ADALINDA GASPARINI              PSICOANALISI E FAVOLE
 
FAVOLE GRECHE

ESIODO       TEOGONIA
 
LA
NASCITA DEGLI DEI DEL MONDO DELLE PAROLE

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PREMESSA TESTO GRECO
E TRADUZIONE
LETTERALE A FRONTE
INDICE DEI NOMI
RIFERIMENTI VERSIONE IN ENDECASILLABI NOTE VAGANTI


PREMESSA

La mitologia greca, per la sua natura cangiante e poetica, è viva da quasi tremila anni ed è la fonte dell'immaginario europeo, al quale è apparentato l'immaginario del mondo contemporaneo. Lo sa bene chi si occupa di narrazioni senza improvvisare, e sa anche che questo non dipende da giudizi di valore sul patrimonio del mondo classico rispetto ad altri universi immaginari. Non c'è gerarchia di valore nelle fiabe, nei miti dei popoli diversi, come non c'è fra i sogni notturni delle persone. Le radici e le sorgenti dell'immaginario che sta diventando universale si trovano nelle due terre che si protendono nel Mediterraneo, mare nostrum per i padri latini che avevano ereditato il patrimonio dei padri greci, mare nostrum, ovvero di tutti, perché aperto a innumerevoli colonizzazioni e invasioni, e punto di partenza di civiltà che si sono diffuse nel mondo intero

Per chi ama la mitologia, come sogno collettivo, via maestra o regia, o autostrada, per accedere all'immaginario come il sogno notturno è via maestra o regia o autostrada per comprendere l'inconscio del singolo individuo, è necessario comprenderla e di favorirne la comprensione, in un quadro diverso sia dall'erudizione che dalla volgarizzazione.
Nel quadro dell'erudizione la mitologia greca pare comprensibile solo se si conoscono la lingua greca antica, le mitologie alle quali ha attinto e quelle alle quali ha dato vita, la sua fortuna, in primo luogo nel Medioevo e nel Rinascimento, quando è stata cantata, dipinta, scolpita, come forma viva e feconda.
Nel quadro della volgarizzazione tutto appare accessibile senza sforzo, perché la mitologia è semplificata e mescolata a forme espressive diverse, offrendo un insieme di immagini e racconti che, per quanto possano aver fascino, stanno alla loro espressione sorgiva come un album di figurine di calciatori sta al campionato.

La Teogonia di Esiodo, per la vastità della materia che comprende nei suoi versi, poco più di mille, è un impareggiabile ingresso per la mitologia greca, una porta maestra. Il lettore che la varchi e visiti il poema antico di duemilasettecento anni, si fornirà di un bagaglio prezioso per apprezzare la ricchezza miracolosa dei poemi omerici, la modernità poetica delle Metamorfosi di Ovidio, e ogni espressione originale greca o latina. Sarà allo stesso tempo protetto come da un vaccino dalle volgarizzazioni che invitano a entrare senza impegno in paesaggi illusoriamente facili, che del patrimonio classico - di cui ciascuno di noi è legittimo erede - ripetono i nomi mentre trascurano l'anima.

Le mie traduzioni della Teogonia, una letterale e quasi interlineare, l'altra più libera, in endecasillabi, sono corredate da un indice dei nomi, che si ispira ai dizionari di mitologia anteriori alla seconda metà del XIX secolo, quando ancora si chiamavano favole tutte le storie degli dei e degli eroi, esclusi tre tipi di storie:
- quelle del Dio unico dell'Antico e del Nuovo Testamento, e dei profeti, santi e condottieri cristiani;
- i resoconti storici considerati reali e veritieri - come la fondazione di Roma dai gemelli Romolo e Remo;
- le verità scientifiche, come la teoria dell'homunculus contenuto completo nello sperma come la spiga nel seme di grano.

La presenza del mito nella letteratura, nei videogame, nei film, in tutti i fenomeni dell'immaginario globalizzato, è crescente (vedi anche, per i romanzi post-coloniali, di chi scrive e di S. Albertazzi, Il romanzo new-global. Storie di intolleranza, fiabe di comunità, 2002).
Ci piace pensare che la globalizzazione cerchi un bilanciamento allo smarrimento delle identità locali con la rielaborazione della mitologia di tutto il mondo, fenomeno che è sempre esistito nello scambio pacifico e bellico fra i popoli, e che a partire da Richard Wagner è praticato coscientemente. Questo scambio assume oggi proporzioni immense fino alle soglie di questo millennio, come è immenso e crescente il numero degli esseri umani che insieme, lontani nello spazio, fruiscono dello stesso film, dello stesso romanzo, dello stesso videogame (cfr., per i videogame narrativi, Anna Antoniazzi, Labirinti elettronici. Letteratura per l'infanzia e videogame, 2007).

Queste pagine offrono uno strumento centrato sulla Teogonia, che permette di muoversi in molte direzioni e di tornare quando si vuole al poema di Esiodo, di viaggiare nella mitologia greca secondo il proprio gusto e la propria misura. Vorremmo far compagnia a chi, avendo o non avendo una cultura classica e una formazione critica, si muove nella vasta e ricca offerta di testi, dati, commenti, immagini resi accessibili dalla rete. Le pagine di questo sito dedicate alla Teogonia indicano vie utili per approfondire la conoscenza di un eroe, di una divinità, di un motivo narrativo: la completezza è una parola estranea al mito e alle favole.

Vorremmo ricordare che la fecondità, la nascita, la discendenza, sono fenomeni che hanno come immagini i labirintici, dai quali si può uscire - se si può uscire - solo percorrendoli in ogni parte. A patto che siano labirinti univiari, che consentono sia di giungere al centro, sia di uscire, ma solo dopo aver percorso ogni sentiero e dopo aver attraversato ogni incrocio. Il centro può contenere un simbolo, un motto, un enigma, oppure non si sa quale sia il centro: ma esiste un seme di senso che consente di intraprendere la via del ritorno, di ottenere un sapere inaccessibile a chi non voglia dedicare tutto il tempo che richiede il lungo e tortuoso cammino. Non c'è nessun enigma che, risolto, elimini la notte e la nebbia, nessun sapere risolutivo, nessun potere sul fluire tragico e rigoglioso della vita. Solo il lettore paziente e appassionato potrà godere qualche volta del chiaro che appare alla fine della notte, e della lenta dissoluzione della nebbia al calore del sole.

Il linguaggio è l'invenzione delle invenzioni, perché consente sia di intendersi sia di fraintendersi. Quindi passare da una lingua all'altra significa sopportare il fraintendimento e godere della comprensione, come capita in ogni rapporto.

La nostra traduzione in endecasillabi è venuta dopo la traduzione letterale, più adatta a prendere contatto con il testo greco e con la sua divisione in versi. Ricordiamo con gratitudine la traduzione postuma di Cesare Pavese, quasi interlineare, un corpo a corpo che probabilmente forse prevedeva altro lavoro. Si può pensare che il poeta si sia fatto ponte fra la Teogonia greca, poema la cui fruizione era stata vastissima, e il suo e nostro tempo, per ripercorrere e riproporre una delle tante vie maestre per accedere alla cultura greca, poco frequentate, ma libere e dirette, anche senza guida, o con un accompagnatore garbato e appassionato, che non impone ritmi di viaggio, come accade quasi sempre a scuola.



RIFERIMENTI

SITOBIBLIOGRAFIA DELLE OPERE CITATE
INDICE DELLE IMMAGINI INSERITE NELLA TEOGONIA IN ORDINE ALFABETICO SECONDO I NOMI
INDICE DELLE IMMAGINI INSERITE NELLA TEOGONIA IN ORDINE CRONOLOGICO SECONDO LE OPERE

SITI DA CONSULTARE





 


