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Fino a metà del XIX secolo il termine 'favola' indicava
qualunque storia non vera, cioè tutti i racconti tranne quelli
considerati scientifici, quelli della propria religione, quelli
storici. Nel XVI secolo non era una favola quanto si scriveva
degli unicorni, che si consideravano realmente esistenti, né
sarebbe stata definita come favola il miracolo di Gesù Bambino che
forma degli uccellini con l'argilla e poi dà loro vita, per quanto
appartenente ai Vangeli Apocrifi. Non erano favole le storie della
Leggenda Aurea di Jacopo vescovo di Varagine, cioè di
Varazze, fra le quali si può leggere che l'imperatore Nerone
ingoiando un girino ebbe uan specie di gravidanza ala termien
della quale partorì una rana. Né favola era la storia della
fondazione di Roma con Romolo, Remo, il padre divino e la balia
lupa.
Credo quindi che in questo contesto chiamare favole i miti greci
sia corretto.
In questa pagina l'estimatore di letteratura infantile -
qui nel senso di testi scritti dai bambini - potrà trovare tre
esempi: il testo di una bambina che si è impegnata come un antico amanuense,
quello di un bambino che a otto anni rivela una straordinaria competenza espressiva,
e il testo di una
bambina particolare. Si conclude con la nota di un bambino
che colorando il ciclope col verde chirurgico potrebbe esprime
il voto di frequentare la scuola come gli altri bambini,
sfuggendo a una malformazione che lo ha tenuto lontano daloro
percHè ha dovut osottoporsi a continue cure e interventi
chirurgici. La vittoria di Ulisse - alla quale quasi tutti gi+li
alunni maschi dedicano il loro lavoro - è la vittoria
dell'essere umano sulle avversità della natura e del destino,
vittoria che si basa sulle doti di intelligenza e di fantasia
che sono la nostra arma migliore. I bambini hanno risposto con
entusiasmo a un racconto fatto da chi ha sempre amato
profondametne il mito greco. Anche l'amore è contagioso, non
solo l'odio.
Duemilasettecento anni fa il greco Esiodo
raccontava che in principio nacquero Caos, Gea/Terra,
Tartaro/Inferi sotterranei e il dio dorato dell'amore, il più
bello, Eros. Poi la Terra generò da sola Urano/Cielo, perché l'abbracciasse tutta, e il
Cielo ogni notte scendeva con tutta la volta stellata e
l'abbracciava, e generavano tutti gli esseri viventi.
Ma il Cielo non voleva che venissero alla luce,
e allora li comprimeva in seno alla Terra, e la Terra
appesantita gemeva e soffriva. Allora un giorno chiamò tutti i
suoi figli, i Titani, e chiese loro chi era disposto ad
aiutarla a combattere contro il padre Cielo, che aveva
commesso un'azione cattiva. Tutti
restarono in silenzio, perché
avevano paura, tranne il più piccolo, Crono/Tempo, che
disse di non temere il padre e di essere pronto ad aiutarla.
Gea/Terra allora trasse dalle sue viscere il primo metallo, il
durissimo adamante, e con quello formò la prima falce.
Mentre racconto mostro loro sulla lavagna come i greci scrivevano questi nomi, e chiedo se conoscono qualche parola dove sia la terra nata con i greci, Gaia o Gea, e qualche parola con Crono/Tempo: tutti contenti trovano geografia e geometria e cronometro...
Poi, a sera, Gea/Terra istruì Crono/Tempo su quel che doveva fare, lo nascose e gli mise in mano la falce di adamante: quando come ogni sera Urano/Cielo scese ad avvolgere Gaia/Terra, Crono/Tempo alzò la falce e tagliò... cosa?
A questo punto i bambini hanno risposto 'la testa', poi 'la mano', 'il braccio', e io dicevo loro di no, una parte molto importante, ma non quelle... 'il naso!' ha detto un bambino, e io ho detto che si trattava di qualcosa di più basso... 'Ah!' ha fatto un bambino, 'Gli ha tagliato...' Ho detto che sì, proprio quello. Metà della classe, come ha notato l'insegnante, rideva, l'altra metà guardava senza aver capito, finché una bambina ha chiesto a un compagno: "Ma tu hai capito cosa gli ha tagliato?" "Dai! non hai capito? il pisello!" Di nuovo risa, e l'insegnante temeva che sarebbero diventati incontrollabili, invece si sono rapidamente ricomposti e si sono rimessi ad ascoltare.
