C'era una volta un
legnajolo di corte, e aveva tre figliole.
Queste eran ragazze. Dunque il Re gli
comanda di andare a fare un lavoro fori
via, ma di molto; per cinque o sei anni.
Quest'omo non poteva dire: - «Non ci
vado!» - A voler mangiare!... Ma gli
rincresceva d'andarsene lontano, in un
paese, per affare di quattro o sei anni di
lavoro. Torna a casa dalle figliole tutto
inconsolabile, afflitto; e gli dice: -
«Ragazze, Sua Maestà m'ha ordinato questo
lavoro. Bisogna ch'io vada via, ch'io vi
abbandoni. Ma voglio una grazia da voi.» -
«Qual'è, babbo,» - dice - «la grazia?». -
Che voi vi contentiate ch'io vi muri
l'uscio.» - Dice: - «Oh come questo è, noi
siamo contentissime!» - E così quest'omo
fa murare la porta. Gli mette tutto tutto
tutto quello necessario; gli lascia
quattrini; e gli dice: - «Prendete questo
bel paniere grande, e la fune del pozzo. E
quando passa questi omini che vendon la
roba, calategnene, e comprate quel che
volete e così mangerete. E addio!» -
«Addio!» - Le bacia: potete credere, gua',
che pianti! E gli fa finire di murare la
porta, perchè ne avea lasciato un pochino
per passare; e si mette in viaggio.
Lasciamo che Sua Maestà stava dalla parte
di dietro del palazzo, affacciato alla
finestra. Ed appunto rimaneva di faccia
alle finestre di queste ragazze; e le
erano tutte e tre alla finestra sulle
ventitrè, facevano per prendere un po'
d'aria. Gli vien voltato l'occhio per caso
e vede queste tre belle ragazze; che
l'eran proprio di latte e sangue, belle!
Non istà a dire: - «Che c'è stato?» - La
mattina si veste da poerone con un paniere
di fila d'oro, e va girando: - «I' ho le
belle fila d'oro! I' ho le belle fila! I'
ho le belle fi'!» - E le ragazze dice: -
«Si chiama quest'omo? Intanto che si sta
chiuse si farà un bel lavoro, via.» - Lo
chiamano; e lui: - «Comandino, cosa
vogliono, signore?» - «Quanto le fate le
fila d'oro?» - Gli dice il prezzo e loro
gli calano i quattrini. Cari l'erano: il
prezzo proprio non lo so, ma potrei anche
dire immaginandolo. Dirò uno zecchino. -
«Ma badino» - dice il Re - «le pesan di
molto.» - «Eh! - dice loro - «siamo in
tre! Diamine, che in tre non s'abbiano a
potere?» - E che ti fa, lui? S'attacca
alla fune, al paniere; e su. Loro credon
che le sian le fila d'oro che pesano e
invece gli era il Re proprio. Loro, quando
vedono che gli era un omo, loro non
raccapezzano, no: lo volevan buttar di
sotto. Ma lui disse: - «Ferme! sono il
Re!» - e s'afferrò alla finestra. -
«Avendo saputo che voi èrate sole, son
venuto a farvi compagnia.» - Queste
ragazze, potete comprendere, vergognate in
quel momento, perchè poere; e dissero: -
«Maestà, perdonate: noi siamo poere
ragazze. Non vi si pol ricevere com'è il
vostro merito. Ci vorrebbe altro!» - «Ah!»
- dice - «Niente, niente! Io non ricerco
la ricchezza. Io vengo da voi perchè di
certo so che siete tanto bone ragazze. Ed
io vengo per passare un'ora con voi.