AUTORI/OPERE CITATE
RIFERIMENTI BIBLIOSITOGRAFICI - INDICE ALFABETICO
Basile

Giovan Battista Basile, dal Cunto de li cunti o Pentamerone (Napoli, 1634-1636):
I sette piccioncini, e-book, Fabulando. Carta fiabesca della successione
La fiaba dell'orco, c.s.
Penta mano-mozza, c.s.
Sole, Luna e Talia, c.s.
Ultimo accesso: 05/01/20
Divina Commedia
Dante Alighieri, La Divina Commedia.Testo critico della Società Dantesca Italiana riveduto col Commento Scartazziniano rifatto da Giuseppe Vandelli. Aggiuntovi il Rimario Perfezionato di L. Polacco e l'indice de' nomi propri e di cose notabili. Ventunesima edizione (completa). Milano: Ulrico Hoepli Editore-Libraio 1928. Ristampa 2008, pp. 1062.
Dizionario portatile delle favole
Dizionario portatile delle favole. Per l'intelligenza de' Poeti, delle Pitture, delle Statue, delle Sculture, delle Medaglie, e degli altri Monumenti spettanti alla Mitologia. Compilato da Chomprè e considerabilmente accresciuto da A. L. Millin, conservatore delle medaglie, e delle sculture antiche della Biblioteca Nazionale, professore di storia, e di antichità, ec. Traduzione dal francese riveduta, corretta, nuovamente arricchita di molte aggiunte, e corredata di opportune citazioni da Celestino Massucco, professore di poesia nell'Università di Genova. Bassano: Tipografia remondiniana 1804. 2 tomi, t. I pp. 524, t. II pp. 555.
Dizionario della favola
Dizionario della favola o mitologia greca, latina, egizia, celtica, persiana, siriaca, indiana, chinee, maomettana, rabbinica, slava, scandinava, affricana, americana, araba, iconologica, cabalistica, ecc., ecc., di Fr. Noel tradotto dal francese sulla terza edizione del testo con correzioni ed aggiunte anche di nomi appartenenti alla storia antica da Girolamo Pozzoli. Vol. II, Milano: Tipografia e Calcografia di Batelli e Fanfani, 1820. [6 voll. 1819-1825]
Eneide Virgilio, Eneide, nel sito  Crepuscolo degli Dèi. Ultimo accesso: 05/01/20
http://ilcrepuscolo.altervista.org/php5/index.php?title=Biblioteca:Virgilio%2C_Eneide%2C_Libro_VI&oldid=158876.
Erodoto
Erodoto, Storie, in Storici greci. Erodoto e Tucidide, Introduzione di Giovanni Pugliese Caratelli. Milano: Sansoni 1993, pp. 955.
Fernando Pessoa
Pessoa, Fernando, Una sola moltitudine. Volume secondo. A cura di Antonio Tabucchi con la collaborazione di Maria José de Lancastre. Milano: Adelpi Edizioni 1984, pp. 256.
Giambattista Vico
Giambattista Vico, La scienza nuova - Volume I. La scienza nuova, giusta l'edizione del 1744, con le varianti dell'edizione del 1730 e di due redazioni intermedie inedite e corredata di note storiche, Bari, Laterza, 1911.
https://it.wikisource.org/wiki/La_scienza_nuova_-_Volume_I/Libro_I/Sezione_II; ultimo accesso 05/01/20.
Iliade Omero, Iliade. Traduzione di Rosa Calzecchi Onesti. Prefazione di Fausto Codino. Milano: Oscar Mondadori 1977, pp. 511. (Prima ed. 1950)
Inni omerici
Inni omerici. A cura di Filippo Cassola. Milano: Fondazione Lorenzo Valla / Arnoldo Mondadori Editore 1999, pp. 445. (Prima ed. 1975)
Inni orfici
Inni orfici. A cura di Gabriella Ricciardelli. Milano: Fondazione Lorenzo Valla / Arnoldo Mondadori Editore 2000, pp. 552.
Metamorfosi
Ovidio Nasone, Le Metamorfosi. Testo latino e traduzione in versi italiani di Ferruccio Bernini. Bologna: Zanichelli editore 1983, 2 voll. vol. I pp. 382, vol. II pp. 386.
Odissea 1 Omero, Odissea. Nella versione poetica di Giovanna Bemporad tutti i canti,per intero o a frammenti. Introduzione di Maurizio Perugi. Firenze: Le Lettere 1990, pp. 272.
Odissea 2 Omero, Odissea. Traduzione di G. Aurelio Privitera. Saggio introduttivo di Alfred Heubeck. Premessa di Italo Calvino. Milano: Mondadori 1995, pp. 826.
Platone
Fedro; Filosofico.net; ultimo accesso 05/01/20.
http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaS/SOCRATE_%20IL%20RIFIUTO%20DELLA%20SCRITT.htm
Repubblica; Filosofico.net; ultimo accesso 05/01/20.
http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaP/PLATONE_%20IL%20MITO%20DI%20ER%20(REPUBBLI.htm
Simposio. A cura di Giorgio Colli. Milano: Adelphi 1979; pp. 108.
[Vedi anche: Simposio. A cura della Redazione del Giardino dei pensieri; ultimo accesso 05/01/20.
http://www.libreriafilosofica.com/wordpress/wp-content/uploads/2012/12/platone_simposio_pdf.pdf]
Sergio Benvenuto
Benvenuto, Sergio, Hestia-Hermes. La filosofia tra focolare e angelo. online in Dialeghesthai. Rivista telematica di filosofia 2001. http://mondodomani.org/dialegesthai/sb01.htm; ultimo accesso 05/01/20.
Stefano D'Arrigo
D'Arrigo, Stefano, Orcynus Orca, Milano: Mondadori 1975; pp. 1256.
Straparola
Giovan Francesco Straparola, da Le piacevoli notti (Venezia 1550-1551)
Pietropazzo, e-book, Fabulando. Carta fiabesca della successione
Ultimo accesso: 05/01/20
L'omo selvatico, in questo stesso sito, Psicoanalisi e favole, Favole antiche latine e italiane.

LINK
ultimo
accesso

CHART HESIOD'S THEOGONY. THE FAMILY TREE OF GODS IN HESIOD'S THEOGONY
05/01/20
ESIODO, TEOGONIA. Testo greco (wikisource)
05/01/20
ESIODO, TEOGONIA. Traduzione di Patrizio Sanasi 05/01/20
ESIODO, TEOGONIA. Traduzione di Ettore Romagnoli 05/01/20
PREFAZIONE ALLA TEOGONIA di Ettore Romagnoli 05/01/20
THEOI GREEK MYTHOLOGY. Exploring Mythology in Classical Literature and Art 05/01/20
DIZIONARIO ETIMOLOGICO DELLA MITOLOGIA GRECA. POPOLI
05/01/20
DIOTIMA. Materials for the Study of Women and Gender in the Ancient World 05/01/20
LA NASCITA DEGLI DEI E L'ORDINE DEL MONDO. Lezione di library.weschool.com 05/01/20
MITOLOGIA E... DINTORNI 05/01/20
NEVIO MASTROCIANI - INDICE
21/01/20
ICONOS, Viaggio interattivo nelle Metamorfosi di Ovidio 05/01/20
ALBERO GENEALOGICO DEGLI DEI DELLA TEOGONIA DI ESIODO SECONDO ETTORE ROMAGNOLI 27/05/24












INDICE DELLE OPERE  FIGURATIVE PRESENTI NELLE PAGINE DELLA TEOGONIA
IN ORDINE ALFABETICO SECONDO I NOMI DEGLI DEI E DEGLI EROI

Achille
Giambattista Tiepolo, Teti [Tethys] consola Achille (1757), Villa Valmarana ai Nani, Vicenza
Ade, Plutone
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Giove, Nettuno e Plutone (1597), Villa Ludovisi, Roma
Afrodite, Venere
Sandro Botticelli, Nascita di Venere [Afrodite] (1483-1485) Galleria degli Uffizi, Firenze
Afrodite, Venere
Francesco del Cossa, Trionfo di Venere [Afrodite], Aprile (1469-1470) Salone dei Mesi, Palazzo Schifanoia, Ferrara
Afrodite, Venere
Sandro Botticelli, Primavera (1482 c.a.) Galleria degli Uffizi, Firenze
Afrodite, Venere
Sandro Botticelli, Venere e Marte (1482-1483), National Gallery, Londra
Afrodite, Venere
Alexander Charles Guillemot, Marte e Venere sorpresi da Vulcano (1827), Indianapolis Museum of Art
Afrodite, Venere
Johann Rottenhammer the Elder, Venere, Marte e Vulcano, (1604-1605) Royal Collection, UK
Apollo
Dosso Dossi, Apollo (1524), Galleria Borghese, Roma
Apollo
Anton Raphael Mengs, Parnaso (1750-1760), Museo dell'Ermitage, San Pietroburgo
Apollo Marcantonio Franceschini, La nascita di Apollo e Diana [Artemide] (1692-1709), Liechtenstein Museum, Vienna
Ares, Marte Sandro Botticelli, Venere e Marte (1482-1483), National Gallery, Londra
Ares, Marte
Alexander Charles Guillemot, Marte e Venere sorpresi da Vulcano (1827), Indianapolis Museum of Art
Ares, Marte Johann Rottenhammer the Elder, Venere, Marte e Vulcano, (1604-1605) Royal Collection, UK
Arianna Tiziano, Bacco e Arianna (1520-1523), National Gallery, Londra
Artemide, Diana
Marcantonio Franceschini, La nascita di Apollo e Diana [Artemide] (1692-1709) Liechtenstein Museum, Vienna
Artemide, Diana Correggio, Diana [Artemide] (1518-1519) Camino della Camera della Badessa, ex Monastero di San Paolo, Parma
Artemide, Diana Correggio, Affreschi della volta della Camera della Badessa (1518-1519) ex Monastero di San Paolo, Parma
Artemide, Diana Parmigianino, Stufetta di Diana [Artemide] e Atteone (1524), Atteone, Rocca Sanvitale a Fontanellato (Parma)
Athena, Pallade, Minerva Sandro Botticelli, Pallade e il centauro (1482-1483), Galleria degli Uffizi, Firenze
Bellerofonte
Giovanni Battista Tiepolo, Bellerofonte su Pegaso (1746-1747), Palazzo Labia, Venezia
Cariti, Grazie
Sandro Botticelli, Primavera (1482 c.a.), Galleria degli Uffizi, Firenze
Ciclope
Annibale Caracci, Polifemo e Galatea (1595 c.a.), Palazzo Farnese, Roma
Cornucopia Peter Paul Rubens, La dea Abbondanza con una cornucopia (1630 c.a.), Museo Nazionale d'Arte Occidentale, Tokyo
Cronos, Saturno Peter Paul Rubens, Saturno, padre di Giove, divora un suo figlio (1636-1638), Museo del Prado, Madrid
Cronos, Saturno Tiepolo, Saturno divora suo figlio (1745), Collezione privata
Cronos, Saturno
Fancisco Goya, Saturno che divora i suoi figli (1820-1823), Museo del Prado, Madrid
Dionysos, Bacco
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Bacco [Dionysos] (1596-1598), Galleria degli Uffizi, Firenze
Dionysos, Bacco Tiziano, Bacco [Dionysos] e Arianna (1520-1523), National Gallery, Londra
Elios Giulio Romano, Apollo sul carro del Sole - Diana/Artemide come Luna sul suo carro (1527-1528), Palazzo Te, Mantova
Eros
Michelangelo Merisi da Caravaggio, Amor Vincit Omnia (1602-1603), Gemäldegalerie, Staatliche Museen, Berlino
Esiodo
Gustave Moreau, Esiodo e la musa (1891), Musée D'Orsay, Parigi

