ADALINDA GASPARINI              PSICOANALISI E FAVOLE

FIABE ITALIANE ANTICHE, REGIONALI E ALLOGLOTTE



C’era una volta un ricchissimo mercante, che aveva tre figliole: Caterina, Maria ed Ermenegilda. Ogni volta che andava a comprare della roba, gli domandavano sempre qualche cosa; ora una pezzuola ed ora un grembiule; la più piccina non ne voleva, ma il padre gli comprava qualche cosa. Allora il padre volea tanto bene a questa più piccina, e quelle altre l’astiavano. Un giorno dissero:
- Che dispetto gli si deve fare ? si deve ammazzare ?
- No, disse quella più grande, ammazzare no; si chiamerà il legnaiolo, gli si farà fare una cassa di cristallo, e gli si dice di portarla su quel monte. Poi s’inviterà la. nostra sorella a fare una merenda lassù quel monte; e poi dico io: «Guarda che c'è laggiù! c'è una cassa e si deve provare tutte», e lei sarà l’ultima, gli si serrerà dentro, ed al babbo poi si troverà qualche scusa.
Sicché così fecero. Lasciamo lei quando si trovò li chiusa i pianti e i sospiri che fece «Almeno - diceva tra sé - se passasse qualcheduno che me l'aprisse!» e lì piange.
Le sue sorelle tutte allegre già per la strada arrivarono a casa. La sua mamma ’un ci fece tanta osservazione, ‘un’ se ne addiede. Torna la sera il babbo, e aveva portato un regalo a tutte.
- Ed Ermenegilda dove ell’è? Ho portato una pezzola anche a lei.
- Non lo so dove sia quella birbona, - disse la più grande - era venuta con noialtre; quando è stata a certo punto disse: «Un vo’ venire con voi altri; vo’ andare da me sola». Chi lo sa dove sarà andata quella birbona? avrà avuto de’ raggiri.
E qui a mettere su contro di lei. Sicchè dopo un po’ di tempo gli fecero il pianto, e dissero:
- Non viene più!
Lasciamo loro che hanno fatto il pianto, e non pensano più alla figliola, e torniamo a lei tutta disperata a piangere in quella cassa. Un giorno venne una gran ventata, e trasportò via la cassa a un bellissimo palazzo, e laggiù gli si apri. Cominciò a piovere, la porta era aperta.
«Entrerò là dentro, sonerò; se non c’è nessuno, me ne starò qui, e addio; del male non gliene fo.» Comincia a sonare, nessuno gli risponde. Sente una voce:
- Non aver paura di nulla: questa è tua casa; sali: a manca troverai una porta aperta; c'è una tavola apparecchiata, c'è un caminetto acceso, mangia, scaldati e sta allegra, che questa è casa tua se ti porti bene.
Ermenegilda salì, e trovò una tavola apparecchiata per due. «O guarda! chi ci si mette a mangiare con me?»
Sente una voce:
- Mangia: non avere paura di nulla.
Dunque cominciò a mangiare, e vedeva che la pietanza dell’altro piatto spariva anche quella, ma lei non vedeva nessuno. Allora sopra una porta vide scritto:

Questa è la camera di Ermenegilda.

Sentì la voce:
- Quando hai mangiato, vai in camera e riposati che sei stanca, e poi domani gira tutte le stanze, vedrai in un salotto: c'è un pianoforte, c'è anche il giardino. Stai allegra, e fai cosa tu vuoi, pure che tu stai allegra.
«Le promissioni,» disse dentro di sè, «sono buone, poi si starà a vedere.»
Questa ragazza da principio aveva paura, poi passò la paura; ci stava allegramente, non vedeva nessuno, vedeva le pietanze che sparivano, e sentiva una voce accanto a lei mentre mangiava.
Dopo del tempo, ma del tempo, gli diceva questa voce:
- Mi vuoi bene?
