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Si dice che
c'era una volta un re che aveva una sola figlia,
senza un fratello, senza una sorella, e lei per
avere qualcuno con cui giocare si era fatta fare una
bambola uguale identica a lei, col suo stesso viso,
della stessa altezza. Ovunque andasse portava con sé
la sua bambola, e guai a chi gliela toccava!
Ecco
che una volta il re andò a caccia, e la
principessa volle andarci anche lei, ma quando
furono nel bosco i nemici li assalirono, uccisero
il re e fecero prigioniera la figlia. La portarono
con sé lontano e poi l'abbandonarono.
La poverina non
sapeva dove andare e cammina cammina giunse alla
corte di una regina ed entrò al suo servizio. Era
tanto brava che la regina la prese a benvolere, e
preferiva lei a tutte quelle che la servivano da
tanto tempo. Queste
cameriere erano arrabbiate, e si dissero: – Questa ragazza è troppo
favorita; dobbiamo trovare uno stratagemma per
sistemarla come merita.
Così
le dissero:- O bella fanciulla, la nostra padrona ti vuole molto bene e ti racconta tutto, ma non ti ha ancora detto una cosa che noi sappiamo: aveva un unico figlio, ed è morto. Allora lei senza malizia disse alla sua signora: – È vero che avevi un figlio bello che è morto? Allora la regina ebbe un malore, e c'era la pena di morte per chi nominava suo figlio davanti a lei, ma siccome era una donna la fece gettare in una prigione sotterranea. Disse poi ai servitori che se non avesse toccato cibo avrebbero dovuto farla risalire. La ragazza in prigione non fece altro che piangere e quando venne la notte non aveva mangiato nulla. A mezzanotte sentì che la porta si apriva, e vide entrare nella stanza cinque uomini: quattro maghi e un bel giovane tutto legato, che era il figlio del re. Lo slegarono e lo lasciarono così fino a che restarono nella stanza, poi, quando rintoccarono le tre, lo legarono di nuovo. Il principe disse alla fanciulla: – Devi dire a mia madre che mi mandi giù dodici uomini armati di sbarre di ferro, dille che sono vivo e che tu puoi salvarmi. Al mattino i servitori andarono a chiamare la regina e le dissero che la giovane non aveva toccato cibo. Lei allora ordinò che la portassero su e lei le disse quello che aveva detto quel giovanotto nella prigione. Allora la regina la rimandò nel sotterraneo con i dodici uomini, che a mezzanotte si scontrarono con i maghi e li ammazzarono con le sbarre di ferro, poi risalirono con il principe e con la fanciulla, e lui la voleva sposare, ma lei non volle accettare altro che una borsa d'oro e un vestito da uomo. |
An
mentre che ir papagal u diva ist parole u sent a
pstichè ra porta da culla vegia ; pirché cull
zuvnott u i heiva dicc che s’a ’n fa nenta avnì
culla mujè d’ cull re, chille u ra massa. Dunca r’ è
avnija a ciamèra ch’ r’andeiss, ch’ a n’ i feiss
nenta ist tort: ma ir papagal u diva dlung : – «
Staje nenta andè, staje nenta andè, dije ch’ it’ hai
mà a ra testa. » E chirra a i a fa dì dai servitur
c’ a ’n pò nenta andè. Anlura ir papagal l’ ha turna
cuntinuà ra listoria: |
Mentre il pappagallo diceva queste parole si sentì
bussare alla porta, ed era quella vecchia; perché il
giovane re le aveva detto che l'ammazzava se non
faceva in modo che capitasse qualcosa fra lui e la
moglie del re. Ma il pappagallo le disse ancora: – Non ci devi andare, non ci devi andare, dille che ti fa male la testa. Allora lei mandò i servitori a dirle che non poteva proprio accettare l'invito, e il pappagallo continuò a raccontarle la storia: |
« Culla mata
vistija da om r’ è andaja via da cull statt e va che
ti va, r’ è rivaja a ina sittà andanna ch’u jera ïn
fiò du re marave, e ansin medich an manere ninnhe u
l’heiva pussì fè uarì. Chille u va e u dis ch’i ’l
lasseisso stè ina nocc cun cull marave e poi l’aureiva
savì dì s’ u i peiva uarì. A ra meza nocc ist fiò du
re u stravniava cme ïn danà e poi u s’ chietava anvers
a ra matin. Ista dona au schir r’ è andaija sutta au
lecc e r’ ha vist ch’ u j’era in’ atrapaura ch’ r’
andava zì ant ina stansia. Chirra r’ è andaja
zì, r’ a vist ïn curidur e anfund d’ir curidur ïn lim.
