La mitologia
greca, per la sua natura cangiante e poetica, è viva
da quasi tremila anni ed è la fonte dell'immaginario
europeo, al quale è apparentato l'immaginario del
mondo contemporaneo. Lo sa bene chi si occupa di
narrazioni senza improvvisare, e sa anche che questo
non dipende da giudizi di valore sul patrimonio del
mondo classico rispetto ad altri universi immaginari.
Non c'è gerarchia di valore nelle fiabe, nei miti dei
popoli diversi, come non c'è fra i sogni notturni
delle persone. Le radici e le sorgenti
dell'immaginario che sta diventando universale si
trovano nelle due terre che si protendono nel
Mediterraneo, mare nostrum per i padri latini
che avevano ereditato il patrimonio dei padri greci, mare
nostrum, ovvero di tutti, perché aperto a
innumerevoli colonizzazioni e invasioni, e punto di
partenza di civiltà che si sono diffuse nel mondo
intero Per
chi ama la mitologia, come sogno collettivo, via
maestra o regia, o autostrada, per accedere
all'immaginario come il sogno notturno è via maestra o
regia o autostrada per comprendere l'inconscio del
singolo individuo, è necessario comprenderla e di
favorirne la comprensione, in un quadro diverso sia
dall'erudizione che dalla volgarizzazione. La Teogonia
di Esiodo, per la vastità della materia che comprende
nei suoi versi, poco più di mille, è un impareggiabile
ingresso per la mitologia greca, una porta maestra. Il
lettore che la varchi e visiti il poema antico di
duemilasettecento anni, si fornirà di un bagaglio
prezioso per apprezzare la ricchezza miracolosa dei
poemi omerici, la modernità poetica delle Metamorfosi
di Ovidio, e ogni espressione originale greca o
latina. Sarà allo stesso tempo protetto come da un
vaccino dalle volgarizzazioni che invitano a entrare
senza impegno in paesaggi illusoriamente facili, che
del patrimonio classico - di cui ciascuno di noi è
legittimo erede - ripetono i nomi mentre trascurano
l'anima. Le mie
traduzioni della Teogonia, una letterale e quasi
interlineare, l'altra più libera, in endecasillabi,
sono corredate da un indice dei nomi, che si ispira ai
dizionari di mitologia anteriori alla seconda metà del
XIX secolo, quando ancora si chiamavano favole tutte
le storie degli dei e degli eroi, esclusi tre tipi di
storie: La presenza
del mito nella letteratura, nei videogame, nei film,
in tutti i fenomeni dell'immaginario globalizzato, è
crescente (vedi anche, per i romanzi post-coloniali,
di chi scrive e di S. Albertazzi, Il
romanzo new-global. Storie di intolleranza, fiabe
di comunità, 2002). Vorremmo ricordare che la fecondità, la nascita, la discendenza, sono fenomeni che hanno come immagini i labirintici, dai quali si può uscire - se si può uscire - solo percorrendoli in ogni parte. A patto che siano labirinti univiari, che consentono sia di giungere al centro, sia di uscire, ma solo dopo aver percorso ogni sentiero e dopo aver attraversato ogni incrocio. Il centro può contenere un simbolo, un motto, un enigma, oppure non si sa quale sia il centro: ma esiste un seme di senso che consente di intraprendere la via del ritorno, di ottenere un sapere inaccessibile a chi non voglia dedicare tutto il tempo che richiede il lungo e tortuoso cammino. Non c'è nessun enigma che, risolto, elimini la notte e la nebbia, nessun sapere risolutivo, nessun potere sul fluire tragico e rigoglioso della vita. Solo il lettore paziente e appassionato potrà godere qualche volta del chiaro che appare alla fine della notte, e della lenta dissoluzione della nebbia al calore del sole. Il linguaggio è l'invenzione delle invenzioni, perché consente sia di intendersi sia di fraintendersi. Quindi passare da una lingua all'altra significa sopportare il fraintendimento e godere della comprensione, come capita in ogni rapporto. La nostra
traduzione in endecasillabi è venuta dopo la
traduzione letterale, più adatta a prendere contatto
con il testo greco e con la sua divisione in versi.
Ricordiamo con gratitudine la traduzione postuma di
Cesare Pavese, quasi interlineare, un corpo a corpo
che probabilmente forse prevedeva altro lavoro. Si può
pensare che il poeta si sia fatto ponte fra la
Teogonia greca, poema la cui fruizione era stata
vastissima, e il suo e nostro tempo, per ripercorrere
e riproporre una delle tante vie maestre per accedere
alla cultura greca, poco frequentate, ma libere e
dirette, anche senza guida, o con un accompagnatore
garbato e appassionato, che non impone ritmi di
viaggio, come accade quasi sempre a scuola. |
AUTORI/OPERE CITATE | RIFERIMENTI BIBLIOSITOGRAFICI - INDICE ALFABETICO |
Basile |
Giovan Battista Basile, dal Cunto
de li cunti o Pentamerone (Napoli,
1634-1636): I sette piccioncini, e-book, Fabulando. Carta fiabesca della successione La fiaba dell'orco, c.s. Penta mano-mozza, c.s. Sole, Luna e Talia, c.s. Ultimo accesso: 05/01/20 |
Divina Commedia |
Dante Alighieri, La Divina Commedia.Testo critico della Società Dantesca Italiana riveduto col Commento Scartazziniano rifatto da Giuseppe Vandelli. Aggiuntovi il Rimario Perfezionato di L. Polacco e l'indice de' nomi propri e di cose notabili. Ventunesima edizione (completa). Milano: Ulrico Hoepli Editore-Libraio 1928. Ristampa 2008, pp. 1062. |
Dizionario portatile
delle favole |
Dizionario portatile delle favole. Per l'intelligenza de' Poeti, delle Pitture, delle Statue, delle Sculture, delle Medaglie, e degli altri Monumenti spettanti alla Mitologia. Compilato da Chomprè e considerabilmente accresciuto da A. L. Millin, conservatore delle medaglie, e delle sculture antiche della Biblioteca Nazionale, professore di storia, e di antichità, ec. Traduzione dal francese riveduta, corretta, nuovamente arricchita di molte aggiunte, e corredata di opportune citazioni da Celestino Massucco, professore di poesia nell'Università di Genova. Bassano: Tipografia remondiniana 1804. 2 tomi, t. I pp. 524, t. II pp. 555. |
Dizionario della favola |
Dizionario della favola o
mitologia greca, latina, egizia, celtica, persiana,
siriaca, indiana, chinee, maomettana, rabbinica,
slava, scandinava, affricana, americana, araba,
iconologica, cabalistica, ecc., ecc., di Fr. Noel
tradotto dal francese sulla terza edizione del testo con
correzioni ed aggiunte anche di nomi appartenenti alla
storia antica da Girolamo Pozzoli. Vol. II, Milano:
Tipografia e Calcografia di Batelli e Fanfani, 1820. [6
voll. 1819-1825] |
Eneide | Virgilio, Eneide, nel
sito Crepuscolo degli Dèi. Ultimo accesso:
05/01/20 http://ilcrepuscolo.altervista.org/php5/index.php?title=Biblioteca:Virgilio%2C_Eneide%2C_Libro_VI&oldid=158876. |
Erodoto |
Erodoto, Storie, in Storici
greci. Erodoto e Tucidide, Introduzione di Giovanni
Pugliese Caratelli. Milano: Sansoni 1993, pp. 955. |
Fernando Pessoa |
Pessoa, Fernando, Una sola moltitudine. Volume secondo. A cura di Antonio Tabucchi con la collaborazione di Maria José de Lancastre. Milano: Adelpi Edizioni 1984, pp. 256. |
Giambattista Vico |
Giambattista Vico, La scienza
nuova - Volume I. La scienza nuova, giusta
l'edizione del 1744, con le varianti dell'edizione del
1730 e di due redazioni intermedie inedite e corredata
di note storiche, Bari, Laterza, 1911. https://it.wikisource.org/wiki/La_scienza_nuova_-_Volume_I/Libro_I/Sezione_II; ultimo accesso 05/01/20. |
Iliade | Omero, Iliade. Traduzione di Rosa Calzecchi Onesti. Prefazione di Fausto Codino. Milano: Oscar Mondadori 1977, pp. 511. (Prima ed. 1950) |
Inni omerici |
Inni omerici. A cura di
Filippo Cassola. Milano: Fondazione Lorenzo Valla /
Arnoldo Mondadori Editore 1999, pp. 445. (Prima ed.
