; e con molto
diletto e piacere si pose a pascolare, ringraziando
tuttavia Iddio che liberato l'aveva dalle mani
dell'iniquo e crudel tiranno, e che sí ottimo cibo
per sostentamento della sua misera vita trovato
aveva. Abitando il buon asino sopra il monte e pascendosi di morbide e minute erbe, tenendo tuttavia il basto sopra 'l dorso, ecco un fiero leone uscire d'una cieca caverna; e veduto l'asino e quello attentamente mirato, molto si maravigliò ch'egli avesse avuto tanta arroganza e tanto ardire di ascendere il monte senza sua licenza e saputa. E perciò che il leone per l'adietro non aveva mai veduti di tal spezie animali, temette forte di piú innanzi andare. L'asino, veduto il leone, si sentí arricciare tutti i peli; e per la súbita paura cessò di mangiare, né ardiva pur di moversi. Il leone, preso pur ardire, fecesi inanti e disse all'asino: — Che fai tu qua, o buon compagno? Chi ti ha data licenza di salir qua su? E chi sei tu? — A cui l'asino insuperbito con ardito animo rispose: — E chi se' tu che m'addimandi chi sono io? — Il leone, maravigliandosi di tal risposta, disse: — Io son il re di tutti gli animali. — Disse l'asino: — E come ti chiami per nome? — Rispose egli: — Leone è il nome mio: ma il tuo come si appella? — Allora l'asino, fatto piú animoso, disse: — Ed io mi chiamo Brancaleone. — Questo udendo, il leone disse — Costui veramente debbe esser piú possente di me. — Disse il leone: — Brancaleone, il nome e 'l parlar tuo chiaramente mi dimostra che tu sei piú possente e piú gagliardo di me; ma voglio che noi facciamo alcuna isperienza. — Allora crebbe maggior ardire all'asino; e volte le natiche contra del leone, disse: — Vedi tu questo basto e la ballestra ch'io tengo sotto la coda? s'io te la facessi provare, tu morresti di spasmo. — E cosí dicendo trasse una coppia di calzi nell'aria e mollò alquante rocchette, che fecero il leone stordire. Sentendo il leone il gran rimbombo di calzi e 'l crepitante tuono che fuor della ballestra usciva, grandemente si spaventò. E perché omai s'approssimava la sera, disse il leone: — Fratello mio, io non voglio che facciamo parole tra noi, né che s'uccidiamo; perciò che non è la peggiore cosa che 'l morire: ma voglio che andiamo a riposarci, e venuto il sequente giorno, noi saremo insieme, e tra noi faremo tre famose prodezze; e qual di noi in farle sará superiore, quello fia del monte signore. — E cosí rimasero d'accordo. Venuta la mattina, e trovatisi insieme, il leone, che desiderava di veder alcuna prodezza, disse: — Brancaleone, io sono acceso del tuo amore, né rimarrò contento sin a tanto ch'io non vegga alcuna mirabil prova di te. — E camminando insieme, aggiunsero ad un fosso molto largo e profondo. Disse il leone: — Ora è il tempo che noi vediamo qual di noi salterá meglio questo fosso. — Il leone, ch'era gagliardo, non sí tosto s'appresentò al fosso, che fu dall'altra parte. L'asino, appresentandosi alla sponda del fosso, animosamente saltò; ma nel saltare cadde in mezzo del fosso, e sopra alcune legna traversate attaccato rimase. Stava l'asino sospeso tra quelle legna, e parte su l'uno de' lati, e parte su l'altro pendeva; ed era in grandissimo pericolo di fiaccarsi il collo. Il che vedendo, il leone disse: — Che fai, compagno mio? — Ma l'asino, che se n'andava a piú potere, non rispondeva. Il leone, temendo che l'asino non morisse, discese giú nel fosso, e prestògli aiuto. L'asino, uscito fuori d'ogni periglio, prese maggior ardire; e voltatosi contra il leone, gli disse tanta villania, quanta si potesse mai dire a persona alcuna. Il leone, attonito di tal cosa, molto si maravigliò, e addimandollo per qual ragione sí fieramente il villanniggiava, avendolo sí amorevolmente campato da morte. L'asino, dimostrando che fusse acceso di sdegno, superbamente rispose: — Ahi, scelerato e tristo, tu m'addimandi perché ti villaneggio? Sappi che tu m'hai privo del piú soave piacere che mai io avesse a' giorni miei. Tu pensavi che io ne morisse, e io me ne stava