Europa
Martín de Vos, Il rapimento di Europa (1590 c.a.), Museo delle Belle Arti, Bilbao
Galatea
Annibale Caracci, Polifemo e Galatea (1595 c.a.), Palazzo Farnese, Roma
Galatea
Raffaello Sanzio, Trionfo di Galatea (1512), Villa Farnesina, Roma
Hecate
Spagnoletto, Giuseppe de Ribera (1591-1652), Hecate: processione per un sabba di streghe, Apsley House , Wellington Museum, Londra
Hefestos, Vulcano
Piero di Cosimo, Ritrovamento di Vulcano (1500-1505), Wadsworth Atheneum di Hartford, Connecticut
Hefestos, Vulcano Johann Rottenhammer the Elder, Venere, Marte e Vulcano, (1604-1605) Royal Collection, UK
Hefestos, Vulcano Alexander Charles Guillemot, Marte e Venere sorpresi da Vulcano (1827), Indianapolis Museum of Art
Hera, Giunone
Antonio Randa (1640 c.a.) Giunone (Hera) e re Eolo alla grotta dei Venti, collezione privata
Hera, Giunone
Tintoretto, Origine della Via Lattea (1578-1580), Londra, National Gallery
Hera, Giunone Paolo Veronese, Giunone elargisce doni a Venezia (1554-1556), Palazzo Ducale, Venezia
Heracles, Ercole
Antonio Pollaiolo, Ercole e l'Idra (1475), Galleria degli Uffizi, Firenze
Heracles, Ercole
Tintoretto, Origine della Via Lattea (1578-1580), National Gallery, Londra
Hermes, Mercurio
Dosso Dossi, Giove (Zeus) pittore di farfalle, Mercurio (Hermes), la Virtù (1523-1524); Castello di Wawel, Cracovia
Hermes, Mercurio
Sandro Botticelli, Primavera (1482 c.a.) Galleria degli Uffizi, Firenze
Idra
Antonio Pollaiolo, Ercole [Heracles] e l'Idra (1475), Galleria degli Uffizi, Firenze
Iris
Guy Head, Iris porta l'acqua di Stige all'Olimpo per il giuramento sacro (1793 c.a.) Nelson-Atkins Museum of Art, Kansas City
Leto, Occulta
Marcantonio Franceschini, La nascita di Apollo e Diana (1692-1709) Liechtenstein Museum, Vienna
Medusa
Piero di Cosimo, Liberazione di Andromeda (1510-1513), Firenze, Galleria degli Uffizi
Medusa
Anonimo fiammingo (già attribuita a Leonardo da Vinci) Testa di Medusa (XVI sec.) Galleria degli Uffizi, Firenze
Muse
Anton Raphael Mengs, Parnaso (1750-1760), Museo dell'Ermitage, San Pietroburgo
Nereidi
Piero di Cosimo (1461-1522), Tritoni e Nereidi, Collezione Altomani, Milano
Nereidi
Raffaello Sanzio, Trionfo di Galatea (1512), Villa Farnesina, Roma
Ninfe
Piero di Cosimo, Ritrovamento di Vulcano (1500-1505) Wadsworth Atheneum di Hartford, Connecticut
Ninfe Sandro Botticelli, Primavera (1482 c.a.) Galleria degli Uffizi, Firenze.
Notte
Auguste Raynaud (1845-1937), La Notte, Collezione privata
Odisseo, Ulisse
Pinturicchio, Il ritorno di Ulisse (1508-1509) National Gallery, Londra
Ore
Sandro Botticelli, Nascita di Venere [Afrodite] (1483-1485) Galleria degli Uffizi, Firenze
Pandora
Jean Cousin il Vecchio, Eva prima Pandora (1550 c.a.), Parigi, Museo del Louvre
Parnaso
Anton Raphael Mengs, Parnaso (1750-1760), Museo dell'Ermitage, San Pietroburgo
Pegaso
Giovanni Battista Tiepolo, Bellerofonte su Pegaso (1746-1747) Palazzo Labia, Venezia
Perseo
Piero di Cosimo, Liberazione di Andromeda (1510-1513), Firenze, Galleria degli Uffizi
Poseidon ,Nettuno
Angelo Bronzino, Ritratto di Andrea Doria come Nettuno [Poseidon], Pinacoteca di Brera, Milano
Poseidon, Nettuno Michelangelo Merisi da Caravaggio, Giove, Nettuno e Plutone (1597), Villa Ludovisi, Roma
Selene, Luna
Giulio Romano, Apollo sul carro del Sole - Diana come Luna sul suo carro (1527-1528),  Palazzo Te, Mantova
Tethys
Giambattista Tiepolo, Teti [Tethys] consola Achille (1757), Villa Valmarana ai Nani, Vicenza
Titani, Giganti
Giulio Romano, La caduta dei giganti, Sala dei Giganti (1532-1535), Palazzo Te, Mantova
Titani, Giganti
Giulio Romano, La caduta dei giganti, Sala dei Giganti, parete (1532-1535), Palazzo Te, Mantova
Titani, Giganti
Giulio Romano, La caduta dei giganti, Sala dei Giganti, volta (1532-1535), Palazzo Te, Mantova
Tritoni
Da Albrecht Dürer (attribuibile a Albrecht Dürer, da una sua xilografia), Mostro marino (sec. XVI)
Tritoni
Piero di Cosimo (1461-1522), Tritoni e Nereidi, Milano, Collezione Altomani
Tritoni
Raffaello Sanzio, Trionfo di Galatea (1512), Roma, Villa Farnesina
Venti
Antonio Randa (1640 c.a.) Giunone [Hera] e re Eolo alla grotta dei Venti, collezione privata
Zefiro
Sandro Botticelli, Nascita di Venere (1483-1485) Galleria degli Uffizi, Firenze
Zefiro
Sandro Botticelli, Primavera (1482 c.a.) Galleria degli Uffizi, Firenze
Zeus
Martín de Vos, Il rapimento di Europa (1590 c.a.), Museo delle Belle Arti di Bilbao
Zeus Michelangelo Merisi da Caravaggio, Giove, Nettuno e Plutone (1597) Villa Ludovisi, Roma
Giganti
Giulio Romano, La caduta dei giganti, Sala dei Giganti (1532-1535), Palazzo Te, Mantova
Giganti
Giulio Romano, La caduta dei giganti, Sala dei Giganti, parete (1532-1535), Palazzo Te, Mantova
Giganti
Giulio Romano, La caduta dei giganti, Sala dei Giganti, volta (1532-1535), Palazzo Te, Mantova
Zeus, Giove
Anonimo, copia da Michelangelo, Leda e il cigno (1530), Londra, National Gallery
Zeus, Giove
Giulio Romano, Zeus seduce Olimpiade (1527) Palazzo Te, Mantova
Zeus, Giove
Dosso Dossi, Giove pittore di farfalle, Mercurio (Hermes), la Virtù (1523-1524); Castello di Wawel, Cracovia
Zeus, Giove
Tintoretto, Origine della Via Lattea (1578-1580), Londra, National Gallery