1975) |
Inni orfici |
Inni orfici. A cura di
Gabriella Ricciardelli. Milano: Fondazione Lorenzo Valla
/ Arnoldo Mondadori Editore 2000, pp. 552. |
Metamorfosi |
Ovidio Nasone, Le Metamorfosi.
Testo latino e traduzione in versi italiani di Ferruccio
Bernini. Bologna: Zanichelli editore 1983, 2 voll. vol.
I pp. 382, vol. II pp. 386. |
Odissea 1 | Omero, Odissea. Nella versione poetica di Giovanna Bemporad tutti i canti,per intero o a frammenti. Introduzione di Maurizio Perugi. Firenze: Le Lettere 1990, pp. 272. |
Odissea 2 | Omero, Odissea. Traduzione di G. Aurelio Privitera. Saggio introduttivo di Alfred Heubeck. Premessa di Italo Calvino. Milano: Mondadori 1995, pp. 826. |
Platone |
Fedro; Filosofico.net; ultimo
accesso 05/01/20. http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaS/SOCRATE_%20IL%20RIFIUTO%20DELLA%20SCRITT.htm Repubblica; Filosofico.net; ultimo accesso 05/01/20. http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaP/PLATONE_%20IL%20MITO%20DI%20ER%20(REPUBBLI.htm Simposio. A cura di Giorgio Colli. Milano: Adelphi 1979; pp. 108. [Vedi anche: Simposio. A cura della Redazione del Giardino dei pensieri; ultimo accesso 05/01/20. http://www.libreriafilosofica.com/wordpress/wp-content/uploads/2012/12/platone_simposio_pdf.pdf] |
Sergio Benvenuto |
Benvenuto, Sergio, Hestia-Hermes.
La filosofia tra focolare e angelo. online in
Dialeghesthai. Rivista telematica di filosofia 2001.
http://mondodomani.org/dialegesthai/sb01.htm;
ultimo accesso 05/01/20. |
Stefano D'Arrigo |
D'Arrigo, Stefano, Orcynus
Orca, Milano: Mondadori 1975; pp. 1256. |
Straparola |
Giovan Francesco Straparola, da Le
piacevoli notti (Venezia 1550-1551) Pietropazzo, e-book, Fabulando. Carta fiabesca della successione Ultimo accesso: 05/01/20 L'omo selvatico, in questo stesso sito, Psicoanalisi e favole, Favole antiche latine e italiane. |
INDICE DELLE OPERE FIGURATIVE PRESENTI NELLE PAGINE DELLA TEOGONIA IN ORDINE ALFABETICO SECONDO I NOMI DEGLI DEI E DEGLI EROI |
|
Achille |
Giambattista
Tiepolo, Teti [Tethys] consola Achille (1757),
Villa Valmarana ai Nani, Vicenza |
Ade,
Plutone |
Michelangelo
Merisi da Caravaggio, Giove, Nettuno e Plutone
(1597), Villa Ludovisi, Roma |
Afrodite,
Venere |
Sandro
Botticelli, Nascita di Venere [Afrodite] (1483-1485)
Galleria degli Uffizi, Firenze |
Afrodite,
Venere |
Francesco del
Cossa, Trionfo di Venere [Afrodite], Aprile
(1469-1470) Salone dei Mesi, Palazzo Schifanoia,
Ferrara |
Afrodite,
Venere |
Sandro
Botticelli, Primavera (1482 c.a.) Galleria
degli Uffizi, Firenze |
Afrodite,
Venere |
Sandro
Botticelli, Venere e Marte (1482-1483),
National Gallery, Londra |
Afrodite,
Venere |
Alexander Charles Guillemot, Marte e Venere sorpresi da Vulcano (1827), Indianapolis Museum of Art |
Afrodite,
Venere |
Johann Rottenhammer the Elder, Venere, Marte e Vulcano, (1604-1605) Royal Collection, UK |
Apollo |
Dosso Dossi, Apollo
(1524), Galleria Borghese, Roma |
Apollo |
Anton Raphael
Mengs, Parnaso (1750-1760), Museo
dell'Ermitage, San Pietroburgo |
Apollo | Marcantonio Franceschini, La nascita
di Apollo e Diana [Artemide] (1692-1709),
Liechtenstein Museum, Vienna |
Ares, Marte | Sandro Botticelli, Venere e Marte (1482-1483), National Gallery, Londra |
Ares,
Marte |
Alexander Charles Guillemot, Marte e Venere sorpresi da Vulcano (1827), Indianapolis Museum of Art |
Ares, Marte | Johann Rottenhammer the Elder, Venere, Marte e Vulcano, (1604-1605) Royal Collection, UK |
Arianna | Tiziano, Bacco e Arianna (1520-1523), National Gallery, Londra |
Artemide,
Diana |
Marcantonio
Franceschini, La nascita di Apollo e Diana
[Artemide] (1692-1709) Liechtenstein Museum,
Vienna |
Artemide, Diana | Correggio, Diana
[Artemide] (1518-1519) Camino della Camera
della Badessa, ex Monastero di San Paolo, Parma |
Artemide, Diana | Correggio, Affreschi della volta della Camera della Badessa (1518-1519) ex Monastero di San Paolo, Parma |
Artemide, Diana | Parmigianino, Stufetta
di Diana [Artemide] e Atteone (1524), Atteone,
Rocca Sanvitale a Fontanellato (Parma) |
Athena, Pallade, Minerva | Sandro Botticelli, Pallade e il centauro (1482-1483), Galleria degli Uffizi, Firenze |
Bellerofonte |
Giovanni
Battista Tiepolo, Bellerofonte su Pegaso
(1746-1747), Palazzo Labia, Venezia |
Cariti,
Grazie |
Sandro
Botticelli, Primavera (1482 c.a.), Galleria
degli Uffizi, Firenze |
Ciclope |
Annibale
Caracci, Polifemo e Galatea (1595 c.a.),
Palazzo Farnese, Roma |
Cornucopia | Peter Paul Rubens, La dea Abbondanza con una cornucopia (1630 c.a.), Museo Nazionale d'Arte Occidentale, Tokyo |
Cronos, Saturno | Peter Paul Rubens, Saturno, padre di Giove, divora un suo figlio (1636-1638), Museo del Prado, Madrid |
Cronos, Saturno | Tiepolo, Saturno divora suo figlio (1745), Collezione privata |
Cronos,
Saturno |
Fancisco Goya, Saturno
che divora i suoi figli (1820-1823), Museo del
Prado, Madrid |
Dionysos,
Bacco |
Michelangelo
Merisi da Caravaggio, Bacco [Dionysos]
(1596-1598), Galleria degli Uffizi, Firenze |
Dionysos, Bacco | Tiziano, Bacco
[Dionysos] e Arianna (1520-1523), National
Gallery, Londra |
Elios | Giulio Romano, Apollo
sul carro del Sole - Diana/Artemide come Luna sul
suo carro (1527-1528), Palazzo Te, Mantova |
Eros |
Michelangelo
Merisi da Caravaggio, Amor Vincit Omnia
(1602-1603), Gemäldegalerie, Staatliche Museen,
Berlino |
Esiodo |
Gustave Moreau, Esiodo e la musa
(1891), Musée D'Orsay, Parigi |
Europa |
Martín de Vos, Il
rapimento di Europa (1590 c.a.), Museo delle
Belle Arti, Bilbao |
Galatea |
Annibale
Caracci, Polifemo e Galatea (1595 c.a.),
Palazzo Farnese, Roma |
Galatea |
Raffaello
Sanzio, Trionfo di Galatea (1512), Villa
Farnesina, Roma |
Hecate |
Spagnoletto,
Giuseppe de Ribera (1591-1652), Hecate:
processione per un sabba di streghe, Apsley
House , Wellington Museum, Londra |
Hefestos,
Vulcano |
Piero di Cosimo,