Quanto mi rincresce» - dice - «che non ci
sia vostro padre! perchè io do tre
festini: e m'incresce, perchè voi poerine
non possiate venire.» - Le fanciulle gli
fanno i complimenti: - «Troppo garbato,
Maestà, troppo garbato.» - «Ma» - dice -
«quando ci sarà vostro padre, io ne darò
degli altri ed allora vo' ci verrete.» -
Si trattenne un altro poco, un'altra
mezz'ora, dirò; e poi gli dice: - «Addio,
addio a domani.» - Si rimette nello stesso
panierino, e loro lo ricalano con la
stessa fune, come gli è salito. Lui va al
palazzo e le ragazze rimangon lì
chiacchierando di questa cosa. Dice la
minore: - «Che credete che questa sera vo'
non abbiate a calarmi?» - a calar giù
ancora lei. - «A fare icchè» - dice le
sorelle - «ti s'ha a calare?» - «Voi mi
dovete calare e non ricercare quel ch'io
farò.» - Dunque insisteva. Loro di no; e
lei sempre: - «Voi mi calerete, vo'
m'avete a calare.» - S'erano stancate:
dicevan di no e lei la diceva sì. - «Vuoi
calare? e tu cala!» - e con la fune la
calarono. Questa ragazza l'avea preso un
paniere grande. Va
all'usciolino secreto di Sua Maestà. Sta
in orecchi; non sente nessuno. Lesta lei
principia a salire e entra nella cucina. E
siccome tutte le guardie erano a guardare,
sapete bene, là dove s'appartiene, qua non
ci pensavan neppure. Che ti fa? La prende
tutte le meglio robe, tutto arrosto,
potete immaginare cosa ci sarà stato! e
mette tutto nel paniere la meglio roba. E
poi l'altra roba, quello che era rimasto
lì per Sua Maestà, tutto cenere e acqua,
la gnene sciupò tutta. E poi la va via, e
va in cantina: prende i meglio vini, le
meglio bottiglie, tutte le qualità che lei
poteva prendere. E poi dà l'andare a tutte
le botti, bottiglie e tutto quel che
rimase; e vien via. Corre verso casa. -
«Tiratemi su! tiratemi su!» - alle
sorelle. - Eccoti le sorelle la tiran su:
e videro un paniere di roba, pieno d'ogni
grazia di dio. Gli domandano: - «In che
maniera?» - E lei: - «Zitto! ve lo dirò.
Serrate le finestre e ve lo dirò!» -
Serrano e gli dice: - «Io sono stata così
da Sua Maestà. Ho fatto questo e questo.
Ho preso tutta la meglio roba; e poi ho
spento con cenere la roba da mangiare
ch'era rimasta. E poi ho dato l'andare
alle botti.» - Dice le sorelle: - «O
cos'hai tu fatto!» - «Pensiamo a mangiare»
- dice - «e non pensiamo ad altro.» -
Venghiamo a Sua Maestà che di certo dopo
aver ballato, ordina che gli sia messo in
tavola: in tutti i festini ci è il suo
buffè. Vanno i cuochi in cucina e trovan
questo spettacolo. Rimangon più morti che
vivi, addolorati molto, perchè non sapevan
loro quel che dovevano andare a dire a Sua
Maestà. Sua Maestà insisteva: - «Mettete
in tavola!» - Allora un di quelli disse: -
«Maestà, abbiate la bontà di venir con
noi, e vedere la disgrazia che n'è
seguita.» - «Ah bricconi!» - dice -
«Traditori! Uno di voi gli è che m'ha
fatto questo spregio!» - Loro gli si
buttano ai piedi piangendo: - «Maestà, noi
siamo innocenti!» - «Ah!» - dice -
alzatevi. Almeno andate in cantina a
prendere qualcosa da bere.» - E va da'
signori e dice: - «Signori, ci è questo e
questo. Si contenteranno di rinfrescarsi.
Ormai la disgrazia qui c'è: qualche astro
maligno, qualche fata che mi vol male
assoluto.» - Gli òmini di corte vanno alla
cantina e trovano il lago, più di
mezz'omo. Urlano! - «Maestà, abbiate bontà
di venire con noi, perchè...» - Va giù e
vede tutto un lago, tutto buttato. Torna
in su e dice a' signori: - «Signori,
abbiano bontà. Veggon bene, non ho neppure
da dar loro a rinfrescarsi. Questi
birbanti chi sono?» - E piangeva per la
vergogna. - «Ma domani sera, signori,
metterò le guardie doppie. Così non
seguirà. Perchè il primo che io posso
scoprire, il pezzo più grosso dev'essere
un chicco di rena. Questo ladro, questo
birbante...» - I signori si licenziarono a
corpo voto e Sua Maestà si mette a
piangere; e pianse tutta la notte dicendo
sempre: - «Sconta delle mie bambine, che
mi voglion tanto bene, con questi
traditori che mi voglion tanto male.» -
Venghiamo alle ragazze. - «Oh!» - dice -
«tra poco c'è da aspettarselo, Sua Maestà;
c'è da vederlo, gua', chè ce lo promesse.