Con una mano teneva la falce con la quale tagliò il membro di Urano/Cielo, e con l'altra lo gettò in mare, ma prima di cadere in mare alcune gocce di sangue caddero sulle Terra, e da queste nacquero le Erinni e le Ninfe. Quando il membro immortale di Urano/Cielo fu in mare, il mare mai stanco, che si agita e ribolle, il mare lo cullò con le sue onde, e dal membro uscì la spuma del mare, e nella spuma cominciò a crescere una bambina bellissima, cullata dalle onde, e quando fu grande su una conchiglia giunse su un'isola, e visitò quella terra: dove poggiava i piedi nascevano erbe e fiori.
Un bambino dal fondo della classe pieno di meraviglia mi ha chiesto: "Ma tu sei greca?". Siccome ho detto di no mi ha chiesto come si fa a imparare queste storie, e come scrivevano i greci, e ho spiegato loro che le storie si possono leggere in tanti libri diversi, e il greco si studia in uan scuola superiore che si chiama Liceo Classico, dopo le medie e prima dell'Università. Poi una bambina mi ha detto "Io mi chiamo Arianna, è un nome greco..." Così ho raccontato di Arianna:
Arianna era la figlia di Minosse, re di Creta, e sua madre un giorno si era innamorata di un bellissimo Toro, e con lui aveva generato il Minotauro, un mostro mezzo uomo e mezzo toro. Il re perché non facesse danni e per nasconderlo avea fatto costruire il labirinto... Dedalo era l'architetto del labirinto, e perché non potesse rivelarne il segreto a nessuno Minosse ce lo imprigionò insieme al figlio Icaro, ma Dedalo, che era un grande inventore, costruì due paia di ali di cera e piume per sé e per il figlio, raccomandandogli di non salire troppo vicino al sole...
Tutta la narrazione è avvenuta con l'aiuto dei bambini. qualcuno di loro sapeva qualcosa, come il volo di Icaro che muore per essersi avvicinato troppo al sole, o che il Minotauro pretendeva di mangiare dei giovani ogni anno.
Il Minotauro esigeva giovani ateniesi da divorare ogni anno, finché l'eroe Teseo non venne a Creta per sconfiggerlo. Ma non ci sarebbe riuscito senza l'aiuto di Arianna, che gli mise fra le mani un filo prima che entrasse nel labirinto: mentre lei restava all'entrata tenendo in mano il gomitolo con l'altro capo del filo, Teseo combatté e uccise il Minotauro, e poi fuggì con Arianna, ma dopo poco l'abbandonò addormentata su una spiaggia, e Arianna pianse tanto, lontana da casa e sola senza il suo amato. Ma non le andò tanto male, perché dopo un po' arrivò su quella spiaggia il dio dell'ebbrezza, Dioniso/Bacco, e la prese come sua compagna. Aveva perso un eroe, ma aveva conquistato un dio.
Allora un bambino mi ha detto che lui sapeva la storia del Ciclope, e così si è raccontata questa storia:.
Omero racconta che Ulisse stesso raccontò la
sua storia con Polifemo,
quando viaggiando capitò con le sue navi dalle parti
dell'isola dei ciclopi, giganti brutali con un solo occhio in
mezzo alla fronte, e decise di andare a vedere com'erano.
Nascose le navi e si avviò con dodici compagni, i migliori,
portando in dono un otre di vino fortissimo e squisito.
Trovarono un antro immenso, che conteneva gli oggetti della
vita dei pastori, e si misero ad aspettare il padrone di quel
posto. A sera il ciclope, che si chiamava Polifemo, tornò con
le sue greggi, le fece entrare e chiuse l'imboccatura della
grotta con un masso enorme. Disse che di tutti i doni e delle
belle parole non gli importava nulla, perché i ciclopi erano
forti e vivevano per conto loro abbastanza da non volerne
sapere delle leggi e del dovere dell'ospitalità. Poi prese due
dei compagni di Ulisse, li sbatté contro il muro
fracassandogli il cranio come se fossero uccellini nelle mani
di un cacciatore e li mangiò.