Chirra r’ è andaja là e r’ ha vist ina vegia ch’ ra
feiva buje ant ina caudrinnha ir cor d’ir fiò du re,
cull ch’ l’era marave ant cull lecc ; pirchè ch’
l’heiva fà masè so fiò. Ista dona r’ ha dicc che
chirra asse r’ era cuntra a cull baloss e che bsugnava
fèle murì. E i han cumbinà d’ andè ans’ u lidman ans’
ir calè d’ l’ ura a fè ïna mrendetta e poi fè murì ir
fiò du re. Ans’ u lidman u leva sì ir pare d’ cull fiò
e u dis cm’ era andaja ar marave ? E ir medic : – «
ben, ma aj’ ha bsogn dui amurun d’ vin, ïn cun ra
dromia, l’atir sensa, dir pan e dra cumpanà. » – A ra
seira va da ista dona, a i ha dà da beive e poi quandi
ch’ re staja andrumija a i ha tajà ir col, r’ ha pijà
ir cor d’ ir fiò du re, a i l’ ha dà da mangè ar
marave e l’ è uarì. A ra matin u re so pare, titt
cuntent e titt alegr, l’ ha dicc : – « aj’ heiva
amprumetì me fiò per spus a chi ch’ l’ feiva uarì, si
l’ era ina dona, e si l’era ïn om ra mità d’ ir me
statt ; dunqua vui istarei qui e isarei patrun cme mi
du statt. » – Ma ir medic u n’ a nenta ausì steje e
l’è turna andà via. » |
– Quella ragazza
vestita da uomo lasciò quel reame e cammina cammina
arrivò inuna città dove il figlio del re era malato, e
non c'era più un medico che sapesse qualcosa di utile
per farlo guarire. Lei andò a palazzo vestita da
medico e disse che se la lasciavano per una notte col
malato, al mattino avrebbe detto se poteva guarirlo. A mezzanotte il principe cominciò a stralunare gli occhi come un'anima dannata, e si calmò solo verso il mattino. Nel buio lei si infilò sotto il letto e vide che c’era una botola, dalla quale si scendeva in una stanza, scese e di là vide un corridoio e in fondo al corridoio c'era un lume. Andò in fondo al corridoio e vide una vecchia che faceva bollire in un pentolino il cuore del principe che era a letto malato, perché il principe aveva condannato a morte il figlio della vecchia. Disse alla vecchia che anche lei era nemica di quel birbante e che bisognava farlo morire, così si misero d'accordo che l'indomani, al calar della sera, si sarebbero incontrate per fare una merenda e poi avrebbero ucciso il figlio del re. L'indomani il re padre si alzò e le chiese come andava col principe malato. E il medico rispose: – Bene, ma ho bisogno di due fiaschi di vino, uno con l’oppio e l'altro senza, di pane e di companatico. A sera andò da quella vecchia, le diede da bere e quando fu ben addormentata le tagliò il collo, le prese il cuore del principe, lo fece mangiare al malato e lo guarì. Al mattino il re padre, felice e contento, disse: – Avevo promesso mio figlio in sposo a chi l'avesse guarito, se fosse stata una donna, e la metà del mio regno, se fosse stato un uomo: voi quindi resterete qua e sarete insieme a me il padrone dello stato. Ma il medico non volle restare e si rimise in cammino. |
Anlura ir papagal l’ ha dicc a culla riginnha : – « i turno a pstichè. » Chirra r’ ha mandà i sirvitur a vegghe : e r’ era culla vegia ch’ r’aureiva che ra riginnha r’andeiss a culla festa. Ir papagal u dis : – « an’ staje nenta andè, ch’ u t’ fa murì; faje dì ch’ i n’ t’ pôi nenta andè. » E chirra csì r’ ha fà. Cull zuvnott anlura u i ha dicc a culla vegia : – « si st’ atra vota i n’ t’ fai nenta avnì culla dona, venme manc pì a vegghe, che mi t’ taj ir coll e sta ben atenta ! » – Ir papagal l’ ha poi continuà ra listoria e l’ ha dicc che... |