Non facciamo vistosità che s'è fatta
questa cosa.» - E così, dopo un quarto
d'ora, Sua Maestà: - «Ho le belle fila
d'oro!» - «Eccolo!» - dice. Gli calan la
fune, e lui vien su; afflitto, con gli
occhi rossi. - «Maestà, cos'avete oggi?» -
gli dicono. - «Ah le mie bambine, ora vi
conterò quel ch'i' ho,» - dice. - «Vi
ricordate voi ieri che io dissi, che io
dava tre festini?» - «Sissignore.» -
«Abbiate da sapere che ieri sera all'ora
che io doveva far mettere in tavola, i
miei vanno in cucina e trovano tutta la
roba con cenere e acqua, tutto straziato,
ma uno strazio impossibile a dirlo. Loro
rimasero più morti che vivi, questi miei
servitori. Io insisteva che mettessero in
tavola. Allora si buttarono ai piedi e
dissero: Maestà, venite a vedere il caso
brutto che è seguito. Ed io gli dissi: Ah,
traditori, bricconi, uno di voi siete.
Loro si gittarono ai piedi e conobbi bene
la sua innocenza. Ma qui un astro maligno
c'è, o una fata; o un traditore c'è. Ma se
io lo scopro dev'essere più grosso un
chicco di rena della sua persona!
dev'essere spezzato più fine che un chicco
di rena.» - «Ma come si fa a fare queste
cose?» - gli rispondono le ragazze. -
«Mentre che il Re è tanto il bon signore.
Come si fa a fargli questi strazii di
buttargli la roba?» - «Oh, ma stasera ci
sono le guardie doppie, oh!» - Egli fa
come a dire, gli pare d'averla tra le mani
questa persona. Si trattiene un altro
poco, poi se ne va: - «Addio, addio, a
domani.» - Quando gli è verso le ventitrè,
dice la sorella minore: - «Che credete voi
che non abbiate a calarmi stasera?» - Dice
le sorelle: - «Oh questa sera poi, non ti
si calerà davvero. Avresti aver sentito!
Gli ha detto, s'egli scopre questa
persona, gli ha da essere più grosso un
chicco di rena. Noi non ti si cala.» - No
e sì, no e sì, bisogna che la calino, son
costrette a calarla. Quando l'hanno
calata, lei via dall'usciolino solito. Sta
in orecchi, cheh! non sente un'anima.
Tutti erano attenti dove potevan credere
che venivan le genti, ma di qua non c'era
nessuno, non sapevan dell'usciolino
segreto. La ragazza lo sapeva, perchè
gnene aveva detto suo padre. Prende tutta
la roba più dell'altra sera, perchè c'era
più roba e più squisita; e fa l'istesso:
quello che rimane tutto cenere ed acqua e
tutto un piaccicume. Va alla cantina e
piglia la meglio roba che ci possa essere,
mah! bottiglie più squisite, sempre più
della prima volta. La dà l'andare alle
botti e poi la scappa a casa. - «Tiratemi
su, tiratemi su!» - Va su; e le si mettono
a mangiare in festa, tutte allegre.
Venghiamo a Sua Maestà, che dice ai
signori: - «Questa sera non è come ieri
sera, no! Io ho messo le guardie doppie.»
- «Mettete in tavola!» - dice ai cuochi,
alla servitù. Vanno in cucina e trovano
peggio dell'altra sera: tutto cenere,
acqua; un marume. - «Maestà» - dice -
«abbiate la bontà di venir di qua da noi.»
- «Ahn? forse ci sarebbe lo stesso
tradimento?» - «Maestà, venite a vedere.»