La mattina successiva ne mangiò altri due per colazione e poi
andò fuori col suo gregge, chiudendo la caverna con il masso.
Ulisse e i compagni cercarono un modo per salvarsi, Ulisse
avrebbe anche ucciso nel sonno il ciclope, ma poi, chi avrebbe
spostato il masso che chiudeva la caverna? occorreva
un'astuzia, e Ulisse era il più astuto degli eroi, e gli venne
in mente un piano, lo rivelò ai suoi compagni, e li istruì.
Poi si misero ad aspettare il ritorno di Polifemo, e quando
venne Ulisse gli offrì l'otre di vino fortissimo, che i greci
bevevano diluito con venti parti di acqua, dicendogli che lui,
forte come un dio, meritava quel dono squisito. Il ciclope non
conosceva leggi e nemmeno sapeva fare il vino, lo bevve puro,
e gli piaceva tanto. A un certo punto chiese a Ulisse come si
chiamava, dicendo che voleva fargli un regalo, e Ulisse rispose di chiamarsi 'Nessuno'. "Bene, Nessuno," disse
il ciclope, "mi piaci, e per questo ti mangerò per ultimo!".
Bevve tutto il vino, dopo aver mangiato altri due compagni,
poi cadde ubriaco e addormentato, e allora Ulisse e i compagni
misero in atto il piano. Avevano preparato un tronco d'albero
facendogli la punta e indurendola sul fuoco, e lo afferrarono
tutti insieme, perché era grande come l'albero di una grande
nave, e poi lo infilarono
nell'occhio del ciclope, girandocelo dentro come un
trapano.
Con un urlo tremendo Polifemo si svegliò,
brancolando pazzo di dolore, ma siccome non ci vedeva non
riusciva più a prendere Ulisse e i compagni. Allora uscì nella
notte e si mise a chiamare gli altri ciclopi, che gli chiesero
cosa succedeva, e Polifemo rispose che lo stavano uccidendo. "Chi ti uccide?" gli chiesero i
ciclopi, che non avendo leggi non si interessavano
nemmeno tanto gli uni degli altri, "Nessuno mi uccide!"
rispose Polifemo. E gli altri ciclopi: "Se nessuno ti fa del
male, il tuo male viene dagli dei, e non c'è niente da fare,
tornatene a dormire, e lascia dormire noi".
Al mattino il ciclope dovette aprire la
caverna, perché le sue pecore piangevano, avevano fame e le
lasciò andare a brucare l'erba, perché lui era un pastore:
siccome non voleva far uscire Ulisse e i compagni si mise
all'imboccatura della caverna e tastava tutte le pecore. Ma
l'astuto Ulisse aveva trovato un altro trucco: ciascuno dei
suoi compagni si era attaccato al vello di una pecora o di una
capra, sotto la pancia, così, quando Polifemo le toccava, non
si accorgeva che stavano uscendo. Ulisse aveva scelto l'ariete
capobranco, che a causa del peso si spostava lentamente, e
uscì per ultimo. Polifemo riconoscendolo al tatto gli chiese:
"Come mai tu, il mio capobranco, che
sei sempre il primo ad uscire, vieni per ultimo? forse sei
triste per la mia disgrazia?".
Quando Ulisse e i compagni furono fuori dalla
caverna si misero a correre verso le navi, e appena si furono
allontanati un po' dall'isola Ulisse gridò al ciclope: "Non è vero che sono Nessuno!
il mio nome è Ulisse, re di Itaca, eroe della guerra di
Troia, padre di Telemaco e sposo della fedele Penelope! Impara
chi sono, babbeo di un ciclope che non rispetti né le leggi
divine né quelle umane!" Allora il ciclope Polifemo prese un masso e lo lanciò in
mare in direzione della voce, ma non riuscì a colpire la nave.
E così Ulisse si salvò e riprese il suo viaggi.
Dopo molto tempo e molte altre avventure Ulisse
tornò alla sua isola, Itaca, dove lo aspettavano Penelope e
suo figli oTelemaco. Nessuno lo riconobbe, tranne il suo cane,
che era un cucciolo quando era partito, e che fu così felice
di rivedere il padrone che morì dalla gioia: si chiamava Argo,
faceva la guardia ed era fedele, per questo si chiama così
l'associazione per fare la guarda alle case. Poi ci fu la
prova dell'arco: molti erano i pretendenti alla mano di
Penelope, ma solo Ulisse poteva superare la prova di tendere
il suo arco e di lanciare una freccia in dodici anelli: così,
vinta la prova, si fece riconoscere e visse felice i suoi
ultimi anni.
