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GASPARINO MEDICO DE' PAZZI
POGGIO BRACCIOLINI
FACEZIE - 1470 - II
GIROLAMO MORLINI
NOVELLAE - 1520 - LXXVII
GIOVAN FRANCESCO
STRAPAROLA
LE PIACEVOLI NOTTI - 1553 - XIII, I
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ADALINDA GASPARINI
PSICOANALISI E FAVOLE
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POGGIO BRACCIOLINI
FACEZIA II
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GIROLAMO MORLINI
NOVELLA LXXVII
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GIOVAN FRANCESCO STRAPAROLA
XIII NOTTE FAVOLA I
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Eravamo
in molti a discorrere di quella vanità, per
non chiamarla stoltezza, che certuni hanno
di mantenere cani e falchi per la caccia.
Allora saltò su Paolo fiorentino a dire: —
Aveva proprio ragione di ridere di loro quel
matto di Milano. — E poichè noi lo pregammo
di raccontarci la storia: “Fuvvi, una
volta,” egli disse, “un cittadino milanese
che faceva il dottore a’ dementi ed a’ pazzi
e che prendeva a guarire in un certo tempo
coloro che erano affidati alla sua cura.
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Pater,
unicum habens filium, illum in Patavinum
gymnasium, ut litteris operam navaret,
destinavit. Qui, quum debuisset eruditus
fieri, ludendo ac cum nonnullis obscoenis
pueris consuetudinem habens, et pecuniam et
tempus incassum consumpsit; immo, quum
debuisset in Galena facultate proficere,
parum et, ut rectius dicam, nihil profecit.
Cum dicto, filius, accepta pecunia, patri
allubescens facessit.
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Trovavasi
in Inghilterra un padre di famiglia molto
ricco, e aveva uno solo figliuolo, nomato
Gasparino. Lo mandò in studio a Padova,
acciò che desse opera alle lettere. Ma egli,
poco curandosi di lettere non che di
sopravanzare gli altri studenti di dottrina,
tutto il studio avea posto in giuocar alle
carte e altri giuochi, praticando con certi
suoi compagni dissoluti e dediti alle
lascivie e mondani piaceri. Onde consumò il
tempo indarno e i danari, che dovendo
studiare in medicina e l’opere di Galeno,
egli studiava la bocolica e le cartelle da
giocare, e di darsi piacere in tutte quelle
cose che gli dilettavano.
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Sicque quinquennio peracto in
patriam remeans, experientia ordine
retrogrado didicisse ostentavit : nam quum
volebat Romanus esse, barbarus aut Chaldaeus
censebatur a cunctis. Quamobrem omnibus
ridiculus, totae civitati notus, ac
conspicuus digitis hominum nutibusquc
notabilis erat, ita quod omnes populi in eo
dumtaxat fabulabantur. Quantus igitur
miserrimo patri cordi dolor inesset, vobis
cogitandum remitto; nam, quum maluisset
filium potius pecuniam ac panem, quam oleum,
perdere ut proficeret, utrumque amisit, et
pro doctore filium asellum habuit. Qua de
re, volens immensum ejus dolorem diminuere,
filium accersivit, et, apertis
gazophiylaciis suis, eidem quam nec merebat
medietatem suarum fortunarum tradidit,
dicens:
- Sumito,fili mi, symbolum haereditatis
paternae; a me profugus accedito, nam mihi
cordi est potius absque pignore quam tecum
sub infamia remanere.
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E passati cinque anni, ritornò
alla patria, e mostrò per isperienza aver
imparato all’indietro perchè, volendo egli
parer romano, era riputato da tutti barbaro
e caldeo, ed era conosciuto da tutta la
città e mostravasi a dito dagli uomini, di
modo che di lui tutti favoleggiavano. Quanto
dolore fusse al misero padre, lasciolo
considerare a voi, perchè, conciosia cosa
ch’egli più tosto avesse voluto perdere i
danari e il pane che perder l’oglio per far
il figliuolo valente, perse l’uno e l’altro.
Per il che volendo il padre mitigare il suo
grandissimo dolore, chiamò a sè il
figliuolo; e aperto il scrigno de’ suoi
danari e gioie, li consegnò la metà de’ suoi
beni, la qual nel vero non meritava,
dicendogli:
- Togli, figliuol mio, la tua parte della
paterna eredità, e vanne lontano da me,
perchè voglio più tosto rimaner senza
figliuoli, che viver teco con infamia.
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Ed ecco in qual modo egli la
faceva: aveva in sua casa una corte dove era
uno stagno di acqua sporca e fetente, nel
quale, legati ad un palo egli immergeva i
matti che gli conducevano; e alcuni fino a’
ginocchi, alcuni altri fino alle anche,
qualcun altro anche più profondamente,
secondo la gravezza del male, e li teneva a
macerare nell’acqua e nell’inedia fino a che
paressergli risanati.
