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ADALINDA GASPARINI
              PSICOANALISI E FAVOLE


STORIE INTORNO A SERGEJ PANKEJEV, O L'UOMO DEI LUPI, O L'UOMO DEGLI PSICOANALISTI

Secondo incontro del ciclo organizzato dall'Ordine degli Psicologi della Lombardia (11 dicembre 2020)

FREUD A TEATRO - I CASI DI FREUD


1. Freud incontra due russi diversamente affascinanti: Sergej Pankejev (1910) e Lou Salomé (1911)
2. Freud ebreo dell'haskalah, seguace dei Lumi, maestro di laicità
3. Sergej Pankejev trasformandosi nell'Uomo dei lupi diventa un tassello irrinunciabile della psicoanalisi
4. Lo sguardo del lupo fisso sullo spettatore (immagini)
5. Il lupo e i sette capretti (testo della favola dei Fratelli Grimm con illustrazioni)
6. Il lupo imbecille (testo della favola di A. N. Afanasjev)
Note sitobibliografiche






1. Freud incontra due russi diversamente affascinanti: Sergej Pankejev (1910) e Lou Salomé (1911)
Freud non era un esperto di fiabe. Lo comprendiamo leggendo il piccolo scritto del 1913 Il motivo della scelta degli scrigni (Das Motif der Kästchenwahl), nel quale in poche pagine le convoca in gran numero, insieme a diversi miti e leggende, per dimostrare che la scelta dello scrigno di piombo, la scelta giusta nel Mercante di Venezia, rappresenta la preferenza accordata alla terza manifestazione del femminile, dopo la prima, la vergine, e la seconda, la sposa: la madre Terra che accoglie il corpo alla fine della vita, ovvero la morte.
Il fatto che nell'opera di Shakespeare, titolo e punto sia di partenza che d'arrivo del saggio di Freud, lo scrigno di piombo contenga il ritratto della bella e ricca Porzia, e che Bassanio, scegliendolo, ottenga la sua mano, e successivamente, grazie a lei, la liberazione del suo amico finanziatore Antonio dalla volontà omicida dell'ebreo Shylock, vale solo come copertura. 
Il collega Antonello Sciacchitano mi mandò la sua traduzione italiana del saggio: gliel'avevo chiesta perché temevo che quel che comprendevo potesse dipendere da una traduzione imperfetta, e con l'occasione mi disse che in quelle pagine c'era l'anticipazione della coppia Eros/Thanatos, che Freud avrebbe teorizzato in Al di là del principio di piacere (Jenseits der Lustprizips, 1921). Mi convinsi allora che era proprio come pensavo: il numero enorme di materiali mitici e fiabeschi era direttamente proporzionale alla decisione di Freud di dimostrare che la morte è la scelta migliore. L'interpretazione del lavoro sul terzo scrigno sarà presentata in altra sede, per ora basti ricordare che nel 1913 Freud ha conosciuto Lou von Salomè, che da allora alla fine della sua vita gli sarà vicina nell'elaborazione teorica, in uno scambio epistolare costante e ricco di tenerezza. Scegliere la Terra madre che accoglie per sempre il corpo alla fine della vita è allo stesso tempo non cedere alla potenza dell'innamoramento - e Lou aveva fatto innamorare e abbandonato già molti grandi uomini del suo tempo, da Nietzsche a Rilke. Nel breve saggio sulla scelta dello scrigno di piombo - che però cela il ritratto dell'amata - Freud convoca, come abbiamo già osservato, una grande quantità di materiale fiabesco e mitico per dimostrare che conquistare la più bella - Porzia/Lou - equivale a scegliere la Morte. Scegliere la Morte significa negare alla Dea dai veli neri una potenza che trascende la propria: se Freud sceglie la disillusione sull'innamoramento di e per Lou, vince la sposa, la più bella. Nella vicenda Lou coincide con Pandora, la donna irresistibilmente seducente che gli dei mandano agli esseri umani perché la scelgano e con lei facciano entrare nel loro mondo la malattia, la morte, e quanto di male conosciamo. Con Pandora Zeus intende rimettere in equilibrio il rapporto fra dei e uomini che il furto del fuoco aveva alterato. Al dominio dell'essere umano sul fuoco, espressione del favore accordato da Prometeo agli uomini, alla signoria sul calore e la luce che non ha nessun altro animale (calore e luce, energia elettrica, alimentano lo schermo sul quale ora scrivo), corrisponde il dominio della seduttrice tutta-doni sugli uomini. Tutta-doni, Pan-dora, porta con sé un vaso, che gli uomini aprono senza esitazione, perché non possono resistere al suo fascino. Pandora è stata costruita e ornata dagli dei proprio per essere irresistibile: è il dono totale fin dal suo nome - tutti i doni. Se Melanie Klein se ne fosse occupata l'avrebbe definita come il seno sempre pieno e sempre disponibile, allo stesso tempo massimamente insidioso. Ricordiamo come l'ha celebrata nel 1910 Reiner Maria Rilke, morto di leucemia a 51 anni, che aveva avuto una relazione con lei dal 1897 al 1900:
«Fosti la più materna delle donne. Fosti un amico come lo sono gli uomini. Una donna, sotto il mio sguardo. E ancora più spesso una bambina. Fosti la più grande tenerezza che ho potuto incontrare. L’elemento più duro contro il quale ho lottato. Fosti il sublime che mi ha benedetto. E diventasti l’abisso che mi ha inghiottito». (Rilke, 1910)
Lou si presenta a Freud nel 1911 partecipando al Congresso della Società Psicoanalitica di Vienna, con una serie imponente di trofei/doni che fa di lei una reincarnazione di Pandora/Porzia: ha già sedotto grandi uomini, ed è pronta a sedurre almeno intellettualmente Freud, che dall'anno prima ha fra i suoi pazienti il giovane e ricco Sergej Pankejef, russo e nobile come l'affascinante Lou .
Freud resiste alla seduzione di Lou, e allo stesso tempo ne sente profondamente il fascino, si può dire che la seduce, in qualche modo le permette di diventare una parte di sé, la lettrice ideale dei suoi scritti, l'amica fedele fino alla morte. La sollecitudine di Freud per Lou fa pensare a una posizione non solo maschile e paterna, ma anche femminile e materna. La stessa posizione - accogliente, accudente, impossibile da teorizzare per Freud - la adotta negli stessi anni nei contronti di Sergej, che ama al punto da avvertire la scovenienza: questo fornirebbe una spiegazione plausibile per l'idea ossessiva che tormenta Freud durante la guerra. Avendo guarito il nobile russo, lo avrebbe restituito alla sua forza al punto che, combattendo per lo Zar, potrebbe sparare e colpire a morte Martin, suo figlio, arruolato nell'esercito austriaco.
Ricorrere alle favole, usarle come strumento per dimostrare una teoria già formulata, permette a Freud di organizzare narrativamente e psicoanaliticamente sia la seduzione che subisce e alla quale non cede, di Pandora/Porzia/Lou, sia di risolvere il caso di Sergej Pankejev. La struttura narrativa delle favole, quelle dei Fratelli Grimm, egualmente note a Freud e a Sergej, ha una potenza superiore a quella di ogni altra forma espressiva, che ha consentito loro di viaggiare per millenni attraverso mille confini, lasciando traccia delle relazioni di senso fra i contadini analfabeti e gli scrittori più colti.
Il ricorso alle favole permette a Freud di trovare la chiave per il sogno d'infanzia di Sergej, che analizzeremo più avanti, e così di ottenere il successo nella sua cura, e alle favole ricorre per raccontare la sua felice resistenza al fascino di Pandora-Lou. Resistendo a questa seduzione Freud riuscì nell'impresa di sedurre Lou? Certo è che dopo l'incontro con Freud la nobile russa dal fascino irresistibile non abbandonò mai la psicoanalisi, diventando psicoanalista a sua volta, e corrispose fino alla morte con Freud, al quale tributò una devota ammirazione, considerandolo intellettualmente più coraggioso di Nietsche. Gli doveva certo riconoscere la forza di resistere alla sua seduzione, che pure aveva subito profondamente, e, soprattutto, quella di sedurre lei, che avrebbe mantenuto il suo legame con Freud fino alla morte, diventando allo stesso tempo la sua prima lettrice e una delle sue allieve.