Tanto tanto
tempo fa in un isola chiamato Troia viveva un re di nome
Ulisse ma però era anche un pastore; sua moglie si chiamava
Penelope e suo figlio di nome Telemaco. Un giorno Ulisse
venne chiamato per fare la guerra, ma Ulisse non voleva
andare in guerra perché non gli importava niente allora si
mise a fare il matto cioè si mise a seminare il sale sulla
spiaggia e ararlo; quando il signore che doveva dirgli di
andare in guerra arrivò Ulisse fece finta di niente e allora
il generale andò a prendere telemaco e lo mise davanti
all'aratro e Ulisse fu costretto a fermarsi e, allora
dovette andare in guerra con alcuni suoi compagni che
dovevano partire con lui. Ulisse era il capo; avevano
moltissime navi. Si fermarono in un isola di ciclopi.
entrarono in una caverna dove abitava Polifemo (un ciclope)
che sentendo e vedendo Ulisse e i suoi compagni le venne
voglia di mangiarli e di seguito ne prese due li schiacciò e
se li mangiò morsicandoli. Il gigante era un pastore e aveva
le pecore e disse domani sera ne mangerò altri due. Ulisse
essendo molto furbo le diede il vino che al paese di ulisse
doveva essere bevuto insieme a 10 bicchieri di acqua perché
il vino era molto forte. Il gigante non sapendo cosa era il
vino lo bevette senza acqua e chiese, a Ulisse se ne poteva
bere ancora e alla fine si ubriacò e si addormentò. Al
mattino il gigante come al solito spostò il masso e andò a
mungere le pecore Ulisse intanto pensò ad un piano.
Alla sera Ulise
prese un grande bastone e anche molto lungo lo mise nel
fuoco per farlo indurire e quando il gigante dormiva glielo
ficcarono nel grosso occhio, e dall'occhio uscì tantissima
carne. Il gigante chiamò: aiuto, aiuto mi stanno derubando
allora i giganti giusero alla caverna e dissero chi ti sta
derubando? Nessuno rispose il gigante e gli altri: ma allora
arrangiati! Il gigante anche non vedendoci fece uscire le
pecore perché dovevano essere munte Ulisse i i suoi compagni
si misero sotto alle pecore e Ulisse sotto all'Ariete più
grosso e il gigante le disse all'Ariete perché sei uscito
per ultimo che di solito esci sempre per primo e guidi tutto
il gregge?
Il gigante
disse bè per una volta l'ariete uscì e a gambe levate
scapparono anche i suoi compagni e Ulisse urlò: brutto
rimbambito di un gigante io sono il marito di Penelope e il
gigante si arrabbio e lanciò un grosso masso a caso che per
poco no colpiva la nave ulisse si affretto a scappare e nel
frattempo divento vecchio quando arrivò a casa sua mogli non
lo riconobbe perché era tutto pidocchioso e sporco, ma
invece il suo cane quando lo vide si mise a scodinzolare e
morì di felicità che il suo padrone era tornato.
Sua moglie
prima aveva organizzato un torneo che chi riusciva ha tirare
l'arco di Ulisse diventava suo marito ma nessuno ci riuscì,
ma Ulisse si perché rimase sempre il più forte.
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ANTICHE FAVOLE GRECHE
VERSIONE COLLETTIVA DISEGNATA
(click sulle immagini per ingrandirle)
La bambina che ha fatto questo disegno mi
ha detto "Guarda, nel cielo ho messo tutti i blu che
avevo"
Il bambino che ha fatto questo disegno ha incrementato
l'attività di Crono, al quale nel fumetto attribuisce l'idea
di sistemare il padre Urano/Cielo.
Lo stesso bambino ha scritto la sua
bellissima favola mitologica che è difficile attribuire a
un bambino di otto anni che per la prima volta ha sentito questa
storia.
Disegno pubblicato anche su Liber, numero di luglio-settembre
2003, A.G., Favole
a
scuola all'ombra della psicoanalisi.
