C’era
una volta un ricchissimo mercante, che aveva tre
figliole: Caterina, Maria ed Ermenegilda. Ogni volta che
andava a comprare della roba, gli domandavano sempre
qualche cosa; ora una pezzuola ed ora un grembiule; la
più piccina non ne voleva, ma il padre gli comprava
qualche cosa. Allora il padre volea tanto bene a questa
più piccina, e quelle altre l’astiavano. Un giorno
dissero:
- Che dispetto gli si deve fare ? si deve ammazzare ?
- No, disse quella più grande, ammazzare no; si chiamerà
il legnaiolo, gli si farà fare una cassa di cristallo, e
gli si dice di portarla su quel monte. Poi s’inviterà
la. nostra sorella a fare una merenda lassù quel monte;
e poi dico io: «Guarda che c'è laggiù! c'è una cassa e
si deve provare tutte», e lei sarà l’ultima, gli si
serrerà dentro, ed al babbo poi si troverà qualche
scusa.
Sicché così fecero. Lasciamo lei quando si trovò li
chiusa i pianti e i sospiri che fece «Almeno - diceva
tra sé - se passasse qualcheduno che me l'aprisse!» e lì
piange.
Le sue sorelle tutte allegre già per la strada
arrivarono a casa. La sua mamma ’un ci fece tanta
osservazione, ‘un’ se ne addiede. Torna la sera il
babbo, e aveva portato un regalo a tutte.
- Ed Ermenegilda dove ell’è? Ho portato una pezzola
anche a lei.
- Non lo so dove sia quella birbona, - disse la più
grande - era venuta con noialtre; quando è stata a certo
punto disse: «Un vo’ venire con voi altri; vo’ andare da
me sola». Chi lo sa dove sarà andata quella birbona?
avrà avuto de’ raggiri.
E qui a mettere su contro di lei. Sicchè dopo un po’ di
tempo gli fecero il pianto, e dissero:
- Non viene più!
Lasciamo loro che hanno fatto il pianto, e non pensano
più alla figliola, e torniamo a lei tutta disperata a
piangere in quella cassa. Un giorno venne una gran
ventata, e trasportò via la cassa a un bellissimo
palazzo, e laggiù gli si apri. Cominciò a piovere, la
porta era aperta.
«Entrerò là dentro, sonerò; se non c’è nessuno, me ne
starò qui, e addio; del male non gliene fo.» Comincia a
sonare, nessuno gli risponde. Sente una voce:
- Non aver paura di nulla: questa è tua casa; sali: a
manca troverai una porta aperta; c'è una tavola
apparecchiata, c'è un caminetto acceso, mangia, scaldati
e sta allegra, che questa è casa tua se ti porti bene.
Ermenegilda salì, e trovò una tavola apparecchiata per
due. «O guarda! chi ci si mette a mangiare con me?»
Sente una voce:
- Mangia: non avere paura di nulla.
Dunque cominciò a mangiare, e vedeva che la pietanza
dell’altro piatto spariva anche quella, ma lei non
vedeva nessuno. Allora sopra una porta vide scritto:
Questa è la camera di Ermenegilda.
Sentì la voce:
- Quando hai mangiato, vai in camera e riposati che sei
stanca, e poi domani gira tutte le stanze, vedrai in un
salotto: c'è un pianoforte, c'è anche il giardino. Stai
allegra, e fai cosa tu vuoi, pure che tu stai allegra.
«Le promissioni,» disse dentro di sè, «sono buone, poi
si starà a vedere.»
Questa ragazza da principio aveva paura, poi passò la
paura; ci stava allegramente, non vedeva nessuno, vedeva
le pietanze che sparivano, e sentiva una voce accanto a
lei mentre mangiava.
Dopo del tempo, ma del tempo, gli diceva questa voce:
- Mi vuoi bene?
- Io non so a chi voler bene. Se vedessi qualcheduno,
direi se gli volessi bene.
- Ah! se tu' vuoi bene a me, io te ne vorrei molto; e
non pensare, che non ti anderà nulla male! Se tu mi vuoi
bene, tu sarai mia sposa, ma insino che te non mi
vorrai, bene, non mi vedrai. La mia mamma è tanto furba
che indovina tutto, e se sapesse che ti ho qui, che ti
campo, e che ti voglio bene, povero me! ammazzerebbe me
e te. Ora alla mia mamma gli comincerò a dire che vo’
moglie, e così alla lunga la piglierò tanto per le buone
che non ci faccia dispetti.