RITORNO E SCOMPARSA DEGLI DEI OLIMPICI

MITI DIPINTI, FABULAE PICTAE

La scelta delle immagini per la pagina della mia Teogonia online col testo greco e la traduzione letterale a fronte non è avvenuta secondo criteri storici, estetici, concettuali, è stata insomma scriteriata, o, più benignamente, aleatoria. Alcune opere sono talismani della mia vita, perché ho cominciato a guardarle e amarle ai tempi della scuola media sfogliando il settimanale Epoca, al quale mio padre era abbonato. Nei primi anni sessanta mio padre faceva il rappresentante di riproduzioni artistiche di quadri, e io passavo ore a guardare i suoi cataloghi, che conservo ancora, nei quali le opere, da quelle preistoriche alle contemporanee, erano riprodotte in pochi centimetri, perché in una pagina ce ne dovevano stare decine, e ogni tanto ce n'era una a pagina piena: alcune di queste esercitavano su di me un fascino che ancora sento. Pensando alla mia prima visita agli Uffizi, col babbo e due ospiti tedesche, di una famiglia che lo aveva nutrito di nascosto quando era in campo di prigionia in Germania, salvandogli la vita, ricordo solo un quadro. Mentre loro parlavano continuavo a guardarlo, era in basso, alla mia altezza, catturata dall'espressione del soggetto che mi guardava. Chiesi al babbo chi era quella donna, e lui mi rispose che era un dio, Bacco: alla mia obiezione, che aveva i capelli lunghi, mi spiegò che anticamente anche i maschi portavano i capelli lunghi. Anni dopo ho riconosciuto quella donna che era un dio nel Bacco di Caravaggio, e forse è per questo ricordo che l'ho scelto. Con Caravaggio siamo alla fine del Cinquecento, e anzi la data del nostro Bacco è già secentesca. Indubbiamente le figure di Caravaggio, come questo Bacco, come Eros in Amor vincit omnia, come i tre dei olimpici visti dal basso su un soffitto di Villa Ludovisi, sono completamente umane. Caravaggio non si illude sulla presenza o sulla benevolenza degli dei olimpici, crudeli e benevoli a un tempo, ma i suoi dei mantengono una carica divina, o demonica, o superumana, che deriva dalla loro recente rivisitazione rinascimentale. Gli dei sono scomparsi, ma i loro effetti restano: ardore prorompente in Caravaggio, non a caso maledetto nella sua esistenza. Guardo questi dipinti che a loro volta mi guardano, come il Bacco alla mia altezza in quella prima visita agli Uffizi, e racconto la storia che mi raccontano, che mi chiedono di raccontare, o che non posso fare a meno di raccontare. Una storia lunga una vita, e se è una storia inutile, è inutile la mia vita. La scrivo come appello, sperando e disperando di trovare udienza, temendo di rendermi ridicola, per il tema immenso che oso esplorare nonostante non possa vantare competenze di storica, di critico d'arte, di filosofo, di sociologa. Gli è che sia come psicoanalista praticante - da quarant'anni - che come amante di favole - da quando una memoria mi rassicura della mia esistenza - so di tutto e di nulla, parlo di tutto e di nulla. Ma fra tutto e nulla, in uno spazio inesistente secondo la geometria euclidea, ma topologicamente grande a piacere, si dipana lento il discorso analitico, nella pratica, così difficile da descrivere, così sfuggente eppure certo, quasi come un sogno notturno, così dubbio nel suo rapporto con la realtà, come un ricordo d'infanzia.
Il discorso che sentiamo, intuizione o delirio, comincia nel 1440, con Andrea Doria come Nettuno del Bronzino, e termina con la Notte di Auguste Raynaud, che si trova in una collezione privata. Dopo averlo scelto per il riferimento alla Notte come divinità classica, non trovando riferimenti che ne dessero la data di composizione, ho pensato che potevo immaginare che fosse stato dipinto quando fu pubblicata la Traumdeutung, l'Interpretazione dei sogni di Freud, fra 1899 e 1900. Il nostro racconto finirà con questa data, che è e non è più Ottocento ed è e non è ancora Novecento. La passione per la cultura classica era anche di Freud, e alla sua contemplazione di opere d'arte si devono testi come quelli dedicati a un ricordo d'infanzia di Leonardo e al Mosè di Michelangelo, anche se gli psicoanalisti trovano imbarazzanti certe sue affermazioni, mentre i cultori di storia dell'arte li considerano privi di rigore.
Di certo con Freud Edipo e Narciso sono tornati fra noi. Non hanno portato il magnifico tempo primaverile dell'Umanesimo e del Rinascimento, ma piuttosto una perturbazione, una riflessione dolorosa sulla dimensione tragica che sempre ci accompagna, e solo in apparenza pareva vinta dalle conquiste rivoluzionarie dell'Illuminismo e dal progresso scientifico e tecnico. Questo è il grande mito del nostro tempo, demoniaco ed ambivalente come gli dei e le dee della Grecia classica. In questo senso i mostri e le mirabilia della parte sommersa dell'iceberg offrono allo sguardo uno spazio e un tempo altri, che sono e non sono visibili, che sono e non sono nostri, come i sogni e i sintomi, come l'equilibrio e la perdita dell'equilibrio. Non ci appartiene la sollecitazione di area junghiana a tornare al mito, come se fosse possibile risolvere il nostro dramma - per ogni tempo c'è un dramma da affrontare - invitando a tornare gli dei come si invita un relatore a un convegno, suggerimento che putroppo perde senso ibridandosi con le pratiche e i discorsi new-age. Meglio riflettere sulle parole di Wittgenstein, della psicoanalisi come una potente mitologia contemporanea.
Meglio considerare le idiosincrasie contemporanee, apparentemente e sperabilmente effimere, come i movimenti razzisti, sovranisti, siano superstizioni, non miti, perché non hanno nessuna traccia divina. La psicoanalisi, come la intende Wittgenstein, non è un mito che propone la salvezza per qualcuno al prezzo della condanna di qualcun altro. Riguarda gli esseri umani, come le religioni di ogni tempo, politeiste o monoteiste. La differenza è che le religioni consideravano umani solo alcuni esseri umani: anche i greci, che amiamo e dei quali stiamo parlando, consideravano barbari, balbuzienti, quelli che non parlavano la loro lingua, e all'agorà, all'assemblea che prendiamo a modello per la democrazia, avevano diritto di partecipare solo gli uomini liberi: donne e schiavi non erano ammessi. E del resto il suffragio universale fu brevemente sperimentato del Settecento, e adottato stabilmente per la prima volta in Nuova Zelanda nel 1893. Le donne in Italia votano solo dalla metà del Novecento. La battaglia che si credeva vinta è appena cominciata. La casa democratica dove credevamo di abitare era un'illusione e un sogno, e ora siamo tutti profughi, esuli, migranti. Freud lo sapeva, o lo intuiva, anticipava come solo i geni possono fare una visione che richiede decenni prima di essere condivisa, prima di diventare patrimonio comune. Stiamo giocando a crederci legittimi abitanti del mondo al prezzo di considerare altri abitanti illegittimi. Ma la casa non c'è, e il nostro riparo non è più sicuro di quello dei nostri antenati, vicini e lontani a piacere.
Ammiro Andrea Doria ritratto da Bronzino come Nettuno, col tridente e la barba fluente e arricciata, umida come quella del dio delle acque, vorrei che mi visitasse. Mi fa sorridere il suo bel corpo nudo, non più giovane ma sempre vigoroso, e il drappo che scende a coprire le pudenda viene trattenuto dal nobile politico genovese con un attimo di ritardo, così che si intravede la sua maschilità di cui porta orgoglio come dei suoi successi sul mare e nella città di Genova. Nettuno non si sarebbe adombrato per questo ritratto, anzi, avrebbe considerato Andrea Doria come un suo protetto. Né Andrea Doria facendosi ritrarre come il dio dei mari non pensava affatto di essere un dio. La vicinanza degli dei è possibile solo se gli esseri umani non provocano la loro irritazione, lo fthonos, che non è invidia nel senso moderno, ma uno sguardo che spoglia, umilia, uccide.
Il nostro tempo non ha nessun Andrea Doria, perché la grandezza umana è scissa dalla sua miseria. Ma il senso dell'umano non è proprio una combinazione di ricchezza e miseria, di orgoglio e umiltà, di capacità di attraversare tempi e spazi immensi col pensiero intrecciata alla percezione di un corpo così piccolo e di così breve durata, se pensiamo alle misure del sistema solare, per non pensare all'universo?
Gli dei dell'Olimpo - ma questo discorso potrebbe essere condotto su qualunque religione, da quella che doveva ispirare praticare i costruttori del tempio di Göbekli Tepe alle pratiche new-age contemporanee - personificano norme che esigono rispetto, pur essendo a volte manifestamente crudeli e ingiuste, come vedremo ricordando episodi come quello di Athena che trasforma in ragno Aracne e di Apollo che scortica Marsia: i due esseri umani, abile nelle arti della tessitura e del ricamo di cui Atena era signora la prima, nella musica, dominio di Apollo, il secondo, avevano sfidato gli dei e li avevano vinti. Per questo avevano perso la loro umanità, Aracne divenuta ragno, o la loro vita, Marsia. Zeus limite sereno, recita un frammento di Eraclito: gli dei rappresentano nella Grecia classica leggi che non possono essere violate, rispetto alle quali gli esseri umani non possono insegnare nulla agli dei che le personificano. Non perché non ne abbiano la capacità: Marsia come flautista non è inferiore ad Apollo citaredo, e Aracne dipinge le storie degli dei con un'ironia che la rende superiore ad Athena. A Alcione e Ceice chiamandosi con i nomi di Giove e Giunone sono certi che il loro amore è tanto grande e bello che anche se mortali non hanno nulla da invidiare ai sovrani dell'Olimpo. Per questo considerarsi pari agli dei Ceice, re discendente da Espero, muore in un naurfragio, e Alcione lo attende lungamente, soffrendo tanto che gli dei decidono di farle sapere che non deve più aspettare lo sposo: quindi le appare Morfeo, creatura del Sonno, con la forma di Ceice, pallido e bagnato. Ma Alcione, mortale discendente di Eolo, dimostrando il suo amore, anziché consolarsi, corre verso il mare, e scorgendo il cadavere di Ceice che le onde riportano a riva si getta in mare per abbracciarlo ed essere la sua sposa anche nella morte. Allora gli stessi dei che hanno decretato questa tragedia, si commuovono, e ridanno vita ai due sposi amanti che erano stati troppo felici, come Aracne e Marsia erano stati troppo bravi. Li trasformano in piccoli uccelli variopinti, che si chiamano alcioni o martin pescatori. A loro, quando nidificano, gli dei concedono un tempo di bonaccia, di quiete marina: sono i Giorni alcionii, sette che precedono e sette che seguono il solstizio d'inverno.
L'ambivalenza divina è e non è l'ambivalenza umana. In entrambi i casi un'ambivalenza ineliminabile

