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Dynamis in
greco significa forza, capacità, abilità.
Parole italiane: dinamico: attivo, capace; dinamo:
convertitore di energia meccanica in energia elettrica.
Si racconta che Acheloo, in competizione con Heracles per Deianira, lo sfidò dicendogli:
Quando, durante il
combattimento, si vide perduto, Acheloo si trasformò in
serpente, ma Heracles, dicendo che fin dalla culla
sapeva ucciderli, lo prese alla gola. Allora Acheloo si
trasformò in toro, ma subito l'eroe lo prese per le
corna, con tanta forza che gliene svelse uno. Acheloo,
vergognandosi della mutilazione, si nascose nelle acque
di un fiume, al quale diede il suo nome. Le ninfe
raccolsero il corno facendone la cornucopia, sempre
colma di frutti e fiori profumati. Secondo un altro
racconto la metamorfosi di Acheloo in fiume fu diversa.
Acheloo avrebbe avuto come figlie le sirene, chiamate
anche Acheloides, dall'unione con una delle muse,
Calliope o Tersicore. Quando le sue figlie morirono,
Acheloo ne ebbe un dolore tanto grande che supplicò la
Terra di accoglierlo nel suo seno. La Terra lo esaudì, e
fece sgorgare un fiume col suo nome, perché non fosse
mai dimenticato.
Come è il primo dei suoi tremila fratelli, Acheloo è il
fiume più lungo della Grecia, scorrendo dal Monte Pindo
per oltre duecento chilometri verso lo Ionio, dove
sfocia di fronte alle isole Echinadi. Venerato nel mondo
greco, era considerato il dio protettore di tutte le
acque fresche e limpide. Ha avuto anche nome
Aspropotamo.
* Vedi un'immagine contemporanea del fiume in Grecia: https://it.wikipedia.org/wiki/Aspropotamo#/media/File:Acheloos_river_narrows_03.jpg, ultimo accesso: 16/01/2020.
La nereide Thetis, come l'oceanina Metis, era destinata a generare un figlio più forte del padre. Per non essere spodestati, Zeus e gli altri dei allora decisero di farle sposare un mortale: per quanto forte, un semidio non avrebbe rappresentato una minaccia per il loro potere. Presa dal re Peleos contro la sua volontà, Thetis si resistette trasformandosi in animali diversi, fino a che, mentre aveva assunto la forma di una seppia, il re riuscì ada verla e concepì un figlio, destinato ad essere l'eroe degli eroi greci. la madre, sapendo che il suo destino era di morire giovane, cercò di proteggerlo rendendolo invulnerabile. Prima lo immerse nelle acque di Brivido: ma il tallone del bambino, per il quale lo teneva, rimase vulnerabile. Per renderlo immortale Thetis decise quindi di temprarlo col fuoco, ma Peleos sopraggiunse e glielo strappò dalle braccia, certo che volesse ucciderlo. Pelos mandò il figlio da Chirone perché lo allevasse, e il centauro lo rese forte nutrendolo di midollo di leone, di cinghiale e di altri animali feroci. Al termine della sua educazione ribattezzò l'eroe col nome Achille, mentre prima si era chiamato Lighiron (Piagnucolone) e Pirisoo (Salvato dal fuoco). Dopo aver imparato da Chirone la lotta, l'atletica, la medicina e la musica, Achille completò la sua educazione con Fenice, che gli insegnò l'eloquenza e l'arte della guerra. Sapendo che il figlio era destinato a morire sotto le mura di Troia, Thetis, cercando di tenerlo all'oscuro dai preparativi per la guerra, lo nascose alla corte del re Licomede, travestito da donna. Quando Palamede smascherò Ulisse che si fingeva pazzo per non lasciare Itaca e lo costrinse a partire, Ulisse a sua volta trovò uno stratagemma per fare uscire allo scoperto Achille. Entrò nel palazzo di Licomede fingendosi un mercante di gioielli, ma mentre li mostrava fece risuonare le armi: immediatamente Achille si spogliò degli abiti femminili e partì per la guerra. Potendo scegliere una vita lunga e ingloriosa, Achille aveva preferito una vita breve ma illuminata dalla fama, che avrebbe avuto in eterno come eroe degli eroi. Nel decimo anno della guerra di Troia, nella quale Achille eccelse come campione dei greci, Agamennone, avendo dovuto restituire la sua amata schiava Criseide al padre, sacerdote troiano di Apollo, si prese Briseide, la schiava di Achille. L'eroe non sopportò questa prepotenza, e così se ne lamentava invocando la madre:
- Madre, poi che mi generasti a vivere breve vita,
gloria almeno dovrebbe darmi l'Olimpio
Zeus, che tuona sui monti; e invece per nulla m'onora.
Ecco, il figlio d'Atreo strapotente, Agamennone, m'offende;
m'ha preso e si tiene il mio dono: me l'ha strappato!
Diceva così versando lacrime: l'udì la dea madre, seduta
negli abissi del mare, vicino al padre vegliardo:
subito emerse dal mare canuto, come nebbia,
e si mise a sedere vicino a lui che piangeva,
lo carezzò con la mano e disse parole, diceva:;
- Creatura mia, perché piangi? che pena ha colpito il tuo cuore ?
(Iliade, I, vv. 352-362)
Proprio questa collera di Achille, che abbandona la guerra ritirandosi in riva al mare col suo esercito dopo la perdita di Briseide, è il soggetto dell'Iliade:
Cantami, o dea, l'ira d'Achille Pelide,Non sopportando le vittorie dei Troiani, il suo amico Patroclo vestì di nascosto le armi di Achille e si gettò nella battaglia, sperando che i nemici si sarebbero ritirati appena lo avessero visto, credendo che il grande eroe fosse tornato a combattere. Ettore, principe e campione troiano, certo di trovarsi di fronte al campione dei greci, sfidò e uccise Patroclo, provocando un dolore irreparabile ad Achille. Piangendo sul corpo dell'amico, prima che venisse sepolto, Achille volle vendicarlo sfidando Ettore, pur sapendo che la propria morte sarebbe seguita di poco a quella dell'eroe troiano. Ettore portava le meravigliose armi tolte a Patroclo, e Achille ne aveva di ancora più belle, forgiate da Hefestos su richiesta di Thetis. Così si concluse lo scontro, quando Ettore, pur comprendendo che il filo della sua vita stava per essere tagliato:Prima di morire Ettore supplicò Achille di rendere a suo padre, il vecchio re Priamo, il suo corpo, ma Achille forò i piedi del cadavere, ci passò due strisce di cuoio, lo attaccò al suo cocchio e lo trascinò correndo davanti alle mura di Troia. La disperazione dei troiani rispondeva a quella di Achille, che continuava a soffrire nonostante avesse vendicato Patroclo: l‘amico gli apparve in sogno chiedendogli di seppellirlo, e dicendogli che se non lo avesse sepolto la sua anima non sarebbe stata accolta nel regno dei morti. Poi Patroclò invitò Achille a preparare un'urna che contenesse le ceneri di entrambi, perché fra poco anche lui sarebbe morto. Achille in sogno gli promise che avrebbe fatto tutto quello che gli chiedeva:
- Ma vieni vicino e almeno un istante, abbracciati, Neppure dopo
le onoranze funebri a Patroclo Achille trovò pace:
piangeva, vagava sulla riva del mare, trascinava il
corpo straziato di Ettore intorno alla tomba di
Patroclo. Il vecchio re di Troia venne a offrirgli doni
e a chiedergli il corpo di Ettore, e Achille si
commosse, perché ricordò il proprio vecchio padre,
Peleos, che avrebbe pianto la sua morte senza poterlo
onorare con una cerimonia funebre. Diede quindi il corpo
di Ettore a Priamo e lo ospitò con affetto nella sua
tenda.
Iniziata col furore senza limiti di Achille, l'Iliade
finisce con la sua pietà per il vecchio re, il vecchio
padre: la storia dell'eroe guerriero per eccellenza
finisce quando il sentimento di pietà scioglie il suo
cuore: di lì a poco morirà per una freccia scagliata da
Paride, con l'aiuto di Apollo, che lo colpirà nel
tallone.
Nel poema di Ulisse, quando il più intelligente dei
mortali scende fino alle porte degli Inferi, vede
l'ombra corrucciata di Achille, e lo saluta dicendogli
che anche fra le ombre la sua figura domina su tutti,
come da vivo sovrastava tutti i greci:
Sdegnosa e amara fu la sua risposta:
- Non consolarmi della morte, Ulisse.
Vorrei, come bracciante, un contadino
servire, un uomo povero, che avesse
pochi mezzi per vivere, piuttosto
che regnare quaggiù su tutti i morti.
(Odissea 1, XI, vv. 488-491)
Il tallone
di Achille indica la fragilità della condizione
essere umano: per quanto un eroe sia forte e potente,
ha una debolezza alla quale né un padre re come
Peleos, né un maestro centauro come Chirone, né una
madre divina come Thetis possono porre rimedio.
L'ideale dell'eroe non vale la vita, perché non c'è
vita al di fuori della vita: questo dice a Ulisse
l'ombra di Achille, articolando per parte sua il senso
che forma il cuore dell'Odissea. Che segue al poema
nel quale per l'eroismo vale la pena vivere: lo
splendore dell'eroe, la sua potenza, la collera, la
morte di Achille, sono il cuore dell'Iliade.
*Achillea, pianta che avrebbe la proprietà di sanare le ferite; tallone d'Achille, la parte vulnerabile, fragile, di un carattere o di una teoria.