Questo bambino ha rappresentato Urano/Cielo che scende con
lunghissime braccia per avvolgere Gaia/Terra, e ha nascosto
Crono/Tempo,
raffigurato come un bambino, dietro un masso/lingam, che
potrebbe rappresentare la madre fallica. Si osservi la
rappresentazione della paura
della rappresaglia paterna, nel non sporgersi in alcun modo
oltre il nascondiglio: ma anche la castrazione va fatta, e
quindi il braccio si allunga
magicamente consentendola senza togliere al bambIno/Tempo
la sua protezione.
La bambina rappresenta la conchiglia di Venere, e quando mi
consegna il disegno mi fa osservare che per fare il mare ha
tritato
la mina della matita colorata e l'ha sparsa sul foglio col dito.
Da notare il colore rosso acceso della pelle e dei capelli, e la
pettinatura che ricorda le corna delle figure demoniache
Ancora Venere, con un abito fiorito che potrebbe ricordare la
Nascita di Venere Botticelli, con sole e pesci festanti, e la
conchiglia su cui poggia.
Questa bambina ha ricordato come i fiori sbocciassero sotto i
piedi di Venere, che nella veste e negli occhi ha l'azzurro,
come il padre
Urano/Cielo dal cui membro è nata, come il mare che l'ha cullata
nella spuma, e Mare e Cielo si vedono sullo sfondo dell'isola
fiorita,
simbolo della generatività di cui è signora Afrodite/Venere, che
spiunge all'unione i diversi.
Nel disegno c'è scritto: La mamma di Arianna si sposò con un
toro e fece Arianna.
Il toro sembra un orsacchiotto, e da fratellastro diventa padre
di Arianna. Il disegno rappresenta una scena che rimanda alla
storia della Bella con la Bestia.
Il disegno seguente è sul retro di questo.
Il labirinto di Creta. Rappresentare il labirinto per il bambino
significa darsi una rappresentazione del materno, nel quale teme
di perdersi:
si osservi con quale acribia il bambino indica i nomi e la
posizione di Arianna, Teseo e il Minotauro. Il senso del disegno,
come del mito,
è la possibilità di visitare un materno arcaico, generatore di
mostri che, se non vengono affrontati e vinti,
provocano la morte per divoramento, che è una forma di
reinfetazione.
Nel fumetto Arianna dice a
Teseo: 'Tieni questo filo così non ti perdi'. Teseo risponde: -
Grazie
La bambina ha rappresentato nel cerchio ossa e brandelli,
che dovrebbero ricordare i giovani mangiati dal Minotauro.
Da osservare che Arianna sta con Teseo come una mamma col bambino.
Quanto al filo col gomitolo, potrebbe anche rappresentare uno
spermatozoo
Il Minotauro sullo sfondo fa pensare che la bambina Arianna si
rivolga a Teseo, che si trova nella posizione di chi guarda il
disegno.
Nel fumetto Teseo diventa Tedeo, e il labirinto diventa una
grotta, come il labirinto simbolo del materno arcaico e
potenzialmente reinfetante.
Si osservi anche il particolare delle corna che legano il toro
al diavolo.
Il bambino disegna il filo come una specie di cordone
ombelicale, che comunque Teseo deve legarsi alla cintura quando
ha bisogno di
entrambe le mani per combattere. Le due armi da taglio sono
simmetriche alle due corna appuntite del Minotauro,
che rappresenta una condizione più arcaica, per questo non ha
una spada ma una specie di clava. Si osservi come
dalle sue narici esca una specie di fumo e come un raggio di
luce faccia brillare le armi di Teseo.
La bambina rappresenta Arianna abbandonata e disegna una lacrima
lungo la sua guancia. Si noti che l'isola dell'abbandono si
salda con la tradizione di
"Laguna Blu" o dei Tropici in genere: è arredata da una bella
palma, come quella successiva. L'esotico del mito si salda con
l'esotico delle crociere.
La bambina disegna Arianna che piange lacrime multicolori, e la
veste con una gonna viola, colore che rappresenta il lutto,
la sofferenza femminile da elaborare nella crescita. Le lacrime
multicolori indicano, come le toppe dell'abito di Arlecchino,
sia un rapporto con l'oscurità, cosignificante del viola della
veste, sia un potenziale trasformativo.