- E come hai tu nome ? almeno dimmi come hai tu nome.
- Ho nome Cupido.
- Almeno ti chiamerò per nome quando ti chiamo.
Per farla breve, dopo molto tempo questa ragazza gli
cominciò a prendere affezione a questa voce. Una sera
questa ragazza alla mezzanotte sente entrare gente nel
suo letto. Allora sente romore.
- Quando sarà addormentato - pensa - questo che è
entrato in letto, voglio sentire chi è.
Ermenegilda mette la mano, e sente tutto pelo, e si
ritirò. «Oh Gesù mio, sarà qualche bestia! domani vo’
ammanire una candela, è domani sera lo vo’ vedere con il
lume. » Ammanisce il lume il giorno. Questa s' immagina
tutto; e gli disse quand’erano a desinare:
- Sentii ieri sera, sentii gente a letto con me.
- Oh chi tu vuoi che si fosse, non ti venisse in testa,
se mai sentissi qualche cosa, di guardare chi l’è, che
se per caso la mia mamma lo scoprisse, sarebbe male per
me e per te. Pensaci bene: un giorno mi vedrai, ma ora
non è tempo.
Lei dice: «Che! ’un gli vo’ dar retta! Oh che male gli
faccio se c'è qualcuno a letto con me se lo guardo?
Perchè ho paura che sia qualche bestia: ho sentito tutto
pelo. » Ecco la sera cena e poi va a letto. Aveva
ammanito la candela; dalle 10 alle 11, più presto; sente
entrare dentro. Allora quando sente che questo che era
nel letto dormiva, scende dal letto, ed accende la
candela. Quando l’ebbe acceso, andò a vedere a letto, e
vedde un bellissimo giovanotto. Lei vedendolo così
bello: era di latte: e sangue ma veramente bello, nel
mondo non ce n'è altri. Giù giù tira il lenzuolo e lo
scoprì tutto; quando fu tutto scoperto, era ignudo, quel
pelo che aveva sentito erano capelli tanto belli che
parevano indorati. Tanto bello, insomma, che lei
vedendolo rimase a bocca aperta; sicchè lei un ci badò,
gli cascò una gocciola di cera su una spalla. Questo si
sveglia così tutto a un tratto:
- Ah mi hai tradito me e te!
E con una ventata gli spari. Lei di notte così, gli
sparì il palazzo, gli spari ogni cosa, ritornò nel bosco
dov'era, sicché lei a piangere, a disperarsi: «Ah se
potessi rivederti Amore bello! se ti potessi vedere, ti
ubbidirei !» E piange e piange. Dopo tanto pianto gli
apparisce Cupido.
- Stai attenta; te l’altra notte mi bruciasti una
spalla, la mia mamma l’ha veduto, sicché ha voluto
sapere ogni cosa, e vuole che ti porto a lei. Stai
attenta; a me sarà difficile che tu mi veda, perché mi
tiene chiuso in una stanza. Io glielo aveva cominciato a
dire; prega, prega, mi aveva dato un anno di tempo e poi
quest'altro anno ti sposava. Ora chi sa quando saremo
sposi ! Stai attenta, ubbidiscila in tutto; ma la mia
mamma è tanto birbona, cercherà di ammazzati.
Sicché lui gli spari, lei in un momento si trovò in casa
della sua mamma. Ecco la sua mamma. gli cominciò a dire:
- Lo vedesti il mio figliolo, birbona? Ti garba? Ma non
lo sposi! Ci hai da guadagnartelo tanto!
Un giorno gli dice:
- Vieni, ti vo’ pettinare. Se tu vuoi sposare il mio
figliuolo, che ci vuoi andare così arruffata ?
La mette a sedere su una seggiola, va per pettinarla, e
gli apparisce il suo figliuolo:
- No mamma, questi dispetti non glieli faccia; sono
dispetti grossi, piuttosto faccia qualche cos'altro!
Perché se gli metteva i pettini in capo, la moriva.
Sparisce il suo figliuolo.
- Vieni, sudiciona, che ci vuoi andare così? vieni che
ti metto questo scialle addosso. Va per mettergli questo
scialle addosso, riarriva il suo figliolo:
- No, mamma, questi sono dispetti grossi non glieli
faccia!