Allora il
pappagallo disse alla regina:
Il giovane re disse allora alla vecchia: – Sono tornati a bussare. Lei mandò i servitori a vedere, ed era la vecchia che voleva far uscire la regina per andare a quella festa. Il pappagallo le disse: – Non ci devi andare, perché ti farebbe morire, mandale a dire che non puoi andarci. E la regina fece così. – Se la prossima volta non farai in modo che capiti qualcosa con la regina, non venirmi più davanti, perché ti taglio il collo, bada bene! Il pappagallo poi continuò la storia e raccontò che... |
...cull medich
l’ è turna andà ant in’ atra sittà e u j’ era ïn fiò
du re austrijà e u ’n peiva nent parlè. Chille l’a
dicc ch’ l’ è medich e che l’ aureiva stè ina nocc a
sentì cma ch’ r’ andava. E l’ ha vist ch’ a meza
nocc l’ avniva zì da ra fnestra du bell done ch’jero
strije. E avninda là i j’alvavo d’an bucca ina
prejetta e anlura u parlava. A ra matin i andavo via
e ji bitavo culla prejetta an bucca e chille u ’n
parlava pì. So pare a ra matin ra dicc ar medich:–«
cme ch’ra va? » e chille i ha dicc ch’ ra
cminsipiava andè ben, ma che bsugnava stè ancura ina
nocc. A l’atra nocc ecco i turno ir strije, i levo
ra preja e i ra betto ans u lecc. Cull ch’ l’ era
asutt tira, tira, u ra faje case e poi u r’ha piaja.
Vers a ra matin, a cull’ura fisa, cull strije i
heivo da andè via e ra preja i n’ r’ han pì pussìa
truè. A ra matin anlura, andanda ant ra stansia ir
pare d’ cull fiò, chille u i ha dà bundì e l’era
bela che uarì. I l’aureivo tene a ra so curt cull
medich, ma chille u n’ j è aussì stè turna andà
pr’ir mund. »
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...la ragazza
era arrivata in un’altra città dove il figlio
del re era stregato e non poteva più parlare. Lei si
presentò come medico e disse che voleva restare una
notte col malato per capire di che si trattava. E vide
che a mezzanotte entrarono dalla finestra due belle
donne che erano streghe, appena arrivate gli levarono
dalla bocca una pietruzza e il principe si mise a
parlare. Al mattino prima di andarsene gli rimisero la
pietruzza in bocca e lui non parlò più. La mattina seguente il re padre chiese al medico: – Come va? E lei gli disse che il principe stava guarendo, ma doveva passare un'altra notte. La notte tornarono le streghe, gli tolsero la pietruzza dalla bocca e la buttarono sul letto. Lei era nascosta sotto il letto, e allora tirò pian piano le coperte finché fece cadere la pietruzza e la prese. Quando stava per tornare il giorno le streghe dovettero andarsene senza essere riuscite a trovare la pietruzza. E la mattina dopo, quando il re entrò nella stanza, il principe gli diede il buongiorno ed era perfettamente guarito. Il re e il principe avrebbero voluto che il medico restasse a corte con loro, ma lui si rimise in cammino per il mondo. |
Mentr
ch’ir papagal u diva ist parole qui, i turno a
santì a pstichè ra porta da culla dona vegia ch’