- Io non so a chi voler bene. Se vedessi qualcheduno, direi se gli volessi bene.
- Ah! se tu' vuoi bene a me, io te ne vorrei molto; e non pensare, che non ti anderà nulla male! Se tu mi vuoi bene, tu sarai mia sposa, ma insino che te non mi vorrai, bene, non mi vedrai. La mia mamma è tanto furba che indovina tutto, e se sapesse che ti ho qui, che ti campo, e che ti voglio bene, povero me! ammazzerebbe me e te. Ora alla mia mamma gli comincerò a dire che vo’ moglie, e così alla lunga la piglierò tanto per le buone che non ci faccia dispetti.
- E come hai tu nome ? almeno dimmi come hai tu nome.
- Ho nome Cupido.
- Almeno ti chiamerò per nome quando ti chiamo.
Per farla breve, dopo molto tempo questa ragazza gli cominciò a prendere affezione a questa voce. Una sera questa ragazza alla mezzanotte sente entrare gente nel suo letto. Allora sente romore.
- Quando sarà addormentato - pensa - questo che è entrato in letto, voglio sentire chi è.
Ermenegilda mette la mano, e sente tutto pelo, e si ritirò. «Oh Gesù mio, sarà qualche bestia! domani vo’ ammanire una candela, è domani sera lo vo’ vedere con il lume. » Ammanisce il lume il giorno. Questa s' immagina tutto; e gli disse quand’erano a desinare:
- Sentii ieri sera, sentii gente a letto con me.
- Oh chi tu vuoi che si fosse, non ti venisse in testa, se mai sentissi qualche cosa, di guardare chi l’è, che se per caso la mia mamma lo scoprisse, sarebbe male per me e per te. Pensaci bene: un giorno mi vedrai, ma ora non è tempo.
Lei dice: «Che! ’un gli vo’ dar retta! Oh che male gli faccio se c'è qualcuno a letto con me se lo guardo? Perchè ho paura che sia qualche bestia: ho sentito tutto pelo. » Ecco la sera cena e poi va a letto. Aveva ammanito la candela; dalle 10 alle 11, più presto; sente entrare dentro. Allora quando sente che questo che era nel letto dormiva, scende dal letto, ed accende la candela. Quando l’ebbe acceso, andò a vedere a letto, e vedde un bellissimo giovanotto. Lei vedendolo così bello: era di latte: e sangue ma veramente bello, nel mondo non ce n'è altri. Giù giù tira il lenzuolo e lo scoprì tutto; quando fu tutto scoperto, era ignudo, quel pelo che aveva sentito erano capelli tanto belli che parevano indorati. Tanto bello, insomma, che lei vedendolo rimase a bocca aperta; sicchè lei un ci badò, gli cascò una gocciola di cera su una spalla. Questo si sveglia così tutto a un tratto:
- Ah mi hai tradito me e te!
E con una ventata gli spari. Lei di notte così, gli sparì il palazzo, gli spari ogni cosa, ritornò nel bosco dov'era, sicché lei a piangere, a disperarsi: «Ah se potessi rivederti Amore bello! se ti potessi vedere, ti ubbidirei !» E piange e piange. Dopo tanto pianto gli apparisce Cupido.
- Stai attenta; te l’altra notte mi bruciasti una spalla, la mia mamma l’ha veduto, sicché ha voluto sapere ogni cosa, e vuole che ti porto a lei. Stai attenta; a me sarà difficile che tu mi veda, perché mi tiene chiuso in una stanza. Io glielo aveva cominciato a dire; prega, prega, mi aveva dato un anno di tempo e poi quest'altro anno ti sposava. Ora chi sa quando saremo sposi ! Stai attenta, ubbidiscila in tutto; ma la mia mamma è tanto birbona, cercherà di ammazzati.