Gli leva lo scialle di mano e lo butta via, perché la
faceva morire con questo scialle. Questa ragazza a
piangere e disperarsi!
- Senti: tu vuoi il mio figliolo; tu non hai neppure
biancheria, almeno montati il letto.
- Come ho a fare a montarmi il letto, che non ho nulla?
- Vieni, te lo do io.
Gli diede un grembiule di due colori, vecchio:
- Vai a quella fontana, lavalo, e fallo venire bianco;
se non lo fai venire bianco, t'ammazzo.
E gli diede il tempo assegnato di tre ore, che lo doveva
lavare e asciugare.
- O come ho a fare a farlo venire bianco se l’è nero?
- Fai come tu vuoi.
- Basta; addove è quella fontana dove lo debbo lavare?
- La devi trovare da te.
Questa ragazza sorte di casa, e si mette fuori di casa a
piangere.
- Ma dove l’è quella fontana? Come ho a fare io a fare
divenire bianco questo grembiule che è di due colori?
Per farla lunga e corta, c’era una mezz'ora al tempo che
gli aveva dato, e non aveva neppure trovato la fontana.
Sicché quando c’era una mezz'ora, tutto a un tratto,
sente un romore, ed era Cupido.
- Bah! son venuto ad aiutarti, ti ho visto tanto
disperata, la mia mamma te ne fa di tutte, perché te non
mi prenda. Vieni a quella fontana.
In un momento furono alla fontana. Quanto a dire amen,
aveva ripulito il grembiule lui, ché a lei non gli
riesciva.
- Vedi, io te l'ho fatto divenire bianco; la mia mamma
sarà contenta, ma te nega sempre che mi hai veduto,
perché se diamine sa che ti ho aiutato io, ci ammazza te
e me.
Allora sta ragazza se ne andiede a casa.
- Un ti è riuscito eh! birbona! - gridò.
- Si, guardi: m'è riuscito.
- No, non è stata tua bravura, è stato il mio figliolo.
- No, mi è riuscito a me.
Sicché, lei a dire di no, da lei non lo poté sapere,
passò.
- Ora cucila.
Gli diede il cotone, e cucì una federa questa ragazza.
Allora disse li maga:
- Tieni: come vuoi fare a metterla sul letto ? devi
empirla di piuma; va' in quella grotta, e c'è la piuma
per riempirla.
- Come ho a fare, senza scale e senza nulla, a andare in
quella grotta?
- Tu ci devi andare; se fra tre ore non hai riportato la
federa con la piuma, ti ammazzo. Questa povera ragazza a
piangere e a disperarsi, andiede a quella grotta a piedi
e lì si mise a piangere; era una grotta liscia; non ci
poteva andare nessuno. Erano passate due ore, allora
arriva Cupido.
- Oh, figliola mia, - dice - son venuto ad aiutarti!
Ed in un momento sale su, e gli empie la federa di
piuma.
- Vieni, nega sempre di no; che se per caso indovinasse
che ti avessi aiutato, 'un mi riuscirebbe più, perché mi
terrebbe in casa sempre a guardarmi.
- Io nego di no, sempre di no.
Lui spari, e lei adagino adagino si avvia a casa anche
lei.
- No, gli disse la vecchia, ti ha aiutato il mio
figliolo.
- No, l'ho fatto da me.
- Basta: ma come vuoi fare ad andare a sposare? Ti ci
vole i canti, i balli e soni; se no, sarebbe vergognoso
lo sposalizio del mio figliolo. Ti piace il mio figliolo
? Non lo prendi; ma intanto va a pigliare i canti, i
balli e soni dalla mia sorella. Tieni questa lettera,
lei ti darà tutto.
- Mi dica ora: l’è vero che lei mi dà la lettera e
tutto, ma dove sta la sua sorella?
- Che te l’ho a dire io? Va' via, e in tempo tre ore tu
sia qui, che se no, c’è la morte. Questa ragazza sorte
di casa, fece due tre passi camminando, e si mette lì a
piangere e disperarsi! Era passata un’ora che lei non
aveva fatto niente, e mentre era lì che piange e si
dispera, ecco Cupido.
- Che cos'hai che tu piangi tanto?
- Come ho a fare a trovare la casa della sorella della
tua mamma?