Ora possiamo addentrarci nel materiale fiabesco, nella stoffa di fiaba: Märchenstoffe. Un piccolo saggio del 1913 si intitola Materiale fiabesco nei sogni (Märchenstoffe in Träumen). Essendo Freud un lettore di Shakespeare, difficile non vedere in questo titolo un legame con il celeberrimo discorso del mago Prospero, quando sta per lasciare al selvaggio ingrato Calibano l'isola che era il luogo del suo esilio e del suo dominio assoluto, e la figlia Miranda al principe ereditario Ferdinando.
Noi siamo della stessa stoffa / di cui sono fatti i sogni, e la nostra breve vita / è circondata da un sonno. Con le parole di Shakespeare: We are such stuff / as dreams are made on; and our little life / is rounded with a sleep. (La Tempesta, Atto IV, scena 1). Alla parola stuff corrisponde il tedesco  Stoff - lo stesso che stoffa in italiano: Wir sind aus solchem Stoff / wie Träume sind; und unser kleins Leben / ist von einem Schlaf umringt. Il significante Stoff, stuff, stoffa, rimanda al lavoro femminile di tessitura, e alla filatura, dominio delle Parche, le dee del destino: Atropo è la tagliatrice del filo tratto da Cloto alla nascita e avvolto da Laches nel corso della vita.

Ai miti che hanno sempre abitato l'orizzonte di Freud, fin da quando bambino leggeva insieme al padre la Bibbia di Philippson, le fiabe si sono aggiunte nel 1913, a partire dal celebre sogno di Pankejev bambino, che svela i suoi segreti a Freud, e al suo paziente, grazie ai riferimenti fiabeschi. Quel che Freud può insegnare, è che le fiabe hanno una complessità polisemica analoga a quella dei sogni e a quella delle fantasie a occhi aperti. Come un branco di pesciolini affiora a pelo d'acqua se si getta nella fontana una manciata di briciole di pane, così le figure di fiaba e i loro movimenti affiorano alla coscienza se si lancia un'interpretazione nella relazione fra analista e paziente. Per questo Pankejev nel suo ultimo libro intervista può rendere omaggio, come ha sempre fatto, al genio terapeutico di Freud, nello stesso momento in cui, ricordando che i figli dei nobili russi non dormivano mai nella stanza dei genitori, destituisce di ogni corrispondenza con la realtà storica l'interpretazione del sogni dei lupi come rappresentazione dell'affascinante/terrificante vissuto spiando la scena primaria del coitus a tergo dei genitori. Tanto importante per Freud era aver schiuso lo scrigno di questo sogno, evocato dal paziente adulto ma risalente alla sua infanzia, che lo volle pubblicare nel 1913, nell'altro breve saggio di quell'anno, dedicato alla stoffa delle fiabe come il saggio sul motivo degli scrigni: Materiale fiabesco nei sogni (OSF VII, pp. 195-201). Il primo sogno è di una paziente, e Freud lo interpreta associando all'ometto del sogno la figura inquietante di una fiaba dei Fratelli Grimm, Tremotino (Rumpelstilzchen), poi passa al secondo sogno, che è il più famoso e commentato fra tutti i sogni pubblicati da Freud. Che in questo saggio come in quello scritto nel 1914 e pubblicato nel 1918 viene raccontato dal paziente:
«Sognai che era notte e mi trovavo nel mio letto (il letto era orientato con i piedi verso la finestra e davanti ad essa c’era un filare di vecchi noci; sapevo ch’era inverno mentre sognavo, e ch’era notte). Improvvisamente la finestra si aprì da sola, e io, con grande spavento vidi che sul grosso noce proprio di fronte alla finestra stavano seduti alcuni lupi bianchi. Erano sei o sette. I lupi erano tutti bianchi e sembravano piuttosto volpi o cani da pastore, perché avevano una lunga coda come le volpi, e le orecchie ritte come quelle dei cani quando stanno attenti a qualcosa. In preda al terrore – evidentemente di esser divorato dai lupi – mi misi a urlare e mi svegliai. La bambinaia accorse al mio letto per vedere cosa mi fosse successo. Passò un bel po’ di tempo prima che mi convincessi che era stato soltanto un sogno, tanto naturale e nitida mi era parsa l’immagine della finestra che si apre e dei lupi che stanno seduti sull’albero. Finalmente mi tranquillizzai, mi sentii come liberato da un pericolo, e mi riaddormentai».

«L’unica azione contenuta nel sogno fu l’aprirsi della finestra, poiché i lupi stavano seduti tranquilli e immobili sui rami dell’albero, a destra e a sinistra del tronco, e mi guardavano. Era come se avessero rivolto su di me tutta la loro attenzione. Credo che questo sia stato il mio primo sogno d’angoscia. Avevo tre o quattro anni, cinque al massimo. Da allora, fino agli undici o dodici anni, ho sempre avuto paura di vedere in sogno qualcosa di terribile». (Freud 1913: 197-198; 1918: 506)

L'amore di Freud per Sergej è rivelato da molti segni, ne ricordiamo uno in particolare. Alla grande guerra era stato richiamato Martin, il figlio maggiore di Freud, che soffrì di un'ansia fobica: avendo guarito Sergej gli avrebbe permesso di combattere con l'esercito russo, e un suo colpo avrebbe potuto uccidere proprio suo figlio Martin, richiamato a combattere con l'impero Austro-Ungarico. Questo amore transferale può costituire il facile bersaglio dei commentatori cecchini, che entrano nella stanza d'analisi per sostituirsi a Freud e dimostrare la loro superiorità rianalizzando Sergej, oppure mettono Freud sul lettino per analizzare gli errori che avrebbe commesso come analista. Uno fra tutti: considerare guarito Sergej, e accordargli qualche altro mese d'analisi dopo la guerra considerandoli un'appendice necessaria per scigliere qualche residuo di transfert. Quando i disturbi di Sergej non si mostrarono docili alle interpretazioni di questa ripresa dell'analisi, Freud inviò il paziente alla sua allieva analista Ruth Mack Brunswick. Freud rimase fedele alla sua analisi, e  nonostante i disturbi di Sergej continuò a pensare di averlo guarito. Rivedendolo dopo la guerra mondiale gli anche fece omaggio del suo caso, che aveva scritto nel 1914 e pubblicato nel 1918.
Dopo aver letto il proprio caso, la cui intensità espressiva è altissima, Sergej cominciò a pensare a se stesso come all'Uomo dei lupi, Wolfsmann. (Roudinesco-Plon), nome che fu ripreso dalla sua seconda analista e che gli rimase fino alla fine della vita e oltre, fino a oggi.Speriamo di non finire nello squallido drappello de cecchini che evidenziando gli errori di Freud, in questo come negli altri grandi casi, sembrano dirci che come analisti sono migliori del maestro. Ci basterebbe non dimenticare che dell'Uomo dei lupi, come di Dora, dell'Uomo dei topi, del Piccolo Hans, e probabilmente  anche di Daniel Schreber non sapremmo nulla, se Freud non  li avesse ascoltati e raccontati. Sappiamo che ha ascoltato Hans attraverso il padre, e che del Presidente Schreber ha letto solo il diario. Ma se in seguito alla segnalazione di Jung non gli avesse dedicato il saggio del 1911, Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia descritto autobiograficamente (Dementia paranoides), non sapremmo nulla dell'umanità straziata e straziante di Daniel Paul Schreber, e non riconosceremmo a Freud il merito di aver per primo parlato di un folle restituendoci lo strazio che è presente nello smarrimento tragico della psicosi.
Vorremmo farci contagiare dall'umanità con la quale Freud tratta i suoi pazienti, sia la fuggevole Dora, sia l'inguaribile Sergej Pankejev, sia le figure storiche o immaginarie di artisti e condottieri che lo interrogano, e che sono da lui interrogate, come Leonardo da Vinci e il Mosè di Michelangelo nella chiesa romana di San Pietro in Vincoli.