Sicché lui gli spari, lei in un momento si trovò in casa della sua mamma. Ecco la sua mamma. gli cominciò a dire:
- Lo vedesti il mio figliolo, birbona? Ti garba? Ma non lo sposi! Ci hai da guadagnartelo tanto!
Un giorno gli dice:
- Vieni, ti vo’ pettinare. Se tu vuoi sposare il mio figliuolo, che ci vuoi andare così arruffata ?
La mette a sedere su una seggiola, va per pettinarla, e gli apparisce il suo figliuolo:
- No mamma, questi dispetti non glieli faccia; sono dispetti grossi, piuttosto faccia qualche cos'altro!
Perché se gli metteva i pettini in capo, la moriva. Sparisce il suo figliuolo.
- Vieni, sudiciona, che ci vuoi andare così? vieni che ti metto questo scialle addosso. Va per mettergli questo scialle addosso, riarriva il suo figliolo:
- No, mamma, questi sono dispetti grossi non glieli faccia!
Gli leva lo scialle di mano e lo butta via, perché la faceva morire con questo scialle. Questa ragazza a piangere e disperarsi!
- Senti: tu vuoi il mio figliolo; tu non hai neppure biancheria, almeno montati il letto.
- Come ho a fare a montarmi il letto, che non ho nulla?
- Vieni, te lo do io.
Gli diede un grembiule di due colori, vecchio:
- Vai a quella fontana, lavalo, e fallo venire bianco; se non lo fai venire bianco, t'ammazzo.
E gli diede il tempo assegnato di tre ore, che lo doveva lavare e asciugare.
- O come ho a fare a farlo venire bianco se l’è nero?
- Fai come tu vuoi.
- Basta; addove è quella fontana dove lo debbo lavare?
- La devi trovare da te.
Questa ragazza sorte di casa, e si mette fuori di casa a piangere.
- Ma dove l’è quella fontana? Come ho a fare io a fare divenire bianco questo grembiule che è di due colori?
Per farla lunga e corta, c’era una mezz'ora al tempo che gli aveva dato, e non aveva neppure trovato la fontana. Sicché quando c’era una mezz'ora, tutto a un tratto, sente un romore, ed era Cupido.
- Bah! son venuto ad aiutarti, ti ho visto tanto disperata, la mia mamma te ne fa di tutte, perché te non mi prenda. Vieni a quella fontana.
In un momento furono alla fontana. Quanto a dire amen, aveva ripulito il grembiule lui, ché a lei non gli riesciva.
- Vedi, io te l'ho fatto divenire bianco; la mia mamma sarà contenta, ma te nega sempre che mi hai veduto, perché se diamine sa che ti ho aiutato io, ci ammazza te e me.
Allora sta ragazza se ne andiede a casa.
- Un ti è riuscito eh! birbona! - gridò.
- Si, guardi: m'è riuscito.
- No, non è stata tua bravura, è stato il mio figliolo.
- No, mi è riuscito a me.
Sicché, lei a dire di no, da lei non lo poté sapere, passò.
- Ora cucila.
Gli diede il cotone, e cucì una federa questa ragazza. Allora disse li maga:
- Tieni: come vuoi fare a metterla sul letto ? devi empirla di piuma; va' in quella grotta, e c'è la piuma per riempirla.
- Come ho a fare, senza scale e senza nulla, a andare in quella grotta?
- Tu ci devi andare; se fra tre ore non hai riportato la federa con la piuma, ti ammazzo. Questa povera ragazza a piangere e a disperarsi, andiede a quella grotta a piedi e lì si mise a piangere; era una grotta liscia; non ci poteva andare nessuno. Erano passate due ore, allora arriva Cupido.
- Oh, figliola mia, - dice - son venuto ad aiutarti!
Ed in un momento sale su, e gli empie la federa di piuma.
- Vieni, nega sempre di no; che se per caso indovinasse che ti avessi aiutato, 'un mi riuscirebbe più, perché mi terrebbe in casa sempre a guardarmi.
- Io nego di no, sempre di no.