Bacco, a sinistra, piuttosto femmineo, arriva a salvare
Arianna, che sarà per sempre sua compagna.
Arianna, a destra, pare ancora afflitta per l'abbandono
dell'ingrato Teseo.
La bambina ha rappresentato con libertà di tratto un ciclope
come un insieme arcaico
non organizzato: sembra un tronco quello che ricopre l'intero
foglio da disegno, mentre
l'occhio e la bocca vorace sono come scissi uno dall'altro
La didascalia recita:'Io ho
disegnato il ciclopede che sta mangiando gli uomini'. E
dice: - Buoni!.
Qui il bambino, non senza umorismo, rappresenta il ciclope
come arcaico, orale-divorante,
con l'uso del colore verde, che è della natura vegetale.
Il bambino disegna il ciclope enorme e Ulisse piccolo, ma il
primo ha le proporzioni di un bebè, il secondo di un adulto.
Anche qui il colore verde, nella tonalità marcia, indica il
carattere arcaico di Polifemo. Un tratto da bebè del Ciclope
è anche nel ciuffetto di capelli, come se si saldassero
stolidità e condizione infante.
Qui il ciclope è un troglodita, che mangia due uomini
contemporaneamente, come fossero pane e companatico. La
rappresentazione è molto ampia,
con Ulisse e i compagni, e con la caverna arredata dal formaggio
- il Ciclope è un pastore - un cesto di frutti - per il bambino
è anche un contadino -, col fuoco acceso,
sul quale tra poco Ulisse temprerà il palo poer accecarlo, e
l'enorme masso sulla destra, a chiusura della caverna.
Interessante come le capigliature e le barbe dei compagni di
Ulisse siano differenziate, a significare che si tratta di
individui
dotati di particolarità soggettive, e come Ulisse abbia capelli
grigi, indice di saggezza
I bambini , specialmente maschi, amano disegnare particolari
grandguignoleschi, come qui, con pezzi di carne che cadono nel
fuoco.
Il bambino disegna il ciclope steso e accecato, sanguinante
dall'occhio, mentre Ulisse e compagni sembrano pronti
a colpirlo di nuovo, e la punta dell'albero è in un mucchio di
sangue.
Polifemo cerca inutilente aiuto dagli altri ciclopi: 'Chi ti
sta uccidendo?' - 'Nessuno' - 'Allora andiamocene'.
Degno di un vaso attico il tratto di questo bambino, con i
compagni seminascosti dalle pecore e Ulisse che sporge da sotto
l'ariete, sollevato dal ciclope,
giallo e panciuto come un demone orientale, completamente nudo,
col sangue in mezzo alla fronte. In questo lavoro, a titolo di
esempio, sottolineiamo
la grande capacità dei bambini di ricordare particolari del
racconto, che pure ha compreso tante favole greche, quando
Polifemo palpando l'ariete dice:
- Come mai esci per ultimo che sei il capo gruppo? O forse ti
dispiace per il mio occhio!
La bambina che ha fatto questo disegno potrebbe aver
rappresentato i ciclopi invocati da Polifemo accecato, con
Ulisse al
centro, che, disegnato al solito in modo più differenziato,
sembra in ogni caso sfuggire al loro controllo.
La stessa bambina ha scritto anche una poesia.
Nei fumetti si legge che Ulisse dice a Polifemo: - Maledetto! Io
sono Ulisse! non sono Nessuno!
E il ciclope inorridito a bocca spalancata esclama
interrogandosi: - Cosa?!
Nel fumetto si legge quanto esclama il ciclope: - Ora mi sono
arrabiato!
Osservare come questa bambina rappresenti l'arcaismo del
ciclope: sembra quasi un bipede appartenente alla famiglia degli
struzzi,
e il masso che sta per scagliare dopo esserselo caricato sulle
spalle potrebbe distruggere la nave. Questa ha sulla prua die
simboli,
come vessilli o polene: uno circolare e uno triangolare, e la
chiglia è gialla, colore solare, e rivela di che è fatta, di
tavole di legno,
opera umana. Nella lite fra Polifemo e Ulisse, la luna, simbolo
del femminile, è nascosta da nuvole nere.