- «Ah traditori, ora poi conosco che siete
voi davvero. Con le guardie doppie non è
entrato qui nessuno.» - Questi urlavano
appiedi: - «Maestà, salvateci! siamo
innocenti.» - Maestà dice: - «Qui c'è
qualcheduno che mi vole un male a questo
punto! Alzatevi, io vi perdono. Andate
almeno in cantina: questi signori
scuseranno, e si contenteranno di
rinfrescarsi.» - Vanno alla cantina, e se
la prima sera gli veniva sin qui a mezza
persona, questa poi non si poteva neppure
entrare, si affogava dal lago. Maestà è
costretto a dire a que' signori: -
«Vengano a vedere la disgrazia che ho
addosso. Non solo... ma che quest'astro
maligno vi sia e di non lo potere
scoprire!» - E quei signori ebbero a
andare con le trombe nel sacco, come si
suol dire, senza prender niente, quella
seconda sera. - «Ma» - dice il Re -
«domani sera ci sto in persona io.» -
Vanno via. Venghiamo al Re che dà in un
dirotto pianto. Piange sempre dicendo: -
«Le mie povere bambine quanto mi voglion
bene, e questi traditori quanto mi voglion
male!» - Venghiamo alle ragazze. - «Oh!» -
dice - «badate! Non ci sarà molto, che ora
verrà Maestà. Procacciamo di non fare
vistosità, sennò noi siam morte.» - E così
dopo mezz'ora, ecco Maestà con le fila
d'oro: non avea nemmanco fiato. - «Oh» -
dice - «eccolo! coraggio!» - Calan la fune
e lui va su, più morto che vivo. - «Felice
giorno, Maestà. O come va? che si sente
male?» - Un viso gli aveva, morto. Dice: -
«Ah le mie bambine, voi non sapete!
Iersera fu peggio dell'altra sera il
tradimento.» - «Ah, ma come mai, signore?
gli è tanto il bon signore! che gli debban
fare queste cattività?» - «Eh, ma stasera
ci sto in persona. Non ci sarà scusa. Eh
se lo posso avere!... se io posso
scoprire!... vi replico quel ch'io vi
dissi: il chicco d'arena dev'essere più
grosso di questa persona quando lo mando
in tritoli.» - «Oh l'ha ragione! È tanto
il bon signore!» - le replicano. Sua
Maestà va via dopo essersi trattenuto
un'altra mezz'ora. Ci era andato per
passarvi un'altra mezz'ora, non per fin di
nulla, via. Quando gli è andato via: -
«Che credete che stasera non mi abbiate a
calare?» - disse la minore di tutte. - «Ah
che non ti si cala davvero noi, stasera.
Non ti si cala; e si scriverà al babbo in
qualche maniera, perchè noi non si vole di
queste cose.» - Che volete? Sì, no, sì,
no; furono costrette a calarla anche
stasera. Figuratevi, entra nell'usciolino:
chè se la prima sera ci era d'ogni bene di
dio, l'ultima non si pole spiegare, ecco!
Prende il suo paniere e comincia a metter
roba, tutta la più meglio che ci fosse.
L'altra, fa il solito: tutt'acqua e
cenere; la mette giù nel camino tutta
sciupata come l'altra sera. E va in
cantina. Scende in cantina, prende il
meglio vino e le bottiglie le migliori,
poi si volta e vede un vaso di verdea.
Lesta lei, lo prende e lo mette nel
panierino. Dà l'andare alle botti, poi
lesta a casa: - «Tiratemi su, tiratemi
su!» - La va su a mangiare con le sorelle.
Lasciamo là quelle che sono in gaudeamus,
a cenare come principesse, e venghiamo a
Maestà che dice: - «Signori, stasera non
sarà come l'altra sera: ci sono stato da
me a guardare.» - E questi signori tutti
contenti dentro di sè. Ora ordina di
mettere in tavola. I cochi entrano in
cucina e veggono più cento volte straziato
delle prime sere. Più lesti andierono da
Sua Maestà, perchè: - «Se stasera» - dice
- «c'è stato da sè, non ci pole
incolpare.» - «Maestà, venite a vedere.» -
«E cosa c'è da vedere?» - «Venite a
vedere» - dice. Va a vedere, che?
figuratevi la cosa! - «Qui c'è un astro
maligno, qualche fata che si gioca di me!»
- Va dai signori: - «Signori, siamo alle
medesime. Venghino a vedere anche loro!» -
Poveretto, gua'. Vanno alla cantina,
figuratevi, tutto un lago: non si vedeva
proprio dove andare. Tutto cascato il vino
e poi tutto mescolato. Dice a questi
signori che gli abbino pazienza, ma che
dei festini non ne dà più, perchè non
poteva dar loro nemmanco da rinfrescarsi.
Tutto un lago giù, non ci si raccapezzava
nulla. Piangendo, sospirando, gli pareva
mill'anni d'arrivare alla mattina,
d'andare alle sue bambine. Dice: - «Le mie
povere bambine quanto mi voglion bene, e
questi traditori quanto mi voglion male!»