Appellativi ed
epiteti esornativi: Citerea, perché approdata
prima a Citera; Ciprigna perché nata nelle acque
di Cipro; Falloamante (gr. Filommedea)
perché ama il fallo.
Celebrata dalle Muse, 27; nata
dalla spuma del mare, approda alle isole greche, 310;
la accompagnano Eros e Desiderio ed è signora dei
discorsi amorosi, della seduzione e del piacere
dell'amore, 331;
ha signoria sui discorsi delle fanciulle e sull'amore di
miele 335;
ispira l'amore fra Terra e Inferno, 1293;
si congiunge amorosamente con Ares e genera Spavento,
Terrore e Armonia, 1471;
ispira l'amore fra Sapia e Aiete, 1515;
ispira l'amore fra Bellafluente e Spadadoro,
1546;
rapisce Fetonte per farne il sacerdote dei suoi templi,
1561;
ispira l'amore fra Sabbia ed Eaco, 1587;
si congiunge amorosamente con il mortale Anchise e
genera Enea,1592;
ispira l'amore fra Circe e Ulisse, 1601.
Mentre Eros è
dio di ogni forma d'amore, Afrodite presiede
all'attrazione fra i sessi diversi, all'amore che rende
possibile la generazione, e perseguita gli esseri umani
che, avendo scelto l'astinenza o l'omosessualità, non
rendono onore alla sua potenza. La sua origine dalla
spermatica spuma marina, sgorgata dal fallo del Cielo,
la caratterizza come figura del desiderio fallico e
generatore. Suo sposo è il dio fabbro Hefestos, geniale
artefice che fonde e piega e scolpisce i metalli,
zoppicante da entrambi i lati, mentre Ares, dio della
guerra, è il suo amante. Con Anchise, principe troiano,
assoggettata dallo stesso desiderio che ispira, genera
Enea, capostipite dei fondatori e degli imperatori di
Roma.
Così è invocata nell'inno omerico:
* Afrodisiaci, cibi, bevande o sostanze che stimolano il desiderio sessuale; venereo, che attiene ai rapporti sessuali; venerare, dedicare devozione a ciò che si considera sacro; cipria: polvere per il trucco; seta venus: una seta pura particolarmente pregiata, fine e lucente.
Fratello di Circe, re della Colchide, nell'Asia Minore, possedeva il vello d'oro, o toson d'oro, simbolo della potenza regale. Sapendo che se l'avesse perduto avrebbe perso il suo potere, imponeva prove impossibili agli eroi che venivano per ottenerlo, provocandone la morte. Medea, sua figlia, si innamorò dell'eroe Giasone, giunto con gli Argonauti per prendere il vello d'oro, e partì con lui lasciando la sua patria.
Mentre il suo sposo Anfitrione, re di Tebe, era in guerra, Zeus ne prese la forma e Alcmena lo accolse nel palazzo e nel talamo nuziale, restando incinta di Heracles. Hermes, prendendo la forma di Sosia, servitore di Anfitrione, aiutava Zeus nell'impresa amorosa, e incontrò il vero Sosia di fronte al palazzo reale.
*Anfitrione,
padrone di casa generoso e ospitale, come il re di Tebe
ospitò Zeus; sosia, chi somiglia a una persona
al punto di essere scambiata con questa.
Un mito racconta che mentre cacciava desiderò Aretusa, ninfa del corteo di Artemide, e la inseguì per averla. Per impedire che Aretusa fosse catturata, la dea la trasformò in fonte, e portò le sue acque fino all'isola Ortigia (Siracusa): Alfeo la raggiunse e unì per sempre le proprie acque a quelle dell'amata.
* Vedi un'immagine contemporanea del fiume in Grecia: https://it.wikipedia.org/wiki/Alfeo_(fiume_del_Peloponneso)#/media/File:Alpheios.jpg, ultimo accesso: 16/01/2020.
* Vedi un'immagine contemporanea del fiume in Grecia: https://it.wikipedia.org/wiki/Aliacmone#/media/File:Aliakmonas_bridge.jpg, ultimo accesso: 16/01/2020.
*Elettricità, fenomeno originariamente collegato all'ambra; ambrato, colorato come l'ambra gialla o profumato come l'ambra grigia
Quando la
bellissima Afrodite si presentò a lui, Anchise si
rivolse a lei come a una dea, ma Afrodite gli fece
credere di essere una mortale. Solo dopo l'unione la dea
gli si manifestò in tutta la sua altezza e il suo
splendore, e Anchise le chiese pietà, sapendo che nessun
mortale viveva felice dopo aver amato una dea: Afrodite
lo rassicurò, a patto che mantenesse il segreto sulla
loro unione, senza svelare chi era la madre del bambino
che sarebbe nato. Quando Anchise si vantò della sua
unione con la dea dell'amore, Zeus gli scagliò il
fulmine, e sarebbe morto se Afrodite non avesse deviato
il colpo.
Sfiorato dalla potenza di Zeus, subì comunque un danno:
non potè unirsi a una donna per il resto della vita. Il
motivo dell'unione tra un essere umano e una donna
soprannaturale, e del divieto che lei pone e lui
infrange, è in molte storie popolari, come la fiaba
ladina del pastore Cian Bolfin (Cane Volpino) che si
unisce all'immortale signora che vive sui ghiacciai,
Dona Kenina. (Fiabe e leggende della Val di Fassa,
di Hugo de Rossi di San Giuliana, 1912)
I greci si recavano al suo
santuario di Delo o Delfi per porgli domande alle quali
il dio rispondeva attraverso la sua sacerdotessa, Pizia.
Una tradizione mitica lo fa corrispondere al sole, i cui
raggi possono guarire e ferire col calore bruciante,
come le frecce con le quali Apollo poteva diffondere e
curare le epidemie.
Erano suoi figli Orfeo, teologo, poeta, cantore, ed
Esculapio, dio della medicina e protomedico, primo
medico.
Possiamo considerare Apollo come una rappresentazione
della luminosità splendente dell'intelligenza, che porta
alle manifestazioni più alte, dell'arte, della
divinazione, della guarigione, ma che, come eccesso, può
provocare l'oscuramento e la morte. Di fatto in greco la
parola farmacon significava sia medicina che veleno, e
molti farmaci in dosi eccessive provocano danni. Anche
il serpente rappresenta il doppio valore del farmacon,
può avvelenare, eppure simbolizza la vita eterna e la
guarigione. (Per il serpente nel caduceo, vedi Hermes)
Quando
Apollo era innamorato di Cassandra, figlia di Priamo re
di Troia, la principessa in cambio del suo amore gli
chiese di concederle il dono della divinazione. Apollo
glielo accordò, ma Cassandra non mantenne la promessa.
Apollo, non potendo revocare il dono, vi aggiunse una condanna:
Cassandra avrebbe indovinato la verità, ma nessuno
l'avrebbe creduta. Così ricordiamo Cassandra disperata a
cercar inutilmente di convincere i troiani che accettare il
cavallo di legno avrebbe provocato la rovina della
città. Le risposte del dio alle questioni degli uomini,
gli oracoli, erano complessi, e dipendeva dalla
intelligenza e dall'umanità del richiedente trarne
giovamento. Socrate ebbe dall'oracolo il responso
secondo il quale lui era l'uomo più sapiente di Atene.
Considerandosi ignorante, Socrate, per comprendere cosa
volesse dire l'oracolo, andò a parlare con gli uomini
più sapienti della città, oratori, legislatori,
letterati, politici, e comprese che la loro sapienza
aveva un carattere illusorio. Allora interpretò
l'oracolo non rinunciando alla consapevolezza della
propria ignoranza, ma pensando che Apollo gli insegnava
come la consapevolezza dell'ignoranza sia la prima forma
di sapienza.
La potenza divinatoria espressa dalla donna deriva da un
patto col diio, vale a dire che può esprimersi nella
comunità solo riconoscendo il limite che fonda e
sostiene la cultura patriarcale: l'origine della parola
è divina, e maschile. Se Cassandra si appropria della
parola, negando il suo debito verso il dio, non
lasciandosi penetrare da lui, il valore della sua forza
profetica è annullato. La sacerdotessa di Apollo, la
sibilla o la Pizia, parla in un luogo segreto, dove gli
esseri umani vanno a cercarla con un movimento che li
porta in una direzione eccentrica rispetto alla polis,
alla civitas, alla comunità degli uomini. La scelta di
cercare la sibilla, e l'interpetazione del responso
avvengono in un orizzonte umano, come circoscrivendo
l'evento straordinario della comunicazione col dio che
essa rende possibili, costituendo un ponte con lui. La
presenza costante della profetessa nella città è una
minaccia all'ordine politico che la governa, per questo
la parola di Cassandra, essendo sempre vera, non è
credibile: come un eccesso intollerabile di verità. Come
la principessa troiana Cassandra, Ociroe
manifesta il proprio sapere senza seguire l'ordine
divino, e per questo viene disumanizzata.
Apollineo:
solare, di perfette forme maschili.
Scende dal
cielo lasciando la sua traccia variopinta, e collega
come messaggera il mondo dei mortali e quelli degli
immortali, o quello degli dei olimpici al mondo degli
dei sotterranei, terrifici. In molte culture
l'arcobaleno è il ponte fra cielo e terra, e secondo una
leggenda dove finisce l'arcobaleno è sepolto un immenso
tesoro (Over the rainbow).