2. Freud ebreo dell'haskalah, seguace dei Lumi, maestro di laicità

Ebreo ateo, Freud è sempre laico. Ma forse sarebbe meglio invertire aggettivo e sostantivo: ateo ebreo.
Guarda i suoi contemporanei e i personaggi storici fuori da ordinamenti gerarchici, e nemmeno una volta rimpiange l'assenza di Dio, ovvero la mancanza di un aiuto o di una consolazione soprannaturali, se non in questa vita, oltre. Al di là del principio di piacere racconta che ci sono due forze eternamente in lotta, implicandosi ed escludendosi a vicenda,  Eros e Thanatos. La lotta non ha mai fine, e nel 1937, quando pubblica Die endliche und die unendliche Analyse (Analisi terminabile e interminabile), il nazismo domina in Germania come il fascismo in Italia. Non gli sarebbe toccato vedere l'orrore della seconda guerra mondiale e i campi di concentramento che avrebbero eliminato milioni di ebrei passandoli nelle camere a gas e nei forni crematori, che neppure il suo sguardo lucido poteva immaginare. Quando nel rogo di Berlino del 1933 fra i libri contrari allo spiorito tedesco furono bruciati anche i suoi, Freud dichiarò che c'era un progresso, perché nel Medioevo avrebbero bruciato lui. Forse non poteva immaginare quel che dovette comprendere quando fu costretto a lasciare Vienna nel 1938, per passare gli ultimi anni della sua vita in Inghilterra: che avrebbero bruciato anche lui, insieme alle sue sorelle, come nel Medioevo, con mezzi di distruzione di massa il cui orrore continua a turbarci.
 
La particolare laicità dello psicoanalista consiste nel non sentirsi qualificato né autorizzato ad assolvere o a condannare, anzitutto se stesso. Senza la capacità di astenersi dal giudizio è impossibile esautorare l'Io dalla presunzione di essere padrone della mente, e se l'Io non rinuncia a questa illusione deve escludere dal suo sguardo come insignificante tutto ciò che non si lascia computare e incasellare nel suo dominio. L'Io padrone divide i fenomeni in reali e irreali, come divide gli uomini - e ogni loro azione, ogni loro pensiero - in buoni e cattivi. Le religioni hanno sempre sostenuto la padronanza dell'Io sulla realtà con un'unica condizione: la sottomissione a un creatore padrone onnipotente e inalterabile, Dio. L'Io è padrone della realtà se accetta di essere servo di Dio. Con l'ateismo questo tipo di equilibrio finisce, con una decadenza lenta, frenata dalle ideologie che la filosofia ha fornito, e che i politici hanno trasformato in sistemi rivoluzionari e reazionari a un tempo. Come i miei coetanei e le mie coetanee ho vissuto negli anni dal 1966 al 1974 il canto del cigno di questa illusione, che è nata con l'Illuminismo ed è stata il cuore pulsante dei grandi regimi totalitari del secolo scorso: abbattendo la gerarchia divina e religiosa gli esseri umani avrebbero potuto costruire la città ideale, la Gerusalemme celeste, dove non ci sono templi, perché ovunque la divinità è presente. Quel che oggi ad alcuni pare un panorama desolato è la realtà che gli ultimi due secoli hanno spogliato di tante illusioni. Ma ha senso rimpiangere le nostre illusioni perdute? Ricorriamo al grande Proust, dotato della stessa forza intellettuale di Freud nel guardare le illusioni a occhi aperti, senza disprezzarle e senza sostenerle. Quindici anni più giovane di Freud, Proust sarebbe morto a cinquantuno anni, diciassette anni prima di lui. À la recherche du temps perdu dura un tempo lunghissimo, anche per il lettore, e finisce con la scoperta che l'oggetto cercato non esiste: esiste il tempo che trascorrendo è irreversibile, esiste l'alternanza delle generazioni, quando l'Io narrante dopo una lunga assenza rivede i suoi amici invecchiati e in un primo momento gli sembra che invece di loro siano venuti i loro genitori. La ricerca finisce con la constatazione del suo fallimento, ma questo ha un calore, una ricchezza umana che è il vero ritrovamento del capolavoro, possibile solo rinunciando alla meta precedentemente scelta. E la rinuncia è possibile sono per chi ha teso alla meta con tutte le sue forze. Il tempo si può perdere solo avendolo cercato, la felicità dell'infanzia è vera solo rinunciando a ritrovarla.
I grandi pensatori pessimisti li ritroviamo al nostro fianco quando siamo più soli, nel momento del massimo pericol, quando le illusioni si dissolvono e temiamo che con le illusioni si dissolva la nostra stessa persona e il mondo intero. Sì, certo, Freud e Proust lasciano l'isola del loro esilio e del loro dominio, e si preparano alla morte, sì, i nostri giochi, le nostre fantasmagorie si sono dissolte, stai tranquillo principe ereditario Ferdinando, stai tranquillo lettore, erano effetti illusori che la nostra magia ha creato sull'isola, erano destinati a dissolversi, come le città e le torri e noi stessi. Se si rinuncia all'immortalità si scopre la vita che non ha bisogno di essere eterna, e si comprende che la morte è la condizione per la bellezza della vita. Freud ha parafrasato il motto latino si vis pacem para bellum: si vis vitam para mortem.
Per chi consideri Freud troppo pessimista, sarebbe importante capire che la preparazione della morte, come la scelta dello scrigno di piombo, ha la funzione di alimentare il desiderio di vita. Resistere alla potenza seduttiva di Lou/Porzia nel 1911, non significava rinunciare alla più bella, ma conquistarla, godere del suo amore per tutta la vita.
Allo stesso modo, rinunciare alla guarigione - tema del saggio del 1937 Die endliche und die unendliche Analyse - significa rinunciare all'illusione di guarire il giovane mentre non c'erano riusciti gli psichiatri più rinomati del tempo. Certo anche Freud ha coltivato l'illusione di essere un guaritore, molto più bravo degli altri, tanto che il suo affetto - la sua affezione - per il paziente lo porta a non abbandonarlo mai, sia inviandolo a una sua paziente collega, sia facendo una colletta per sostenerlo dopo che la rivoluzione russa lo aveva trasformato da ricco a povero.
Il fenomeno più perspicuo nella lunga storia di Sergej, sopravvissuto a Freud di quarant'anni, è che un gran numero di analisti si sono occupati di lui, raccogliendo quindi l'eredità di Freud, vale a dire la sua sollecitudine, per la quale non ha abbandonato questo paziente

Freud è figlio dell'Illuminismo, in particolare dell'haskalah, l'Illuminismo ebraico, che nacque nelle comunità ebraiche tedesche a partire dal Settecento. Dalla Germania l'Haskalah si estese nella Galizia - Jakob Freud era ebreo galiziano, e Freud nacque in Galizia - in parte oggi Polonia,  in parte Ucraina. La sua città natale in tedesco è Freiberg, nella Moravia, che faceva parte dell'Impero Asburgico come la Galizia, dalla quale veniva suo padre, Jakob; Moravia e Galizia sono oggi divise fra Polonia e Ucraina. Seguace dell'Haskalah Jakob Freud era lettore appassionato della Bibbia. Il fascino della russa Lou, originaria di San Pietroburgo, e di Sergej, originario di Odessa, non potrebbe avere a che fare con le origini della famiglia Freud, austriaca, certo, ma proveniente dalla parte orientale dell'impero?
 