Ritrovamento di Vulcano (1500-1505), Wadsworth
Atheneum di Hartford, Connecticut |
Hefestos, Vulcano | Johann Rottenhammer the Elder, Venere,
Marte e Vulcano, (1604-1605) Royal
Collection, UK |
Hefestos, Vulcano | Alexander Charles Guillemot, Marte e Venere sorpresi da Vulcano (1827), Indianapolis Museum of Art |
Hera,
Giunone |
Antonio Randa
(1640 c.a.) Giunone (Hera) e re Eolo alla grotta
dei Venti, collezione privata |
Hera,
Giunone |
Tintoretto, Origine
della Via Lattea (1578-1580), Londra,
National Gallery |
Hera, Giunone | Paolo Veronese, Giunone elargisce doni a Venezia (1554-1556), Palazzo Ducale, Venezia |
Heracles,
Ercole |
Antonio
Pollaiolo, Ercole e l'Idra (1475), Galleria
degli Uffizi, Firenze |
Heracles,
Ercole |
Tintoretto, Origine della Via Lattea (1578-1580), National Gallery, Londra |
Hermes,
Mercurio |
Dosso Dossi,
Giove (Zeus) pittore di farfalle, Mercurio (Hermes),
la Virtù (1523-1524); Castello di Wawel, Cracovia |
Hermes,
Mercurio |
Sandro Botticelli,
Primavera (1482 c.a.) Galleria degli Uffizi, Firenze |
Idra |
Antonio Pollaiolo, Ercole [Heracles] e l'Idra (1475), Galleria degli Uffizi, Firenze |
Iris |
Guy Head, Iris
porta l'acqua di Stige all'Olimpo per il
giuramento sacro (1793 c.a.) Nelson-Atkins
Museum of Art, Kansas City |
Leto,
Occulta |
Marcantonio
Franceschini, La nascita di Apollo e Diana
(1692-1709) Liechtenstein Museum, Vienna |
Medusa |
Piero di Cosimo,
Liberazione di Andromeda (1510-1513), Firenze,
Galleria degli Uffizi |
Medusa |
Anonimo fiammingo (già attribuita a Leonardo da Vinci) Testa di Medusa (XVI sec.) Galleria degli Uffizi, Firenze |
Muse |
Anton Raphael
Mengs, Parnaso (1750-1760), Museo
dell'Ermitage, San Pietroburgo |
Nereidi |
Piero di Cosimo
(1461-1522), Tritoni e Nereidi, Collezione
Altomani, Milano |
Nereidi |
Raffaello Sanzio, Trionfo di Galatea (1512), Villa Farnesina, Roma |
Ninfe |
Piero di Cosimo,
Ritrovamento di Vulcano (1500-1505) Wadsworth
Atheneum di Hartford, Connecticut |
Ninfe | Sandro Botticelli, Primavera (1482 c.a.) Galleria degli Uffizi, Firenze. |
Notte |
Auguste Raynaud
(1845-1937), La Notte, Collezione privata |
Odisseo,
Ulisse |
Pinturicchio,
Il ritorno di Ulisse (1508-1509) National
Gallery, Londra |
Ore |
Sandro
Botticelli, Nascita di Venere [Afrodite]
(1483-1485) Galleria degli Uffizi, Firenze |
Pandora |
Jean Cousin il
Vecchio, Eva prima Pandora (1550 c.a.),
Parigi, Museo del Louvre |
Parnaso |
Anton Raphael Mengs, Parnaso (1750-1760), Museo dell'Ermitage, San Pietroburgo |
Pegaso |
Giovanni
Battista Tiepolo, Bellerofonte su Pegaso
(1746-1747) Palazzo Labia, Venezia |
Perseo |
Piero di Cosimo, Liberazione di Andromeda (1510-1513), Firenze, Galleria degli Uffizi |
Poseidon
,Nettuno |
Angelo Bronzino,
Ritratto di Andrea Doria come Nettuno
[Poseidon], Pinacoteca di Brera, Milano |
Poseidon, Nettuno | Michelangelo
Merisi da Caravaggio, Giove, Nettuno e Plutone
(1597), Villa Ludovisi, Roma |
Selene,
Luna |
Giulio Romano, Apollo
sul carro del Sole - Diana come Luna sul suo carro
(1527-1528), Palazzo Te, Mantova |
Tethys |
Giambattista Tiepolo, Teti [Tethys] consola Achille (1757), Villa Valmarana ai Nani, Vicenza |
Titani,
Giganti |
Giulio Romano, La
caduta dei giganti, Sala dei Giganti
(1532-1535), Palazzo Te, Mantova |
Titani,
Giganti |
Giulio Romano,
La caduta dei giganti, Sala dei Giganti,
parete (1532-1535), Palazzo Te, Mantova |
Titani,
Giganti |
Giulio Romano, La caduta dei giganti, Sala dei Giganti, volta (1532-1535), Palazzo Te, Mantova |
Tritoni |
Da Albrecht
Dürer (attribuibile a Albrecht Dürer, da una sua
xilografia), Mostro marino (sec. XVI) |
Tritoni |
Piero di Cosimo
(1461-1522), Tritoni e Nereidi,
Milano, Collezione Altomani |
Tritoni |
Raffaello
Sanzio, Trionfo di Galatea (1512), Roma,
Villa Farnesina |
Venti |
Antonio Randa
(1640 c.a.) Giunone [Hera] e re Eolo alla grotta
dei Venti, collezione privata |
Zefiro |
Sandro
Botticelli, Nascita di Venere (1483-1485)
Galleria degli Uffizi, Firenze |
Zefiro |
Sandro
Botticelli, Primavera (1482 c.a.) Galleria
degli Uffizi, Firenze |
Zeus |
Martín de Vos, Il
rapimento di Europa (1590 c.a.), Museo delle
Belle Arti di Bilbao |
Zeus | Michelangelo Merisi da Caravaggio, Giove, Nettuno e Plutone (1597) Villa Ludovisi, Roma |
Giganti |
Giulio Romano, La caduta dei giganti, Sala dei Giganti (1532-1535), Palazzo Te, Mantova |
Giganti |
Giulio Romano, La caduta dei giganti, Sala dei Giganti, parete (1532-1535), Palazzo Te, Mantova |
Giganti |
Giulio Romano, La caduta dei giganti, Sala dei Giganti, volta (1532-1535), Palazzo Te, Mantova |
Zeus,
Giove |
Anonimo, copia
da Michelangelo, Leda e il cigno (1530),
Londra, National Gallery |
Zeus,
Giove |
Giulio Romano, Zeus seduce Olimpiade (1527) Palazzo Te, Mantova |
Zeus,
Giove |
Dosso Dossi,
Giove pittore di farfalle, Mercurio (Hermes), la
Virtù (1523-1524); Castello di Wawel, Cracovia |
Zeus,
Giove |
Tintoretto, Origine della Via Lattea (1578-1580), Londra, National Gallery |
RITORNO E SCOMPARSA DEGLI DEI OLIMPICI |
MITI DIPINTI, FABULAE
PICTAE |
La scelta delle
immagini per la pagina della mia Teogonia
online col testo greco e la traduzione
letterale a fronte non è avvenuta secondo
criteri storici, estetici, concettuali, è
stata insomma scriteriata, o, più
benignamente, aleatoria. Alcune opere sono
talismani della mia vita, perché ho
cominciato a guardarle e amarle ai tempi
della scuola media sfogliando il settimanale
Epoca, al quale mio padre era abbonato. Nei
primi anni sessanta mio padre faceva il
rappresentante di riproduzioni artistiche di
quadri, e io passavo ore a guardare i suoi
cataloghi, che conservo ancora, nei quali le
opere, da quelle preistoriche alle
contemporanee, erano riprodotte in pochi
centimetri, perché in una pagina ce ne
dovevano stare decine, e ogni tanto ce n'era
una a pagina piena: alcune di queste
esercitavano su di me un fascino che ancora