Ovidio narra di Arcobaleno che, per ordine di Zeus, va alla
casa del Sonno, ai confini tenebrosi della terra:
Iride indossa la veste dipinta di mille colori
e della curva dell'arco segnando la volta celeste
vola alla casa del Sonno, che sotto le nubi si cela.
[...]
Quando la vergine entrò, con le mani rimosse quei Sogni,
che contrastavanle il passo; e la casa divina rifulse
per il fulgor della veste; ed il Sonno levando con stento
pigre le palpegre gravi e più volte cadendo sul letto
e percotendosi il seno col mento che gli tremolava,
sé finalmente scotendo da sé, sopra il gomito ritto,
poiché conobbe la dea, le chiese a che fine veniva.
(Metamorfosi, XI, vv. 589-591 e 616-622)
* Iride in greco significa arcobaleno. Iride, la parte dell'occhio che si colora; iris, o ireos, fiore che ha petali di tanti colori diversi, lievi e cangianti; iridescente, cangiante, che ha i colori dell'iride.
* Vedi un'immagine del fiume in Bulgaria, nome attuale Maritsa: https://it.wikipedia.org/wiki/File:Maritsa_river_02.jpg, ultimo accesso: 16/01/2020.
Può
rappresentare la funzione maschile aggressiva, la
violenza guerriera che incendia, erompe, collerica e
ditruttiva, e allo stesso tempo l' irriducibile
determinazione ad affrontare i conflitti
dell'esistenza. Il suo legame con Afrodite simbolizza
l'unione degli opposti, dai quali nascono sia forze
che costringono a combattere, Paura e Terrore, sia
Armonia, dolce frutto del contrasto.
Si narra che Ares fu allevato da Priapo, e per
questo i Bitinii (Asia Minore) sacrificavano a Priapo
un decimo delle spoglie dedicate ad Ares: il mito
rappresenta il legame immaginario tra la potenza
fallica - Priapo è il dio dell'erezione -, e la forza
guerriera.
*Marziale, guerresco; marzo e martedì, mese e giorno della settimana consacrati al dio della guerra; Marte, pianeta rosso come il fuoco della guerra e dell'aggressività; marziano, abitante di Marte.
Figlia
di Minosse e di Pasifae, sovrani di Creta, aiutò l'eroe
Teseo a sconfiggere il Minotauro, mostro metà uomo e
metà toro, generato dall'unione della regina Pasifae con
un meraviglioso candido toro, che il re avrebbe dovuto
sacrificare a Poseidon. Imprigionato nel labirinto
costruito da Dedalo per ordine di Minosse, il Minotauro
esigeva sacrifici umani, un tributo di giovani nobili
che venivano dati in pasto al mostro. L'eroe Teseo, per
far cessare questo debito della polis verso l'antica
civiltà di Creta, entrò nel labirinto del Minotauro, con
il filo che Arianna gli aveva dato. La principessa restò
sulla soglia del labirinto con un capo del filo fra le
mani, e Teseo, dopo aver vinto e ucciso il mostro,
lasciò l'isola insieme ad Arianna. Ma siccome s'innamorò
della sorella minore di lei, Fedra, abbandonò Arianna
addormentata sulla riva dell'isola di Nasso. Dionisos
trovò Arianna piangente, ne fece la sua sposa e le donò
una corona di stelle, la Corona d'Arianna.
Arianna rappresenta, come Medea, una funzione femminile capace di affrontare il mistero, in questo caso il labirinto, di cui l'eroe non potrebbe venire a capo senza il suo aiuto. Ma l'eroe, dopo aver assolto il compito impossibile grazie al suo aiuto, può dimenticarla, e questo può provocare effetti tragici sulla sua vita, se la sua aiutante decide di vendicarsi.
* Filo d'Arianna, la sottile traccia per un cammino altrimenti impossibile, per una ricerca che non si compie con le sole attitudini eroiche.
ARISTEO essere umano (pr. Aristèo). Sposo di Autonoe, figlia di Armonia e Cadmo, 1541.
Secondo altri miti era figlio di Apollo, o di Dionisos. Fu allevato dalle Ninfe, che aggiunsero al nome Aristeo quello di Agreo, che significa cacciatore, e quello di Nomio, che significa pastore: Aristeo avrebbe insegnato la caccia e la pastorizia agli esseri umani. Da Autonoe Aristeo ebbe Atteone, e questo figlio, mentre cacciava vide la dea Artemide che si bagnava nuda insieme alle sue ninfe. Non tollerando che la vista di un uomo si posasse sul suo corpo, la dea lo trasformò in cervo e Atteone fu sbranato dai suoi stessi cani, che chiamava uno ad uno per nome perché lo riconoscessero, mentre emetteva solo bramiti. Fra gli antenati di Atteone ricordiamo Afrodite, Ares e Apollo, o Dionisos.
Figlio
dell'inventore della pastorizia e della caccia,
Atteone rappresenta la funzione culturale di domare e
dominare la natura selvaggia. Il suo rapporto con la
natura lo porta a posare lo sguardo sulle nudità della
dea Artemide, che è la potenza femminile della natura
aliena dalla sottomissione al maschile, che l'uomo non
può vedere. Lo sguardo di Atteone rappresenta la
rottura di un limite, perché si fissa, anche se
involontariamente, su ciò che non può essere visto.
La tragedia di Atteone è il primo modello della
vicenda leggendaria e fiabesca di tanti principi e
cavalieri che vedono la loro amata quando è loro
vietato, o aprono la stanza proibita trovandosi di
fronte un mistero del femminile. Per Atteone la
tragedia si realizza come regressione repentina alla
natura animale che dominava, e proprio i suoi cani,
che rappresentano la componente pulsionale domata, si
scagliano contro il padrone come contro la preda.
Figlia di Afrodite e Marte, sorella di Paura e Terrore, ebbe tutti gli dei alle sue nozze con Cadmo, signore di Tebe. Le nozze inizialmente furono felici e il regno godeva di una grande prosperità, ma la felicità di Cadmo e Armonia si trasformò nell'opposto. La figlia Splendore durante l'estasi dionisiaca uccise il proprio figlio Penteo, Atteone figlio di Autonoe morì sbranato dai suoi cani per aver visto la nudità di Artemide, Ino si gettò in mare con i figli. Da un altro figlio di Armonia, Polidoro, non nominato da Esiodo, discese Laio, che abbandonò il proprio figlio Edipo, e successivamente ne fu ucciso. Cadmo e Armonia lasciarono Tebe e dopo tante sciagure chiesero e ottennero di essere trasformati in una coppia di serpenti.
Le due figlie di Ambra e Prodigio, Turbine e Folata, sorelle di Arcobaleno, secondo la tradizione di Esiodo sono esseri femminili volanti dalla bella chioma. Come tutte le creature femminili dotate di prerogative straordinarie, siano ali per volare o coda di pesce, come le Sirene, vengono rese in era cristiana sempre più repellenti e disgustose: le arpie diventano tre, terrificanti, non più fornite di belle chiome: viso di donna, unghie lunghissime e adunche, enorme ventre, sempre affamate, portavano la carestia dove passavano. Si gettavano dove trovavano cibo saccheggiando le mense e lasciandole contaminate e maleodoranti. Dante le trova nell'Inferno, nella selva dei suicidi, dove non crescono foglie né frutti:
Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno
[...]
Ali hanno late, e colli e visi umani,
piè con artigli, e pennuto 'l gran ventre;
fanno lamenti in su gli alberi strani.
(Divina Commedia, Inferno, XIII, vv. 10 e 13-15)
*Arpia, persona malevola, avara, bisbetica.
Dea lunare, della caccia, sorella di Apollo. Si racconta che nacque prima di Apollo, e aiutò la madre Occulta a partorire il fratello. Dea della caccia, vive nei boschi e nessun essere umano può violare con lo sguardo o col desiderio lei e le ninfe del suo corteo. Quando Atteone la vide, Artemide si bagnava e le sue ninfe si strinsero intorno a lei per nasconderla, e siccome la dea non aveva a portata di mano l'arco e le frecce, che aveva posato sulla riva:
Tolse dell'acqua che aveva e spruzzò d'Atteone la facciaSi racconta che le sue frecce provocassero i dolori del parto, culmine del dolore fisico umano, e soglia attraverso la quale viene alla luce ogni creatura. Rappresentando il mistero femminile, inaccessibile allo sguardo e al dominio patriarcale, Artemide può coincidere con numerose altre divinità, in particolare Hecate, ricca di primitive signorie, e Persefone, sposa di Hades. Le grandi divinità femminili possono scomporsi e comporsi, come nella divinità egizia Iside, dea dai mille nomi, dalle innumerevoli prerogative, il cui culto dall‘Egitto si diffuse in tutto l‘Impero romano. Fra gli appellativi di Maria Vergine alcuni erano già di Iside.
Dea della
sapienza, della scienza e delle arti, in primo luogo
quelle femminili, filatura, tessitura, ricamo. Il colore
dei suoi occhi corrisponde al colore chiaro degli occhi
della civetta, animale che le era sacro, perché come la
civetta vede nella notte, quando gli animali diurni sono
immersi nel sonno, lo sguardo di Athena penetra le
tenebre con la limpida ragione. È sempre al fianco di
Ulisse, eroe della ragione e dell'astuzia.