ra pariva u diau e r’aureiva per ticc i cunt ch’
r’ andeiss. E ir papagal u diva dlung: – « no,
vaje nent, vaje nent. » Culla vegia avghinda che
proppe a n’ j andava nent a j a dicc ch’ a i daga
dui dî soi cavej ; ma ir papagal a ra fin u i a
dicc ch’a i deiss dui cavej d’ siass e chirra a i
ha dai. Culla vegia andanda a cà r’ ha anstrijà
cui cavej ; e cull siass, anpartindse da chille,
l’ è andà a cà d’ cull zuvnott e u l’ a massà mes,
pirchè u i sautava ans ra testa, ans’ir man,
dapartitt. R’ è avnija culla vegia pir vegghe se
ra dona r’ era avnija e cull zuvnot r’ ha massaja
e csì re finija. |
Mentre il pappagallo
diceva queste parole, sentirono ancora bussare
alla porta quella vecchia indiavolata e in tutti
i modi voleva che la regina andasse con lei. E
il pappagallo diceva sempre:
– Non
andare, non devi assolutamente andare. Quella vecchia, vedendo che non c'era modo di convincere la regina a uscire, le chiese di darle due dei suoi capelli, ma il pappagallo invece le fece dare alla vecchia due fili del setaccio. La vecchia tornò a casa e fece un incantesimo sui capelli, così il setaccio partì dal palazzo reale, raggiunse il giovane re e quasi lo ammazzò saltandogli sulla testa, sulle mani, colpendolo dappertutto. Quando venne la vecchia a vedere se la regina era arrivata, il giovane re l'ammazzò e non se ne sentì più parlare. |
Cull medich antant l’era
andà ant i n’ atra sittà anda ch’ u j’èra ïn fiò
du re ch’ l’ heiva mà, e u guardava dlung
ant ïn armaire. Chirra r’ è andaja là e l’ ha dicc
ch’ l’ era ïn medich e ch’ l’ aureiva fè uarì ir
marave. A meza nocc ist fiò du re u leva sì e u va
a drubì cull armaire. Ista fija a jera adreira a
vegghe cma ch’ ra va, e drubinda l’armaire r’a
vist ra so buata ch’ r’ heiva dlung sircà
dapartitt e a n’heiva mai ausì marièse pir chirra.
Appennha ch’ r’ ha vist ra so buata, chirra r’ ha
dicc: – « oh! ra mè buata! » e ir fiò du re: « oh!
ra mè spusa! » E anlura chirra a s’ è svistija da
om e a s’ è spusaia cun ir fiò du re, pirché
chille l’era anamurà d’ chirra senza vegra,
pensanda che se ra buata r’ era bela, ra patrunnha
ra duviva eise ancur pì bela ; e chirra ra sircava
ra so b uata,
si d’ no an’ s’ mariava nent. »
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E intanto il
medico era arrivato in un’altra città dove il figlio del re stava male, e non faceva altro
che guardare in un armadio. Allora lei si presentò
come medico e disse che
avrebbe guarito il principe malato. A mezzanotte il principe si alzò e andò ad
aprire il suo armadio. Mentre la giovane era
dietro di lui per capire come andava questa
faccenda, nell'armadio aperto vide la sua bambola
che da tanto tempo cercava per il mondo e non
avendola trovata non aveva mai voluto sposarsi.
Appena vide la sua bambola lei disse:
– Oh! la mia bambola! E il figlio del re: – Oh! la mia sposa! Allora lei si tolse gli abiti da uomo e si sposò col
figlio del re, che si era innamorato di
lei prima ancora di vederla, perché aveva
pensato che se la bambola era bella, la sua
padrona doveva essere ancora più bella, mentre
lei cercava la sua bambola e non voleva
sposarsi.