L'eredità del Rinascimento ha liberato il pensiero e la ricerca umana dalla soggezione ai poteri che detenevano la rappresentanza del divino, come le gerarchie ecclesiastiche, permettendo la nascita e lo sviluppo della scienza moderna. 
Non siamo riusciti a trasformare l'utopia - un mondo felice e giusto - in realtà, ma quel che viviamo come rischio di sopravvivenza della nostra specie è allo stesso tempo il nostro successo: la durata della nostra vita e il nostro numero è aumentato nel tempo del fallimento delle utopie rivoluzionarie. Abbiamo continuato l'impresa dei nostri preistorici progenitori, che molto prima di scoprire la scrittura avevano già occupato tutte le nicchie ecologiche e cacciato e/o addomesticato tutte le altre specie animali.
Per quanto ci consideriamo superiori ai Greci che avevano i loro dei sull'Olimpo circondato di nuvole, la nostra superiorità certa è solo quella tecnica. Guardarli, e lasciarsi guardare, come mi è capitato di fare da bambina con il Bacco ebbro di Caravaggio, potrebbe insegnarci qualcosa. Potrebbe favorire una forma di umiltà che non è soggezione all'ignoto, ma ricerca continua di comprensione delle leggi che regolano la nostra vita: qualcosa che a volte appare demoniaco o divino, qualcosa che Freud comprende e racconta quando parla della coazione a ripetere. La sua genialità merita di essere riconsiderata, i suoi riferimenti mitologici possono essere ricompresi. Freud mette sullo stesso piano Eros e Thanatos, che corrispondono all'amore e alla morte del romanticismo, già presenti nello Sturm und Drang preromantico. Thanatos però può essere sullo stesso piano di Eros solo se Eros è idealizzato come libido unica, maschile,  connessa all'erezione. Thanatos è quindi il limite all'erezione, al suo potere fecondatore, alla sua fertilità, al successo della sua presenza nel mondo. Questa concezione della potenza maschile, che è di Freud fino a Jenseits des LustprizipsAl di là del principio di piacere (1920) non è classica, è l'ultimo figlio, piuttosto degenere, del sogno del Rinascimento, il sogno dal quale è nata l'Europa come la conosciamo, e l'America, il nuovo mondo, futuro del passato dell'Europa stessa. Futuro do passado, scriveva Fernando Pessoa nella raccolta raccolta Mensagem, pubblicata nel 1934.
È del 1920 la svolta nell'opera di Freud, che divide gli psicoanalisti fra quelli che lo amano per la sua opera fino al 1920, come se questa data avesse segnato un'involuzione, e quelli che lo amano soprattutto per la svolta del 1920, considerando quindi gli scritti precedenti come una preparazione per quelli successivi. E se ci si ponesse il compito di considerare egualmente psicoanalitici e freudiani gli scritti precedenti Jenseits des Lustprinzips e quelli seguenti questa svolta del 1920? Se si cominciasse a leggerlo come un classico fondativo?
Nel Vecchio Testamento le contraddizioni sono frequenti, a partire dalla Genesi, dove Dio crea l'essere umano il sesto giorno, maschio e femmina, per ripartire dopo il giorno del riposo con il solo Adamo, e formare Eva dalla costola di lui. Così Esiodo, al verso 217, ci dice che le Parche, o Moire, le filatrici e tagliatrici della vita di ciascuno di noi mortali, sono nate dalla figlia per partenogenesi del primordiale Caos, dalla Notte, insieme a quanto di peggio si può incontrare nella vita privata e pubblica. Ma al verso 904 ci racconta che nacquero dall'unione di Zeus con Themis/Norma, venendo alla luce come l'altro triplice parto della coppia, le Ore, Eunomia/Buonalegge, Diche/Giustizia e Irene/Pace. Una contraddizione, nella Genesi ebraica e nella Teogonia greca? Sì, per il nostro sguardo illuministico o positivistico. Ma se ci liberiamo da abitudini tragicamente semplificanti, riduzionistiche quindi, possiamo ben capire che i nostri antenati che scrivevano e copiavano Genesi e Teogonia non avevano meno cervello di noi, né meno senso della vita: la stessa cosa può avere due genesi e due significati diversi. E se pensiamo al concetto psicoanalitico di Superio, possiamo scorgere un parente delle Moire greche: terribile e implacabile, ma ciò a cui ci si può appellare, ciò che può renderci giustizia. La nostra presunzione somiglia a quella di noi adolescenti, quando, cominciando ad avere un'idea del mondo, disprezziamo i nostri genitori che sicuramente non vedono nulla di ciò che vediamo noi, e allora li attacchiamo come nel Sessantotto, o smettiamo di averli come punti di riferimento, come accade ancora agli adolescenti. Una lettura attenta della Teogonia, scelta qui arbitrariamente fra innumerevoli altri capolavori classici - ci porta a comprendere senza riserve che Esiodo, vissuto nel VII secolo a. C. non aveva proprio niente meno di noi, anche se il cellulare e la corrente elettrica lo avrebbero spaventato o ammirato senza limiti.
Freud dice cose diverse, comunque lo si legga, a meno che non se ne escluda una parte, come sono stati esclusi per secoli gli scritti alchemici di Newton perché avrebbero contraddetto il suo contributo alla scienza moderna.
Noi ora proviamo a guardare entrambe le parti di Freud, quella che è in sintonia con la rivoluzione nel pensiero scientifico avvenuta negli anni in cui elaborava il suo pensiero per pubblicarlo nella sua opera capitale nel 1899/1900. La libido è unica e non è unica, come l'uomo è stato formato il sesto giorno e dopo il settimo della creazione, come le Moire o Parche sono figlie sia di Nyx/Notte che di Zeus e Themis/Norma. Allo stesso modo il gatto di Schrödinger è vivo  e morto finché non si apre la scatola, allo stesso modo solo la durata lunga e abbastanza serena di un matrimonio dice se la scelta delle due persone era stata quella giusta.
La questione dell'ignoranza socratica è in questo ordine di cose: sapere di non sapere è condizione per sapere - qualcosa, mai tutto, mai abbastanza. Se manca questa consapevolezza di ignoranza, all'orgoglio di imparare e sperimentare subentra la presunzione di sapere tutto quel che serve, e cessa la ricerca lasciando posto alle trovate.
Ma sapere di essere ignoranti non è una forma superiore di sapere, e quindi indice di una presunzione più grave e difficile di chi si considera sapiente quanto basta?
Non c'è modo di non correre rischi, venire al mondo significa rischiare di esserci e di non esserci, di vivere e di morire. Questo rischio invita a guardare e lasciarsi guardare da creature meravigliose, come Andrea Doria/Nettuno, o come Simonetta Vespucci/Venere portata dal mare sulla sua conchiglia.


INCORPORAZIONE, DIVORAMENTO, GESTAZIONE

Si leggano i versi 126 sgg., dove si racconta che Gaia/Terra, creatura primigenia, increata, seconda dopo Caos, seguita da Tartaro e da Eros, diede vita al suo simile, Urano/Cielo ammantato di Stelle, perché l'abbracciasse tutta, poi diede vita da sola alle Montagne dimore di Ninfe e al Mare mai stanco, chesi agita e ribolle: Urano col suo manto scendeva ogni notte sulla madre sposa, e la fecondava. Ma non permetteva ai loro figli di venire alla luce, perché erano forti e tracotanti, e in questo modo si sentiva al sicuro dal rischio di essere, lui sovrano signore del mondo, spodestato. Ma aveva forse dimenticato la regina, per giunta una regina madre? Gaia/Terra gemeva, racconta Esiodo, oppressa dal peso dei figli compressi nel suo seno, e li convocò tutti, chiedendo loro se erano disposti a punire il padre, che aveva inventato la prima azione cattiva. Erano forti, Titani, Ciclopi. Giganti, ma temevano i padre, mentre il più piccolo dei titani Cronos/Tempo, dichiarò che lui non aveva paura, e la avrebbe ben volentieri aiutata.
Gaia/Terra felice trasse da se stessa il duro adamante, forgiò un falcetto per rispondere alla prima azione cattiva, armò Cronos/Tempo che si nascose, aspettò che il padre scendesse come ogni notte a coprire la madre (175 sgg.) e afferrandone il membro lo tagliò e lo gettò in mare.
Divenne quindi lui il secondo sovrano del cosmo, ma molti dei suoi fratelli rimasero in seno a sua madre, e inoltre, proprio come suo padre, temeva di essere spodestato da uno dei figli che generava con la sorella sposa, Rea/Fluente. E come la madre Gaia/Terra si stancò sua figlia Rea/Fluente della prepotenza di Crono/Tempo: il fratello sposo stava a guardarla senza distrarsi quando si avvicinava il momento del parto, e ingoiava i neonati, sia maschi, sia femmine, appena sfioravano le ginocchia della sorella sposa. Il verbo usato da Esiodo per l'incorporazione operata da Crono/Tempo è lo stesso che sefinisce il movimento con cui si ingoia un tuorlo d'uovo. Intero.
Rea/Fluente chiede aiuto e consiglio ai genitori, che tolgono a Crono/Tempo lo stesso potere che il secondo sovrano del cosmo aveatolto al primo. Al posto del sesto figlio Rea/Fluente diede allo sposo una pietra avvolta in fasce imbevute di latte, e mentre il sovrano se la ingoiava come il sesto tuorlo d'uovo Zeus neonato fu portato a Litto, nell'isola di Creta dove, allattato dalla capra Amaltea, crebbe molto velocemente e si presentò al padre, gli fece bere un emetico e con quello venne fuori per prima la pietra e poi i due fratelli di Zeus, Poseidon/Nettuno e Ade/Plutone, e le tre sorelle Hera/Giunone, Hestia/Vesta e Demetra/Cerere. Non soffrivano di principi di soffocamento ed erano belli come si possono vedere nei dipinti del Rinascimento.
Possiamo dire, senza timore di interpretare arbitrariamente, che Crono/Tempo come ingoiava i suoi figli così li faceva crescere nel suo ventre, come erano cresciuti fino alla nascita nel seno materno. Un po' di ordine. Crono, gli altri titani, i giganti e i ciclopi nascono dall'unione della prima coppia sovrana del cosmo e maturano con un soggiorno, anche lunghissimo, in seno alla madre. I figli di Crono e Rea invece maturano fino a venire alla luce come neonati in seno allamadre, ma diventano adulti in seno al padre, che li fa crescere mentre impedisce loro di vivere fuori da lui stesso. Non ci sembra azzardato leggere in questo movimento mitico il principio del patriarcato, per il quale gli esseri umani derivano dalla madre il loro corpo, ma la legittimazione dal padre. Col secondo sovrano del mondo le creature, per ora solo immortali, divine, si formano sia per una gestazione materna che per una gestazione materna.
Con l'eccezione di Zeus, il sesto figlio dei nuovi sovrani, perché si può supporre che se è vero che Crono non impediva ai figli di crescere incorporandoli, possiamo ben immaginare che la sua determinazione a non perdere il potere non glieli avrebbe mai fatti restituire alla luce. Il padre introduce e non introduce al mondo, perché, come allora ancora, mentre traccia per i figli il cammino per rendersi autonomi cercadi convincerl ia seguire il suo cammino, non a costruire il loro. E d'altraparte, come potrebbe il figlio immaginare di entrare nel mondo da solo, se non cominciasse fidandosi quasi ciecamente della proposta del genitore, che lo invitaa ripetere quel che lui ha già imparato? Come potrebbe i lgenitore insegnare qualcosa che non ha imparato?
Per il momento non prendiamo in esame la relazione fra madre e figlia, che è analoga e diversa, perché diversa è la posta, mentre il rapporto fra il padre e la figlia è sostanzialmente analogo a quello fra il padre e il figlio, anche se prevalentemente erotico, mentre col figlio la competizione per il potere prevale, per quanto in entrambi i casi giochino sia amore che potere. Che cos'è del resto il potere, se non la condizione che cerchiamo per essere desiderati da chi amiamo, e di essene cosiderati veri amanti? E cosa rende l'amore tanto bello, se non la quiete, sempre precaria e sempre possibile, finché si vive, nella quale non si cerca il potere, né si è desiderati in quanto potenti?
Ma ora rallentiamo, per osservare un gigantesco fraintendimento del mito. Comincerò da wikipedia, voce Crono, che ho consultato ora : Crono non solo divenne il simbolo del divoratore di figli, ma, proprio come il tempo cronologico, appunto, l'inesorabile trascorrere del tempo come divoratore di tutti gli eventi.
La stessa voce comincia con queste parole: Crono o Kronos è una divinità pre-olimpica della mitologia e della religione greca, nei miti più diffusi figlio di Urano (Cielo) e di Gea o Gaia (Terra), Titano della Fertilità, del Tempo e dell'Agricoltura, secondo signore del mondo e padre di Zeus e dei primi Olimpi. (https://it.wikipedia.org/wiki/Crono)
Sia falce, sia falcetto, l'arma fornita a Crono/Saturno/Tempo dalla madre Gaia/Terra è un attrezzo agricolo, e di falce sono armati sia Crono sia morte, che miete teste come il contadino miete il grano.
Che si segua Esiodo o un altro autore, è evidente che l'incorporazione dei figli, secondo metodo adottato da un sovrano per evitare di essere spodestato, dopo la compressione nel seno materno di Urano/Cielo, non è la loro eliminazione, né impedisce la loro crescita. E se è vero che il tempo è divoratore, è altrettanto vero che scorrendo - la sua sposa si chiama Rea, che scorre, che fluisce - permette l'alternarsi delle generazioni. I viventi soggetti alla riproduzione sessuata e alla morte realizzano una varietà immensa di individui possibili che si avvicendano, e pertanto la sperimentazione di diverse risposte alle sfide dell'esistenza.
La signoria di Crono/Saturno sul tempo come sull'agricoltura potrebbe suggerirci che il tempo è diventato dimensione essenziale dell'essere umano quando è avvenuto il passaggio dall'economia di caccia e raccolta all'agricoltura, che è anche il passaggio dal nomadismo alla stanzialità, con l'origine delle sepolture, dei templi, delle città.
Un ricordo personale. Il mio nonno paterno, nato contadino, viveva con noi e non coltivava più la terra da decenni, eppure non mancava mai di commentare con un proverbio o un commento in dialetto il cambio delle stagioni o certi eventi atmosferici, dicendo che quello era tempo per seminare o per mietere, che un determinato evento atmosferico era propizio o nefasto per il raccolto. E di semina e raccolto si parla metaforicamente per attività faticose e gratificanti, mai certe del risultato ma ricche di senso: un unico esempio, il titolo del libro al quale Alexandre Grothendieck ha affidato le sue memorie di matematico rendendolo disponibile gratuitamente e vietandone la commercializzazione: Recoltes et semailles (https://www.quarante-deux.org/archives/klein/prefaces/Romans_1965-1969/Recoltes_et_semailles.pdf).
Tutto questo discorso, terribilmente denso, ci porta a considerare tre dipinti - i più celebri con questo soggetto: Saturno che divora un figlio.
   