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Cum dicto, filius, accepta
pecunia, patri allubescens facessit. Et quum
longius a patre in ingressum cujusdam
sylvae, ubi amnis immensus magno alveo
defluebat, pervenisset, domum magnam ac
frequentem, mirabili impendio Carysteo
lapide crustatam, aedificavit, in eaque
aeratas fores apposuit, illamque undique
flumine ambivit. In medio, intra rivulum et
domum, nonnullas exstruxit atque disposuit
lacunas, in quibus gradatim aqua fluebat, ad
modum integri hominis, ad oculos, ad os, ad
guttur, ad puppes, ad umbilicum, ad coxas,
ad crura, et quidem qualibet in harum catena
infixa videbatur. Supra limitem ostii edidit
titulum: LOCUS. INSANORUM CURANDORUM.
Quae domus quum undique nota esset, eam
stulti omni ex latere magno coetu
celebrabant, immo, ut rectius dicam, in eam
pluebant. Magister illos, pro modo
stultitiae, in lacunis alligabat, et tum
verberibus, tum vigiliis et abstinentia, tum
subtilitate aeris et moderamine, illos
pedetentim ad pristinum reducebat sensum.
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Più tosto che non s’è
detto, il figliuolo, tolti e danari,
volentieri, ubidendo al padre, si partì; ;
ed essendosi molto allontanato da lui,
pervenne all’ingresso d’una selva, dove
scorreva un gran fiume. Ivi edificò egli un
bel palazzo di marmo con maraviglioso
artificio, con le porte di bronzo,
facendogli andare il fiume a torno a torno:
e fece alcune lagune con gli registri delle
acque, quelle accrescendo e minuendo secondo
che gli aggradiva. Onde ne fece alcune dove
entravano l’acque tanto alte quanta è
l’altezza d’un uomo: altre che avevan
l’acque fino a gli occhi, altre fino alla
gola, altre fino alle mammelle, altre fino
all’ombelico, che fino alle coscie, che fino
alle ginocchia. Ed a cadauna di queste
lagune vi aveva fatto porre una catena di
ferro. E sopra la porta di questo luogo vi
fece fare il titolo che diceva: LUOGO DA
SANARE I PAZZI.
Ed essendo divulgata la fama di questo
palazzo, per tutto si sapeva la condizione
di quello. E per tanto convenivano i pazzi
da ogni parte in gran numero per sanarsi;
anzi, per parlar più drittamente, vi
piovevano. Il maestro, secondo la pazzia
loro, li poneva in quelle lagune; e alcuni
di quelli curava con busse, altri con
vigilie e astinenzie: e altri per la
sottigliezza e temperanza dell’aere a poco a
poco riduceva al pristino loro intelletto.
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Gli fu tra gli altri una volta
condotto un tale, che egli mise in quel
bagno fino alle cosce, e che dopo quindici
giorni ritornò alla ragione e pregava il
medico di toglierlo da quel pantano; e
questi lo tolse dal supplizio a patto però
che non uscisse dalla corte; e quando ebbe
per qualche giorno obbedito, lo lasciò
passeggiare per tutta la casa, a condizione
che non uscisse dalla porta sulla via:
intanto i colleghi del matto erano sempre
nell’acqua, e il matto osservò
diligentemente gli ordini del medico.
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Ante fores et in cavo aedium
amplissimo, quamplurimi adstabant stulti
atque fellicones, qui flagrantia solis
calefaciebantur.
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Innanzi alla porta e nella
spaziosissima corte vi erano alcuni pazzi e
uomini da niente, i quali per la gran
calidità del sole percossi, erano
grandemente afflitti. |
Una volta che egli stava sulla
porta, nè per timore della fossa osava di
passarla, vide venire un giovine cavaliere
col falco sul pugno, e due di que’ cani che
servono per la caccia; e poichè non aveva
memoria delle cose avvenute o viste prima
della follia, gli parve cosa nuova, e lo
chiamò a sè; e il giovine venne:
- Ohè tu, gli disse, ascoltami un poco e
rispondimi se ti piace: Che è la cosa su cui
stai, e per che uso ti serve?
- È un cavallo, rispose, e l’ho per la
caccia.
- E l’altra cosa che hai sul pugno come si
chiama essa e a che è buona?
- È un falco educato alla caccia delle
arzavole e delle pernici.
E il matto:
- E quelli che ti accompagnano chi sono e a
che ti giovano?
- Sono cani, disse, ammaestrati a snidare la
selvaggina.
- Sta bene, ma codesta selvaggina per la
quale tu hai pronte tante cose, che prezzo
ha quando tu ne abbia cacciato per un anno
intero?
- Poco ne so, rispose, ma non credo più di
sei ducati.
- E quanto spendi tu nei cani, nel falco e
nel cavallo?
- Cinquanta ducati.
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Et ecce venator advenit,
accipitrem afferens, multitudine canum
circumdatus. Quem quum primum visere insani,
rimabundi, alter ipsorum, quae avis illa
erat, et an decipula capta, quid de ea
conficiebatur, a venatore sciscitatus est.
Festinanter replicavit venator:
- Haec avis accipiter rapacissima
appellatur: isti vero canes coturnices,
comestibiles aves, pingues atque sciti
saporis; inquirunt; iste accipit; illas ipse
edo.