sento. Pensando alla mia prima visita agli
Uffizi, col babbo e due ospiti tedesche, di
una famiglia che lo aveva nutrito di
nascosto quando era in campo di prigionia in
Germania, salvandogli la vita, ricordo solo
un quadro. Mentre loro parlavano continuavo
a guardarlo, era in basso, alla mia altezza,
catturata dall'espressione del soggetto che
mi guardava. Chiesi al babbo chi era quella
donna, e lui mi rispose che era un dio,
Bacco: alla mia obiezione, che aveva i
capelli lunghi, mi spiegò che anticamente
anche i maschi portavano i capelli lunghi.
Anni dopo ho riconosciuto quella donna che
era un dio nel Bacco di Caravaggio, e forse
è per questo ricordo che l'ho scelto. Con
Caravaggio siamo alla fine del Cinquecento,
e anzi la data del nostro Bacco è già
secentesca. Indubbiamente le figure di
Caravaggio, come questo Bacco, come Eros
in Amor vincit
omnia, come i tre dei
olimpici visti dal basso su un soffitto di
Villa Ludovisi, sono completamente umane.
Caravaggio non si illude sulla presenza o
sulla benevolenza degli dei olimpici,
crudeli e benevoli a un tempo, ma i suoi dei
mantengono una carica divina, o demonica, o
superumana, che deriva dalla loro recente
rivisitazione rinascimentale. Gli dei sono
scomparsi, ma i loro effetti restano: ardore
prorompente in Caravaggio, non a caso maledetto nella sua
esistenza. Guardo questi dipinti che a loro
volta mi guardano, come il Bacco alla mia
altezza in quella prima visita agli Uffizi,
e racconto la storia che mi raccontano, che
mi chiedono di raccontare, o che non posso
fare a meno di raccontare. Una storia lunga
una vita, e se è una storia inutile, è
inutile la mia vita. La scrivo come appello,
sperando e disperando di trovare udienza,
temendo di rendermi ridicola, per il tema
immenso che oso esplorare nonostante non
possa vantare competenze di storica, di
critico d'arte, di filosofo, di sociologa.
Gli è che sia come psicoanalista praticante
- da quarant'anni - che come amante di
favole - da quando una memoria mi rassicura
della mia esistenza - so di tutto e di
nulla, parlo di tutto e di nulla. Ma fra
tutto e nulla, in uno spazio inesistente
secondo la geometria euclidea, ma
topologicamente grande a piacere, si dipana
lento il discorso analitico, nella pratica,
così difficile da descrivere, così sfuggente
eppure certo, quasi come un sogno notturno,
così dubbio nel suo rapporto con la realtà,
come un ricordo d'infanzia. |
INCORPORAZIONE, DIVORAMENTO, GESTAZIONE |
Si leggano i versi 126
sgg., dove si racconta che Gaia/Terra, creatura
primigenia, increata, seconda dopo Caos, seguita
da Tartaro e da Eros, diede vita al suo simile,
Urano/Cielo ammantato di Stelle, perché
l'abbracciasse tutta, poi diede vita da sola alle
Montagne dimore di Ninfe e al Mare mai stanco,
chesi agita e ribolle: Urano col suo manto
scendeva ogni notte sulla madre sposa, e la
fecondava. Ma non permetteva ai loro figli di
venire alla luce, perché erano forti e tracotanti,
e in questo modo si sentiva al sicuro dal rischio
di essere, lui sovrano signore del mondo,
spodestato. Ma aveva forse dimenticato la regina,
per giunta una regina madre? Gaia/Terra gemeva,
racconta Esiodo, oppressa dal peso dei figli
compressi nel suo seno, e li convocò tutti,
chiedendo loro se erano disposti a punire il
padre, che aveva inventato la prima azione
cattiva. Erano forti,
Titani, Ciclopi. Giganti, ma temevano i padre,
mentre il più piccolo dei titani Cronos/Tempo,
dichiarò che lui non aveva paura, e la avrebbe ben
volentieri aiutata. Gaia/Terra felice trasse da se stessa il duro adamante, forgiò un falcetto per rispondere alla prima azione cattiva, armò Cronos/Tempo che si nascose, aspettò che il padre scendesse come ogni notte a coprire la madre (175 sgg.) e afferrandone il membro lo tagliò e lo gettò in mare. Divenne quindi lui il secondo sovrano del cosmo, ma molti dei suoi fratelli rimasero in seno a sua madre, e inoltre, proprio come suo padre, temeva di essere spodestato da uno dei figli che generava con la sorella sposa, Rea/Fluente. E come la madre Gaia/Terra si stancò sua figlia Rea/Fluente della prepotenza di Crono/Tempo: il fratello sposo stava a guardarla senza distrarsi quando si avvicinava il momento del parto, e ingoiava i neonati, sia maschi, sia femmine, appena sfioravano le ginocchia della sorella sposa. Il verbo usato da Esiodo per l'incorporazione operata da Crono/Tempo è lo stesso che sefinisce il movimento con cui si ingoia un tuorlo d'uovo. Intero. Rea/Fluente chiede aiuto e consiglio ai genitori, che tolgono a Crono/Tempo lo stesso potere che il secondo sovrano del cosmo aveatolto al primo. Al posto del sesto figlio Rea/Fluente diede allo sposo una pietra avvolta in fasce imbevute di latte, e mentre il sovrano se la ingoiava come il sesto tuorlo d'uovo Zeus neonato fu portato a Litto, nell'isola di Creta dove, allattato dalla capra Amaltea, crebbe molto velocemente e si presentò al padre, gli fece bere un emetico e con quello venne fuori per prima la pietra e poi i due fratelli di Zeus, Poseidon/Nettuno e Ade/Plutone, e le tre sorelle Hera/Giunone, Hestia/Vesta e Demetra/Cerere. Non soffrivano di principi di soffocamento ed erano belli come si possono vedere nei dipinti del Rinascimento. Possiamo dire, senza timore di interpretare arbitrariamente, che Crono/Tempo come ingoiava i suoi figli così li faceva crescere nel suo ventre, come erano cresciuti fino alla nascita nel seno materno. Un po' di ordine. Crono, gli altri titani, i giganti e i ciclopi nascono dall'unione della prima coppia sovrana del cosmo e maturano con un soggiorno, anche lunghissimo, in seno alla madre. I figli di Crono e Rea invece maturano fino a venire alla luce come neonati in seno allamadre, ma diventano adulti in seno al padre, che li fa crescere mentre impedisce loro di vivere fuori da lui stesso. Non