MANGIANO I GATTI I PIPISTRELLI? MANGIANO I PIPISTRELLI I GATTI?
In latino e in greco, ma anche in lingue moderne come il tedesco, non sarebbe possibile che il soggetto e l'oggetto, il predatore e la preda, il reverendo Dodgson, alias Lewis Carrol,non avrebbe potuto formulare questa domanda. La nostra sintassi che come la sua permette lo scambio del soggetto con l'oggetto, indica una minore precisione? O l'ambivalenza nel nostro linguaggio corrisponde a una netta rimozione in latino, greco e tedesco? Si dice comunemente che c'è una traiettoria nel tempo che diminuisce l'ambivalenza, o la polivalenza, della lingua verbale, e anche un liceale studiando il greco antico si trova a sperimentare l'incertezza di Alice che precipita dalla veglia al sonno e al sogno. Ma se noi possiamo attribuire la funzione di predatori e prede nella stessa frase ai gatti e ai pipistrelli, a differenza dei latini, dobbiamo pensare che non ci sia una maggiore padronanza dell'ambivalenza, bensì una espressione dell'ambivalenza che cambia sede, per esempio dalla sintassi e dalla grammatica ai riti, alla superstizione o alla magia, dall'oscurità alla luce. (30 maggio 2024)

SOGGETTO È SOGGETTO

La persona soggetta, sottoposta, che deve sottostare all'autorità e al potere di altri, a istituzioni e condizioni generali o particolari, o che ha una particolare disposizione per determinate malattie e manifestazioni patologiche o altri disturbi, che ne è spesso affetto o colpito, è la persona libera da schiavitù, ovvero titolare di diritti e di doveri fin dalla nascita. (le parti in corsivo sono citazioni da da Treccani on line, http://www.treccani.it/vocabolario/)
Si è titolari e si è sottoposti. Non si può essere titolari di diritto, autonomi insomma, se non si è sottoposti, eteronomi.

Ricordiamo Alice quando passa dalla veglia al sogno, dal visibile all'invisibile, dal parco vittoriano dove poggia il capo in grembo della sorella maggiore, che sta leggendo un libro noioso perché senza figure, al mondo delle meravigliose figure. Come lei precipitiamo senza ferirci dal visibile all'invisibile ogni notte, quando ci addormentiamo, come Alice. Si passa da un buco nero, che potrebbe anche essere la tana del coniglio bianco che ha sempre l'orologio in mano, e corre, corre come il Tempo. La visita nel Paese delle Meraviglie, sembra dirci il Reverendo matematico Dodgson, alias Lewis Carrol, comincia con l'esperienza dell'irriducibile ambivalenza del linguaggio. Scendendonel buio della tana Alice immagina che se la sua amata gatta Dinah fosse con lei potrebbe magari acchiappare un pipistrello.

'Ma mi domando: i gatti mangiano i pipistrelli?' E qui Alice cominciava a scivolare nel sonno, continuando a chiedersi, un po' come in sogno: 'I gatti mangiano i pipistrelli? I gatti mangiano i pipistrelli?' e a volte 'Mangiano i pipistrelli i gatti? I pipistrelli mangiano i gatti?' e siccome non aveva risposte per queste domande, l'ordine delle parole per lei non aveva importanza. (http://www.gutenberg.org/files/928/928-h/928-h.htm, trad. nostra)

Il soggetto è il soggetto, tautologicamente, ma se dico 'l'assoggettato è il soggetto', o anche 'il soggetto è l'assoggettato', se non mi sto addormentando posso osservare che la soggezione è intimamente connessa al soggetto, e anzi è indispensabile perché si formi un soggetto. Il bambino che non si assoggetta ai genitori, a coloro che si prendono cura di lui, perché non si fida di loro e quindi non si affida a loro, ha ottime probabilità di manifestare tratti autistici o psicotici. È altrettanto vero che se questa fiducia è assoluta, come quella del nostro cane che lecca la nostra mano se lo abbiamo punito, giustamente o ingiustamente, per farsi perdonare, la soggettivazione non sarà possibile. Se non altro perché non ci sarà una scintilla di libertà che possa far brillare la fiamma dell'adolescenza, che prepara l'autonomia adulta. Non desideriamo far ricorso a nessuna teoria o pratica contemporanea che ricorrendo alle coppia di opposti indica una soluzione per i problemi dell'esistenza e una saggezza libera da dubbi ansiogeni. Ma la profondità di Eraclito, tale che per raggiungerla ci sarebbe voluto, dice Socrate, un tuffatore delio, di quelli che scendevano in fondo al mare davanti all'isola del santuario di Apollo, unisce nei frammenti gli opposti, in una composizione che non fa coincidere i due termini ma li tiene insieme, perché il loro senso esige la presenza dell'altro termine.
da cose
a caso sparse
la struttura bellissima
del cosmo (fr. 124)
Cosmo significa mondo ordinato, pensabile e visibile, e viene dal caso. Caso e cosmo sono poli di un unica realtà. Fino al Rinascimento gli dei potevano scendere o salire fra noi esseri umani, ma quando abbiamo pensato di possederli dentro di noi abbiamo gioito, abbiamo potuto rompere i limiti, come Amore vincitore di tutto di Caravaggio, ma gli dei se n'erano andati con la loro crudeltà e con i beni che possono dispensare. Caso - anagramma di caos - e cosmo sono e non soono la stessa cosa, comel'acqua del fiume nel quale ci immergiamo è e non è sempre la stessa. Come il gatto di Schrödinger è vivo  e morto, e nessuno può rispondere al dubbio di Alice, come Einstein non risolve la questione del gatto vivo e morto: si tratta di unamancanza temporanea di conoscenza, che si colma alla fine dell'esperimento. Ma pensando alla vita come esperimento, che non possiamo rifiutare, e a tutte le situazioni, di importanza minima o massima, nella quale vediamo due o più alternative, e la sceltasi impone, dobbiamo rispondere senza aspettare la fine dell'esperimento, come la fine della vita consente di riassumerla in una lapide, ma il riassunto è impossibile prima della fine, quando dobbiamo decidere nell'inevitabile dubbio al quale Descartes pose rimedio come Alessandro Magno quando tagliò il nodo di Gordio. Libero dalla predizione, conquistò l'India, ma perdendola presto c. onfermò la predizione stessa, che in questo modo restò salda e incerta. Ambivalente come il linguaggio, come le divinità olimpiche e non solo. Ambivalente come noi, anche se abbiamo confinato nell'inconscio tutta l'ambivalenza per salvare la nostra coscienza che non tollera dubbi che non può risolvere né considerare insignificanti.



Giochiamo. Siamo soggetti o siamo soggetti? siamo sembra una domanda simile a quella di Alice, che, mentre precipita senza freni e senza farsi male nella tana del coniglio bianco: mangiano i gatti i pipistrelli? i pipistrelli mangiano i gatti? Tentiamo ora una lettura, che rischia di essere delirante, per dare un senso alla nostra storia degli ultimi secoli che renda visibile qualcosa nel presente: qualcosa che non abbia l'effetto di paralizzare il nostro pensiero o di farci regredire a concezioni gà morte, che tornano come zombie assetati di sangue.
Ammettiamo che gli dei o il dio unico, più o meno corteggiati da spiriti, demoni, angeli, santi e martiri, fossero i garanti visibili/invisibili delle leggi alle quali ci si doveva assoggettare per vivere come soggetti. Assoggettamento e soggettivazione
DA RIVEDERE
Tornare a Esiodo - come a Omero, a Ovidio, per limitarci agli Autori ai quali qui si torna - significa immergersi in acque che permettono di ritrovare un'umiltà che è anche orgoglio, qualcosa che non implica l'assoggettamento a strutture gerarchiche, che per realizzare una solidarietà con certi simili prevedono il rigetto di certi altri. Per esprimere la propria umanità è quindi necessario definire diversi e disumanizzare altri, qualunque sia il posto che si occupa, basso o alto.
Fruitore ideale del mio lavoro è il giovane curioso della cultura classica, liceale, come la nipote Sofia che frequenta il liceo, alla quale queste pagine della Teogonia sono dedicate da quando stava scegliendo il corso di studi, come suo fratello Ettore, che sta concludendo la scuola elementare e manifesta una eccellente abilità nella lingua italiana e nelle lingue straniere, come la loro sorella minore, Greta, la sola ad avere un nome germanico, che per me che mi occupo di fiabe si associa alla protagonista femminile della fiaba dei Fratelli Grimm, che segue il fratello, ma quando lui rischia di finire bollito agisce in proprio facendo fuori strega.
Ma il mio lavoro potrebbe essere utile anche a chi ha concluso la sua avventura scolastica, con o senza aver fatto studi classici, perché questo lavoro non considera la ricchezza contenuta nello scrigno di Esiodo riservata a chi ha acquisito il diritto ad aprirlo grazie allo studio del greco o, almeno, alla conoscenza dei classici greco-romani.