- Per tornare un passo addietro, queste
ragazze: - «Dove si metterà» - dice -
«questo vaso di verdea?» - La verdea, l'è
roba che si mangia come una conserva, io
m'immagino; ma cosa sia appuntino io non
so. Le non ci avevan posto: pensano di
metterlo sotto al letto, rimpetto alla
finestra, questo vaso. Eccoti Maestà: -
«Ho le belle fila d'oro! ho le belle fila!
ho le belle fi'.» - «Eccolo, eccolo! per
l'amor d'iddio non ci facciamo conoscere.
Ci vuol coraggio, gua'.» - Calano il
paniere, le funi solite; lo tiran su.
Piangeva a calde lacrime. - «Oh Maestà! Ma
cos'avete?» - lo vedevan troppo disperato.
- «Ah quel ch'i' ho? Peggiore di tutte
l'altre sere! Non basta essere stato da me
in persona. Questo è qualche astro maligno
o qualche fata. Ma io non ne darò mai più
di questi festini.» - Discorrevano del più
e del meno, loro dicendo sempre: - «Tanto
bon signore!» - e sempre replicavano
questa parola. Sua Maestà si è trattenuto
altra mezz'ora, come il solito, da queste
ragazze, e se ne va: - «Addio, addio, a
domani.» - Nel mentre le ragazze lo
calano, lui vede il vaso della verdea
sotto il letto: - «Oh traditore!» - gli
dice, e fa per ritornare su in casa. E
loro lo buttano di sotto senz'altri
discorsi. Chi lo buttò fu la sorella
minore. Sua Maestà si fece un male, ma
male passabile. Lascio considerare le
ragazze maggiori come rimasero,
dicendogli, alla sorella: - «Qualunque sia
il caso, la rea tu siei te. Noi non ci
s'ha colpa.» - Venghiamo a Maestà. Va nel
suo quartiere e subito scrive al suo
padre, delle ragazze, una lettera
fulminante: che in due ore e mezza, lui
fosse al palazzo, altrimenti, pena la
testa. Lascio considerà' quest'omo nella
massima disperazione, pensando a più cose
e non sapendo perchè Sua Maestà gli avea
detto per sei anni e in capo a pochi
giorni lo manda a chiamare: - «Eh,
qualcosa ci è!» - dice. - «Le mie figliole
non possan essere, perchè gli ho murato
l'uscio; impossibile!» - Si mette in
viaggio, più morto che vivo con questa
pena, con questo pensiero; e arriva al
palazzo. Dice: - «Sua Maestà mi ha mandato
a chiamare.» - E così Sua Maestà sente che
gli è arrivato, dice: - «Fatelo passare.»
- E passa quest'omo. - «Che mi comanda Sua
Maestà?» - «Mettetevi a sedere» - dice. E
quest'omo si mette a sedere. - «Ditemi,
quante figlie avete voi?» - Lui, si sente
una stilettata, perchè: - «qualcosa c'è
sulle mie figliole!» - Dice: - «Tre,
Maestà.» - «Bene: si potranno vedere
queste tre figlie?» - «Maestà, quando Lei
voglia. Ma si ricordi, che noi siam
poverelli, noi. Non si pò riceverla come
Lei meriterebbe di certo.» - «Non
m'importa!» - disse Sua Maestà. - «Io
bramo di conoscerle; ed una di loro la
voglio in isposa.» - Quest'omo si butta a'
piedi dicendo: - «Maestà, io sono un
pover'omo. Impossibile che voi vogliate
abbassarvi a prendere una delle mie
figliole.» - «Oh io vi replico che una di
tre io la voglio.» - «Allora,» - dice -
«Maestà, mi permetterete che io faccia
smurare l'uscio, perchè io gli ho lasciato
l'uscio murato. E allora potremo andare.»
- Va e fa buttare giù l'uscio, e va su
dalle figliole, tutto... non sapeva nemmen
lui quel ch'egli era. - «Oh babbo!» - Gli
fanno le feste, lascio pensare. - «Oh
babbo, ben tornato. In che maniera così
presto?» - «Maestà mi ha mandato a
chiamare, e io son dovuto tornare, eh. E
mi ha detto: - «Quante figlie avete?» -
Loro, figuriamoci, le maggiori, il suo
core dove gli andiede: - «Ci siamo, gua'!»