ci sembra azzardato leggere in questo movimento mitico il principio del patriarcato, per il quale gli esseri umani derivano dalla madre il loro corpo, ma la legittimazione dal padre. Col secondo sovrano del mondo le creature, per ora solo immortali, divine, si formano sia per una gestazione materna che per una gestazione materna. Con l'eccezione di Zeus, il sesto figlio dei nuovi sovrani, perché si può supporre che se è vero che Crono non impediva ai figli di crescere incorporandoli, possiamo ben immaginare che la sua determinazione a non perdere il potere non glieli avrebbe mai fatti restituire alla luce. Il padre introduce e non introduce al mondo, perché, come allora ancora, mentre traccia per i figli il cammino per rendersi autonomi cercadi convincerl ia seguire il suo cammino, non a costruire il loro. E d'altraparte, come potrebbe il figlio immaginare di entrare nel mondo da solo, se non cominciasse fidandosi quasi ciecamente della proposta del genitore, che lo invitaa ripetere quel che lui ha già imparato? Come potrebbe i lgenitore insegnare qualcosa che non ha imparato? Per il momento non prendiamo in esame la relazione fra madre e figlia, che è analoga e diversa, perché diversa è la posta, mentre il rapporto fra il padre e la figlia è sostanzialmente analogo a quello fra il padre e il figlio, anche se prevalentemente erotico, mentre col figlio la competizione per il potere prevale, per quanto in entrambi i casi giochino sia amore che potere. Che cos'è del resto il potere, se non la condizione che cerchiamo per essere desiderati da chi amiamo, e di essene cosiderati veri amanti? E cosa rende l'amore tanto bello, se non la quiete, sempre precaria e sempre possibile, finché si vive, nella quale non si cerca il potere, né si è desiderati in quanto potenti? Ma ora rallentiamo, per osservare un gigantesco fraintendimento del mito. Comincerò da wikipedia, voce Crono, che ho consultato ora : Crono non solo divenne il simbolo del divoratore di figli, ma, proprio come il tempo cronologico, appunto, l'inesorabile trascorrere del tempo come divoratore di tutti gli eventi. La stessa voce comincia con queste parole: Crono o Kronos è una divinità pre-olimpica della mitologia e della religione greca, nei miti più diffusi figlio di Urano (Cielo) e di Gea o Gaia (Terra), Titano della Fertilità, del Tempo e dell'Agricoltura, secondo signore del mondo e padre di Zeus e dei primi Olimpi. (https://it.wikipedia.org/wiki/Crono) Sia falce, sia falcetto, l'arma fornita a Crono/Saturno/Tempo dalla madre Gaia/Terra è un attrezzo agricolo, e di falce sono armati sia Crono sia morte, che miete teste come il contadino miete il grano. Che si segua Esiodo o un altro autore, è evidente che l'incorporazione dei figli, secondo metodo adottato da un sovrano per evitare di essere spodestato, dopo la compressione nel seno materno di Urano/Cielo, non è la loro eliminazione, né impedisce la loro crescita. E se è vero che il tempo è divoratore, è altrettanto vero che scorrendo - la sua sposa si chiama Rea, che scorre, che fluisce - permette l'alternarsi delle generazioni. I viventi soggetti alla riproduzione sessuata e alla morte realizzano una varietà immensa di individui possibili che si avvicendano, e pertanto la sperimentazione di diverse risposte alle sfide dell'esistenza. La signoria di Crono/Saturno sul tempo come sull'agricoltura potrebbe suggerirci che il tempo è diventato dimensione essenziale dell'essere umano quando è avvenuto il passaggio dall'economia di caccia e raccolta all'agricoltura, che è anche il passaggio dal nomadismo alla stanzialità, con l'origine delle sepolture, dei templi, delle città. Un ricordo personale. Il mio nonno paterno, nato contadino, viveva con noi e non coltivava più la terra da decenni, eppure non mancava mai di commentare con un proverbio o un commento in dialetto il cambio delle stagioni o certi eventi atmosferici, dicendo che quello era tempo per seminare o per mietere, che un determinato evento atmosferico era propizio o nefasto per il raccolto. E di semina e raccolto si parla metaforicamente per attività faticose e gratificanti, mai certe del risultato ma ricche di senso: un unico esempio, il titolo del libro al quale Alexandre Grothendieck ha affidato le sue memorie di matematico rendendolo disponibile gratuitamente e vietandone la commercializzazione: Recoltes et semailles (https://www.quarante-deux.org/archives/klein/prefaces/Romans_1965-1969/Recoltes_et_semailles.pdf). Tutto questo discorso, terribilmente denso, ci porta a considerare tre dipinti - i più celebri con questo soggetto: Saturno che divora un figlio. |
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MANGIANO I GATTI I PIPISTRELLI? MANGIANO I PIPISTRELLI I GATTI? |
In latino e in greco, ma anche in
lingue moderne come il tedesco, non sarebbe possibile
che il soggetto e l'oggetto, il predatore e la preda,
il reverendo Dodgson, alias Lewis Carrol,non avrebbe
potuto formulare questa domanda. La nostra sintassi
che come la sua permette lo scambio del soggetto con
l'oggetto, indica una minore precisione? O
l'ambivalenza nel nostro linguaggio corrisponde a
una netta rimozione in latino, greco e tedesco? Si
dice comunemente che c'è una traiettoria nel tempo
che diminuisce l'ambivalenza, o la polivalenza,
della lingua verbale, e anche un liceale studiando
il greco antico si trova a sperimentare l'incertezza
di Alice che precipita dalla veglia al sonno e al
sogno. Ma se noi possiamo attribuire la funzione di
predatori e prede nella stessa frase ai gatti e ai
pipistrelli, a differenza dei latini, dobbiamo
pensare che non ci sia una maggiore padronanza
dell'ambivalenza, bensì una espressione
dell'ambivalenza che cambia sede, per esempio dalla
sintassi e dalla grammatica ai riti, alla
superstizione o alla magia, dall'oscurità alla luce.
