ADALINDA GASPARINI              PSICOANALISI E FAVOLE

FIABE ITALIANE ANTICHE, REGIONALI E ALLOGLOTTE

LU BABBORCU

SARDEGNA, CORSO
1981


IL BABBORCO

TRADUZIONE ITALIANA
2010



In  chista bidda vi  isthazìa un babborchu, chi fazia a timì manni e minori. D'ugna santa dì, la jenti li dubia arriggà a magnà umbè di cosi, acchì sinnò si magnaba li pizzinni.
Candu è giunta la dì di la famiglia di chistu Pietrinu, la mamma l'ha ciamaddu e l'ha dittu:
- Tè, Pietri': portha chisthu piattu di ciggioni a babborchu e chista cuazza. Ma mi': no ti fimmà innè eddu e no ti magnà li ciggioni in camminu.
Chistha famiglia era umbè pobara e no era sempri chi abiani di ghi magnà.
Camminendi, lu pizzinnu si fjmmaba ugna tantu a fiaggà li ciggioni e li criscia la fammi l'ischuru.
- No! - dizia. - Mamma mha dittu a no tuccalli nemmancu.
Cammina e intindia lu profummu di la cuazza caldha.
- Mamma mea, canto debi d'assé bona! Ma no possu assaggialla.
E cussì fazi un beddu poggu di camminu. A un zelthu punti dizi:
- Guasi guasi assaggiu a lu mancu un ciggioni... Pa un ciggioni soru, babborchu non sinn'abarà a abizà!
Piglia e n'assaggia unu. Daboi si ni magna un'altrhu, e un altrhu, e un altrhu ancora. Beh, è finidda chi si n'ha linghiddu finza lu piattu.
Daboi passa a la cuazza: un mossareddu abà, un altrhu mossu daboi... cand'è giunto a la casa di l'orchu no vi n'era piu mancu un pezzu.
- Ohi! - dizi. - E abà cumenti fozu? Abà Babborchu mi magna.
Allora cos'ha fattu? Z'è isciddu a un utturinu, undì passabani li crabbi, e ha pianaddu lu piattu di "ciggioni" di crabba. Daboi ha pigliaddu una bedda massadda dì bacca, caldha caldha, e l'ha postha i lu piattu cument' e cuazza.
Z'anda casa di Babborchu e zocca.
- Babbo', prontu è a magnà, mi'! Lu piattu z'è sobra a lu janniri. Eju aggiu chi fa. Bon appetitu!
E z'esci che balla di fusiri a cuassi addareddu a una cantunadda. S'acciara Babborchu, piglia lu piattu e ischumenza a magnà la merdha di crabba.
- Pucci, cantu so mari chisthi ciggioni, oggi! - dizi. Daboi piglia un pezzu di cuazza:
- Chi fiaggu di merdha chi ha chistha cuazza!
C'era una volta un'orco che stava in un paese e faceva paura a grandi e piccini. Tutti i santi giorni la gente gli doveva portare tanta roba da mangiare, perché sennò si mangiava i bambini.
Quando è arrivato il giorno che toccava alla famiglia di questo Pietrino, la mamma l'ha chiamato e gli ha detto:
- Tieni, Pietrino: porta
a Babborco questo piatto di gnocchi e questa schiacciata. Ma guarda di non fermarti da lui e di non mangiare gli gnocchi mentre vai.
Questa famiglia era parecchio povera e non sempre avevano da mangiare.
Cammina cammina, il bambino ogni tanto si fermava ad annusare gli gnocchi e, poverino, la fame gli aumentava.
- No! - diceva. - Mamma m'ha detto di non toccarli nemmeno.
Cammina cammina sentiva il profumo della schiacciata calda.
- Mamma mia, come dev'essere buona! Ma non posso assaggiarla.
E così fece un bel pezzo di strada. A un certo punto disse:
- Quasi quasi, assaggio almeno uno gnocco... Per uno gnocco solo, Babborco non se ne potrà nemmeno accorgere!
Piglia e ne assaggia uno. Poi se ne mangia un altro, e un altro, e un altro ancora. Insomma, andò a finire che leccò anche il piatto.
Poi tocca alla schiacciata: ora un morsino qua, poi un altro morsino di là... quand'è arrivato alla casa dell'orco non ce n'era più nemmeno un pezzettino.
- Ohi, ohi! - dice, - e ora come fo? Ora Babborco mi mangia.
Allora che ha fatto? Ha preso un viottolino, da dove passavano le capre, e ha riempito il piatto di "gnocchi" di capra. Poi ha preso una bella fatta di vacca, ancora calda e fumante, e l'ha accomodata sul piatto come una schiacciata.
Poi va a casa di Babborco e bussa.
- Guarda Babborco, è pronto da mangiare! T'ho messo il piatto sull'uscio. Vo via perché ho da fare. Buon appetito!
E schizza via come una palla di fucile per nascondersi dietro un angolo.
S'affaccia Babborco, piglia il piatto e comincia a mangiare le cacche di capra.
- Ih! come son cattivi oggi questi gnocchi! - dice. Poi piglia un pezzo di schiacciata.
- Che puzzo di merda questa schiacciata!