Le immagini rinascimentali raccontano come ci sia stato un tempo in cui gli dei e gli eroi, e le dee e le eroine classiche erano tornate ad abitare fra noi, prima a Firenze, poi in Italia, poi in Europa. Il loro sorriso, la loro inelusibile ambivalenza, la loro grazia che fa bella la filosofia di Platone, hanno invitato a partecipare alla festa delle Muse, delle Grazie, delle Ore, pittori, architetti, scultori, filosofi, signori, commercianti, banchieri, nobili o borghesi, senza chiedere loro alcuna sottomissione, senza disdegnare le loro case, le loro vie, i loro palazzi. Andrea Doria, nobile ammiraglio e politico genovese, poteva essere ritratto come Nettuno/Poseidon,
senza dover rimuovere neanche un frammento della sua umanità, e senza che il dio greco e latino delle acque se ne dovesse adombrare.
La lezione dei Greci era chiara già a Senofane (570-475 a. C.) per il quale I mortali credono che gli dei siano nati e che abbiano abito, linguaggio e aspetto come loro... gli Etiopi credono che siano camusi e neri, i Traci, che abbiano occhi azzurri e capelli rossi ...ma se buoi, cavalli e leoni avessero le mani e sapessero disegnare... i cavalli disegnerebbero gli dei simili a cavalli e i buoi gli dei simili a buoi.
La serenità che emana dall'arte classica deriva da questa consapevolezza: l'orizzonte umano e quello divino coincidono e non coincidono, gli dei sono e non sono fra gli esseri umani, propizi a volte, come le Muse e Apollo che bagnando con divina rugiada le labbra di un mortale alla sua nascita lo rendono ricco di una facondia irresistibile, (vv. 81 sgg.), altre volte crudeli, come Apollo quando scortica Marsia che ha osato gareggiare con lui, perché suonando lo ha superato nell'arte della quale è il dio, propizi come Athena che è sempre accanto a Ulisse, tranne quando un dio della potenza di Poseidon Nettuno lo vieta, crudeli come Athena quando trasforma in ragno Aracne, la tessitrice ricamatrice che l'ha superata dando forma alle storie degli dei. Abile nelle arti femminili anche più di Atena, da ragno dovrà eternamente far uscire filo dalla bocca che ha osato lanciare la sfida alla dea, signora anche della guerra, della strategia bellica, che nello scudo porta la Gorgona, che pietrifica chiunque sia preso dallo sguardo della testa di Medusa, anche dopo che Perseo l'ha decapitata. Non dimentichiamo che questa mostruosa forza pietrificante faceva già parte della condanna di Athena, che aveva trasformato in altrettanti serpenti i capelli della bellissima Medusa, la sola mortale e bella fra le tre Gorgone. Troppo bella era la chioma di Medusa, della quale si era vantata, offendendo la dea, che secondo un'altra storia era stata offesa dalla violazione di un suo tempio, nel quale Nettuno/Poseidon, il dio del mare, aveva violentato Medusa dall'irresistibile chioma.
Continuo nelle storie degli dei è l'ammonimento agli esseri umani a non paragonarsi a loro, concetto perfettamente esposto da Aristofane nel Simposio, quando racconta che un tempo noi mortali eravamo molto più potenti e veloci, avendo otto arti, due teste, due genitali, tanto che tentammo la scalata dell'Olimpo. Allora fummo precipitati in fondo, sulla terra dalla quale veniamo (uomo dal latino homo, a sua volta da humus, terra, come l'aggettivo humilis, da cui umiltà). Per ordine di Zeus Hefestos, l'artefice fabbro divino ci divise a metà, mentre Apollo, signore delle Muse e della musica, ci ricucì e distese bene la pelle, lasciando però, per ordine di Zeus, l'ombelico, come resto della cicatrice, come ricordo e ammonimento a non ritentare la sfida. Altrimenti, racconta Platone che racconta Aristofane, ci avrebbero dimezzato per la seconda volta, costringendoci a saltellare su un solo piede, e ad avere solo un profilo, come le effigi sulle monete. Possiamo leggere nell'origine dell'ombelico secondo la favola di Aristofane nel Simposio il nostro eterno legame con chi ci ha dato la vita, legame che limita l'umano dandogli senso? E del resto come limite e confine Eraclito nomina il signore degli dei in uno dei suoi frammenti: Zeus limite sereno.
A noi tocca sperimentare la perdita della serenità, a noi tocca la disperazione, a noi tocca rispettare limiti infrangendo i quali lo fthònos theòn, lo sguardo cattivo degli dei, ci distrugge.
Ma se gli dei sono frutto della nostra immaginazione, come possono distruggerci? come possiamo noi aver dato vita con la nostra immaginazione a creature che senza di noi non avrebbero esistenza e che esercitano un potere tanto crudele, come quello di Apollo che scortica Marsia o di Atena che trasforma in ragno Aracne?
Forse noi abbiamo destituito, deposto, come un sovrano ormai sgradito, la dipendenza dai comandi animali, legati alle stagioni, agli ormoni, all'estro, all'appetito, che inducono gli altri animali a cacciare, mangiare, accoppiarsi, curare i piccoli, allontanarli, ciclicamente. E al posto di questi regolatori abbiamo pensato agli dei, alle dee, al dio unico, ai demiurgi, ai demoni, ai jinn, e a tutte le creature meravigliose e spaventose che sono e non sono fra noi. A tutte le creature dell'invisibile che hanno però il potere di terrorizzarci, da bambini, nel buio, da adulti, negli incubi, e prendendo la forma di piccoli animali, mammiferi o insetti, il potere di spaventarci senza ragioni realistiche. Senza ragione: liquidare con questa definizione la reazione fobica che per tutta la vita può farci strillare alla vista di un topo o di un geco che corrono troppo vicino ai miei piedi significa negare esistenza all'invisibile. Ma negare esistenza all'invisibile significa privare di senso il lavoro immane dei nostri progenitori del paleolitico che elevavano massi per costruire sepolture paleolitiche, città come Goblechi Tepe o Gerico, tombe che ancora si offrono come testimonianze preziose di chi eravamo, in un tempo certo lontanissimo, ma nel quale sono nati e cresciuti almeno un uomo e una donna che unendosi hanno dato vita a un bambino o a una bambina che sono riusciti a crescere, e a loro volta hanno amato un/una mortale, come direbbe Esiodo, e così via, attraverso centinaia di migliai di anni, fino a noi. Noi non possiamo dubitare che in ogni tempo passato, storico e paleostorico, esistesse una coppia di nostri antenati.
Tornando ai miti classici, il sangue degli immortali a volte si mescolava con quello dei mortali, non era un evento particolarmente raro, tanto che quasi ogni città della civiltà romana vanta come fondatore un semidio. E del resto diciamo 'divina' la voce di un soprano, e perfino il soprano stesso, come Maria Callas.
Equilibrio prezioso e brevissimo, effimero, quello della Grecia classica, come quello del Rinascimento. Pochi secoli, ma che splendore! E poi, per chi vive a Firenze, camminare per le vie del centro significa contemplare - e avere al proprio fianco - la testimonianza di solida pietra del tempo in cui, come nell'antica Grecia, gli dei potevano vivere sulla terra. Anche quando le loro dimore erano in cima a un monte circondato di nubi bianche, erano in un luogo che si poteva scalare, e poi gli dei scendevano quasi quotidianamente sulla Terra, fra i mortali. Come scrive Esiodo anche i monti sono creature di Gaia/Terra, la dea primigenia, sulla cui superficie viviamo noi, i mortali, Terra:
dall'immenso seno, base per sempre salda per tutti
gli immortali signori della cima del nevoso Olimpo
(vv. 117-118)
Fthònos ton theòn - φθόνος τῶν θεῶν
Semerano: malocchio, invidia
Rocci, invidia, rifiuto, negazione; indoeuropeo gudhen, diminuire.
afthonos, abbondante, vale a dire senza invidia, nel senso che è privo di invidia, ovvero nel senso che non è colpito dall'invidia
L'illimitato è allo stesso tempo l'invidioso e il bersaglio dello fthònos ton theòn. Quindi il pieno, il creativo. Che il femminile e il maschile vivono nelle poesie di Erri de Luca e Alda Merini, Io ti vorrei bastare e Ovunque tu sia. Nel primo caso il poeta riceve la pienezza dalla donna alla quale basta, nel secondo caso dall'uomo che fa fiorire la sua interiorità. La fecondazione e la nascita del figlio attesta nel corpo i due casi coincidenti. Il seme dell'uomo è bastato alla donna, e la donna è fiorita dentro grazie a lui.   