Particolarmente ben riuscito questo disegno, che è appeso nel
mio studio, in cui il ciclope ha il ciuffo da bebè, ma esteso
fino a ricordare l'anguicrinita Medusa, una delle
rappresentazioni femminili più terrifiche. La bocca immensa
riporta
all'arcaismo orale, mentre la nave ha i tratti accurati e
differenziati che indicano l'artificio umano, la sua
intelligenza,
la sua cultura: si osservi il particolare dei vetri a poppa.
È il momento in cui il masso già scagliato ha sollevato un'onda
immensa, e il ciclope mostra una collera impotente.
Qui si tratta di un bambino indubbiamente bravo anche per i
parametri convenzionali, che mette a frutto al sua capacità
fornendoci una versione impeccabile della vicenda narrata da
Esiodo all'inizio della Teogonia. Si osservi come attribuisca a
Crono/Tempo il ruolo attanziale, spostando sia il piano sia
l'ideazione dell'adamante dalla madre al figlio, fadcendoci
comprendere come sia edipicamente identificato con il coraggio e
l'astuzia di Crono.
Da notare infine la finalità della creazione, che non è contenuta
nella Teogonia né era presente nel mio racconto: come i bambini
pensano che i genitori si siano sposati per far nascere loro, così
la Terra crea il Cielo non perché l'abbracci avvolgendola tutta,
ma per poter creare nuovi esseri.
Tanto tempo
fa, si creò il CAOS, la TERRA, l’INFERNO ed Eros.
La TERRA creò,
tutto da sola, il CIELO affinche potessero creare nuovi
esseri che vivevano sulla terra.
Nacquero i
TITANI, ma dopo un po’ il CIELO che era invidioso costrinse
la TERRA a tenere gli esseri che avevano creato dentro di
lei.
Allora la TERRA
chiamò i suoi figli titani e chiese chi la voleva aiutare.
Nessuno si fece avanti tranne Crono, il più piccolo, che
chiese alla terra di tirare fuori, dalle sue viscere, un
metallo potentissimo di nome Adamante per costruire una
falce.
Di notte CRONO
quando il cielo scese si avvicinò e tagliò gli organi
genitali del CIELO che caddero nel mare e formarono la
schiuma e dalla schiuma nacque Venere, la dea dell’amore.
ulisse
papo tutti i
ciclopi
poi Bevo
e si obriaco
e poi grido
a alta voce
Ulisse papo tutti i | ciclopi
Nella logica dell'inconscio non vige il principio di asimmetria,
per il quale se A è il padre di B allora B non può essere il padre
di A. Allo stesso modo per la logica di non contraddizione se
l'antropofago è il Ciclope, e i compagni sono il suo cibo, non si
può dire che Ulisse papo - pappò, si mangiò - tutti i
ciclopi. Ma per l'inconscio, ad esempiuo attraverso
l'identificazione proiettiva, la figlia può diventare la madre,
fenomeno osservabile anche in certi vecchi, che chiamano mamma la
loro figlia.
Inoltre, in senso figurato la preda diventa il cacciatore, quando
Ulisse con la sua astuzia acceca Polifemo e si beve i
suoi compagni ciclopi: è il cappio di predazione di cui si può
leggere nella Teoria delle catastrofi di René Thom...
Poi bevo || e si obriaco
Anche qui il poi vale come un prima: ciò che in senso logico
appare come una contraddizione può invece essere inteso come un
flash-back.
E poi grido | a alta voce
Qui si descrive l'urlo di Polifemo, oppure quanto grida Ulisse
dalla nave, presentandosi con la sua regale ed eroica identità al
Ciclope: c'è una violenza che si libera, e che libera un grido di
trionfo sul mostro arcaico: sotto la parola ciclopi, cancellato,
leggiamo titani. Forse la bambina voleva usare il passato remoto,
ma anziché alla mancanza dell'accento ci piace osservare che
leggiamo un presente, che attesta il suo coinvolgimento nella
favola greca. La bambina, come i suoi compagni, ha sentito e
rinarrato, dando forma a un testo che è una forma creolizzata tra
un sogno notturno e una poesia ermetica.
E ora possiamo goderci il testo della bambina, che quando ho
presentato alla classe la versione collettiva, ringraziando i
bambini che avevano disegnato o scritto, è venuta da me di corsa
per dirmi: "Io ti ho fatto il disegno e anche la poesia!"