(30 maggio 2024) |
SOGGETTO È SOGGETTO |
La persona
soggetta, sottoposta, che
deve sottostare all'autorità e al potere di altri,
a istituzioni e condizioni generali o particolari,
o che ha una particolare disposizione per
determinate malattie e manifestazioni patologiche
o altri disturbi, che ne è spesso affetto o
colpito, è la persona libera
da schiavitù, ovvero titolare
di diritti e di doveri fin dalla nascita. (le
parti in corsivo sono citazioni da da Treccani on
line, http://www.treccani.it/vocabolario/) Si è titolari e si è sottoposti. Non si può essere titolari di diritto, autonomi insomma, se non si è sottoposti, eteronomi. Ricordiamo Alice quando passa dalla veglia al sogno, dal visibile all'invisibile, dal parco vittoriano dove poggia il capo in grembo della sorella maggiore, che sta leggendo un libro noioso perché senza figure, al mondo delle meravigliose figure. Come lei precipitiamo senza ferirci dal visibile all'invisibile ogni notte, quando ci addormentiamo, come Alice. Si passa da un buco nero, che potrebbe anche essere la tana del coniglio bianco che ha sempre l'orologio in mano, e corre, corre come il Tempo. La visita nel Paese delle Meraviglie, sembra dirci il Reverendo matematico Dodgson, alias Lewis Carrol, comincia con l'esperienza dell'irriducibile ambivalenza del linguaggio. Scendendonel buio della tana Alice immagina che se la sua amata gatta Dinah fosse con lei potrebbe magari acchiappare un pipistrello. 'Ma mi domando: i gatti mangiano i pipistrelli?' E qui Alice cominciava a scivolare nel sonno, continuando a chiedersi, un po' come in sogno: 'I gatti mangiano i pipistrelli? I gatti mangiano i pipistrelli?' e a volte 'Mangiano i pipistrelli i gatti? I pipistrelli mangiano i gatti?' e siccome non aveva risposte per queste domande, l'ordine delle parole per lei non aveva importanza. (http://www.gutenberg.org/files/928/928-h/928-h.htm, trad. nostra) Il soggetto è il soggetto, tautologicamente, ma se dico 'l'assoggettato è il soggetto', o anche 'il soggetto è l'assoggettato', se non mi sto addormentando posso osservare che la soggezione è intimamente connessa al soggetto, e anzi è indispensabile perché si formi un soggetto. Il bambino che non si assoggetta ai genitori, a coloro che si prendono cura di lui, perché non si fida di loro e quindi non si affida a loro, ha ottime probabilità di manifestare tratti autistici o psicotici. È altrettanto vero che se questa fiducia è assoluta, come quella del nostro cane che lecca la nostra mano se lo abbiamo punito, giustamente o ingiustamente, per farsi perdonare, la soggettivazione non sarà possibile. Se non altro perché non ci sarà una scintilla di libertà che possa far brillare la fiamma dell'adolescenza, che prepara l'autonomia adulta. Non desideriamo far ricorso a nessuna teoria o pratica contemporanea che ricorrendo alle coppia di opposti indica una soluzione per i problemi dell'esistenza e una saggezza libera da dubbi ansiogeni. Ma la profondità di Eraclito, tale che per raggiungerla ci sarebbe voluto, dice Socrate, un tuffatore delio, di quelli che scendevano in fondo al mare davanti all'isola del santuario di Apollo, unisce nei frammenti gli opposti, in una composizione che non fa coincidere i due termini ma li tiene insieme, perché il loro senso esige la presenza dell'altro termine. Cosmo significa mondo ordinato, pensabile e visibile, e viene dal caso. Caso e cosmo sono poli di un unica realtà. Fino al Rinascimento gli dei potevano scendere o salire fra noi esseri umani, ma quando abbiamo pensato di possederli dentro di noi abbiamo gioito, abbiamo potuto rompere i limiti, come Amore vincitore di tutto di Caravaggio, ma gli dei se n'erano andati con la loro crudeltà e con i beni che possono dispensare. Caso - anagramma di caos - e cosmo sono e non soono la stessa cosa, comel'acqua del fiume nel quale ci immergiamo è e non è sempre la stessa. Come il gatto di Schrödinger è vivo e morto, e nessuno può rispondere al dubbio di Alice, come Einstein non risolve la questione del gatto vivo e morto: si tratta di unamancanza temporanea di conoscenza, che si colma alla fine dell'esperimento. Ma pensando alla vita come esperimento, che non possiamo rifiutare, e a tutte le situazioni, di importanza minima o massima, nella quale vediamo due o più alternative, e la sceltasi impone, dobbiamo rispondere senza aspettare la fine dell'esperimento, come la fine della vita consente di riassumerla in una lapide, ma il riassunto è impossibile prima della fine, quando dobbiamo decidere nell'inevitabile dubbio al quale Descartes pose rimedio come Alessandro Magno quando tagliò il nodo di Gordio. Libero dalla predizione, conquistò l'India, ma perdendola presto c. onfermò la predizione stessa, che in questo modo restò salda e incerta. Ambivalente come il linguaggio, come le divinità olimpiche e non solo. Ambivalente come noi, anche se abbiamo confinato nell'inconscio tutta l'ambivalenza per salvare la nostra coscienza che non tollera dubbi che non può risolvere né considerare insignificanti.da cose Giochiamo. Siamo soggetti o siamo soggetti? siamo sembra una domanda simile a quella di Alice, che, mentre precipita senza freni e senza farsi male nella tana del coniglio bianco: mangiano i gatti i pipistrelli? i pipistrelli mangiano i gatti? Tentiamo ora una lettura, che rischia di essere delirante, per dare un senso alla nostra storia degli ultimi secoli che renda visibile qualcosa nel presente: qualcosa che non abbia l'effetto di paralizzare il nostro pensiero o di farci regredire a concezioni gà morte, che tornano come zombie assetati di sangue. Ammettiamo che gli dei o il dio unico, più o meno corteggiati da spiriti, demoni, angeli, santi e martiri, fossero i garanti visibili/invisibili delle leggi alle quali ci si doveva assoggettare per vivere come soggetti. Assoggettamento e soggettivazione |
DA RIVEDERE |
Tornare a Esiodo - come a Omero,
a Ovidio, per limitarci agli Autori ai quali qui si
torna - significa immergersi in acque che permettono
di ritrovare un'umiltà che è anche orgoglio,
qualcosa che non implica l'assoggettamento a
strutture gerarchiche, che per realizzare una
solidarietà con certi simili prevedono il rigetto di
certi altri. Per esprimere la propria umanità è
quindi necessario definire diversi e disumanizzare
altri, qualunque sia il posto che si occupa, basso o