La città di Atene prese il suo nome perché i cittadini
promisero di consacrarla al dio che avesse fatto agli
uomini il dono più prezioso: Poseidon donò il cavallo,
Athena l'ulivo, col quale vinse. L'ulivo è
dall'antichità la pianta più preziosa per i popoli
mediterranei, che ne usavano l'olio per condire, per
conservare, e come cosmetico e unguento. Si ungevano di
olio d'oliva gli atleti prima di gareggiare, e gli eroi
stanchi facevano un bagno di olio per ritrovare le
forze. A Troia era custodito il Palladio, una statua
lignea di Athena alla quale era attribuita un'origine
divina, e finché questa statua fosse stata custodita
nella rocca di Troia la città sarebbe stata
inespugnabile. In un'incursione notturna Ulisse e
Diomede riuscirono a rubarla, nonostante ne fossero
state fatte molte copie, esposte ben in vista per
ingannare i ladri. Un altro mito racconta che il vero
Palladio era rimasto a Troia, ed Enea fuggendo dalla
distruzione della città lo portò in salvo fino
all'Italia. Nella antica Roma era custodita questa
statua, e ne erano state fatte molte copie per ingannare
i ladri. Oltre a Roma erano molte le città antiche che
vantavano il possesso della statua lignea di Pallade
Athena, a garanzia della loro indistruttibilità. Athena
era dea anche delle arti femminili, ricamo e tessitura,
ed è opera sua il velo che drappeggia nella Teogonia dal
capo di Pandora. La signoria di Athena sul ricamo, la
tessitura, la moda, potremmo dire, non è in
contraddizione con la sua signoria sulle battaglie e
sull'intelligenza. Quando
Aracne, la più grande tessitrice del mondo, sfidò
la dea nel ricamo, venne colpita dall'ira della dea, che
la trasformò in ragno.
Nella divisione di ruoli del patriarcato, in particolare in quella borghese, dell'Ottocento e del secolo appena trascorso, si sono considerate le arti femminili come passatempi per menti deboli, inferiori. L'arte di fornire gli abiti provvede le persone di identità culturale, sociale, dalle pelli intrecciate ai tessuti d'arredamento, dai pepli ricamati e drappeggiati intorno al corpo all'alta moda contemporanea: l'identità è legata all'arte femminile. Athena, come figura del femminile che può cooperare con divinità maschili o esseri umani, senza però lasciarsi mai sottomettere e possedere, sempre inviolata, vergine come Artemide, rappresenta una potenza della realtà psichica che rappresenta il lavoro incessante del pensiero, la cui forza è legata alla capacità ricettiva e feconda del femminile. La signoria nella guerra, per il quale Athena ha l'epiteto di grande predatrice, è sottilmente connessa con la potenza del pensiero. Scrive il matematico René Thom:
[L]o stato di veglia, sia nell'animale che nell'uomo, è uno stato di predazione virtuale continuata. Scorto un oggetto, esso diventa preda virtuale [...] Percipere, in senso etimologico, è captare continuamente l'oggetto nella sua totalità. (René Thom, Stabilità strutturale e morfogenesi. Saggio di una teoria generale dei modelli. Trad. di Antonio Pedrini. Einaudi, Torino 1980).
Come
pulsione epistemofilica, spinta alla conoscenza, in
psicoanalisi si riconosce una trasformazione della
pulsione per la quale il bambino vorrebbe impadronirsi
del corpo materno, percepito come onnipotente,
fallico, e di tutti i suoi contenuti germinali. Le
battaglie nelle quali Athena non ha rivali
rappresentano una massima espressione della predazione
essere umano, come la caccia, di cui è signora
Artemide. Captare, percepire,
concetti e cose, appropriarsene e dominarle: questo
lega nella predazione il dominio della guerra e quello
della conoscenza, letterale il primo, sublimato il
secondo. Riguardo poi alle arti femminili, si rifletta
su quanti verbi relativi all'attività mentale di
riflessione ed elaborazione sono tratti dai gesti
della filatura, della tessitura e del ricamo: tirare
le fila di un discorso, perdere il filo,
trama di un racconto, tramare un
inganno, ordire una congiura, ricamare
su un fatto, per dipingerlo secondo il proprio
desiderio; una situazione politica o un discorso sfilacciati,
e così via, fino al punto di capitone,
che trapunta un insieme di strati, ripreso da Jacques
Lacan.
*Ateneo, università, luogo deputato alla cura delle arti e delle scienze, signoria di Athena; Atene, capitale della Grecia. Aracnidi, ragni, da Aracne.
Quando andò a
cercare le mele d'oro delle Hesperidi, Heracles aiutò
Atlante tenendo al suo posto il globo terrestre, ma
quando si accorse che Atlante voleva farglielo tenere
per sempre lo pregò di riprenderlo per un momento, con
la scusa di per fargli cambiare posizione e sostenerlo
meglio. Appena Atlante lo prese Heracles se ne andò e lo
lasciò lì per sempre . Nel mito di Perseo,
Atlante, guardiano del giardino delle Esperidi, subisce
la metamorfosi in monte.
* Atlante, raccolta di carte geografiche per consultazione o studio, dal titolo dato alla sua raccolta dal cartografo fiammingo A. Mercatore, che aveva in copertina la figura del dio Atlante.
Con le sorelle Clothos e Làchesis decide il destino degli esseri umani, e la sua funzione è quella di tagliare il filo, decretando la morte. Il significato del nome è tagliatrice, e il suo nome è apparentato all'ebraico tarap, che significa tagliare. Il significato potrebbe anche essere inflessibile, dal greco a-trepo. Col suo taglio il filo cessa di flettersi e avvolgersi, la morte è il suo gesto inflessibile.
Ha rosee dita,
con le quali apre il giorno alla luce.
Essendosi innamorata del mortale Titone, gli offrì un
dono, e Titone chiese di essere liberato dalla morte,
dimenticando di chiedere insieme l'eterna giovinezza.
Titone immortale diventò così vecchio che Aurora doveva
nutrirlo e fasciarlo come un neonato, e non provando più
piacere nella vita Titone la supplicò di lasciare che
finisse: si racconta che allora la dea lo trasformò in
cicala, oppure nella lieve aria del primo mattino.
Quando morirono i figli che aveva avuto da lui, il
pianto di Aurora divenne rugiada, e da allora torna a
bagnare la terra ogni mattina.
L'unione fra opposti rappresentata dal legame tra Aurora, luce chiara di ogni nuovo mattino, e il più vecchio dei vecchi mitici, ricorda che la condizione essere umano è tale che il dono divino non ne elimina mai l'imperfezione e la morte.
B
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Cetacei, mammiferi marini, come le balene.
Il suo nome significa uccisore di Belleros, forse suo fratello. Una regina, innamorata da lui e respinta, lo accusò di averla violentata, e il re per farlo morire lo mandò a combattere contro la Chimera, considerata invincibile. Athena mostrò in sogno a Bellerofonte come poteva con un freno domare il cavallo alato Pegaso, e così l'eroe riuscì nell'impresa. Un mito racconta che Bellerofonte morì quando il cavallo alato Pegaso, alzandosi fino al cielo, fu morso da un tafano e precipitò, mentre Pegaso fu assunto in cielo come figura di stelle: la costellazione Borèale a nord dei Pesci e dell'Acquario.
Nell'Odissea
abita in una grotta marina ed è chiamato come Nereo,
Vecchio del Mare.
Sulla discendenza di Bianco (Forco o Forci) e Balena
(Ceto) scrive Jean-Pierre Vernant:
Le Gorgoni appartengono alla discendenza di Forco e di Ceto [Bianco e Balena], il cui nome evoca al tempo stesso una enormità mostruosa e, nel più profondo del mare o della terra, cavernose voragini. In effetti, tutti i figli della coppia hanno in comune, accanto alla mostruosità, il fatto di abitare "lontano da dio e dagli uomini", nelle regioni sotterranee, al di là dell'Oceano, alle frontiere della Notte, spesso per svolgervi il ruolo di guardiani, addirittura di spauracchi, che sbarrano l'accesso a luoghi proibiti. Nati dall'unione fra Ponto e Gea, Forco e Ceto generano prima le Graìe, le vergini canute dalla nascita, che uniscono in sé il giovane e il vecchio, la freschezza della bellezza e le rughe di una pelle paragonabile a quella pellicola ruvida che si forma sulla superficie del latte raffreddato e che ha per l'appunto il loro nome: graus, pelle rugosa.
La prima delle Graie esiodee si chiama Pemphredo, pemphredon è una sorta di vespa che scava cavità sotterranee. La seconda si chiama Enyo, nome che evoca la signora dei combattimenti e il violento grido di guerra, l'invocazione squillante (alalè) che si alza in onore di Enialio. Sorelle delle Graie, le tre Gorgoni, che uniscono nel loro gruppo il mortale e l'immortale, abitano al di là delle frontiere del mondo, dalla parte della Notte, nel paese delle Esperidi dalla voce sonora. (J.-P. Vernant, La morte negli occhi, p. 58; vedi Bibliografia nel sito)
Nell'Iliade si racconta che il ricchissimo re Erittonio aveva tremila cavalle, e delle più belle si innamorò Boreas:
... E giacque con loro, sembrando un cavallo criniera azzurra;
esse rimasero pregne, e fecero dodici puledre.
Queste, quando saltavano per la pianura dono di biade,
correvano sopra la cima delle spighe e non la rompevano;
e quando saltavano sul dorso largo del mare,
correvano sopra la cima dell'onde del mare canuto.
(Iliade, XX, vv. 224-229)
Nella tradizione narrativa è ricorrente il motivo del vento che feconda le cavalle, generando puledri meravigliosi.