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Adinda ist
parole qui, i sento pastichè ra porta e ir papagal u
dis a coula riginnha: – « l’ è so marì. »
Chirra ra va a vegghe, e ra
veggh so mari ch’ u i dis: – « brava ra me spousa
ch’ in’ t’ ei nent surtija da cà ! e ir
papagal ? » – Ra va a vegghe ir papagal e u n’ jera
pì, u jera un bel zuvnott. Chirra r’ è armasa
ambrojaja ; ma so marì u i ha dicc:– « ist l’ era ïn
zuvnott che mi ajò bità an cà pir vegghe ra fidiltà
dir done. » A n’ è pì lunga a n’ è pì streccia, chi ch’ u na vò angura, ch’u j na betta. |
Mentre diceva
queste parole, si sentì che bussavano alla porta, e
il pappagallo disse alla regina: – È il tuo sposo. Lei andò a vedere ed era il suo re, che le disse: – Sei stata brava, sposa mia, a non uscire mai dal palazzo reale! e il pappagallo? Lei andò dal
pappagallo e non lo trovò più, perché al suo posto
c'era un bel giovane. Lei rimase confusa, ma il re
le disse:
– Questo era un giovane che io ho fatto venire per vedere la fedeltà delle donne. Non è più
lunga, non è più stretta
chi ne vuole ancora ce la metta. |
RIFERIMENTI |
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FABULANDO. CARTA FIABESCA DELLA SUCCESSIONE |
La bambola smarrita, e-book |
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TESTO |
Domenico Comparetti, Novelline popolari
italiane. Pubblicate ed illustrate da
Domenico Comparetti, volume primo. Ermanno
Loesher, Roma – Torino – Firenze, 1875. Ristampa
anastatica Forni Editore, Bologna 1968. Pp. 7–12.
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TRADUZIONE |
Nostra 2003 |
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IMMAGINI | Pappagallo: May
Colven – Arthur Rackham, 1918 or 1919 – illustration
for Some British Ballads https://singout.org/lady-isabel-and-the-elf-knight-false-sir-john-may-colvin-the-outlandish-knight/; ultimo accesso 10 aprile 2024. Bambola perduta e ritrovata nell'armadio: collage nostro, 10 aprile 2024 |
NOTE |
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Disse poi ai servitori che se non avesse toccato cibo avrebbero dovuto farla risalire. |
Se la principessa non tocca cibo nella prigione sotterranea, potrà risalire: come nella storia di Demetra e Kore. Kore/Proserpina potrà tornare sulla terra dalla madre solo se non avrà toccato cibo durante la sua permanenza nel regno dei morti. Che si tratti di un ambito ultramondano nella fiaba è evidente, anche perché viene detto che il figlio della regina era morto. |
Si era innamorato di lei
prima ancora di vederla, perché aveva pensato che se
la bambola era bella, la sua padrona doveva essere
ancora più bella |
Kalaf si innamora
perdutamente vedendo il ritratto di Turandot, come in
molte fiabe ci si innamora vedendo la semplice
immagine. Non solo, ci si innamora immaginando una
sposa dall'incarnato rosso e bianco, per associazione
con la ricotta macchiata di sangue, come accade nella
fiaba calabrese "La
ricotta janca". La fissazione dell'attante, in questo caso il principe, a un'immagine, rimanda a Narciso, e nella fiaba il distacco dall'immagine avviene quando la fonte stessa dell'immagine si presenta, con una bellezza viva. La principessa della storia, orfana e senza fratelli, non può sposarsi finché non ritrova la propria immagine, la buata, la bambola che aveva costruito per aver qualcuno con cui giocare. Nella ricerca della bambola si traveste, e quasi si trasforma, in uomo, nel medico che incontra immagini maschili incantate, stregate, in sotterranei che rimandano agli inferi. La sua capacità di curare viene dalla sua capacità di scendere nei sotterranei senza mangiare e senza bere, vale a dire nella sua capacità di entrarvi mantenendo la capacità di tornare a pieno titolo in superficie. |
Questo era un
giovane che io ho fatto venire per vedere la fedeltà
delle donne. |
Al tema della
fedeltà, o dell'infedeltà, della donna è dedicata la
storia cornice delle Mille e una notte, e per rendere
possibile l'unione Shahrazad racconta storie al
sultano come il pappagallo nel Panchatantra, raccolta
indoiranica anteriore alla raccolta araba. Come il
Panchatantra si sia trasferito nella storia
piemontese, raccolta da un narratore popolare, è
questione per noi impossibile da risolvere, con o
senza la mediazione delle Mille e una notte. In ogni