alto. Fruitore ideale del mio lavoro è il giovane curioso della cultura classica, liceale, come la nipote Sofia che frequenta il liceo, alla quale queste pagine della Teogonia sono dedicate da quando stava scegliendo il corso di studi, come suo fratello Ettore, che sta concludendo la scuola elementare e manifesta una eccellente abilità nella lingua italiana e nelle lingue straniere, come la loro sorella minore, Greta, la sola ad avere un nome germanico, che per me che mi occupo di fiabe si associa alla protagonista femminile della fiaba dei Fratelli Grimm, che segue il fratello, ma quando lui rischia di finire bollito agisce in proprio facendo fuori strega. Ma il mio lavoro potrebbe essere utile anche a chi ha concluso la sua avventura scolastica, con o senza aver fatto studi classici, perché questo lavoro non considera la ricchezza contenuta nello scrigno di Esiodo riservata a chi ha acquisito il diritto ad aprirlo grazie allo studio del greco o, almeno, alla conoscenza dei classici greco-romani. Le immagini rinascimentali raccontano come ci sia stato un tempo in cui gli dei e gli eroi, e le dee e le eroine classiche erano tornate ad abitare fra noi, prima a Firenze, poi in Italia, poi in Europa. Il loro sorriso, la loro inelusibile ambivalenza, la loro grazia che fa bella la filosofia di Platone, hanno invitato a partecipare alla festa delle Muse, delle Grazie, delle Ore, pittori, architetti, scultori, filosofi, signori, commercianti, banchieri, nobili o borghesi, senza chiedere loro alcuna sottomissione, senza disdegnare le loro case, le loro vie, i loro palazzi. Andrea Doria, nobile ammiraglio e politico genovese, poteva essere ritratto come Nettuno/Poseidon, senza dover rimuovere neanche un frammento della sua umanità, e senza che il dio greco e latino delle acque se ne dovesse adombrare. La lezione dei Greci era chiara già a Senofane (570-475 a. C.) per il quale I mortali credono che gli dei siano nati e che abbiano abito, linguaggio e aspetto come loro... gli Etiopi credono che siano camusi e neri, i Traci, che abbiano occhi azzurri e capelli rossi ...ma se buoi, cavalli e leoni avessero le mani e sapessero disegnare... i cavalli disegnerebbero gli dei simili a cavalli e i buoi gli dei simili a buoi. La serenità che emana dall'arte classica deriva da questa consapevolezza: l'orizzonte umano e quello divino coincidono e non coincidono, gli dei sono e non sono fra gli esseri umani, propizi a volte, come le Muse e Apollo che bagnando con divina rugiada le labbra di un mortale alla sua nascita lo rendono ricco di una facondia irresistibile, (vv. 81 sgg.), altre volte crudeli, come Apollo quando scortica Marsia che ha osato gareggiare con lui, perché suonando lo ha superato nell'arte della quale è il dio, propizi come Athena che è sempre accanto a Ulisse, tranne quando un dio della potenza di Poseidon Nettuno lo vieta, crudeli come Athena quando trasforma in ragno Aracne, la tessitrice ricamatrice che l'ha superata dando forma alle storie degli dei. Abile nelle arti femminili anche più di Atena, da ragno dovrà eternamente far uscire filo dalla bocca che ha osato lanciare la sfida alla dea, signora anche della guerra, della strategia bellica, che nello scudo porta la Gorgona, che pietrifica chiunque sia preso dallo sguardo della testa di Medusa, anche dopo che Perseo l'ha decapitata. Non dimentichiamo che questa mostruosa forza pietrificante faceva già parte della condanna di Athena, che aveva trasformato in altrettanti serpenti i capelli della bellissima Medusa, la sola mortale e bella fra le tre Gorgone. Troppo bella era la chioma di Medusa, della quale si era vantata, offendendo la dea, che secondo un'altra storia era stata offesa dalla violazione di un suo tempio, nel quale Nettuno/Poseidon, il dio del mare, aveva violentato Medusa dall'irresistibile chioma. Continuo nelle storie degli dei è l'ammonimento agli esseri umani a non paragonarsi a loro, concetto perfettamente esposto da Aristofane nel Simposio, quando racconta che un tempo noi mortali eravamo molto più potenti e veloci, avendo otto arti, due teste, due genitali, tanto che tentammo la scalata dell'Olimpo. Allora fummo precipitati in fondo, sulla terra dalla quale veniamo (uomo dal latino homo, a sua volta da humus, terra, come l'aggettivo humilis, da cui umiltà). Per ordine di Zeus Hefestos, l'artefice fabbro divino ci divise a metà, mentre Apollo, signore delle Muse e della musica, ci ricucì e distese bene la pelle, lasciando però, per ordine di Zeus, l'ombelico, come resto della cicatrice, come ricordo e ammonimento a non ritentare la sfida. Altrimenti, racconta Platone che racconta Aristofane, ci avrebbero dimezzato per la seconda volta, costringendoci a saltellare su un solo piede, e ad avere solo un profilo, come le effigi sulle monete. Possiamo leggere nell'origine dell'ombelico secondo la favola di Aristofane nel Simposio il nostro eterno legame con chi ci ha dato la vita, legame che limita l'umano dandogli senso? E del resto come limite e confine Eraclito nomina il signore degli dei in uno dei suoi frammenti: Zeus limite sereno. A noi tocca sperimentare la perdita della serenità, a noi tocca la disperazione, a noi tocca rispettare limiti infrangendo i quali lo fthònos theòn, lo sguardo cattivo degli dei, ci distrugge. Ma se gli dei sono frutto della nostra immaginazione, come possono distruggerci? come possiamo noi aver dato vita con la nostra immaginazione a creature che senza di noi non avrebbero esistenza e che esercitano un potere tanto crudele, come quello di Apollo che scortica Marsia o di Atena che trasforma in ragno Aracne? Forse noi abbiamo destituito, deposto, come un sovrano ormai sgradito, la dipendenza dai comandi animali, legati alle stagioni, agli ormoni, all'estro, all'appetito, che inducono gli altri animali a cacciare, mangiare, accoppiarsi, curare i piccoli, allontanarli, ciclicamente. E al posto di questi regolatori abbiamo pensato agli dei, alle dee, al dio unico, ai demiurgi, ai demoni, ai jinn, e a tutte le creature meravigliose e spaventose che sono e non sono fra noi. A tutte le creature dell'invisibile che hanno però il potere di terrorizzarci, da bambini, nel buio, da adulti, negli incubi, e prendendo la forma di piccoli animali, mammiferi o insetti, il potere di spaventarci senza ragioni realistiche. Senza ragione: liquidare con questa definizione la reazione fobica che per tutta la vita può farci strillare alla vista di un topo o di un geco che corrono troppo vicino ai miei piedi significa negare esistenza all'invisibile. Ma negare esistenza all'invisibile significa privare di senso il lavoro immane dei nostri progenitori del paleolitico che elevavano massi per costruire sepolture paleolitiche, città come Goblechi Tepe o Gerico, tombe che ancora si offrono come testimonianze preziose di chi eravamo, in un tempo certo lontanissimo, ma nel quale sono nati e cresciuti almeno un uomo e una donna che unendosi hanno dato vita a un bambino o a una bambina che sono riusciti a crescere, e a loro volta hanno amato un/una mortale, come direbbe Esiodo, e così via, attraverso centinaia di migliai di anni, fino a noi. Noi non possiamo dubitare che in ogni tempo passato, storico e paleostorico, esistesse una coppia di nostri antenati. Tornando ai miti classici, il sangue degli immortali a volte si mescolava con quello dei mortali, non era un evento particolarmente raro, tanto che quasi ogni città della civiltà romana vanta come fondatore un semidio. E del resto diciamo 'divina' la voce di un soprano, e perfino il soprano stesso, come Maria Callas. Equilibrio prezioso e brevissimo, effimero, quello della Grecia classica, come quello del Rinascimento. Pochi secoli, ma che splendore! E poi, per chi vive a Firenze, camminare per le vie del centro significa contemplare - e avere al proprio fianco - la testimonianza di solida pietra del tempo in cui, come nell'antica Grecia, gli dei potevano vivere sulla terra. Anche quando le loro dimore erano in cima a un monte circondato di nubi bianche, erano in un luogo che si poteva scalare, e poi gli dei scendevano quasi quotidianamente sulla Terra, fra i mortali. Come scrive Esiodo anche i monti sono creature di Gaia/Terra, la dea primigenia, sulla cui superficie viviamo noi, i mortali, Terra: dall'immenso seno, base per sempre salda per tutti |