Le leggi ispirate alla rivoluzione francese ed emanate durante l'impero Napoleonico affermavano l'uguaglianza degli ebrei e aprivano le porte dei ghetti, consentendo loro l'accesso a ogni luogo di studio e l'esercizio di ogni professione. Altri stati seguirono l'esempio della Francia, anche se l'uguaglianza decretata dalla legge non ha mai eliminato l'antisemitismo: per la Francia si pensi al caso Dreyfus, tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. L'antisemitismo sarebbe diventato legge, capovolgendo l'egalitarismo illuministico che aveva il suo corrispettivo nell'haskalah, con Hitler e Mussolini.
Ebraismo e cristianesimo, ebrei e cristiani, non sono solo nemici, in una lotta millenaria non ancora spenta che vede la maggioranza cristiana vessare e anche sterminare la minoranza ebraica, e una minoranza ebraica che non si lascia mai eliminare. Non è un caso che la rivoluzione epistemica della quale ancora non siamo in grado di valutare la portata, sia maturata in ambito ebraico. Citiamo Werner Karl Heisenberg, al quale si deve il principio di indeterminazione che potremmo usare per formulare in termini eleganti il concetto di analisi terminabile e interminabile (endliche e unendliche). Il principio dice che se un sistema è completo è falso, perché per essere completo deve includere i suoi assiomi. Se non include i suoi assiomi è incompleto. Se l'analisi potesse avere una conclusione - se si potesse affermare che la persona malata - nevrotica - a un certo punto è guarita, questo significherebbe che nel tempo dell'analisi si può accedere in maniera esauriente all'inconscio. È quel che Freud considera ancora possibile dopo i quattro anni d'analisi di Sergej Pankejev, quando ritiene giusta la sua diagnosi di nevrosi ossessiva, conseguenza di una nevrosi infantile, e crede nella guarigione del paziente. Il matrimonio del nobile russo con la sua amata infermiera, conosciuta durante uno dei suoi ricoveri in una delle tante cliniche europee, unione alla quale la famiglia si era opposta, con l'approvazione di Freud, dimostrerebbe l'avvenuta guarigione.
Ma dopo la guerra, e dopo la rivoluzione bolscevica che da giovane nobile ricchissimo l'aveva trasformato in un povero esule, Sergej tornò da Freud che gli regalò la pubblicazione del suo caso, scritto nel 1914 e pubblicato nel 1918 (Aus der Geshichte einerinfantilen Neurose) riprendendo l'analisi per pochi mesi, solo per sciogliere un resto di transfert non ancora analizzato. Ma Sergej non guariva, e aveva difficoltà finanziarie: Freud lo aiutò raccogliendo per lui una somma fra i colleghi di Vienna. In questo periodo Sergej cominciò a identificarsi col suo caso (Roudinesco-Plon, 756). Il giovane che non riusciva a vivere, passando la sua giovinezza da una clinica all'altra, visitato, diagnosticato e mai guarito dai maggiori psichiatri europei del suo tempo, il nobile ricchissimo che si faceva sempre accompagnare da un medico e da un domestico personale, che si faceva praticare due clisteri ogni settimana, essendo incapace di evacuare altrimenti, in via Bergasse 19 aveva trovato qualcuno che prestava fede alle sue parole: gli dava credito, e così arricchiva di senso il suo discorso, che rammentasse sogni di quando era bambino, che si affidasse al suo analista per decidere di rimandare il matrimonio con Teresa, che si sposasse dopo aver avuto la sua approvazione, che raccontasse di non aver sofferto per il suicidio della sorella, che manifestasse ammirazione e riconoscenza o che aggredisse Freud chiamandolo ebreo imbroglione - in una lettera a Ferenczi del febbraio 1910 Freud parla della violenza transferale del giovane dicendo che il giovane ebreo che ha in analisi dopo la prima seduta ha manifestato il desiderio di prendere da dietro il suo analista imbroglione ebreo per cagargli sulla testa. (Ivi: 755).
Se scegliessimo come riferimento teorico la funzione alfa teorizzata da Bion, potremmo dire che Freud esercitò la funzione alfa che non era stata assolta né dalla madre sofferente di depressione e poco presente con i figli, né dal padre più affettuoso, ma morto suicida quando Sergej aveva vent'anni, mentre l'anno prima si era suicidata sua sorella, della cui crudeltà era talmente certo Sergej, che anche Freud non dubitò che fosse veramente perfida quando rincorreva il fratello con il libro sul quale era illustrato il lupo rampante, in piedi come un essere umano. L'ambiente familiare di Sergej era particolarmente tragico: oltre al suicidio della sorella e del padre, oltre alla depressione cronica della madre, si sa del fratello maggiore di suo padre, già paziente di S. Korsakoff, che dopo aver vissuto come un selvaggio morì in un manicomio. Un suo cugino da parte di madre era stato ricoverato in manicomio in preda a un delirio di persecuzione.
Ma Freud ingaggiò con Sergej un legame di risignificazione, partendo dalla stigmatizzazione di quanto fino ad allora il suo giovane paziente aveva imparato dai trattamenti ricevuti, o subiti, nelle varie cliniche dove si era ricoverato:
Con una frase tranchant, Freud stigmatizzò il nichilismo terapeutico dei suoi colleghi psichiatri dicendo a Pankejef: "Finora lei ha cercato la causa della sua malattia in un vaso da notte". (Ivi: 754)
L'analista che non sa accettare l'aggressività dei propri pazienti - quella di cui Freud parla nella lettera citata a Ferenczi - non vedrà il miracolo laico della loro gratitudine. Nel lavoro dell'analista c'è poco spazio per il compiacimento e per il sostegno alla propria capacità di far bene questo lavoro moderno o post-moderno, così diverso da quello dei medici e da quello dei preti, che pure si occupa di cose che prima di Freud erano prerogativa di una delle due categorie, o addirittura di entrambe. Quel che ci insegna Freud col caso di Sergej Pankeiev è che nessuna trasformazione è possibile senza questa accoglienza incondizionata e illimitata, o, meglio limitata solo dal pagamento, dall'orario e dalla frequenza delle sedute. Quel che Freud ci insegna suo malgrado è che questo non basta, o meglio, Freud continua a considerare guarito Pankejev, e chiudendogli le porte dell'analisi provvede a lui economicamente con la colletta alla quale impegna i suoi allievi e colleghi. In questo modo forse ci dice che quel che pensa, o che ha bisogno di pensare - in fondo è la stessa cosa -  è che se Sergej non fosse stato rovinato economicamente dalla rivoluzione bolscevica avrebbe potuto stare abbastanza bene. Ora noi sappiamo che Freud aveva la stessa struttura ossessiva che diagnosticava in Sergej, e mentre non dubitiamo neanche per un istante della chiarezza con la quale conduceva l'analisi, ivi inclusa la consapevolezza del suo amore di transfert, pensiamo che questo amore gli aveva permesso di trasformare il giovane incapace di provvedere a se stesso, il cui movimento era solo tra una clinica psichiatrica e l'altra, in un uomo capace di sposarsi e di avere un lavoro come assicuratore, che svolse fino alla pensione.