BRIAREO
(OBRIAREO) v. FORZOSO
Styx Brivido è
la figlia primogenita di Oceano, rappresenta quindi una
parte dell'elemento primordiale, mobile, insidioso,
ricco, la sua decima parte, che col nome di Styx corre
sotterranea e sgorga da una roccia. È la parte della
fluida sensibilità primordiale, arcaica, che non si
scalda col sole, che non è visibile sulla terra: può
significare la spinta della realtà psichica che sempre
sfugge al controllo della coscienza.
Zeus parte dall'accordo con lei per vincere la guerra
che gli consentirà di dominare sugli dei e sugli uomini,
ovvero sul mondo. Il giuramento Orcos, in nome delle
acque di Brivido, è il limite alla parola degli
immortali e dei mortali, che Zeus istituisce.
Riguardo al giuramento Orcos, Iride rabbrividisce quando
va ad attingere l'acqua di Brivido, tanto è lontana la
sua leggerezza variopinta dal gelo sotterraneo
dell'oceanina.
Infrangere
l'Orcos giuramento significa sottovalutare la potenza
di Styx, riconosciuta da Zeus: quando la sua amante
Semele si fa giurare che esaudirà qualunque suo
desiderio, Zeus deve farlo, anche se mostrarsi a lei
nella sua potenza divina la incenerisce. Brivido, col
giuramento Orcos e i Gelidi figli, può rappresentare
la una spinta inconscia che si lega al desiderio di
potere del soggetto, e al dominio di una cultura:
qualcosa che ha origine sotterranea, oscura, contigua
alla morte, orribile anche per gli immortali, come la
dimora di Brivido.
Sottovalutare questa potenza, con la quale il
sovrano deve venire a patti, ovvero spergiurare, ha
effetti tragici per gli esseri umani, e sottopone gli
dei a una punizione durissima. Con il brivido
sotterraneo dell'inconscio, secco come il nome Styx,
molto vicino alle pulsioni distruttive, a quanto in
psicoanalisi si nomina come Thanatos,
occorre venire a patti, lasciandogli un dominio
limitato ma sacro, intoccabile, il più possibile
lontano dal calore in cui prospera la vita. La parola
greca Orcos, giuramento sacro, in
latino assunse il significato di Inferi, e nelle fiabe
designa il mostro divorante. I tesori sono sottoterra
come sono custoditi dall'Orcos.
* Stigio, infernale, scuro, cupo.
C
|
Un mito
racconta che Cadmo era un principe fenicio, e partì alla
ricerca di Europa sua sorella, che era stata rapita da
Zeus. Dopo tanto tempo si fermò in Grecia, dove, come
gli aveva consigliato un oracolo, seguì una giovenca e
dove l'animale si fermò gettò le fondamenta di una
città. Per ringraziare gli dei mandò i suoi compagni a
cercare acqua per offrire la giovenca in sacrificio ad Athena,
ma un dragone li divorò tutti.
Cadmo affrontò il drago e lo uccise, e su indicazione di
Athena
ne seminò i denti: dalla terra nacquero uomini armati,
contro i quali Cadmo scagliò una pietra. Gli armati
cominciarono a combattersi fra loro e si uccisero tutti
tranne cinque, che aiutarono Cadmo a costruire la città
di Tebe. I fenici avevano inventato l'alfabeto, e Cadmo,
che lo portò in Grecia, fu considerato l'inventore della
scrittura. Alle sue nozze felici con Armonia, figlia di
Afrodite e Ares, intervennero gli dei, ma l'invidia di
Hera provocò disgrazie nella sua famiglia, fino alla
tragedia di Edipo e della sua discendenza. Ormai vecchi,
Cadmo e Armonia si ritirarono in un luogo deserto, dove
Cadmo, ricordando il drago serpente che aveva ucciso
prima della fondazione di Tebe, pensò che fosse sacro, e
chiese agli dei, che lo esaudirono, di trasformare in
serpenti lui e la sua sposa.
Vedi un'immagine contempooranea del fiume
in Turchia, nome attuale Bakïrcay: https://en.wikipedia.org/wiki/Bak%C4%B1r%C3%A7ay.
Dal verbo
greco calypto, avvolgo,
nascondo, il nome della dea significa coperta, nascosta.
Dea signora dell'isola Ogigia, nello Ionio, accolse
Ulisse naufrago quando ormai aveva perduto tutti i
compagni e tutte le navi, si prese cura di lui e gli
offrì l'immortalità e l'eterna giovinezza, se avesse
voluto restare con lei per sempre.
Nonostante l'amore della bellissima dea, Ulisse passava
i giorni sulla riva del mare guardando verso
l'orizzonte, per la nostalgia di Itaca.
Quando, passati sette anni, gli dei ordinarono a Calipso
di lasciarlo partire, la ninfa gli chiese come potesse
rifiutare la sua offerta, e Ulisse rispose:
(Odissea 1, V, vv. 215-227)
*Eucalipto, ben nascosto, perché nei fiori di queste piante gli stami sono ben coperti dai petali.
Il suo nome significa bella voce, dal greco kalòs, bello e òps, fra le Muse era signora e ispiratrice del canto e della poesia sublime. Si racconta che con Apollo generò Orfeo, e con Acheloo le Sirene. Le nove principesse figlie di Piero avevano splendide voci, e sfidarono le Muse nel canto. Per tutte loro cantò la sublime:
Sorse Calliope e stretti con l'edera i crini disciolti
tastò col pollice come per prova le corde canore;
poscia, toccandole, il canto congiunse col suon della cetra.
(Metamorfosi, V, vv. 338-340)
Athena aggiudicò la vittoria alle Muse e le nove pieridi furono trasformate in gazze. Ogni volta che i mortali sfidano gli dei perdono, insieme alla sfida, la loro stessa umanità: per quanto gli uomini o le donne siano dotati di una grande arte, la loro fragilità essere umano, che è il senso della loro vita, si perde credendosi superiore alla perfezione degli immortali.
Secondo un
altro mito erano tre, ed erano le guardiane delle
Gorgoni: avevano un solo occhio e un solo dente, e se li
passavano a turno quando volevano vedere o mangiare. Si
mettevano l'occhio sulla fronte, e quando non serviva a
nessuna delle tre lo custodivano in un cassetto. Il
dente era più grande di una zanna di cinghiale, e quando
Perseo andò a tagliare la testa di Medusa, rubò loro
l'occhio e il dente, rendendoglielo solo quando le
Canute gli indicarono la dimora delle Gorgoni.
Il senso di queste due o tre sorelle potrebbe essere quello di un femminile immobile nel tempo, avendo fin dalla nascita un carattere delle vecchiaia, i capelli bianchi, ed essendo sdentate, come i neonati e i vecchi. L'eroe che sottrae il loro occhio ottiene che indichino la giusta via per la sua impresa: dal limite nella vista delle Canute deriva a Perseo la visione del cammino.
Mentre in
Esiodo il Caos precede Terra, Inferno ed Eros, ma genera
solo Notte e Buio.
Nella tradizione Caos rappresenta ciò che, esistendo prima dei tempi e delle forme, comprende, in un ammasso confuso, tutte le forme che in seguito a un processo di creazione emergeranno, illuminandosi, venendo all'esistenza, nella quale noi possiamo percepirli e conoscerli. Gli orfici raccontano che dal Caos emerse per primo Fanes, Luce accesa, forma originaria dalla quale tutte le altre forme traggono origine. Il Caos significa la dimensione della realtà psichica nella quale nulla è distinguibile e conoscibile, anche se vi sono in potenza tutte le forme possibili. Per questo Notte e Buio, che nascondono e velano tutte le forme, nascono dal Caos.
Prima che fossero il mare e la terra e la vòlta del cielo
uno era solo l'aspetto dell'orbe, che dissero Caos,
mole confusa ed informe e non altro che immobile peso,
massa di germi discordi di cose tra sé raccozzate. (Metamorfosi, I, vv. 5-9)
Privo di rappresentazioni nella natura, il Caos ha obbligato i pittori a lasciar libera la loro immaginazione:
* La parola greca càos significa abisso splancato, apertura o spazio incommensurabili. Caotico; teorie del caos, matematica del caos. (Caos è l'anagramma di caso).
CAVALLO (gr. Ippo) fonte nella
quale si bagnano le Muse, 6.
Nella Grecia contemporanea è la fonte Ippocrene, sul monte Elicona.
* Dalla parola greca, ippica.
Si racconta
che Aurora, innamorata di lui, fece di tutto per
sedurrre il bellissimo Cefalo, ma inutilmente, perché
egli amava solo la sua sposa Procri. Allora gli dei
resero tanto gelosi uno dell'altro i due sposi, che alla
fine Cefalo provocò involontariamente la morte di
Procri.
Cottos, Forzoso e Membruto, giganti con cento mani e cinquanta teste, imprigionati dal padre Cielo in seno alla madre Terra insieme ai tre Ciclopi, vi restarono fino a quando Zeus, su consiglio della Terra e del Cielo, li liberò, perché lo aiutassero nella guerra contro i Titani, ristorandoli con nettare e ambrosia. Le trecento enormi pietre che lanciavano tutti contemporaneamente seppellirono i Titani, dando la vittoria agli Olimpici.