Fthònos ton
theòn - φθόνος τῶν θεῶν Semerano: malocchio, invidia Rocci, invidia, rifiuto, negazione; indoeuropeo gudhen, diminuire. afthonos, abbondante, vale a dire senza invidia, nel senso che è privo di invidia, ovvero nel senso che non è colpito dall'invidia L'illimitato è allo stesso tempo l'invidioso e il bersaglio dello fthònos ton theòn. Quindi il pieno, il creativo. Che il femminile e il maschile vivono nelle poesie di Erri de Luca e Alda Merini, Io ti vorrei bastare e Ovunque tu sia. Nel primo caso il poeta riceve la pienezza dalla donna alla quale basta, nel secondo caso dall'uomo che fa fiorire la sua interiorità. La fecondazione e la nascita del figlio attesta nel corpo i due casi coincidenti. Il seme dell'uomo è bastato alla donna, e la donna è fiorita dentro grazie a lui. |
Torniamo alla
crudeltà di Athena o di Apollo per
comprenderne il senso. La morte è il limite
all'umano, e funziona come una
contrainte nei giochi dell'OULIPO o
dell'OpLePo. Data una regola, arbitraria a
piacere, rigida o morbida, si compone una
poesia. Si può decidere, ad esempio, per un
lipogramma, andando a comporre un testo
privo di una lettera dell'alfabeto: la contrainte
è durissima in francese se la vocale e è la lettera
lipogrammata, in italiano se la lettera
esclusa è la consonante erre. Gli dei sono
privi di contrainte riguardo alla
loro signoria e per questo non possono
tollerare un mortale che li superi nell'arte
che rappresentano, con la quale anzi
coincidono. Se Athena potesse o dovesse
riconoscere la superiorità di Aracne,
dovrebbe cederle la sua signoria sulle arti
femminili. E se Aracne, assunta in cielo,
ovvero asterizzata dagli dei che ne avevano
facoltà, venisse a sua volta sfidata e vinta
da un'altra mortale, dovrebbe accettare che
quest'ultima le subentrasse. Così gli dei
non sarebbero eterni, vale a dire che
cadrebbero nella condizione umana, sarebbero
come noi soggetti alla morte. Se Apollo
avesse accettato il pareggio assegnato dalle
Muse in veste di giudici nella gara musicale
fra lui, citaredo, e il flautista Marsia,
avrebbe dovuto condividere con Marsia la sua
signoria. Avrebbe smesso di essere il divino
unico signore della musica. Una volta emesso
il verdetto Apollo impone un supplemento di
gara: una versione racconta che i due
contendenti avrebbero dovuto suonare il loro
strumento capovolto, un'altra che i due
rivali dovevano suonare e cantare
contemporaneamente. In entrambi i casi
Marsia non avrebbe potuto vincere: non
poteva cantare suonando il flauto, né il
flauto poteva emettere suoni capovolto. Né
avrebbe potuto sfidare il dio, né suonare:
Apollo come vincitore lo legò quindi per i
piedi e lo scorticò vivo. Il dio è ingiusto?
oppure Apollo come Atena ci insegna che può
imporre le regole del gioco? E nella trappola entrati, si stesero; e intorno ricaddero Hefestos chiede a Zeus la restituzione dei doni che aveva fatto per Afrodite, ora in catene con l'amante, mentre tutti gli dei ammirano la nudità della dea dell'amore. Apollo chiede a Hermes se vorrebbe essere al posto di Ares, e Hermes risponde: La differenza fra l'esplosione di gelosia umana e quella divina è che gli dei non danno la morte a se stessi né l'uno all'altro. Si dice che a tutto c'è rimedio fuorché alla morte, e in effetti fra gli dei sempre si cerca e infine si trova un rimedio, nel caso della scoperta in flagrante del tradimento Efesto accetta di rimuovere il suo mechanos quando ottiene la restituzione dei doni offerti per avere in sposa Afrodite. Qual è il miracolo più grande? questa è l'ultima domanda che il dio Dharma in forma di lago pone al semidio suo figlio, Yudhishtira, nel loro dialogo sapienziale del Mahabharata. Il semidio risponde che il miracolo più grande è che sapendo sappiamo che potremmo morire in qualunque momento viviamo quasi come se fossimo immortali. Lo fthònos ton theòn abbatte il mortale, sia Marsia, sia Aracne, siano Alcione e Ceice, quando dimentica la morte, quando vive come se fosse immortale, e non quasi come se fosse immortale. Gli amanti non hanno bisogno d'altro che di se stessi, per questo si uniscono solo nella tomba. Le tombe degli amanti nel deserto erano venerate dai beduini. Il limite della morte viene a chi si sente pari agli dei. Condizione inattingibile per l'amante che non può unirsi all'amato nella lirica di Saffo: Il confronto con l'amante rivale che invece può unirsi all'amata ferisce il soggetto, come un dolore insopportabile. È pari agli dei, ovvero non manca di nulla, come il mistico, che non muore perché è il dio stesso che colma la sua mancanza, lasciandolo come e quando vuole privo di sé. Quindi il suo superamento del limite non è un peccato di ýbris, perché la sua pienezza è data e tolta dal dio stesso. Riprendendo Freud, la casa che l'Io abita dalla nascita alla morte e della quale non è padrone, viene visitata dal padrone, che come e quando vuole ne illumina la ricchezza, che basta temporaneamente, realizzando la pienezza illimitata della donna e dell'uomo:A me pare uguale agli dei Io te vurria vasà - sospira la canzone, L'invidia degli dei, il limite che impongono, spesso mortale, come perdita della natura umana e metamorfosi in un animale - il martin pescatore per Alcione e Ceice e per Aracne. Marsia era un satiro e non ebbe una metamorfosi, ma il pianto dei suoi compagni quando fu scorticato da Apollo diede origine a un fiume che portò il suo nome, probabilmente un affluente del Meandro, nelle cui acque si gettò il personaggio omonimo, re di Pessinunte, in Frigia. Da questo nome deriva quello delle serpentine descritte dal corso di un fiume, e per estensione, soprattutto al plurale, i movimenti tortuosi di una trattazione, della memoria, della mente in genere. È sufficiente addentrarsi in una parola per scoprire quanti nessi si possano aprire. E forse proprio questo è umano, una potenza quasi illimitata di far nessi, componendo poesie e romanzi, scoprendo leggi scientifiche e ricevendo rivelazioni religiose. I nessi dei greci non hanno quasi gerarchia, mentre quelli dei tre monoteismi abramitici istituiscono una gerarchia che può allontanare all'infinito dio dall'uomo, distanza che solo dio può colmare concedendo la grazia, distanza lungo la quale si dispongono le gerarchie che fondano l'ordine sociale umano, più o meno complesse, nelle tribù senza scrittura come nelle federazioni degli stati contemporanei come nelle famiglie. (Continua ASAP PP) |