- Stai allegra e non aver paura di nulla. Questa volta
ti ho portato tutto quello che occorre per andare a casa
della mia zia. Questi sono quattro soldi, questa è la
strada che devi andare sempre dritta; quando sei
arrivata un pezzo in là, ci sarà un fiume, e scenderai
giù, e vedrai che c'è il barcaiolo. Sai che gli si dà un
soldo, e te anzi gliene hai a dare due per passarti
subito, e hai a dire che quando ti vede anche dalla
lontana venga subito con la barca alla proda per
prenderti, e portarti al fiume di là. E poi quando hai
passato questo fiume, sopra un pezzo ci sarà delle donne
che tireranno dell’acqua e non hanno fune. A disperarsi,
a piangere, a strapparsi i vestiti, i capelli, per farne
fune per tirare l’acqua. E queste donne sono a tirare
acqua per le donne che sono di sopra che fanno del pane.
Tieni questa fune, dagli questa fune in regalo. Poi di
sopra tu vedrai queste donne, che per ripulire il forno
si leveranno la gonnella, tutto, e poi andranno in forno
a ripulirlo con le poppe; gli hai a dare questi cenci in
regalo; vedrai che festa ti fanno. E poi di sopra
vedrai: ci saranno tanti leoni, che verranno sopra a te
per volerti divorare; gli devi dare questa ciccia, una
mezza serbala in su, e mezza in giù. Passato che hai
quelli, subito è la casa della mia zia; te hai a sonare,
vedrai che ti vengono aprire i suoi figlioli, sono tutti
bambini, ed entrata che hai l’entratura, c'è subito il
salotto. Vedrai: ci è un caminetto, e sopra il caminetto
c’è uno scatolino, e quello è lo scatolino de’ balli,
canti e soni. Dunque questi bambini diranno subito
quando sarai nel salotto: «Che ho andare a chiamare la
mia mamma?» e te gli hai a buttare in terra du’ chicche,
e nel tempo che sono a raccattarle devi prendere lo
scatolino, e gli devi dire: «Tenete, bambini, portate
subito questa lettera alla vostra mamma.» Nel tempo che
sono di là, te hai a scappare, ché la mia mamma gli ha
scritto sopra la lettera che ti ammazzi. Questa donna,
vedrai, è brutta, ha certi denti lunghi lunghi come
lupi, tutti quelli che ci manda la sua sorella che
l’ammazzi, con que’ denti gli fa tutti dispetti e poi
l’ammazza. Manderà i bambini dietro perché ti
acchiappino, i leoni perché ti ammazzino; ma te gli devi
dare la ciccia: così si fermeranno li e non ti daranno
dietro. Le donne del forno e quelle della fune non ti
daranno dietro perché gli hai fatto quel piacere. Al
barcaiolo gli hai dato di più perché ti passi presto, e
lui vedrai che ti passa.
Poi gli disse che per la strada non aprisse quello
scatolino, perché sono tutti uomini e donne piccine
piccine che ballano, cantano e sonano, e non gli
riuscirebbe più di rimetterli dentro. La ragazza tutto
fece, e tutto gli andiede bene. Quando venne giù, la
donna grida:
- Chiappattela quella birbona !
Ma nessuno gli dava dietro. I leoni si sparsero; quelle
donne:
- A me ha dato i cenci per ripulire il forno, mentre lei
non ci dava nulla.
- A me ha datò le fune per attingere l’ acqua.
Il barcaiolo:
- A me mi ha dato due soldi di più; si figuri se non la
faccio passare!
In un momento passò di lì.
Mentre era per istrada, la curiosità tutti ci aggiunge,
apri la scatola. Ma a malapena l’ebbe aperta un poco,
cominciarono a sortire quegli omaccini, quelle donnine,
a ballare, a cantare, a sonare; per la strada non poteva
passare nessuno tanti ce n'erano.
Quando si fu divertita nel vedere questo ballare andiede
per rimetterli dentro: ne andava a prendere uno, ne
riesciva due o tre; sicché dai, dai, non gli riusciva di
metterli dentro. Quella vedde questo lavoro che non gli
riusciva, si mise a piangere e a disperarsi. «Me lo
aveva detto il mio Cupido, e non gli ho voluto
obbedire!»