La tragedia non aveva finito di coinvolgere Sergej: pochi giorni dopo l'occupazione nazista diVienna, nel 1938, trovò la moglie morta suicida.
Un essere umano che subisce nella vita i lutti che ha subito Sergej, oltre al cambiamento di stato da nobile ricchissimo a modesto dipendente, e che non muore di dolore o non impazzisce completamente deve aver tratto giovamento dal lavoro con Freud e con tutti gli altri che hanno preso il suo posto.
Non si può dimenticare quanti psicoanalisti lo hanno preso in carico, e bisogna capire che nessuno di loro poteva ascoltarlo senza tener conto del lavoro che con lui aveva fatto Freud, sia nei quattro anni e qualche mese di analisi, sia pubblicando il caso.
L'analista che riscrive uno dei cinque casi di Freud, se pensa di capire meglio di lui un paziente, sia Dora, sia Sergej Pankejef, non fa i conti con Freud. Chissà se ora noi riusciamo insieme a capire meglio sia Freud, sia Sergej, di avvicianrci alla coppia al lavoro, se riusciamo a privilegiare la stoffa, la materia di quell'incontro umanissimo, come umanissimo è stato l'incontro con Dora, come umanissimi sono l'Uomo dei topi, e Hans, e Schreber. Come umanissimo è ogni lavoro analitico che non slitta in dimensioni intimamente vicine alla psicoanalisi, ma diverse, sia medicina, sia letteratura, sia religione, sia filosofia.
Propongo la lettura di questa umanità, che Freud, con la sua dignità vittoriana e ottocentesca, non esibisce mai, ma fra le righe ce n'è tanta, se si è disposti ad accoglierla. Già, perché la posizione dell'analista, presente e necessaria nel lavoro con i pazienti, non è un camice, né una toga, né un abito talare. E quindi, com'è difficile assumere la propria funzione senza un abito che faccia l'analista, è altrettanto difficile spogliarsi di questo benedetto e maledetto gusto di sentire e capire. Sentire il sapore della libertà implica sentire il tanfo della cella carceraria, gioire della vita che torna a fluire come un fiume dal quale sono stati rimossi tronchi che ostacolavano la corrente, implica aver sopportato i miasmi della palude.  

Ecco quindi una breve carrellata sugli analisti che si sono occupati di Sergej, dopo che, avendo letto il proprio caso, cominciò a pensare a se stesso come all'Uomo dei lupi, der Wolfsman. Abbiamo detto della tranche di pochi mesi fra il 1919 e il 1920 che secondo Freud valevacome appendice della lunga analisi felicemente conclusa, e aveva la funzione di sciogliere alcuni residui di transfert.
Freud inviò quindi nel 1926 l'uomo del sogno dei lupi che lo fissavano a Ruth Mack-Brunswick, che era in quel tempo in analisi da lui, come suo marito e il fratello di lui. Indirizzò quindi dalla sua stessa allieva Muriel Gardiner, che frequentando lo stesso studio divenne amica e confidente di Sergej. Ruth Mack-Brunswick analizzò Sergej analisi per alcuni mesi fra il 1926 e il 1927, e nel 1928 pubblicò A Supplement to Freud's "History or an Infantile Neurosis" (The International Journal of Pychoanalysis, vol. IX, 1928) con una diagnosi diversa da quella di Freud: Supplemento à l'extrait d'une névrose infantile. Nella pubblicazione Sergej era nominato come l'Uomo dei lupi, era descritto come affetto da mania di persecuzione, antipatico, avaro, sordido, ipocondriaco, ossessionato dalla propria immagine e in particolare da una pustola al naso. Infine l'allieva di Freud emise una diagnosi ben diversa da quella di Freud considerandolo psicotico. Gli psicoanalisti si sono divisi da allora fra i sostenitori della diagnosi di nevrosi e quella di psicosi.
Nel 1938 Pankejev tornò in analisi con Ruth Mack Brunswick, mentre dal 1956 ebbe nuovi analisti, e scrisse le sue memorie, corrispondendo strettamente con la vecchia confidente Muriel Gardiner, conosciuta nel 1938 nella sala d'aspetto della sua seconda analista, ora psicoanalista  lei stessa. Dopo la guerra il movimento psicoanalitico prese in carico il russo, non più giovane né ricco, la cui nobiltà doveva giovargli poco. Sostenuto da Muriel Gardiner ottenne da Kurt Eissler una pensione a carico degli Archivi Sigmund Freud, e si mise a scrivere le sue memorie, commentando il suo caso con il linguaggio psicoanalitico. Il diario fu pubblicato nel 1971, tradotto in moltissime lingue, e incessantemente commentato, da addetti e da non addetti ai lavori.
Pochi anni dopo, nonostante le riserve espresse nell'ambiente freudiano, l'Uomo dei lupi concesse una lunga intervista a una giornalista viennese, durante la quale adottò uno stile meno formale. Fu in questa intervista che privò di valore l'interpretazione del sogno dei lupi bianchi che Freud aveva associato alla scena primaria, precisamente a un coito a tergo dei genitori: nell'aristocrazia russa i bambini non dormivano mai nella camera dei genitori. Sostenne in ogni caso la diagnosi di Freud, continuando come in tutta la vita ad ammirarlo come dotato di grande genialità terapeutica.
In barba agli psicoanalisti dell'International Psychoanalytical Association che l'avevano trasformato in una specie di archivio, l'Uomo dei lupi ebbe un'ulteriore metamorfosi: si espresse sul suo stesso caso con una competenza superiore a quella della maggior parte dei suoi commentatori, che non avevano come lui il privilegio di essere un tassello inalterabile dell'opera di Freud. (Roudinesco-Plon: 757)



3. Sergej Pankejev trasformandosi nell'Uomo dei lupi diventa un tassello irrinunciabile della psicoanalisi

Questo tassello inalterabile è l'esperienza analitica di Freud con Sergej Pankejev, il suo particolare transfert, che si stabilizzò in un accudimento - materno forse, poco professionale, non distaccato, che corrispose al transfert interminabile e infinito di Sergej per il suo primo analista. Freud fu il  secondo del nobile russo, l'altro che non c'era mai stato abbastanza perché Sergej potesse cercare l'altro, abbandonando la fissità perturbante dei lupi del sogno, che è il suo sguardo.
L'albero del sogno, e il sogno e le fiabe associate, formano il nucleo generativo del caso. Prima grande costruzione in analisi, prima analisi letteralmente infinita, il caso di Sergej è la storia di una identità che si afferma attraverso l'analisi, è il segreto via via miracolosamente o tragicamente unheimlich che separa, evidente e inafferrabile, la follia dall'equilibrio.
Non ci interessa ritrovare i difetti del lavoro analitico di Freud, ma ripercorrere nel caso l'espressione della sua onestà intellettuale, della sua attitudine scientifica, del suo sguardo che penetra nell'ombra più che curarsi di fornire una rassicurante illuminazione. A posteriori, col vantaggio di un secolo densissimo di illusioni dissolte e di novità tecniche di cui vagamente immaginiamo la portata sovversiva o rivoluzionaria, leggiamo in questo caso l'esperienza che troverà la sua espressione teorica nei saggi pubblicati nel 1937, due anni prima della sua morte: Analisi terminabile e interminabile (OSF XI: 495-435), e Costruzioni nell'analisi (ivi: 537-552). Lessi il primo saggio alla fine degli anni Settanta, mentre andavo Livorno, dal mio primo analista, e, forse complice il pullman, la lettura mi causò una specie di nausea, pur non avendo mai sofferto di mal d'auto.
Considerandomi da almeno cinque lustri d'anni definitivamente freudiana, devo dire che il pessimismo di Freud, che ho letto subito dopo aver letto L'Io e l'inconscio di Jung, minacciava quel che posso considerare la struttura di identificazioni e passioni che formava lo scheletro della mia identità. Da un entusiasmo per Jung - mai trasferito sullo junghismo - sono passata prima a una teorizzazione junghiana corretta da Freud, qualcosa di simile a quello che i due personaggi condividevano fra il loro primo incontro e la loro rottura, poi a un deciso arruolamento nel seguito di Freud, che però non ha implicato, per scelte sia volontarie sia necessarie, l'appartenenza all'IPA né ad altre società che hanno Freud come riferimento. Da dieci anni e passa non ho nessuna appartenenza sociale, a parte la piccola Fairitaly ONLUS, che ho fondato e che fa legame con persone che lavorano volentieri insieme.
Ma torniamo all'analisi terminabile e interminabile, e diciamo subito che il titolo originale, Die endliche und die unendliche Analyse, sarebbe meglio tradurlo lasciandogli con Antonello Sciacchitano il suo respiro filosofico e matematico L'analisi finita e infinita.