caso mostra come le vie dei motivi narrativi siano,
letteralmente, infinite, attraversando senza limiti
confini di spazio, di tempo, sociali, culturali,
linguistici. Si può notare che la spiegazione finale fornita dalla fiaba non spiega la metamorfosi del pappagallo né riguardo all'incantesimo negativo né riguardo al suo scioglimento: il giovane sarebbe stato punito per essersi trovato nella posizione del re rivale, che cercava di rubare la moglie di un altro. Per riavere la sua forma umana avrebbe quindi dovuto difendere la fedeltà di una regina durante l'assenza del suo re. Nelle storie antiche il pappagallo riprende la sua forma umana quando il legittimo sposo torna e trova la moglie fedele. Per le misteriose vie delle favole, e delle lingue, pappagallo designa tuttora un individuo che, in modo insistente e scorretto, molesta le donne per la strada rivolgendo loro frasi o gesti, complimenti e proposte spesso volgari (Vocabolario Treccani, 10 aprile 2024) |
L'immagine del pappagallo che parla
a Khojasta è una miniatura del codice
commissionato da Akbar il Grande, dinastia
Mughal, Impero indiano. Acquerello e oro su
carta, 1565-1570 c.a. https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Parrot_addressing_Khojasta_in_Tutinama_commisioned_by_Akbar,_c1556-1565.jpg L'autore del Tūti-nāma, Ziyā al-Dīn Nahšabī, era un persiano, medico e sufi, emigrato nella città indiana di Bada'un (nell'attuale Uttar Pradesh) nei primi decenni del XIV secolo. Le storie narrate nella raccolta sono collegate da una storia cornice. In questa storia cornice il giovane Maimunis, un commerciante che deve allontanarsi da casa per un viaggio di affari, affida la giovane moglie Khojasta a una coppia di uccelli parlanti, un corvo e un pappagallo, perché tutelino la sua fedeltà. Quando la moglie decide di consolarsi con un amante, il corvo le ingiunge di non commettere un'azione illecita, e viene strangolato. Il pappagallo allora cerca di impedire l'adulterio narrando ogni giorno lentamente e a lungo varie storie, interrompendole e promettendo alla donna di continuare il racconto se la notte rimarrà a casa. Il giorno dopo il pappagallo completa la storia precedente e ne inizia un'altra, interrompendo anche questa volta la narrazione e rimandandone la conclusione all'indomani se la donna avesse trascorso la notte a casa. Questo per 52 volte, finché il marito non ritorna a casa. Il testo del Tūti-nāma è tratto a sua volta dalla raccolta sanscrita Śukasaptati (Settanta racconti del pappagallo), che potrebbe risalire al XII secolo. Si è pensato che Boccaccio conoscesse il Śukasaptati o anche il Pañcatantra e il Talmud, anche in relazione alla novella di frate Cipolla. A noi pare probabile che alcune di queste raccolte, come anche Le mille e una notte, circolassero alla corte napoletana di Roberto d'Angiò, frequentata dal giovane Boccaccio, e che l'influsso maggiore possa averlo avuto la storia cornice, che d'altra parte già circolava nel Libro dei sette savi anche il Sukasaptati è una delle possibili fonti orientali che influirono su Boccaccio per la novella di Frate Cipolla. Le storie del pappagallo, come il Sukasaptati viene anche chiamato, è una collezione di racconti molto diffusi in oriente, che si raggruppano intorno a un racconto-cornice. In questo racconto-cornice è un pappagallo il protagonista, da cui anche il nome della raccolta. Per distogliere la moglie del suo padrone assente da un adulterio, il pappagallo le racconta ogni notte una storia. La donna è affascinata dalle storie e si scorda dell'appuntamento galante mantenendosi così fedele al marito fino al suo ritorno. Poeti indiani, persiani e turchi si sono dedicati a questo tema. Mentre il racconto-cornice è sostanzialmente lo stesso in tutte le versioni, le storie raccontate dal pappagallo si differenziano a seconda dei diversi paesi. (Liberamente tratto da: https://www.rose.uzh.ch/static/decameron/seminario/VI_10/annina/sukasaptati.html; ultimo accesso 10 aprile 2024) |
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Folk-Tales of Bengal by the Rev. Lal Behari Day with 32 illustrations in colour by Warwick. Goble. Macmillan and Co. Limited: London 1912; https://archive.org/details/folktalesofbenga00dayluoft/page/n326/mode/1up; ultimo accesso 10 aprile 2024 | |