Tunc stultus:
- Quaeso, dic mihi quanti mercatus es illos?
Venator:
- Decem aureis equum, tribus accipitrem,
duobus canes emi; in alendo quidem singulis
annis viginti impendo.
- Amabo, quantus est numerus valorque
coturnicum quas interficis?
Venator:
- Ducentas capio pretii duorum aureorum, ad
minus.
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Avenne che di li passò un
cacciatore che portava il sparaviere in
pugno, circondato da gran moltitudine de
cani. Il quale subito che vide questi pazzi,
maravigliandosi che così cavalcasse con
uccelli e cani, gli addimandò uno di loro
che uccello fosse quello ch’egli portava in
pugno, e se forse era una trappola, over
calapio da uccelli, e a che effetto lo
nodriva egli. Risposegli subito il
cacciatore:
- Questo è un uccello molto rapace, e
chiamasi sparaviere; e questi sono cani che
vanno cercando le quaglie, uccelli grassi e
di buon sapore. Quest’uccello le prende, e
io le mangio. All’ora il pazzo dissegli:
- Deh, dimmi, priegoti, per quanto prezzo
hai tu comperato questi cani e sparaviere?
Risposegli il cacciatore:
- Per dieci ducati comprai il cavallo, per
otto lo sparaviere e per dodeci li cani: e
in nodrirgli spendo ogni anno da venti
ducati.
- Deh dimmi, per tua fè, - disse il pazzo, -
quante sono le quaglie che prendi all’anno,
e quanto vagliono?
Rispose il cacciatore:
- Io ne prendo più di dugento, e vagliono
per lo meno ducati duo.
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Allora meravigliato della pazzia
del giovane cavaliere:
- Oh! oh! disse, va’ lontano di qui tosto
prima che il medico torni a casa; perchè se
ti trova qui, come se fossi tu il più stolto
fra i viventi, ti getterà nella fossa per
curarti cogli altri matti, e come non fa
cogli altri ti metterà nell’acqua sino alla
gola.
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Tunc stultus (sapiens in hoc)
magna voce clamavit:
- Fuge, fuge, insipiens! quinquaginta pro
duorum lucro expendis, et, quod nec dixisti,
tempus inaestimabile consumis. Fuge,
hercule! fuge! nam, si magister hic te
comprehendit, vereor te ea in lacuna locari,
in qua absque dubio submersus ac paene
mortuus remanebis: nam ego stultus te omnium
stultissimorum stultissimum censeo!
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Alzando all’ora la voce il
pazzo, — ma certamente non pazzo in questa
cosa, anzi dimostrava egli esser savio — :
- Fuggi, gridava, fuggi, pazzo che sei; chè
tu spendi cinquanta ducati all’anno per
guadagnarne duo, oltre che non hai detto il
tempo che vi consumi. Fuggi, per Dio, fuggi;
che se ’l maestro ti trova quivi, mi dubito
che ti porrà in una laguna, dove senza
dubbio sommerso e quasi morto rimarrai.
Imperocchè io, che sono pazzo, giudico che
sei più stolto di quelli che son
stoltissimi.
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Mostrò così che la passione per
la caccia è stoltezza se non è de’ ricchi o
per esercizio del corpo.
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Novella indicat omnes stultos
venatorem excedere; illum dico qui, quum non
habeat unde vivere, venando et pecuniam et
tempus amittit.
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RIFERIMENTI
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Poggio
Bracciolini, Facezie, Traduzione
italiana di Anonimo, Carabba Editore:
Lanciano 1884.
https://it.wikisource.org/wiki/Facezie_(Poggio_Bracciolini)/2;
ultimo accesso: 11 febbraio 2024.
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Hieronymi
Morlini, Novellae, Fabulae,
Comediae. Apud P. Jannet: Parigi 1855.
Trascrizione di Edoardo Mori, Bolzano 2017
https://www.mori.bz.it/Rinascimento/morlino.pdf
ultimo accesso: 11 febbraio 2024. |
Le
piacevoli notti. A cura di Giuseppe
Rua.Romagnoli: Bologna 1899
https://it.wikisource.org/wiki/Le_piacevoli_notti/Notte_XIII/Favola_I;
ultimo accesso: 11 febbraio 2024.
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Vedi
anche: Girolamo Morlini, Novelle e favole. A
cura di Giovanni Villani. Salerno Editrice:
Roma 1983.
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Vedi
anche: Giovan Francesco Straparola, Le
piacevoli notti. A cura di Donato
Pirovano. Roma: Salerno Editrice 2000. 2
tomi.
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NOTA
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Già
nel Cinquecento si praticavano
l'idroterapia e l'elioterapia, oltre alle
busse,
vigilie e astinenzie. Interessante
la vicenda di Gasparino, che se la spassa
invece di studiare, e poi con i soldi che
gli dà il padre deluso, dicendogli di
andarsene per sempre, mette su una clinica
dove cura i matti, che possono anche
parlare con chi si avvicina al palazzo
casa di cura ideato e diretto da
Gasparino. |
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Online dal 25 maggio 2021
ultimo aggiornamento: 22 marzo 2024
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