L'assaggia, e s'abiza di la buglia. Tandu zi lampa tuttu in carrera e vedi Pietrinu fuggendi che leparu.
- Curri, curri Pietrì! - l'ha dittu. - Tantu ti cunnosciu, e chistha notti matessi ti n'abaraggiu a fa pintì d'abemmi buffunaddu.
Pietrinu arribi a casa soia trimurendisi ca luzi d'isthearica. A la mamma non l'ha dittu nudda, timendi d'iscì carrabatesu. La sera s'aza in suffitta e vi s'inserra a ciabi. Ma no ridiscia a drummì e rindia l'arecci pa intindì a Babborchu arrivendi.
A mezzanotti s'intendi i la carrera un ciabottu nieddu, cumenti una mandra di porchavri murrugnendi e iffasciendi tuttu. Babborchu era arrivendi und'era Pietrinu.
Pa azzà a la suffitta v'era un'ischara di legna cun nobi ischarini. E Babborchu ischumenza:
- Sogg'azzendi i la prima ischarina! Ca si cua si cua bè!
Pietrinu si zi cua a li linzori, trimurendi e pignendi.
- Sogg'azzendi i la sigunda ischarina! Ca si cua si cua bè!
Pietrinu si zi cua sotto a lu cabiddari.
- Sogg'azzendi i la terza ischarina! Ca si cua si cua bè!
E Pietrinu si zi cua sottu a la tramazza.
All'ulthima, Babborchu dizi:
- Sogg'azzendi i l'ulthima ischarina! Ca si cua si cua bè!
Azza, ma era troppu isanti pa l'ischara di legna, chi s'è ifasciadda e l'orchu zi caggi sottu cun d'un zicchirriu maru.
Tandu Pietrinu s'è acciaraddu a la janna e ha visthu a Babborchu a brazz'aperthi e a linga di fora. Morthu!
Da allora, pa un piattu di ciggioni e una cuazza, chissa bidda no ha dubudu più timì a Babborchu.
L'assaggia e s'accorge del trucco. Mentre scaraventa tutto in terra vede Pietrino che scappa a gambe levate.
- Corri, corri! - gli disse. - Tanto ti conosco, e stanotte ti farò pentire d'avermi preso in giro.
Pierino arrivò a casa sua tremando come la fiammella d'una candela. Non disse nulla alla mamma, perché aveva paura di toccarne. La sera sale in soffitta e ci si chiude a chiave. Ma non gli riusciva dormire e stava a orecchi ritti per sentire quando arrivava Babborco.
A mezzanotte si sente sulla strada un baccano del diavolo, come un branco di cinghiali che grugniscono e sfasciano tutto. Babborco stava arrivando dove stava Pietrino.
Per salire alla soffitta c'era una scala di legno con nove scalini. E Babborco comincia:
- Ora monto sul primo scalino! Chi si nasconde ben si nasconda!
Pietrino si nasconde sotto il lenzuolo e trema e piange.
- Ora monto sul secondo scalino! Chi si nasconde ben si nasconda!
Pietrino si nasconde sotto il capezzale.
- Ora monto sul terzo scalino! Chi si nasconde ben si nasconda!
E Pietrino si nasconde sotto il materasso.
Alla fine Babborco dice:
- Ora monto sull'ultimo scalino!
Monta, ma era troppo peso per la scala di legno, che si disfece e l'orco cascò di sotto con un urlo disperato.
Allora Pietrino si affacciò alla porta e vide Babborco con le braccia aperte e la lingua di fuori. Morto!
Da allora, per un piatto di gnocchi e una schiacciata, al paese non toccò più aver paura di Babborco.