È un mostro cannibale, con cinquanta teste che latrano con forza orrenda. Accanto ai morti veniva sepolta una focaccia di miele, un'offa, da gettare in pasto a Cerbero per placarlo all'entrata nell'aldilà: si racconta che il cane è ferocissimo anche con chi da vivo, come Dante o Enea, vuole entrare nel regno dei morti. Solo Orfeo, arrivato alla soglia del regno dei morti per ritrovare la sua sposa Euridice, lo ammansì e lo addormentò, riuscendo così a entrare. Quando Heracles scese agli Inferi per liberare Alcesti, Cerbero si spaventò di fronte alla sua forza e fuggì a nascondersi sotto il trono di Hades, da dove lo stanò l'eroe per trascinarlo sulla terra, in Tessaglia. Cerbero schiumava di rabbia e sparse il suo veleno sulle piante di quella regione greca, che divennnero velenose e insieme ricche di virtù magiche. In greco la parola farmacon significava sia farmaco, medicina, che veleno. Dante lo incontra all'Inferno, nel cerchio dei golosi:
Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.
(Divina Commedia, III, VI, 13-15)
* Cerbero, persona truce e troppo severa, anche non efficacemente; dar l'offa al Cerbero, placare con astuzia, accontentando in qualche modo, chi altrimenti impedirebbe un percorso.
Una testa è di
leone con gli occhi di fuoco, una di capra e una di
drago serpente, come le parti del corpo. Chimera soffia
fuoco come i draghi delle fiabe e delle mitologie,
partecipando, come i vulcani, della potenza indomita che
la terra tiene nel suo seno. Venne sconfitta da
Bellerofonte che montava Pegaso, il cavallo alato.
Fu
generato da Cronos - secondo un altro mito, da Poseidon
- che, avendo assunto forma di cavallo, si congiunse con
Filira, figlia dell'Oceano. Aveva il corpo umano fino
alla cintura e di cavallo dalla cintura in giù.
Conoscitore dei poteri della natura, in particolare
delle piante, fu grandissimo maestro di eroi e semidei,
come di Esculapio, dio della medicina, di Achille,
Ulisse, Enea, Teseo, Ippolito, Diomede, Castore e
Polluce, ecc. Durante la battaglia fra Heracles e i
centauri, questi si rifugiarono dal suo maestro Chirone,
ma Heracles non smise di inseguirli e con una freccia,
bagnata nel sangue dell'Hydra di Lerna, ferì Chirone a
un ginocchio.
Heracles disperato cercò di curarlo con un rimedio che
aveva appreso da lui, ma non potè far nulla. Chirone
chiese aiuto a Zeus, che lo liberò dal dolore con uno
dei suoi fulmini e lo assunse in cielo, trasformandolo
nella costellazione del Sagittario.
Il centauro Chirone, che unisce e armonizza natura
divina e essere umano e animale, rappresenta una potenza
che ha accesso a una molteplicità di sensi inaccessibile
all'essere solo umano e all'essere solo divino: per
questo è maestro di tanti eroi.
* Il nome Chirone deriva dal greco cheir, mano: Chirone possedeva in grado massimo l'arte della chirurgia, lavorazione, operazione con la mano. Chiromanzia, arte di indovinare basata sulle linee del palmo della mano; chiropratica, medicina empirica basata sugli influssi positivi che emanerebbero dalle mani del curatore.
CIANOCAITES,
vedi CHIOMATURCHINA
... Nulla,La sera dopo gli offre un otre di vino fortissimo, frutto di una civiltà che i ciclopi ignorano, e Polifemo lo tracanna senza limiti. Poi chiede il suo nome a Ulisse, promettendogli un dono:
spietato in cuore, il mostro mi rispose,
ma d'un balzo allungò sui miei le mani
e due ne prese a un tempo e li sbatteva
come cuccioli al suolo; le cervella
sparse qua e là bagnavano il terreno.
Li fece a brani, e s'imbandì la cena;
mangiò come un leone di montagna
voracemente, i visceri e le carni
tenere, le ossa e tutte le midolla.
(Odissea 1, IX, vv. 287-293).
- Ciclope, mi chiedi il mio nome glorioso; io
te lo rivelerò, ma tu dammi il dono ospitale che mi hai promesso.
Nessuno è il mio nome; padre e madre
e tutti gli altri compagni mi chiamano Nessuno.
Così dissi: ed egli mi rispose con animo spietato:
- Per ultimo, dopo i suoi compagni, io mangerò Nessuno,
e tutti gli altri prima; questo sarà il mio dono ospitale.
Disse; e piegatosi all’indietro, cadde supino,
e giacque, piegando di lato il collo massiccio; e il sonno
che tutto doma lo vinse. Dalla gola gli uscivano vino
e pezzi di carne umana; e ruttava, del tutto ubriaco.
(Ivi, 345-374)
Quando apparve mattiniera Aurora dalle rosee dita,
allora egli spinse gli arieti al pascolo,
mentre le femmine belavano presso i recinti, non munte
e le mammelle erano gonfie da scoppiare.
Il padrone, dilaniato da atroci dolori, tastava il dorso
di tutte le pecore che stavano in piedi; e non capì,
lo sciocco, che essi erano legati al ventre delle pecore lanose.
Per ultimo uscì dalla porta il maschio del gregge,
appesantito dal suo vello e da me, uomo dalla mente sottile.
E il fortissimo Polifemo, palpandolo, gli diceva:
«Mio caro ariete, perché mai mi esci così dalla grotta,
ultimo del gregge? Un tempo non restavi mai indietro alle pecore,
ma prima di tutti pascevi il tenero fiore dell’erba,
con grandi balzi, e per primo arrivavi alle correnti dei fiumi,
per primo, alla sera, eri impaziente di tornare all’ovile:
ora, invece, sei proprio l’ultimo. Forse rimpiangi
l’occhio del tuo padrone, che un vile accecò, insieme ai suoi
maledetti compagni, dopo avermi ottenebrato la mente con il vino,
Nessuno, che credo non sia ancora sfuggito alla morte.
Oh, se tu potessi capire e se ti fosse concesso il dono
della parola, per dirmi dove costui si nasconde
dalla mia rabbia! Allora lo sbatterei a terra, e il suo cervello
schizzerebbe qua e là per la caverna; e il mio cuore avrebbe
sollievo dalle sofferenze che questo Nessuno da nulla mi ha inflitto».
E dopo aver detto così, spingeva l’ariete fuori dell’apertura.
Arrivati un po’ lontano alla caverna e dal recinto,
io per primo mi sciolsi dall’ariete e sciolsi anche i compagni.
(Ivi, 437-463)
Quando Ulisse è ormai sulla nave,
non resiste al desiderio di schernire il gigante primitivo e
crudele, svelandogli la sua vera identità. Allora Polifemo
ricorda che un indovino gli aveva predetto che
Ulisse gli
avrebbe tolto la vista, ma non immaginava che potesse essere
lui:
Per vendicare il figlio Polifemo, Poseidon scatena tutta la sua potenza contro Ulisse, ma alla fine non può impedire il suo ritorno. Quando i Feaci lo accompagnano a Itaca Poseidon li punisce privandoli per sempre della virtù magica che permetteva loro di navigare guidando la nave con la potenza della mente, senza sbagliare direzione, senza fatica, in assoluta sicurezza.- Però sempre io mi aspettavo
che qui arrivasse un uomo grande e bello,
vestito di gran forza; e invece un tale
piccolo, debole e da nulla, l'occhio
mi tolse e il senno mi domò col vino.
(Ivi, 515-516)
L'uomo da
nulla. piccolo e debole, Ulisse, rappresenta il
valore della condizione umano, che grazie alla
cultura, alla civiltà, può vincere la forza bruta del
gigante, come la violenza delle pulsioni più
primitive. È un duello che innumerevoli volte si
rappresenta nelle fiabe, come nel Gatto con gli
stivali di Perrault, che sconfigge l'orco cannibale
esaltando la sua potenza,, o nella storia delle Mille
e una notte in cui un povero pescatore vince
un demone potentissimo, così alto che il suo capo
sfiora le nuvole, esaltando l'onnipotenza del demone.
* Mura ciclopiche, costruite con grandi massi.