Navigare necesse est, vivere non necesse, è il motto della lega anseatica fatto suo da Freud. Per sentire questo motto occorre anzitutto comprendere che la vita, dal momento in cui veniamo al mondo e per tutto il tempo in cui ci restiamo, non è un dono ma un caso, e anche salvando la gratitudine per i genitori e per la lunga catena di antenati che ci hanno preceduti, non potremo mai pensare che abbiano voluto proprio noi - con le nostre caratteristiche, i nostri pregi, i nostri difetti - fossimo insieme a loro, semplicemente perché non ci conoscevano affatto, senza pensare alla frequente involontarietà dell'atto stesso del concepimento. La riflessione non viene a consolare la nostra inquietudine, per la quale ci sentiamo sempre in debito, sempre incapaci di estinguerlo, oppure consideriamo gli altri sempre in debito con noi, sempre incapaci di compensarci.

Una storia riferita da Igino racconta che Inquietudine, Oizis in greco, un giorno formò un uomo con il fango, e siccome le piacque, chiese a Giove di animarlo, e il signore degli dei infuse lo spirito alla creatura. A quel punto chiese di dare il suo nome alla creatura allaquale aveva dato la vita, ma la stessa cosa voleva fare Inquietudine, che l'aveva inventata, e anche la Terra rivendicò lo stesso diritto, perché aveva fornito la materia. Chiamato a dirimere la questione Saturno stabilì che la creatura si sarebbe chiamata homo, da humus, essendo la terra lasua materia, che lo spirito avrebbe dominato la materia come Giove era signore degli dei, e che Inquietudine, avendolo inventato, avrebbe potuto impadronirsi dello spirito in qualunque momento.
Dopo il mal di mare avuto sul pullman mentre andavo dal mio analista a Livorno, leggendo Analisi terminabile e intermionabile, ho avuto di nuovo il mal di mare nell'estate del 1986, nell'estate in cui ho letto Stabilità strutturale e morfogenesi e Modelli matematici della morfogenesi del matematico René Thom, Non sapevo ancora che alla topologia, o geometria algebrica, aveva dedicato gli ultimi anni della sua vita Jacques Lacan.
Non avendo studiato Lacan non so se abbia pensato che la topologia - René Thom ha frequentato qualche suo seminario, e dei geometri algebrici hanno collaborato con  lui - potesse fornire gli strumenti per formalizzare qualcosa della psicoanalisi, evitando sia i metodi neopositivistici di tanta psicologia sia la curvatura verso la letteratura o la filosofia. 
In ogni caso è da riprendere l'affermazione di Freud, secondo il quale:
a. la psicoanalisi è inadatta a costruirsi una Weltanschauung;
b. le basta quella della scienza.

Se la psicoanalisi è una scienza, non può mostrarlo copiando una delle scienze che le sembrano affini, come la geometria algebrica di A. Weil, A. Grothendieck e R. Thom, o la fisica quantica. Se la psicoanalisi non è una scienza, deve rassegnarsi a entrare nel campo delle discipline umanistiche con vocazione a un certo ordine, e riconoscere come parenti strette le pratiche filosofiche e varie correnti della psicoterapia. In campo umanistico la riappropriazione della cura è attestata dalle consulenze filosofiche (Philosphische Praxis in Germania, poi Philosophy Practice o Philosophical Counseling in area anglofona).
Personalmente sottoscrivo le affermazioni di Freud: resta il compito immane di definire cosa sia scienza - finito il tempo della fiducia nell'esattezza che possiamo raggiungere con le nostre indagini, ovvero l'esatta corrispondenza fra il nostro sguardo e la realtà. Senza questo lavoro le due affermazioni di Freud non favoriscono la ricerca psicoanalitica, restando come meri enunciati. Se la via è lunga e impervia, e la meta è incerta, sappiamo che le scorciatoie, imboccando le vie seguite dalla psicologia o dalla medicina o dalla fisica quantica, equivalgono a una perdita di tempo. Anche se questo fa ridere anche me che lo enuncio, le fiabe possono essere un punto di partenza. E qualcosa di vero, per quanto provvisorio, emerge nella letteratura e nel teatro, se la psicoanalisi dialoga senza vantare alcuna forma di superiorità con queste forme espressive, via via dotate di risorse terapeutiche, come nel caso del Piccolo Festival dei Casi di Freud, promosso e organizzato da
noi di Fairitaly ONLUS nel 2017, come in questa ripresa del 2020 promossa dall'OPL, Freud a teatro - I Casi di Freud. Né vantare una superiorità intellettuale o etica, né inglobare in qualche modo le discipline confinanti, come il teatro, né, all'opposto, come si diceva, serve aspettarsi la soluzione da altri campi, come la topologia o la fisica quantica.



4. Lo sguardo dei lupi bianchi fisso sullo spettatore




   










5. Il lupo e i sette capretti (1812)
Fratelli Grimm
[Freud osserva che la fiaba di Cappuccetto Rosso non contiene un illustrazioni di un lupo rampante, ma solo il lupo incontrato nel bosco e il lupo nel letto della nonna. Allora S.P. scopre che si deve trattare dellastoria del lupo e dei sette capretti. Le due fiabe hanno del resto molti elementi in comune: in entrambe c'è il motivo del divorare, la pancia che viene aperta con un taglio, l'estrazione di coloro che sono stati divorati. (Freud 1914-18: 509)

Si tenga presente che il compito di interpretare questo sogno si protrasse per parecchi anni. Il paziente lo aveva riferito in una delle prime fasi dell'analisi e aveva accettato quasi subito la  mia convinzione che dietro ad esso si celassero le cause della sua nevrosi infantile (ivi: 510)