Lui spari, e lei adagino adagino si avvia a casa anche lei.
- No, gli disse la vecchia, ti ha aiutato il mio figliolo.
- No, l'ho fatto da me.
- Basta: ma come vuoi fare ad andare a sposare? Ti ci vole i canti, i balli e soni; se no, sarebbe vergognoso lo sposalizio del mio figliolo. Ti piace il mio figliolo ? Non lo prendi; ma intanto va a pigliare i canti, i balli e soni dalla mia sorella. Tieni questa lettera, lei ti darà tutto.
- Mi dica ora: l’è vero che lei mi dà la lettera e tutto, ma dove sta la sua sorella?
- Che te l’ho a dire io? Va' via, e in tempo tre ore tu sia qui, che se no, c’è la morte. Questa ragazza sorte di casa, fece due tre passi camminando, e si mette lì a piangere e disperarsi! Era passata un’ora che lei non aveva fatto niente, e mentre era lì che piange e si dispera, ecco Cupido.
- Che cos'hai che tu piangi tanto?
- Come ho a fare a trovare la casa della sorella della tua mamma?
- Stai allegra e non aver paura di nulla. Questa volta ti ho portato tutto quello che occorre per andare a casa della mia zia. Questi sono quattro soldi, questa è la strada che devi andare sempre dritta; quando sei arrivata un pezzo in là, ci sarà un fiume, e scenderai giù, e vedrai che c'è il barcaiolo. Sai che gli si dà un soldo, e te anzi gliene hai a dare due per passarti subito, e hai a dire che quando ti vede anche dalla lontana venga subito con la barca alla proda per prenderti, e portarti al fiume di là. E poi quando hai passato questo fiume, sopra un pezzo ci sarà delle donne che tireranno dell’acqua e non hanno fune. A disperarsi, a piangere, a strapparsi i vestiti, i capelli, per farne fune per tirare l’acqua. E queste donne sono a tirare acqua per le donne che sono di sopra che fanno del pane. Tieni questa fune, dagli questa fune in regalo. Poi di sopra tu vedrai queste donne, che per ripulire il forno si leveranno la gonnella, tutto, e poi andranno in forno a ripulirlo con le poppe; gli hai a dare questi cenci in regalo; vedrai che festa ti fanno. E poi di sopra vedrai: ci saranno tanti leoni, che verranno sopra a te per volerti divorare; gli devi dare questa ciccia, una mezza serbala in su, e mezza in giù. Passato che hai quelli, subito è la casa della mia zia; te hai a sonare, vedrai che ti vengono aprire i suoi figlioli, sono tutti bambini, ed entrata che hai l’entratura, c'è subito il salotto. Vedrai: ci è un caminetto, e sopra il caminetto c’è uno scatolino, e quello è lo scatolino de’ balli, canti e soni. Dunque questi bambini diranno subito quando sarai nel salotto: «Che ho andare a chiamare la mia mamma?» e te gli hai a buttare in terra du’ chicche, e nel tempo che sono a raccattarle devi prendere lo scatolino, e gli devi dire: «Tenete, bambini, portate subito questa lettera alla vostra mamma.» Nel tempo che sono di là, te hai a scappare, ché la mia mamma gli ha scritto sopra la lettera che ti ammazzi. Questa donna, vedrai, è brutta, ha certi denti lunghi lunghi come lupi, tutti quelli che ci manda la sua sorella che l’ammazzi, con que’ denti gli fa tutti dispetti e poi l’ammazza. Manderà i bambini dietro perché ti acchiappino, i leoni perché ti ammazzino; ma te gli devi dare la ciccia: così si fermeranno li e non ti daranno dietro. Le donne del forno e quelle della fune non ti daranno dietro perché gli hai fatto quel piacere. Al barcaiolo gli hai dato di più perché ti passi presto, e lui vedrai che ti passa.