Primo sovrano
del mondo, Cielo chiude i figli che ha generato nel seno
della Terra, sua madre e sposa, tutti quelli che ha
generato. Altri raccontano che teneva prigionieri solo i
tre giganti Centimani, Forzoso, Cottos e Membruto, e i
tre ciclopi, Tuono, Folgore e Lampo, terribili e
tracotanti. Con la prima divinità maschile generatrice
comincia la lotta per il mantenimento del massimo potere
nel mondo divino e umano: la sua oppressione dei figli
viene definita dalla Terra sposa e madre la prima azione
cattiva. Sembra significare che la cattiveria originaria
riguarda il potere, per mantenere il quale il genitore
impedisce ai suoi propri figli di nascere, chiudendoli
nella matrice della Terra. Al genitore che usa la
propria violenza contro i figli, risponde la prima
azione violenta dei figli, istigati dalla madre, che non
tollera l'imposizione dello sposo. Cronos conquista il
potere come figlio castrando il padre Cronos, e come
genitore sovrano lo mantiene divorando i suoi figli
appena Fluente li partorisce. La castrazione significa
la privazione del potere illimitato, esercitata da
qualcuno più potente. L'incorporazione dei figli
rappresenta l'esercizio di un potere illimitato nei loro
confronti: i figli sono per Cronos parte di sé:
incorporandoli impedisce loro una vita propria, li
costringe a vivere come una parte di se stesso. Il
figlio Zeus non viene divorato per la ribellione della
madre Fluente, alleata con i suoi genitori Cielo e
Terra: la generazione spodestata desidera che venga
cacciato il nuovo sovrano. Zeus come figlio domina il
padre e lo costringe a vomitare tutti i suoi fratelli
olimpici. Ma come sovrano Zeus divora a sua volta Metis,
che è destinata a generare un figlio detronizzatore,
cioè più forte e intelligente del padre, come lui era
destianto a detronizzare Cronos, come Cronos doveva
detronizzare Cielo. Costringendola a sposare un mortale,
impedisce che il destino della nereide Thetis, di
generare un figlio superiore al padre, implichi la sua
perdita del potere sovrano. Si racconta che Prometeo era
il solo a conoscere il destino della sovranità di Zeus,
e che Zeus lo liberò dalle catene che lo tenevano negli
Inferi, dove l'aquila gli divorava il fegato ogni
giorno, per conoscere questo segreto. Insieme alla
feroce lotta tra figli e padri per il trono, che forma
da sempre la trama di tante tragedie e tanti romanzi,
oltre ad essere presente nella storia di ogni essere
umano, nella Teogonia sono presentate le alleanze fra
generazioni - i giganti Centimani sepolti da Cielo
vengono liberati da Zeus perché combattano contro i loro
stessi fratelli che li avevano lasciati sottoterra - e
fra divinità femminili e maschili. Abbiamo visto come la
Terra, madre e sposa di Cielo, inciti il figlio Cronos a
castrare il padre, e come successivamente insegni a
Fluente come salvare il figlio Zeus contro Cronos. A
Zeus Terra e Cielo consigliano di liberare i giganti per
vincere contro i Titani, ma quando finalmente la guerra
è finita e si è insediato il potere di Zeus, Terra si
unisce con un'altra divinità orginaria, Inferno, e mette
al mondo il figlio più terrificante, Tifeo, che potrebbe
in un giorno solo detronizzare gli Olimpici e regnare al
loro posto. Il gemito della Terra quando Tifeo viene
sepolto per sempre nel suo seno, precipitato da Zeus
dalle parti del monte Etna, resta perturbante come le
eruzioni vulcaniche e gli uragani, che dal suo nome si
chiamano tifoni. Il senso di questa rappresentazione
sembra dirci che nessuno è estraneo alla lotta per il
potere, che scuote perfino il Caos.
Con mutevoli alleanze, ogni generazione combatte l'altra
e i maschi e le femmine agiscono per mantenere o
conquistare il massimo potere possibile gli uni contro
gli altri, come in alleanza gli uni con gli altri. In
fondo la Teogonia può essere intesa come Nascita,
Origine, degli dei, in quanto origine e avvicendamento
attraverso la lotta per il dominio. Il pianeta Urano
prende il nome dalla divinità originata da Terra, e la
parola greca urànos significa cielo. Il cielo in quanto
datore di piogge può riguardare l'atto di urinare,
bagnare la terra facendo piovere dall'alto: urànos,
cielo, avrebbe delle connessioni con con urèo, orino
(Semerano). Un proverbio toscano recita: Cielo rosso, o piscia o
soffia. Nelle fantasie infantili l'orina è
fecondante, non distinta dallo sperma, come la pioggia
che bagna e feconda la terra. Così lo invocavano gli
orfici:
*Urano, pianeta del sistema solare; uraniche, divinità riferite al Cielo.
Come Medea, figlia del suo fratello Aiete, è una delle grandissime maghe del mito, e sono sue parenti tutte le fate e le maghe della fiaba e della leggenda. Oltre che alla magia è dedita ai lavori femminili. Anche le Fate Nere filano e tagliano il filo della vita dei mortali, mentre Athena è dea dell'intelligenza e della forza aggressiva che si esprime nella guerra, culmine della lotta per il potere, e insieme delle arti femminili. Circe si dedica a queste arti nel suo palazzo meraviglioso, dove i compagni di Ulisse vedono animali feroci che si avvicinano a loro:
... E come, dimenando
la coda, i cani attorniano il padrone
che si leva da mensa, e sempre porta
qualche ghiotta leccòrnia: così i lupi
d'unghia forte i leoni dimenavano
la coda intorno a loro che, alla vista
di quei mostri tremavano atterriti.
Nell'atrio della dea dai bei capelli
stettero, e Circe udirono che dentro
cantava con voce soave; e un'ampia
tela tesseva, splendida, immortale,
come quelle finissime che ordiscono
solo le dee, piene di luce e grazia.
(Odissea 1, X, vv. 216-223).
L'invenzione
del tessuto consente di disporre di un abito fatto ad
arte, tratto da ciò che esiste in natura, le fibre
vegetali, come i vasi sono tratti per l'arte essere
umano dall'argilla.
L'abito tessuto e ricamato, candido o tinto con
i colori che imitano la vegetazione e il cielo, e
l'oro e l'argento che ricordano le luci degli astri,
rappresentano l'identità formale con cui l'uomo può
vestirsi, presentarsi, grazie all'arte della donna
filatrice, tessitrice, ricamatrice. Signora dell'isola
di fronte al promontorio Circeo, in Campania, che
prende da lei il nome, Circe mantiene il suo potere
femminile assoggettando e domando gli uomini, che per
la sua arte magica regrediscono alla forma animale. Ma
quando Ulisse va a cercare i compagni, che non fanno
ritorno alle navi, Hermes gli dà un'erba che
neutralizza la potenza di Circe, e gli insegna a
levare la spada come per ucciderla quando vorrà
colpirlo con la bacchetta magica. Ulisse, che non
sottovaluta mai le superiori potenze degli dei, segue
le indicazioni del dio, e quando Circe lo vede con la
spada alzata, capisce che si tratta dell'eroe greco, e
lo invita a restare con lei fino a che non saranno
riparate le navi. Prima di seguirla nel talamo, Ulisse
le chiede di liberare dall'incantesimo tutti i suoi
compagni, e Circe:
...
la verga in mano tenendo, le porte aprì del porcile
e fuori li spinse, simili a porci grassi di nove
stagioni.
Quelli le stavan davanti, e lei in mezzo a loro
andando, li ungeva a uno a uno con altro farmaco.
E dalle loro membra le setole caddero, nate
dal veleno funesto, che diede loro Circe sovrana:
uomini a un tratto furono, più giovani di com'eran
prima,
e anche molto più belli e più grandi a vedersi.
Mi conobbero essi, e ciascuno mi strinse la mano,
e in tutti, gradita, nacque la voglia di pianto: la casa
terribilmente echeggiava,, la dea stessa provava pietà.
(Ivi, 389-399)
* Circeo, promontorio che ha preso il nome dalla dea, che aveva là la propria dimora.
Si racconta che dalla sua unione con Apollo nacquero divinità splendenti: Fetonte, Faetusa, Lampezia, Lampetusa, da cui il nome dell'isola italiana, Lampedusa.
Ispiratrice e signora della storia, è la prima delle muse; la parola greca clèos, che forma il suo nome, significa celebrazione, fama, annuncio, esaltazione. Clio conferisce gloria e fama a coloro che entrano nella storia, ed è rappresentata come una vergine incoronata d'alloro, con una tromba in una mano e un libro nell'altra, o con una cetra e un plettro. Si racconta che Clio rimproverò ad Afrodite di essere stata debole innamorandosi di Adone, e la dea si vendicò facendola innamorare di Piero, dal quale ebbe Giacinto. Il bellissimo giovane giocava al lancio del disco con Apollo, che una volta lo fece alzare fino alle nuvole. Giacinto corse per raccoglierlo, ma ne fu colpito sul volto, e subito impallidì, colpito a morte. Apollo usò tutte la sua arte medica per curarlo, ma inutilmente, e allora lo trasformò nel fiore che porta ancora il suo nome.
Amata da Apollo, inteso in questo mito come Sole, quando scoprì che il dio si era innamorato della principessa Leucotee, lo disse al padre di lei. Questo re allora imprigionò sua figlia sotterra, e il Sole sparse nettare profumato sulla sepoltura, sulla quale subito nacque la pianta dell'incenso. Sdegnato Apollo non rivolse più vedere Clizia, che non poté far altro che volgere continuamente lo sguardo verso l'amante perduto, finché non si trasformò nel girasole, o eliotropio.
Con le due
sorelle decide il destino degli esseri umani traendo il
filo. Clothos, la filatrice, ha la funzione di chiamare
l'anima alla vita.
* La parola greca clothòs, dal verbo corrispondente che significa girare, torcere, vuol dire filo.
COIOS divinità, titano. Figlio di Terra e Cielo, 222; si congiunge con la sorella Ispirazione e genera Occulta e Stella, 639.
Dalla parola greca che forma il suo nome viene l'italiano zeugma, figura retorica che consiste nella congiunzione di due termini in una sola costruzione, come: parlar e lagrimar vedrai insieme. (Divina Commedia, 1, XXXIII, 9)
Nell'isola di
Creta fiorì una grande civiltà anteriore a quella greca,
fra l'inizio del terzo e la metà del secondo millennio
a.C.
A Creta è si trovava il leggendario labirinto, costruito
dall'architetto Dedalo per ordine del re Minosse, che
voleva imprigionarvi il Minotauro, nato dall'amore tra
la regina Pasife e un toro.
Perché non svelasse il segreto del labirinto, Minosse vi
imprigionò Dedalo col figlio Icaro, e Dedalo fuggì
costruendo per sé e per lui ali di piume e cera.
Inebriato dal volo, Icaro andò in alto e precipitò in
mare quando il sole gli si sciolse la cera delle ali. Creta, isola greca.
* Creta, terra da modelllare.