Nella camera in cui si svolsero le prime sedute v'era un grande orologio a muro dirimpetto al paziente, che stava sdraiato sul divano volgendomi le spalle. Notai che di tanto in tanto egli girava il volto verso di me, mi guardava molto amichevolmente come per rabbonirmi, poi andava con lo sguardo da me all'orologio. Pensai allora che il paziente testimoniasse così la sua ansia che l'ora finisse. Molto tempo dopo egli mi rammentò questo suo modo di gestire e me ne fornì laspiegaione ricordando che il più piccolo dei sette capretti si era nascosto nella cassa dell'orologio a muro mentre i sei fratelli venivano divorati dal lupo. Dunque, era come se il paziente avesse voluto dire: - Sii buono con me; debbo avere paura di te? mi vuoi divorare? debbo nascondermi nella cassa dell'orologio come il più piccolo dei capretti? (ivi, 517-518)
C'era una volta una vecchia capra, che aveva sette caprettini, e li amava come una mamma ama i suoi bimbi. Un giorno pensò di andare nel bosco a far provviste per il desinare; li chiamò tutti e sette e disse: "Cari piccini, voglio andar nel bosco; guardatevi dal lupo; se viene, vi mangia tutti in un boccone. Quel furfante spesso si traveste, ma lo riconoscerete subito dalla voce rauca e dalle zampe nere." I caprettini dissero: "Cara mamma, staremo ben attenti, potete andar tranquilla." La vecchia belò e si avviò fiduciosa.
Poco dopo, qualcuno bussò alla porta, gridando: "Aprite, cari piccini; c'è qui la vostra mamma, che vi ha portato un regalo per ciascuno." Ma, dalla voce rauca, i caprettini capirono che era il lupo. "Non apriamo," dissero, "non sei la nostra mamma; la mamma ha una vocina dolce, la tua è rauca; tu sei il lupo." Allora il lupo andò da un bottegaio e comprò un grosso pezzo di creta; lo mangiò e così s'addolci la voce. Poi tornò, bussò alla porta e gridò: "Aprite, cari piccini, c'è la vostra mamma, che vi ha portato un regalo per ciascuno." Ma aveva appoggiato alla finestra la sua zampa nera; i piccini la videro e gridarono: "Non apriamo; la nostra mamma non ha le zampe nere come te: tu sei il lupo." Allora il lupo corse da un fornaio e gli disse: "Mi son fatto male al piede, spalmaci sopra un po' di pasta." E quando il fornaio gli ebbe spalmato la zampa, corse dal mugnaio e gli disse: "Spargimi sulla zampa un po' di farina bianca." Il mugnaio pensò: Il lupo vuole ingannare qualcuno, e rifiutò; ma il lupo disse: "Se non lo fai, ti mangio." Allora il mugnaio ebbe paura e gli imbiancò la zampa. Già, così fanno gli uomini.
Ora il briccone andò per la terza volta all'uscio, bussò e disse: "Apritemi, piccini; la vostra cara mammina è tornata dal bosco e vi ha portato un regalo per ciascuno." I caprettini gridarono: "Prima facci vedere la zampa, perché sappiamo se tu sei la nostra cara mammina." Allora il lupo mise la zampa sulla finestra, e quando essi videro che era bianca credettero tutto vero quel che diceva e aprirono la porta. Ma fu il lupo a entrare. I capretti si spaventarono e cercarono di nascondersi. Il primo saltò sotto il tavolo, il secondo nel letto, il terzo nella stufa, il quarto in cucina, il quinto nell'armadio, il sesto sotto l'acquaio, il settimo nella cassa dell'orologio a pendolo. Ma il lupo li trovò tutti e non fece complimenti: li ingoiò l'un dopo l'altro; ma l'ultimo, dentro la cassa dell'orologio, non lo trovò. Quando si fu cavata la voglia, il lupo se ne andò, si sdraiò sotto un albero sul verde prato e si mise a dormire.
Poco dopo la vecchia capra tornò dal bosco. Ah, cosa le toccò vedere! La porta di casa era spalancata, tavola sedie e panche erano rovesciate, l'acquaio era in pezzi, coperta e cuscini strappati dal letto. Cercò i suoi piccoli, ma non riuscì a trovarli da nessuna parte. Li chiamò per nome, l'un dopo l'altro, ma nessuno rispose. Finalmente, quando chiamò il più piccolo, una vocina gridò: "Cara mamma, sono nascosto nella cassa dell'orologio." Lo tirò fuori ed egli le raccontò che era venuto il lupo e aveva divorato tutti gli altri. Pensate come pianse per i suoi poveri piccini!
Alla fine uscì tutt'afflitta e il caprettino più piccolo corse fuori con lei. Quando arrivò nel prato, ecco il lupo sdraiato sotto l'albero, e russava tanto da far tremare i rami. L'osservò da tutte le parti e notò che nella pancia rigonfia qualcosa si moveva e si dimenava. "Ah, Dio mio," pensò, "che siano ancor vivi i miei poveri piccini, che il lupo ha divorato per cena?" Disse al capretto di correre a casa e di prendere forbici, ago e filo. Poi tagliò la pancia del mostro; e al primo taglio, un capretto mise fuori la testa, poi, via via che tagliava, saltaron fuori tutti e sei ed erano tutti vivi e stavano benone; perché il mostro per ingordigia li aveva ingoiati interi. Che gioia fu quella! Si strinsero alla loro cara mamma e saltellavano contenti come pasque. Ma la vecchia disse: "Andate, ora; e cercate delle pietre da riempir la pancia a questo dannato prima che si desti." Allora i sette caprettini trascinarono in gran fretta le pietre e ne cacciarono in quella pancia quante ne poterono portare. Poi la vecchia la ricucì in un baleno, sicché il lupo non se ne accorse e non si mosse neppure.
Finalmente, quando ebbe fatto una bella dormita, il lupo si alzò, e perché le pietre nello stomaco gli davano una gran sete, volle andare a una fontana. Ma quando cominciò a muoversi, le pietre si misero a cozzare nella pancia con gran fracasso. Allora gridò:

"Romba e rimbomba
Nella mia pancia credevo fossero
Sei caprettini, sono pietroni
Belli e buoni."

E quando arrivò alla fontana e si chinò sull'acqua per bere, il peso delle pietre lo tirò giù, e gli toccò miseramente affogare. A quella vista i sette capretti vennero di corsa, gridando: "Il lupo è morto! il lupo è morto!" E con la loro mamma ballarono di gioia intorno alla fontana.









La prima illustrazione a sinistra è di Hermann Vogel, le altre sono dello stesso autore o ne imitano lo stile
                       
                       

Vedi anche un'animazione della fiaba: The wolf and the 7 little goats, Volk i 7 kozljat; English & Russian subs Russian cartoon (1957)

https://www.youtube.com/watch?v=2YSuQB7qUJA





6
Il lupo imbecille  (Antiche fiabe russe 1855-1864)
Alexandr N. Afanasjev

[Freud chiede come hanno fatto i lupi a salire sull'albero? S.P. ricorda una storia raccontata dal nonno, nella quale un lupo balza dalla finestra nella stanza di un sarto.] Il sarto gli scaglia addosso la misura - anzi no... si corregge il giovane - lo acchiappa per la coda e gliela strappa, sicché il lupo corre via terrorizzato.
Qualche tempo dopo il sarto va nel bosco, a un tratto vede avvicinarsi un branco di lupi e per evitarli cerca rifugio su un albero.
Il lupo scodato propone di montare uno sull'altro, e così fanno, ma il sarto grida: "Acchiappate il grigio per la coda!" A questo punto il lupo senza coda scappa spaventato e gli altri cadono a terra. (Freud 1914-1918, pp. 508-509)
È una storia successa anticamente, quando ancora Cristo andava sulla terra insieme agli apostoli. Un giorno andavano per la strada, per l’ampia strada; incontrano un lupo, dice: «Signore! Ho voglia di mangiare!». «Va’», gli dice Cristo, «mangia una giumenta». Il lupo corse alla ricerca: vede una giumenta, s’avvicina e dice: «Giumenta! Il Signore m’ho ordinato di mangiarti». Quella risponde: «Oh no, non mangiarmi! Non è permesso: io ho il passaporto, solo che l’ho dimenticato lontano». «Su, mostralo». «Vieni più vicino alle mie zampe di dietro». Il lupo s’avvicinò alle zampe posteriori, essa lo colpisce sui denti in modo tale da farlo volare cinquanta metri indietro! E la giumenta scappò.
Il lupo andò a lamentarsi; va da Cristo e dice: «Signore! Quella giumenta per poco non m’ha ucciso!». «Va’ e mangia il montone». Il lupo corse dal montone; arriva e dice: «Montone! Io ti mangerò, me l’ha ordinato il Signore». «Mangiami pure! Tu mettiti sotto il monte e spalanca le fauci, io verrò giù correndo dalla cima e ti salterò dritto in bocca!». Il lupo si mise sotto il monte e spalancò le fauci; il montone prende la rincorsa e gli dà una gran cornata: bum! Atterra il lupo e corre via. Il lupo si rialza, guarda da ogni lato: l’ariete non c’è!
Di nuovo andò a lamentarsi; va da Cristo e dice: «Signore! Anche il montone m’ha ingannato; è mancato poco che non mi uccidesse!». «Va’», dice Cristo, «mangia il sarto». Il lupo corse via; ecco venirgli incontro proprio il sarto. «Sarto! Ora ti mangio; è il Signore che l’ha ordinato». «Aspetta, lasciami almeno dire addio ai genitori». «No, neanche loro ti lascio salutare». «Be’, quand’è così mangiami. Permetti solo ch’io ti misuri: riuscirai a inghiottirmi?». «Misura!», dice il lupo. Il sarto gli passò dietro, gli afferrò la coda, se l’avvolse ben bene attorno alla mano, e giù botte! Il lupo si dibatte, tira, si strappa la coda e via a gambe! Corre corre a tutta forza, ed ecco venirgli incontro sette lupi. «Ferma!», dicono. «O grigio, perché sei senza coda?». «Il sarto me l’ha staccata». «Dov’è il sarto?». «Eccolo che se ne va per la strada». «Corriamogli dietro», e si gettarono all’inseguimento. Il sarto sentì correre, vede che l’affare è brutto, s’arrampica presto presto su un albero e si siede proprio in cima.
Ecco arrivare i lupi, dicono: «Fratelli, il sarto lo prenderemo; tu, scodato, stenditi sotto a tutti, e noi saliremo su di te, uno dopo l’altro, finché lo raggiungiamo!». Lo scodato si stese a terra, e un lupo gli montò sopra, su quello un altro, sull’altro un terzo, sempre più alto e più alto; già l’ultimo si sta arrampicando. Il sarto s’accorge del pericolo imminente, stan già per prenderlo! E grida dall’alto: «Tutti si salveranno, tranne lo scodato!». Quello salta via da sotto e giù a correre! Tutti e sette i lupi cadono a terra, inseguono lo scodato, lo prendono e lo fanno a pezzi con tale furia che i brani volano attorno. E il sarto scese dall’albero e se andò a casa.
