Poi gli disse che per la strada non aprisse quello scatolino, perché sono tutti uomini e donne piccine piccine che ballano, cantano e sonano, e non gli riuscirebbe più di rimetterli dentro. La ragazza tutto fece, e tutto gli andiede bene. Quando venne giù, la donna grida:
- Chiappattela quella birbona !
Ma nessuno gli dava dietro. I leoni si sparsero; quelle donne:
- A me ha dato i cenci per ripulire il forno, mentre lei non ci dava nulla.
- A me ha datò le fune per attingere l’ acqua.
Il barcaiolo:
- A me mi ha dato due soldi di più; si figuri se non la faccio passare!
In un momento passò di lì.
Mentre era per istrada, la curiosità tutti ci aggiunge, apri la scatola. Ma a malapena l’ebbe aperta un poco, cominciarono a sortire quegli omaccini, quelle donnine, a ballare, a cantare, a sonare; per la strada non poteva passare nessuno tanti ce n'erano.
Quando si fu divertita nel vedere questo ballare andiede per rimetterli dentro: ne andava a prendere uno, ne riesciva due o tre; sicché dai, dai, non gli riusciva di metterli dentro. Quella vedde questo lavoro che non gli riusciva, si mise a piangere e a disperarsi. «Me lo aveva detto il mio Cupido, e non gli ho voluto obbedire!»
Allora Cupido, dopo un poco che la era lì che si disperava, eccolo comparire. In un momento lui li rimesse tutti dentro.
- Io vado a casa, te faglieli vedere, e negagli che me mi hai veduto.
La ragazza così fece. Quando la vecchia la vedde:
- Ora ti tocca riandare a prendere l’anello dello sposalizio che l’ha lei.
Questa povera ragazza sorte di casa e comincia a piangere: «Non ho quattrini, non ho nulla, come faccio a prenderlo?» Allora appari Cupido, gli diede la medesima roba:
- Al barcaiolo - dice - invece di quattro soldi dagliene otto, perché ti passi subito. Gli hai a buttare le chicche ai bambini in terra nel salotto, e devi andare da te a portargli la lettera. Vedrai: sarà molto adirata, vedrai, ti dirà: « Aspetta la risposta.» Ma te non gli dare retta, prendi la scatolina sopra il cassettino, e scappa via subito.
La ragazza fece come gli disse Cupido; gli andiede tutto bene. Arriva a casa, l'anello lo guardò innanzi di portarlo a casa; gli piacque anche a lei.
La vecchia gli disse:
- Sta bene, non sarà stata bravura tua; tieni questa lettera, va ad invitare la mia sorella alle nozze, e aspetta la risposta dalla mia sorella.
- Sì.
Andiede via; nel mezzo di strada gli arrivò Cupido.
- Non ti sgomentare. Senti come devi fare. Ora devi andare su, gli hai a dire: «Ecco, gli ha scritto la sua sorella e ha detto che aspetta la risposta. Vedrai che lei non ti darà risposta, ma appena ha scritto la lettera, viene da te a ammazzarti; ma tu non devi aspettare la risposta, e devi dire alla mia mamma: Mi voleva ammazzare, e io la risposta non l’ho aspettata. Poi al restante penserò io. Al barcaiolo poi dagli mezzo franco, a quelle donne porta la fune, a quell’altre cenci, tutto come l’altra volta.
E così fece. La sorella della maga non si messe neppure a leggere la lettera, gli corse subito dietro; ma, lei più lesta, non gli riescì di riacchiapparla.
Torna a casa, la maga la voleva ammazzare, allora arrivò Cupido.
- Tutto gli hai a fare ma fori di ammazzarla, perché non se lo merita.
- Sì che se lo merita birbona! vuole il mio figliolo senza guadagnarselo! Bene: ora ci sono le nozze, vestiti per bene.
Sicchè questa vecchia comincia apparecchiare; si figuri che tavola fece. Il giorno dopo si vestì per lo sposalizio. Ecco tutti a desinare a pranzo, in un momento fu fatto tutto perchè era una maga.