in gioia e diletto. — A cui il leone: — E che piacere era il tuo? — Io, — rispose l'asino, — mi era posto sopra quelle legna, e parte pendeva da un lato e parte da l'altro; e voleva in ogni modo sapere qual mi pesava piú, il capo o la coda. — Disse il leone: — Ti prometto sopra la fede mia di non molestarti piú in conto alcuno, e fin'ora veggo e chiaramente conosco che del monte sarai patrone. — Indi partiti, aggiunsero ad un fiume largo e impetuoso; e disse il leone: — Voglio, Brancaleone mio, che l'uno e l'altro di noi dimostra il valor suo nel varcar il fiume. — Io ne son contento, — disse Brancaleone; — ma voglio che tu sii il primo a valicare. — Il leone, che sapeva ben nuotare, con molta destrezza varcò il fiume; e postosi sopra la sponda del fiume, disse: — Compagno, che fai? varca ancor tu, — L'asino, veggendo di non poter mancare della promessa, si gettò nell'acqua, e tanto nuotò, che venne a mezzo del fiume; e costretto dal ravogliamento dell'acqua, ora andava col capo in giú e ora coi piedi, e ora sí fattamente si sommergeva, che di lui nulla o poco si vedeva. Il che veggendo il leone e le ingiuriose parole nell'animo rivogliendo, da un canto molto temeva soccorrerlo, da l'altro temeva che, liberato, non l'uccidesse. Laonde stando tra il sí e 'l no, determinò, intravenga ciò che si voglia, d'aiutarlo. Ed attuffatosi nell'acqua, se gli accostò appresso; e presolo per la coda, tanto tirò, che lo condusse fuor d'acqua. L'asino, vedendosi sopra la riva del fiume e giá sicuro delle minacciose onde, tutto si turbò; e d'ira acceso, ad alta voce disse:— Ahi, tristo! ahi, ribaldone! non so che mi tenga che io non scocchi la ballestra mia, e ti facci sentire quello che non vorresti. Tu sei la mia seccagine e la privazione d'ogni mio piacere. E quando, misero me, arrò il maggior solazzo? — Il leone, piú timoroso che prima divenuto, disse: — Io, compagno mio, fortemente temeva che tu non t'affocassi nel fiume, e però venni e ti aiutai, pensando di farti cosa grata e non spiacere. — Or non dir piú, — disse l'asino; — ma una sol cosa desidero da te sapere: qual frutto, qual utile hai tu conseguito del tuo varcare il fiume? — Nulla, — rispose il leone. — Ma l'asino, voltatosi, disse: — Guata bene se nel fiume sentiva piacere. — E crollatasi la persona e l'orecchie, che erano piene di acqua, li mostrò i pesciculi e gli altri animaletti che uscivano delle sue orecchie; e dolendosi disse: — Vedi tu quanto error facesti? Se io me n'andava al fondo del fiume, prendeva, con grandissimo mio piacere, pesci che ti arebbeno fatto stupire. Ma fa che per l'innanzi piú non mi annoi; perciò che di amici veniressimo nemici, e sarebbe il peggio per te. Ed avenga che morto mi vedesti, non però voglio che tu te ne curi punto; perciò che quello che ti parrá in me morte, sará in me piacere e vita. — Oramai il sole per la sua partita dopplicava le ombre, quando il leone al compagno fece motto che l'uno e l'altro andasse a riposare, ritrovandosi però insieme la mattina sequente. Venuto il chiaro giorno, l'asino e il leone si ritrovarono insieme, ed ivi determinarono d'andare alla caccia, ma uno in uno luoco e l'altro nell'altro, e poscia ad una medesima ora ritrovarsi insieme: e qual di loro avrá preso maggior numero di animali, il monte sia suo. Il leone, andato in preda, prese molte fiere salvatiche; ma l'asino, trovato l'uscio d'una casa aperto, entrò dentro; e veduto nell'aia un grandissimo cumolo di melega, a quello s'avicinò, e tanta ne prese, che quasi il pancirone era per scoppiare. Ritornato l'asino a l'ordinato luoco, si mise a posare; e per la gran pienezza spesso scoccava la ballestra, la quale ora s'apriva, ora si serrava, a guisa della bocca di un gran pesce ch'è fuori del fiume in secca terra. Vedendo una gracchia, che per l'aria volava, l'asino in terra prostrato giacere, né punto muoversi, che morto pareva, e vedendo sotto la coda la mal digesta melega e le natiche tutte imbrattate di sterco, scese giú e cominciò beccare; e