RIFERIMENTI E NOTE
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TESTO

Versione Sassarese: Enna, Francesco, Sos contos de foghile. 2 voll. Vol. 1: Racconti e fiabe. Contos e Contascias; vol. 2: Racconti e leggende. Contos e Paristorias; Genova: Fratelli Frilli Editori, 2004; vol. 1; pp. 140-108. Raccontata da Lina Costa di Sassari [Raccolta prima del 1973].
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TRADUZIONE
© Adalinda Gasparini
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IMMAGINE Reworked from: David Cronenberg's Wife ‎– Don't Wait To Be Hunted To Hide; https://www.discogs.com/David-Cronenbergs-Wife-Dont-Wait-To-Be-Hunted-To-Hide/release/4617976; ultimo accesso 31 ottopbre 2018.
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NOTE
Cronos/Tempo antenato del Babborco
Nella Teogonia di Esiodo Cronos/Tempo ingoia i suoi figli, per evitare che si realizzi quanto gli è stato preannunciato, che uno di loro lo spodesterà. L'ultimo figlio, Zeus, gli viene sottratto dalla madre Rea/Fluente con l'aiuto della nonna, Gaia/Terra, e al suo posto gli viene offerta una pietra avvolta di fasce, che Cronos/Tempo ingoia credendo che sia il neonato.
L'Orco delle favole, che non a caso ha in questa fiaba sassarese un nome che lo riferisce al padre, Babborco, rappresenta nel mito la figura genitoriale che vuole impedire l'avvicendamento delle generazioni, godendosi il potere a spese della vita dei figli. Qui Babborco mangia in abbondanza il cibo che manca alle famiglie, che costringe a nutrirlo con la minaccia di fare con i più piccoli proprio quello che faceva Cronos/Tempo con i figli, ingoiarli.
La rottura del potere paterno avviene con un'infrazione: Pietrino mangia e lascia a bocca asciutta Babborco, anzi, lo inganna sostituendo al cibo quel che è il residuo immangiabile del cibo stesso. Babborco si mangia tutti gli gnocchi di capra e un pezzo di schiacciata di vacca prima capire che è stato ingannato da Pietrino: il suo olfatto, la sua vista e il suo gusto mostrano la sua inferiorità rispetto a quella di qualunque essere umano, anche bambino, che saprebbe ben distinguere il cibo dagli escrementi. Questa inferiorità finalmente evidente culmina nella sua morte, perché non si è reso conto che gli scalini che portano alla soffitta non possono sostenerlo.
Cronos/Tempo ingoiava i suoi figli, ma quando Zeus tornò a costringerli a vomitarli, erano intatti e perfettamente cresciuti. Analogamente Babborco annuncia il suo arrivo suggerendo a Pietrino cosa deve fare: Cu si cua si cua be'! Chi si nasconde si nasconda bene!
Ambivalenza nella successione fra genitori e figli, che vede i secondi, deboli e piccoli, trionfare inevitabilmente sui primi, voraci e giganteschi. Vincono sempre come le generazioni giovani succedono alle generazioni che le precedono.
Vedi anche, in questo sito, Teogonia, vv. 450-468.
Per questo la disobbedienza di Pietrino e dei suoi fratelli fiabeschi, di cui si racconta dappertutto come si fecero beffe dell'orco, è preziosa: perché segna la discontinuità che consente l'avvicendamento delle forme viventi. L'infrazione/primo-peccato di Eva è una felix culpa, perché ha reso necessaria l'incarnazione, evento centrale del Cristianesimo: O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem! (Felice colpa, che meritò di avere un così grande Redentore! Preconio pasquale). 


Babborco
Nella traduzione italiana citata sopra la parola è scritta sia con la lettera maiuscola che con la minuscola: abbiamo uniformato scrivendo sempre Babborcu.
Il gioco dei significanti passa anche per le assonanze: la parola latina orcus indica gli inferi, i sotterranei che incorporano le anime dopo la morte e prima della rinascita, e suona come l'orco divoratore delle fiabe. La prerogativa mitica e favolosa di uccidere reinfetando spetta frequentemente alla strega, figura materna, che come nella fiaba di Prezzemolina imprigiona nella sua torre, o come nella fiaba di Hansel e Gretel imprigiona nella sua casa nel bosco. In ogni caso i giovani crescono, e quando fuggono con successo, come Pietrino, i fratellini, possono essere ricchi e felici. La reinfetazione vale anche come crescita ritardata, infelice e minacciosa, manelle fiabe il giovane vince sempre il vecchio che vuol impedire alla sua giovinezza di emergere.





 © Adalinda Gasparini
Online dal  23 agosto 2012
Ultima revisione  24 aprile 2024