Torniamo alla crudeltà di Athena o di Apollo per comprenderne il senso. La morte è il limite all'umano, e funziona come una contrainte nei giochi dell'OULIPO o dell'OpLePo. Data una regola, arbitraria a piacere, rigida o morbida, si compone una poesia. Si può decidere, ad esempio, per un lipogramma, andando a comporre un testo privo di una lettera dell'alfabeto: la contrainte è durissima in francese se la vocale è la lettera lipogrammata, in italiano se la lettera esclusa è la consonante erre. Gli dei sono privi di contrainte riguardo alla loro signoria e per questo non possono tollerare un mortale che li superi nell'arte che rappresentano, con la quale anzi coincidono. Se Athena potesse o dovesse riconoscere la superiorità di Aracne, dovrebbe cederle la sua signoria sulle arti femminili. E se Aracne, assunta in cielo, ovvero asterizzata dagli dei che ne avevano facoltà, venisse a sua volta sfidata e vinta da un'altra mortale, dovrebbe accettare che quest'ultima le subentrasse. Così gli dei non sarebbero eterni, vale a dire che cadrebbero nella condizione umana, sarebbero come noi soggetti alla morte. Se Apollo avesse accettato il pareggio assegnato dalle Muse in veste di giudici nella gara musicale fra lui, citaredo, e il flautista Marsia, avrebbe dovuto condividere con Marsia la sua signoria. Avrebbe smesso di essere il divino unico signore della musica. Una volta emesso il verdetto Apollo impone un supplemento di gara: una versione racconta che i due contendenti avrebbero dovuto suonare il loro strumento capovolto, un'altra che i due rivali dovevano suonare e cantare contemporaneamente. In entrambi i casi Marsia non avrebbe potuto vincere: non poteva cantare suonando il flauto, né il flauto poteva emettere suoni capovolto. Né avrebbe potuto sfidare il dio, né suonare: Apollo come vincitore lo legò quindi per i piedi e lo scorticò vivo. Il dio è ingiusto? oppure Apollo come Atena ci insegna che può imporre le regole del gioco?
Ci proponiamo di considerarla come una magnifica figura dell'ammonimento di Freud, per cui L'io non è padrone in casa propria.
Gli dei non impediscono agli esseri umani altro che dimenticare che i padroni sono altrove. L'assoluta abilità di Aracne nel ricamo e di Marsia nella musica non disturbano gli dei; né Giove e Giunone si dispiacciono se due sposi mortali sono talmente felici da non desiderare altro. Alcione e Ceice si attirano lo fthònos ton theòn quando chiamandosi con i nomi della coppia regale dell'Olimpo si considerano padroni in casa propria. Spieghiamo: la soggettivazione richiede la doppia funzione del soggetto, che è assoggettato ad altri o ad altro fin dalla nascita, e che allo stesso tempo ha una possibilità di decidere per se stesso, operazione di dissoggettamento che è una seconda soggettivazione. Il concetto di fthònos ton theòn, per il quale immancabilmente gli dei intervengono ogni volta che gli esseri umani si vantano di esser padroni in casa propria, dimenticando di onorare il dio o la dea che personifica il loro stato. Alcione e Ceice si danno i nomi di Giove e Giunone affermando così di non avere nulla di meno di loro; Marsia è pari ad Apollo nell'arte della musica, Aracne supera Athena nell'arte del ricamo e della tessitura. Esiodo nomina gli esseri umani come thànatoi, mortalicome mortali, in opposizione agli immortali, gli dei, dimenticano di non essere padroni in casa propria. La questione non è che gli esseri umani non possano mostrare abilità nelle arti o nell'unione matrimoniale o amicale pari a quella divina, ma che affermino che la loro abilità o felicità nell'abitare la loro casa vale come una padronanza che può dimenticare quella degli dei.
Gli immortali non mettono limiti ai lavori di miglioria o modifica o anche di distruzione che l'inquilino può effettuare nella casa - il suo corpo, il suo ambiente, la sua stessa mente - ma intervengono immancabilmente quando il mortale equiparandosi agli dei li espropria della sua casa. In termini psicoanalitici, quando l'inquilino si qualifica come padrone. A questo punto si può pensare alle Moire, Parche, Norne, le dee del destino, la cui semplice irresistibile attività non è controllata né limitata dagli immortali, anche se non riguarda gli dei, che non sono soggetti alla morte, almeno nella mitologia greca. Questo del limite dato agli immortali dalla durata della loro mitologia è un tema che riprenderemo presto. Per ora ricordiamo il dolore di Zeus quando suo figlio Heracles deve morire senza che lui possa impedirlo, o di Thetys quando deve accettare la morte di suo figlio. L'amore degli immortali per i mortali, come quello degli esseri umani per gli esseri divini, non è minore né peggiore di quello che lega i mortali e gli immortali fra loro.

Pensiamo ad esempio alla gelosia, alla rabbia e alla sete di vendetta di Hefestos/Vulcano per il tradimento di Afrodite/Venere con Ares/Marte. Il fabbro divino usa la sua arte per fabbricare fortissimi fili invisibili con un mechanos, un trucco, che li fa scattare come una rete d'acciaio fermando nell'amplesso gli amanti clandestini:

E nella trappola entrati, si stesero; e intorno ricaddero
l
e ingegnose catene dell'abilissimo Hefestos:
non potevan più muovere né alzare le membra,
ma lo capirono solo quando non c'era più scampo.
E fu loro addosso lo Zoppo glorioso, tornato
subito indietro, prima di raggiungere Lemno,
ché il Sole montava la guardia e gli fece la spia:
e lui corse a casa, afflitto nel cuore,
e si fermò sotto il portico: l'ira lo dominava, selvaggia.
Paurosamente gridò, e tutti i numi raggiunse...
(Odissea 2, VIII, vv. 296-305)


Hefestos chiede a Zeus la restituzione dei doni che aveva fatto per Afrodite, ora in catene con l'amante, mentre tutti gli dei ammirano la nudità della dea dell'amore. Apollo chiede a Hermes se vorrebbe essere al posto di Ares, e Hermes risponde:

        Potesse questo avvenire, sovrano lungisaettante Apollo,
        catene tre volte più grosse, infinite, mi tenessero avvinto,
        e tutti veniste a vedermi, voi dèi, e poi anche le dee:
        io dormirei volentieri con la dorata Afrodite!
        (Ivi, vv. 339-342)

La differenza fra l'esplosione di gelosia umana e quella divina è che gli dei non danno la morte a se stessi né l'uno all'altro. Si dice che a tutto c'è rimedio fuorché alla morte, e in effetti fra gli dei sempre si cerca e infine si trova un rimedio, nel caso della scoperta in flagrante del tradimento Efesto accetta di rimuovere il suo mechanos quando ottiene la restituzione dei doni offerti per avere in sposa Afrodite.
Qual è il miracolo più grande? questa è l'ultima domanda che il dio Dharma in forma di lago pone al semidio suo figlio, Yudhishtira, nel loro dialogo sapienziale del Mahabharata. Il semidio risponde che il miracolo più grande è che sapendo sappiamo che potremmo morire in qualunque momento viviamo quasi come se fossimo immortali.
Lo fthònos ton theòn abbatte il mortale, sia Marsia, sia Aracne, siano Alcione e Ceice, quando dimentica la morte, quando vive come se fosse immortale, e non quasi come se fosse immortale. Gli amanti non hanno bisogno d'altro che di se stessi, per questo si uniscono solo nella tomba. Le tombe degli amanti nel deserto erano venerate dai beduini.
Il limite della morte viene a chi si sente pari agli dei. Condizione inattingibile per l'amante che non può unirsi all'amato nella lirica di Saffo:

A me pare uguale agli dei
chi a te vicino così dolce
suono ascolta mentre tu parli

e ridi amorosamente. Subito a me
il cuore si agita nel petto
appena ti vedo ...
Il confronto con l'amante rivale che invece può unirsi all'amata ferisce il soggetto, come un dolore insopportabile. È pari agli dei, ovvero non manca di nulla, come il mistico, che non muore perché è il dio stesso che colma la sua mancanza, lasciandolo come e quando vuole privo di sé. Quindi il suo superamento del limite non è un peccato di ýbris, perché la sua pienezza è data e tolta dal dio stesso. Riprendendo Freud, la casa che l'Io abita dalla nascita alla morte e della quale non è padrone, viene visitata dal padrone, che come e quando vuole ne illumina la ricchezza, che basta temporaneamente, realizzando la pienezza illimitata della donna e dell'uomo:

Io te vurria vasà - sospira la canzone,
ma prima e più di questo io ti vorrei bastare
come la gola al canto e come il coltello al pane
come la fede al santo io ti vorrei bastare.
E nessun altro abbraccio potessi tu cercare
in nessun altro odore addormentare,
io ti vorrei bastare.

Io te vurria vasà - insiste la canzone,
ma un po’ meno di questo io ti vorrei mancare,
più del fiato in salita,
più di neve a Natale,
più di benda su ferita,
più di farina e sale.

E nessun altro abbraccio potessi tu cercare
in nessun altro odore addormentare.

Io ti vorrei bastare.
(Erri De Luca)



Ovunque tu sia,
ovunque tu, immeritatamente,
mi guardi,
ovunque tu stabilisca
io abbia una casa,
fosse pure una prigione grigia,
io so che da qualsiasi pietra
tu puoi far scaturire un fiore
nel perimetro della mia mente.
(Alda Merini)

L'invidia degli dei, il limite che impongono, spesso mortale, come perdita della natura umana e metamorfosi in un animale - il martin pescatore per Alcione e Ceice e per Aracne. Marsia era un satiro e non ebbe una metamorfosi, ma il pianto dei suoi compagni quando fu scorticato da Apollo diede origine a un fiume che portò il suo nome, probabilmente un affluente del Meandro, nelle cui acque si gettò il personaggio omonimo, re di Pessinunte, in Frigia. Da questo nome deriva quello delle serpentine descritte dal corso di un fiume, e per estensione, soprattutto al plurale, i movimenti tortuosi di una trattazione, della memoria, della mente in genere.
È sufficiente addentrarsi in una parola per scoprire quanti nessi si possano aprire.
E forse proprio questo è umano, una potenza quasi illimitata di far nessi, componendo poesie e romanzi, scoprendo leggi scientifiche e ricevendo rivelazioni religiose. I nessi dei greci non hanno quasi gerarchia, mentre quelli dei tre monoteismi abramitici istituiscono una gerarchia che può allontanare all'infinito dio dall'uomo, distanza che solo dio può colmare concedendo la grazia, distanza lungo la quale si dispongono le gerarchie che fondano l'ordine sociale umano, più o meno complesse, nelle tribù senza scrittura come nelle federazioni degli stati contemporanei come nelle famiglie. (Continua ASAP PP) 




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Ultimo aggiornamento 27 maggio 2024 - revisione in corso