tanto innanzi se n'andò, che pose il capo dentro delle natiche. L'asino, sentendosi beccare nel forame, chiuse le natiche; e la gracchia col capo dentro presa rimase, e se ne morí. Tornato il leone con la gran preda al diputato luogo, vide l'asino giacere in terra; e dissegli: — Vedi, compagno mio, gli animali ch'io presi? — Disse l'asino: — In che modo facesti a prenderli? — Il leone raccontò il modo che tenuto aveva. Ma l'asino interrompendolo disse: — O pazzo e privo di senno! tu ti affaticasti tanto stamane circondando i boschi e le selve e i monti, e io me ne sono stato qui d'intorno; e prostrato a terra, con le natiche presi tante gracchie e tanti altri animali, che mi sono, come tu vedi, lautamente pasciuto. E questa sola mi è rimasta nelle natiche, la quale a tuo nome riservai, e pregoti che per amor mio la prendi. — Allora il leone maggiormente si paventò; e presa la gracchia per amor dell'asino, quella tenne, e senza dir altro, ritornò alla preda. E camminando di galoppo, non però senza timore, s'incontrò nel lupo che molto in fretta se n'andava. A cui disse il leone: — Compare lupo, dove andate, cosí soletto, in fretta? Rispose il lupo: — Io me ne vo per un servigio molto importante. — E pur il leone cercava intrattenerlo; ma il lupo, temendo della vita, fortemente instava che no 'l tenesse a bada. Il leone, vedendo il gran pericolo nel quale incorreva il lupo, sollecitava che piú innanzi andar non dovesse: — perché poco discosto di qua vi è Brancaleone, animal ferocissimo, il quale porta una ballestra sotto la coda che mena gran vampo, e mal è per colui che sotto s'abbatte. Ed oltre ciò ha certa cosa di pelle sopra il dorso, che in maggior parte lo copre, ed è di pelo biso; e fa gran fatti, e paventa ciascuno che se gli avicina. — Ma il lupo, che per gl'indizi dati apertamente s'accorgea qual fusse l'animale di cui il leone parlava, disse: — Compare, non abbiate timore; perciò che egli s'addimanda l'asino, ed è il piú vil animale che la natura creasse, e non è da altro se non da soma e da bastone. Io solo a' giorni miei ne divorai piú d'un centenaio. Andiamo dunque, compare, sicuramente, e vederete la prova. — Compare, — disse il leone, — io non voglio venire; e se voi vi volete andare, andatene in pace. — E pur replicava il lupo che il leone non avesse timore. Vedendo il leone il lupo star fermo nel suo pensiero, disse: — Poscia che voi volete che io venga con voi e mi assicurate, voglio che s'avinchiamo le code strette l'una con l'altra, acciò che, come sará da noi veduto, non scampiamo, né alcun di noi rimanga in podestá di lui. — Annodatesi strettamente le code, andarono a ritrovarlo. L'asino, che in piedi era levato e di erba si pasceva, vide dalla lunga il leone e il lupo, e molto smarrito volse fuggire; ma il leone, dimostrando Brancaleone al lupo, disse: — Eccolo, compare: egli viene verso noi; non l'aspettiamo, che veramente moriremo. — Il lupo, che aveva allora l'asino veduto e conosciuto, disse: — Affermiamosi, compare; non dubitate, che egli è l'asino. — Ma il leone, piú timoroso che prima, si mise a fuggire; e cosí correndo per duri dumi, or saltava una macchia, or l'altra; e nel saltare, una pungente spina li cavò l'occhio sinistro. Il leone, credendo la spina stata fusse una di quelle artigliane che Brancaleone sotto la coda portava, disse, correndo tuttavia, al lupo: — Non te lo dissi io, compare: scampiamo? Non mi ha egli cavato un occhio con la sua ballestra? — E sempre piú forte correndo, strascinava il lupo e menavalo per ispidi dumi, per ruinati fossi, per folti boschi e per altri luochi stretti ed aspri. Per il che il lupo tutto franto e rotto se ne morí. Il leone, quando li parve di essere in luogo sicuro, disse al lupo: — Compare, ormai è tempo che si disciogliamo le code; — ed egli nulla rispondeva. E voltatosi verso lui, vidde che era morto. Onde attonito disse: — Compare, non ve lo dissi io, che 'l vi ucciderebbe? Vedete quello avete guadagnato? Voi avete perduta la vita, ed io l'occhio sinistro; ma meglio è aver perduta una parte che 'l tutto. — E sciolta la coda, lasciò il lupo morto, e andossene ad abitar le grotte; e l'asino rimase signore e possessore del monte: dove lungo tempo allegramente visse. Di qua procede che gli asini abitano i luoghi domestici, ed i leoni i luoghi inabitabili e silvestri; perciò che il vil animale con sue astuzie e fraudi avanzò il feroce leone. |