A tavola c’era un’altra signora.
- Guarda, birbona, lo volevi te il mio Cupido? guarda che lo sposerà quella signora lì, te tieni.
Aveva dieci candele; gliene messe una per dito.
- Sta a fare lume a noi.
Sicché si figuri quella lì a tenere dieci candele sulle dita, a piangere e disperarsi perché la cera gli bruciava.
Allora disse il suo figliuolo:
- Questa non è giusta, lei ne ha passate tante, e mi deve sposare lei, non quest'altra che non ne ha infilate punte.
Si alzò:
- Vieni via con me.
C'erano le carrozze pronte, ed andarono a sposarsi. Quella vecchia, della rabbia crepò li. Quell’altra signora tutta svergognata gli toccò andarsene. E loro andierono subito a casa delle sorelle della sposa. Quel palazzo perché era di maghi, sparì subito, e loro andiedero laggiù dalle sue sorelle, e dal suo babbo e dalla sua mamma. - Vede la sua figliola quante ne ha infilate e passate?
E così e così gli raccontò tutto. Le sue sorelle tutte svergognate; il suo babbo:
- Non me la dovevate fare questa cosa brutta!
Le voleva ammazzare. Allora la sua sorella:
- Lasciatele stare, ora si deve stare con grande allegria, ché ci siamo ritrovati tutti.
Allora li, rinnovarono le nozze, contenti che bisogna vedere come! e con grande allegria, feste, e balli: e fecero un pranzo con un topo arrostito, e a me mi dettero a leccare un dito.



RIFERIMENTI E NOTE
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TESTO

Giuseppe Pitrè, "Ermenegilda e Cupido", in: Archivio per lo studio delle tradizioni popolari, vol. II, 1883; pp. 156-166.
Grazie a Claudia Chellini che mi ha segnalato questa ricca versione tramandata oralmente.
Riportiamo parte della bella nota di Giuseppe Pitrè a questa novella raccolta in Garfagnana, che figura come XII fra le Novelle popolari toscane.
È chiaro trattarsi qui del mito di Amore e Psiche, che, quando intero, quando appena modificato, quando trasformato affatto corre presso i volghi quasi tutti. In Italia esso è stato raccolto in versioni di Messina, Palermo, Polizzi-Generosa, Cosenza, Napoli, Roma e del Tirolo. Per la Sicilia vedi Gonzenbach, Sicil. Märch. n. 16: Geschichte von dem Kaufmannssihne Peppino, e Pitrè, Fiabe, n. XVIII: Lu Re d'amuri, e n. CCLXXXI: Lu Re Cristallu. Per Calabria, De Gubernatis, Zoological Mithology, II, pag. 286-87, ove la cera cade non già sul corpo ma sullo specchio del giovine dormiente; per Napoli Basile, Cunto de li cunti, II, 9: Lo Catenaccio; per Roma, Busk, Folk-lore of Rome: The Dark King e The King Moro; per Tirolo, Schneller, Märchen und Sagen aus Wälschtirol, n. 13: Die Heirat mit der Hexe. (p. 166)
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IMMAGINE John William Waterhouse, Psyche Opening the Golden Box, 1904
https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Psyche-Waterhouse.jpg;
ultimo accesso: 16 settembre 2024.
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NOTE  La somiglianza di questa versione toscana con la favola di Apuleio potrebbe significare che la narratrice aveva sentito la fabella dell'Asino d'oro. Difficilmente tanti particolari si tramandano da un testo scritto a una versione orale come questa. Per la fabella di Apuleio, vedi anche, in questo sito: http://www.alaaddin.it/_TESORO_FIABE/AF/AF_L_ii_Asinus_aureus.html.
© Adalinda Gasparini
Posted 16 settembre 2024
Last updated:19 aprile 2024