NOTE E RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Sergej Pankeiev
Per la traslitterazione dei nomi propri, vedi: Sigmund Freud, Racconti analitici. Progetto editoriale e introduzione di Mario Lavagetto. Note e apparati di Anna Buia. Traduzione di Giovanna Agabio. Illustrazioni originali di Lorenzo Mattotti. Torino: Einaudi 2011; pp. 805.


Roudinesco-Plon
Elisabeth Roudinesco et Michel Plon, Dictionnaire de la psychanalyse. Paris: Fayard 1997

Gardiner, M., a cura di
Il caso dell'uomo dei lupi: la storia della propria vita e dell'analisi con Sigmund Freud narrata dall'uomo dei lupi. Roma: Newton Compton 1974; p. 128.
Citato da: Luca Di Grergorio, Freud e la collezione di arte antica, 14 settembre 2014; https://www.psicoart.unibo.it/luca-di-grergorio-freud-e-la-collezione-di-arte-antica/, ultimo accesso 6 dicembre 2020


Pankejev, Sergej Disegno del sogno dei lupi. https://sciencev1.orf.at/news/154237.html, ultimo accesso 6 dicembre 2020


Freud, Sigmund
Materiale fiabesco nei sogni (1913), OSF VII, pp. 191-201

Dalla storia di una nevrosi infantile (Caso clinico dell'Uomo dei lupi) (1918, ma redatto nel 1914), OSF VII, pp. 481-593


Sciacchitano, Antonello, e Angelini, Raffaele
L'analisi finita e infinita. Traduzione di Antonello Sciacchitano e Raffaele Angelini, in occasione delle giornate di studio dell'APLI su Analisi finita e infinita, Milano, 23 novembre 1997;
“Nell’opera di Sigmund Freud il termine matematico unendlich è praticamente un apax e la sua evenienza pone problemi esegetici. Perché mai l’analisi dovrebbe essere infinita, nel senso matematico del termine, diverso da quanto propone la forsennata traduzione musattiana di “interminabile”? Occorre precisare che in tutto l’opus freudiano il termine “infinito” compare solo due volte: la prima nel titolo, L’analisi finita e infinita, e la seconda alla fine del penultimo paragrafo del capitolo settimo della stessa opera (inutile cercarlo in italiano!), dove qualifica il compito etico (la tedesca Aufgabe, la francese tâche) dell’esplorazione analitica: là dove, finita la cura, comincia l’analisi vera, cioè infinita.”(Dalla Prefazione dei due autori)
http://website.lacan-con-freud.it/ar/dossier5_analisi_didattica/freud_analisi_finita_e_infinita_EAR.pdf;
ultimo accesso: 8 dicembre 2020.


Freud, Sigmund
Una Weltanschauung (Lezione 35); trad. it. di Antonello Sciacchitano

Oggi vogliamo tentare un’impresa ardita e rischiare di rispondere a una questione che da altre parti ci viene ripetutamente posta: se la psicanalisi porti a una determinata Weltanschauung e a quale.

Weltanschauung è – temo – un termine specifico tedesco; tradurlo in altre lingue può causare difficoltà. Comunque io tenti di definirlo, di sicuro vi sembrerà goffo. Penso che la Weltanschauung sia una costruzione intellettuale che risolve tutti i problemi della nostra esistenza in modo unitario, partendo da un presupposto generale, al cui interno nessun problema resta aperto e tutto ciò che ci interessa si trova al suo posto. È assai comprensibile che possedere tale Weltanschauung rientri nelle aspirazioni ideali dell’uomo. Crederci fa sentire più sicuri nella vita, sapendo a cosa si deve aspirare e sapendo come sistemare i propri affetti e interessi in modo opportuno.

Se la caratteristica di una Weltanschauung è questa, per la psicanalisi è facile rispondere. In quanto scienza particolare, ramo della psicologia – la psicologia del profondo o dell’inconscio – la psicanalisi è del tutto inadatta a formulare una Weltanschauung, ma deve assumere quella della scienza. Però la concezione scientifica del mondo si distanzia già in modo significativo dalla nostra definizione. Ammette la spiegazione unitaria del mondo, ma solo come programma la cui realizzazione è spostata al futuro. Peraltro si contraddistingue per caratteristiche negative: la limitazione a quanto è attualmente riconoscibile e il netto rifiuto di certi elementi estranei a essa. Sostiene che non esiste fonte di conoscenza del mondo diversa dall’elaborazione intellettuale di osservazioni accuratamente accertate – si chiama ricerca; oltre a questa non c’è conoscenza per rivelazione, intuizione o divinazione.

https://www.analisilaica.it/2018/02/05/la-psicanalisi-la-weltanschauung/; ultimo accesso: 08/12/2020



Aleksandr N. Afanasjev

Antiche fiabe russe, Torino: Einaudi 1974, pp. 349. Il lupo imbecille, pp. 53-54

(prima edizione italiana: 1953. Prima edizione russa: 1855-1864). Online:

https://it.paperblog.com/freud-

l-uomo-dei-lupi-e-la-favola-di-afanas-ev-il-lupo-imbecille-1738923/; ultimo accesso:

19/12/2020



Bruder Grimm

Tutte le fiabe dei fratelli Grimm, Il lupo e i sette capretti; https://www.grimmstories.com/it/grimm_fiabe/il_lupo_e_i_sette_caprettini; ultimo accesso: 10/12/2020.

Hermann Vogel (1854-1921); possibile data delle fiabe dei Grimm illustrate da Hermann Vogel: 1891.

Oskar Herrfurth 1862-1934



Reiner Maria Rilke
La citazione è tratta da Lou Salomè, nell' Enciclopedia delle donne, http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/lou-salome/; ultimo accesso: 11/12/2020