In
Arcadia, a region of the Morea which
gets its name from Arcadius, the son of Jove, a
land in which was first discovered the rustic
woodland shepherd's pipe, there dwelt in times
now long past a certain miller, a brutal and
cruel fellow, and one so irascible by nature
that it needed but very little provocation to
produce in him a violent access of rage. This
man was the owner of an ass with long ears and
down-drooping lips, who, whenever he raised
his voice, would make the whole plain re-echo
with the sound of his braying. This poor
ass, on ac count of the niggardly provender he
got from the miller, both in eating and in
drinking, was no longer able to undergo the hard
work of the fields, or to endure the cruel
beatings with the stick which his barbarous
master was for ever inflicting upon him.
Wherefore the wretched animal presented such a
picture of lean and wasted misery that one could
see nothing but his hide stretched over his
miserable bones. One day it happened that the
poor ass, exasperated beyond endurance by the
many and heavy blows which were rained upon him
every day by his cruel master, and by the scant
supply of food he received, took flight from the
miller, and went off bearing his pack-saddle
still on his back. |
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TESTO |
Giovan
Francesco Straparola, Le piacevoli notti, a
cura di Giuseppe Rua; Bari: Gius. Laterza e Figli
Tipografi-Editori-Librai, 1927; Notte decima, favola
II. Vedi anche: Le piacevoli notti. A cura di Donato Pirovano. Roma: Salerno Editrice, 2000. 2 Tomi. Tomo II, pp. 625-635. |
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TRADUZIONE ITALIANA |
© Adalinda
Gasparini (Firenze: Giunti 1996), da Giovan
Francesco Straparola (1554–1557) Le piacevoli
notti. Notte decima, favola II. |
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TRADUZIONE
INGLESE |
The
Facetious Nights of Straparola. Translated by W.
G. Waters; illustrated by E. R. Hughes A.R. W.S.
London: Lawrence and Bullen 1894.
http://www.surlalunefairytales.com/facetiousnights/night10_fable2.html;
consultato il 15 ottobre 2018. Non accessibile il 28
marzo 2024. |
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IMMAGINE |
Phryx
Aesopus Habitu Poetico, by Hieronymus Osius,
1574. Fonte: http://mythfolklore.net/aesopica/osius/181.htm; ultimo accesso: 28 marzo 2024. |
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NOTE |
Questa fiaba riprende un motivo
della mitologia classica: durante la guerra fra
gli dei olimpici e i giganti, l'asino di Sileno,
terrorizzato, si mise a ragliare tanto
fragorosamente che mise in fuga i giganti,
convinti che una tale voce appartenesse a un
mostro immane e invincibile schierato contro di
loro dagli dei olimpici. (Fonte: Dizionario
della favola o mitologia greca, latina, egizia,
celtica, persina, siriaca, indiana, chinee,
maomettana ... vedi: http://www.alaaddin.it/biblio/index.html#NOEL) Il motivo del confronto fra animali così diversi è presente anche in altri Paesi, ad esempio in Birmania. La fiaba mostra come l'astuzia vinca la forza, e come il desiderio possa affermarsi a dispetto del senso comune: si tratta del messaggio opposto a quelle dell'apologo di Esopo, dove la superiorità del leone ridicolizza le sciocche pretese dell'inferiore asino. Da una parte, la possibilità di riscatto, dall'altra, l'ordine dato dalla forza. Nel mondo delle fiabe, come nella realtà psichica, non vige il principio di non contraddizione. Né vige nei proverbi, per i quali è vero che l'unione fa la forza, non meno che chi fa da sé fa per tre. |