- «E io gli ho detto: Tre, Maestà; tre
figlie ho. - Si potrebbero vedere? Io gli
ho detto: Maestà, sapete bene, noi siamo
poveri; non vi si potrà ricevere secondo
il vostro merito. E lui ha detto: Cheh!
no, no, vi replico; io voglio vederle,
perchè una di tre la voglio per isposa.
Quella che mi vole.» - La maggiore dice a
suo padre: - «Io no, io non lo prenderei
davvero.» - La seconda: - «Neppure io, sa,
babbo; perchè...» - La minore: - «Lo
prenderò io» - dice. - «Io lo prenderò
volentieri.» - Eccoti Sua Maestà che viene
in casa con suo padre e va su, e si mette
a parlare, a discorrere del più, del meno.
Suo padre è costretto a dirgli: - «Sua
Maestà una di voi vi accetta per isposa.»
- La maggiore dice di no: - «Non per... ma
che vole! ci vorrebbe altro! io non posso
essere capace...» - La seconda l'istesso:
- «Noi non siamo istruite, quel che Lei
merita.» - La minore dice: - «Lo prenderò
io, io sono contenta.» - Era lei che aveva
fatta la mancanza. Ecco, conchiudono le
nozze; fecero presto, in quattro o sei
giorni. Così il giorno dello sposalizio,
dopo l'anello, un momento di libertà ci
vole. La gli dice alle sue damigelle: -
«Io voglio fare una celia al Re.» - «Cosa,
signora, vol fare?» - «Stai zitta. Io
voglio fare una celia. Voglio far fare una
donna tutta di pasta, e da qui in su tutta
zucchero e miele: e poi ci siano ordinghi
da potergli fare dire di sì e dire di no.»
- Figuriamoci, non aveva finito d'ordinare
che gli era bell'e fatta! - «Perchè la
voglio mettere nel letto, voglio fargli
una celia al Re. Come a dire invece d'io
che ci sia questa donna di pasta.» - Ed
appena fatta, la fa mettere in letto con
la berretta, tutta vestita, come se la
fosse stata lei in persona. Dopo pranzo,
dopo la cena, dopo tutta l'allegria, vien
l'ora di coricarsi. E chiede lei d'andare
prima un momento a letto. Invece di
spogliarsi entra sott'il letto e si
prepara con questi ordinghi, se mai, a
tirare e a dire di sì e di no. Venghiamo a
Maestà che dice ai servi: - «Non occorre
che mi spogliate stasera: faccio da me.» -
Entra in camera, e serra. E dice: -
Briccona! Ti ricordi eh, quando io diedi
tre festini e mi eran fatti quegli spregi;
e che te andavi dicendo: è tanto bon
signore!, traditora.» - Lei, sotto al
letto: - «Sì, me ne ricordo.» - E tirava i
fili, perchè dicesse sì la donna di pasta.
- «Ah, te ne ricordi, eh?» - «Sì» - la
dice. - «Me ne ricordo.» - «Adesso è tempo
della mia vendetta.» - Prende la spada e
va al letto e la ferisce; via, ferisce
quella bambola ch'era lì coricata. E gli
spruzza tutto zucchero e miele. E lui
sentendo dolce, zucchero e miele, comincia
a dire: - «Oh Leonarda mia di zucchero e
miele! se io ti avessi ora ti vorrei gran
bene.» - Lei dice: - «Io son morta.» - Lo
dice, gua'! con una voce flebile. E lui
insiste: - «Ah Leonarda mia di zucchero e
miele! se ti avessi ora ti vorrei un gran
bene.» - E lei ridice: - «Son morta.» -
Quando la vede che lui gli era veramente
per ammazzarsi (lui s'ammazzava), la sorte
fôra e dice: - «I' son viva, son viva!» -
S'attaccano al collo, si baciano, si
perdonano, e nessun seppe nulla, perchè
rimase in loro. Se l'ammazzava davvero,
era morta: ma fu celia. La mattina
s'alzarono, come fanno il solito. Leonarda
la fece venire il padre e le sorelle e li
fa i primi signori del palazzo. E così una
cosa di celia, le riuscì di divenire una
Regina. E visse bene, ma ci vol di quelle
furberie.
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