Allora Cupido, dopo un poco che la era lì che si
disperava, eccolo comparire. In un momento lui li
rimesse tutti dentro.
- Io vado a casa, te faglieli vedere, e negagli che me
mi hai veduto.
La ragazza così fece. Quando la vecchia la vedde:
- Ora ti tocca riandare a prendere l’anello dello
sposalizio che l’ha lei.
Questa povera ragazza sorte di casa e comincia a
piangere: «Non ho quattrini, non ho nulla, come faccio a
prenderlo?» Allora appari Cupido, gli diede la medesima
roba:
- Al barcaiolo - dice - invece di quattro soldi dagliene
otto, perché ti passi subito. Gli hai a buttare le
chicche ai bambini in terra nel salotto, e devi andare
da te a portargli la lettera. Vedrai: sarà molto
adirata, vedrai, ti dirà: « Aspetta la risposta.» Ma te
non gli dare retta, prendi la scatolina sopra il
cassettino, e scappa via subito.
La ragazza fece come gli disse Cupido; gli andiede tutto
bene. Arriva a casa, l'anello lo guardò innanzi di
portarlo a casa; gli piacque anche a lei.
La vecchia gli disse:
- Sta bene, non sarà stata bravura tua; tieni questa
lettera, va ad invitare la mia sorella alle nozze, e
aspetta la risposta dalla mia sorella.
- Sì.
Andiede via; nel mezzo di strada gli arrivò Cupido.
- Non ti sgomentare. Senti come devi fare. Ora devi
andare su, gli hai a dire: «Ecco, gli ha scritto la sua
sorella e ha detto che aspetta la risposta. Vedrai che
lei non ti darà risposta, ma appena ha scritto la
lettera, viene da te a ammazzarti; ma tu non devi
aspettare la risposta, e devi dire alla mia mamma: Mi
voleva ammazzare, e io la risposta non l’ho aspettata.
Poi al restante penserò io. Al barcaiolo poi dagli mezzo
franco, a quelle donne porta la fune, a quell’altre
cenci, tutto come l’altra volta.
E così fece. La sorella della maga non si messe neppure
a leggere la lettera, gli corse subito dietro; ma, lei
più lesta, non gli riescì di riacchiapparla.
Torna a casa, la maga la voleva ammazzare, allora arrivò
Cupido.
- Tutto gli hai a fare ma fori di ammazzarla, perché non
se lo merita.
- Sì che se lo merita birbona! vuole il mio figliolo
senza guadagnarselo! Bene: ora ci sono le nozze, vestiti
per bene.
Sicchè questa vecchia comincia apparecchiare; si figuri
che tavola fece. Il giorno dopo si vestì per lo
sposalizio. Ecco tutti a desinare a pranzo, in un
momento fu fatto tutto perchè era una maga.
A tavola c’era un’altra signora.
- Guarda, birbona, lo volevi te il mio Cupido? guarda
che lo sposerà quella signora lì, te tieni.
Aveva dieci candele; gliene messe una per dito.
- Sta a fare lume a noi.
Sicché si figuri quella lì a tenere dieci candele sulle
dita, a piangere e disperarsi perché la cera gli
bruciava.
Allora disse il suo figliuolo:
- Questa non è giusta, lei ne ha passate tante, e mi
deve sposare lei, non quest'altra che non ne ha infilate
punte.
Si alzò:
- Vieni via con me.
C'erano le carrozze pronte, ed andarono a sposarsi.
Quella vecchia, della rabbia crepò li. Quell’altra
signora tutta svergognata gli toccò andarsene. E loro
andierono subito a casa delle sorelle della sposa. Quel
palazzo perché era di maghi, sparì subito, e loro
andiedero laggiù dalle sue sorelle, e dal suo babbo e
dalla sua mamma. - Vede la sua figliola quante ne ha
infilate e passate?
E così e così gli raccontò tutto. Le sue sorelle tutte
svergognate; il suo babbo:
- Non me la dovevate fare questa cosa brutta!
Le voleva ammazzare. Allora la sua sorella:
- Lasciatele stare, ora si deve stare con grande
allegria, ché ci siamo ritrovati tutti.
Allora li, rinnovarono le nozze, contenti che bisogna
vedere come! e con grande allegria, feste, e balli: e
fecero un pranzo con un topo arrostito, e a me mi
dettero a leccare un dito.
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