È il primo essere i cui pensieri,
la cui intelligenza, vengono definiti angolosi,
contorti, complicati, sinuosi: capaci cioè di
comprendere la complessità e le ragioni segrete delle
cose. Dopo di lui la stessa complessità mentale è
attribuita a Prometeo, e a Ulisse. Solo Cronos dà
ascolto senza restare muto e atterrito alla madre
Terra che chiede ai figli di liberarla dal potere
opprimente del padre Cielo. La sua azione di
castrazione è la risposta alla prima azione cattiva,
inventata dal Cielo per non perdere il potere.
Cronos segna la prima battuta, irreversibile
come il tempo che è il suo nome e il suo senso, nel
dramma dell'avvicendamento violento fra generazioni, e
come è figlio che toglie il potere al padre, è padre
che cerca di evitare di essere spodestato dai figli.
Per ciò che significa è quindi il capostipite
dell'eroe tragico per eccellenza, Edipo, nella
tragedia essere umano per eccellenza, quella per
l'esercizio del potere. Inoltre è figlio di un'unione
incestuosa, se ricordiamo che Cielo è figlio della
Terra. Cronos subisce la stessa sorte del padre,
quando viene spodestato da Zeus, avendo ripetuto
un'analoga violenza sui figli: come il padre Cielo
impediva loro di nascere premendoli nel seno della
madre Terra, il padre Cronos li imprigiona divorandoli
alla loro nascita. Come il figlio Cronos ha spodestato
il padre Cielo, il figlio Zeus spodesta il padre
Cronos, prendendogli il potere sugli dei e sugli
uomini; Zeus a sua volta subirebbe lo stesso destino
del padre Cronos e del nonno Cielo, se non divorasse
la dea destinata a generare con lui il suo figlio più
potente. Nei conflitti per il potere del padre sui
figli, la madre si allea con i figli, affinché la
liberino dal potere opprimente del suo sposo, ma
diventa successivamente nemica dei figli quando prendono
stabilmente il potere. La Terra, ad esempio, d'accordo
col Cielo, aiuta Fluente a nascondere Zeus, che
spodesta Cronos, il solo dei suoi figli che le aveva
obbedito; quando poi il nipote Zeus vince contro i
Titani, la Terra genera con l'Inferno il più terribile
dei suoi figli, Tifeo, che avrebbe da solo il potere
di annientare il regno di Zeus. Nel linguaggio
simbolico e narrativo, sia mitico, sia fiabesco, sia
letterario, sia dei sogni notturni, uccidere, evirare,
spodestare, indicano la stessa azione contro il potere
tirannico del padre, come divorare e imprigionare
indicano la stessa azione contro i figli. Ricordiamo
che il primo castratore del proprio padre è
rappresentato con una falce in mano, come la Morte, ma
anche che a Saturno si attribuisce il regno nell'età
dell'oro, una condizione paradisiaca in cui gli esseri
umani non conoscevano né la malattia, né la vecchiaia,
né la morte.
Sempre
fiorente, padre degli dei beati e degli uomini,
dai vari espedienti, incorrotto, di grande forza, prode
Titano,
che tutto esaurisci e al contrario tu stesso accresci,
che hai legami infrangibili nel cosmo infinito,
Cronos generatore assoluto dell'eternità, Cronos dal
vario parlare,
germoglio di Terra e del Cielo stellato,
nascita, crescita, diminuzione, sposo di Rea, augusto
Prometeo,
che abiti in tutte le parti del cosmo, capostipite,
dai disegni tortuosi, ottimo ...
(Inni orfici, 13 profumo di Crono, storace)
Molti secoli dopo, nel Seicento, a Napoli, Basile scrive la fiaba di Cianna che andò verso la dimora del Tempo a cercare un rimedio che potesse far tornare umani i suoi sette fratelli divenuti colombini. Un vecchio prima di morire le descrive la casa:
Il Tempo, sotto lo sguardo di
Cianna che si è nascosta, mangia e rosica tutto, perfino
la calce sui muri di casa sua, ma grazie alla sua
sapienza, Cianna ottiene la liberazione per i suoi
fratelli e per tante altre creature che le hanno
confidato la loro pena, per la quale solo il Tempo
conosce il rimedio. Francisco Goya ha dipinto Cronos che
divora i figli, ma il suo dio Tempo somiglia più a
un'orco fiabesco, è una figura di cannibale che sbrana e
distrugge il figlio che tiene in mano come Mangiafoco
quando mangiava il suo montone. Il dio Cronos di Esiodo
ingurgita i figli in un boccone, senza danneggiarli, e
rappresenta una figura paterna che tollera i figli solo
a patto di includerli in sé, di pensarli come una
propria parte, mantenendoli in vita e impedendo la loro
espansione soggettiva. Il Cronos di Esiodo in questa
azione cattiva somiglia a molti genitori di sempre. Ai
figli tocca, con l'aiuto materno, liberarsi e liberare i
fratelli da questa possessione: quando Zeus costringe il
padre a vomitare i figli, i suoi fratelli e le sue
sorelle escono perfetti dal seno del padre, mentre il
figlio dipinto da Goya, già decapitato e mutilato dalle
fauci paterne, non potrà mai uscire con un emetico.
* Cronometro, misuratore del tempo; cronologia, ordine di eventi nel tempo.
D
|
Vedi un'immagine attuale del fiume in Ungheria: https://it.wikipedia.org/wiki/Danubio#/media/File:Danube_at_Budapest,_Margit_Bridge.jpg, ultimo accesso: 16/01/2020.
Le grandi dee, o semplicemente le dee: così venivano chiamate dai greci Demetra e Persefone, alle quali erano dedicati i misteri eleusini, diffusi nel mondo antico, analoghi al Cristianesimo per la fede nella vita eterna. Nel mito di Demetra e Persefone si racconta della morte che entra fra le dee, fino a quel punto felici sulla terra sempre ricca di fiori e di frutti, sotto la forma di Hades, dio dell'Inferno, che emergeva dal suo regno sotterraneo con un carro tirato da cavalli neri per rapire la figlia, che i latini chiamavano Proserpina, mentre spensierata con le sue compagne raccoglie gigli e viole:
Dite la vede e, vedendola, infiamma d'amore e la ruba.
Tanto fu rapido amore! Proserpina chiama sgomenta
con voce mesta la madre e le amiche, e più spesso la madre,
e, poiché aveva squarciato dell'orlo dell'abito un lembo,
giù dalla tunica rotta le caddero i fiori raccolti.
In quell‘età puerile che semplicità di fanciulla:
anche il cadere dei fiori toccò della vergine il cuore!
Il rapitore sul carro sospinge i cavalli e per nome
chiama ciascuno, scotendo sul collo crinito le briglie
tinte di ruggine nera e discorre per laghi profondi
e dei Palìci pei stagni odorosi di zolfo, bollenti
entro la terra squarciata...
(Ovidio, Metamorfosi, V, 395-406)
Non trovando più Persefone, e non sapendo dove fosse, e chi l'avesse presa, Demetra vagava come impazzita per tutta la terra cercando la figlia adorata, e vietò alla terra di dare frutti, al punto che gli uomini rischiavano di morire di fame. La separazione aveva trasformato la nutrice in una furia che condannava a morte il genere umano. Cercando soccorso da Zeus, Demetra che ormai sa che Hades le ha rapito Persefone, lo accusa di essere un criminale rapitore, ma Zeus le parla così:
La figlia ci è
pegno e ci è peso comune;
ma se
si vuole chiamare la cosa col suo vero nome,
non è quel furto un'ingiuria, ma segno verace d'amore...
(Ivi, p. 523-526).
*In greco hìmeros significa desiderio appassionato, vagheggiamento, e può essere considerato corrispondente al latino amor, amore. Analoga è la parola accadica amaru, che significa vagheggiare, conoscere, accoppiare, e ad amertu, che significa sguardo.
Un mito racconta che dalla sua unione con Zeus nacque Afrodite Dionea, terrestre, distinta dall'Afrodite Celeste, di cui parla la Teogonia, nata dal fallo di Cielo. Nell'Iliade Dione è la madre di Afrodite, e accoglie la figlia colpita in una battaglia sotto le mura di Troia:
- Il figlio di Tideo mi colpì, il violento Diomede,
perché fuor dalla mischia portavo in salvo il mio figlio
Enea, che più di tutto quanto m'è caro.
[..]
Allora le rispose Dione, la dea luminosa:
- Creatura mia, sopporta, subisci, per quanto afflitta.
(Iliade, V, vv. 376-378 e 381-382)
Nel Simposio di Platone si legge di come Afrodite Celeste, dea dell'unione spirituale, nata senza unione carnale dal fallo del Cielo, sia superiore ad Afrodite Dionea, signora della passione che spinge all'unione fisica.
Quando la madre mortale Semele fu incenerita dalla vista della potenza divina di Zeus, il padre riuscì a salvarlo e se lo cucì in una coscia, dove lo tenne sino al termine della gestazione. Appena nato Dionisos scese agli Inferi, liberò sua madre e la portò in cielo, ottenendo che Zeus la rendesse immortale. Dio del vino, dell'ebbrezza e dell'estasi, dalle sue feste orgiastiche e dai suoi riti una tradizione fa nascere la tragedia. Si racconta che dei pirati tirreni lo videro addormentato
[L]ungo il lido del mare infruttuoso
sulla costa sporgente a giovane uomo simile
pubere: belle si agitavano le chiome
scure, un manto intorno alle robuste aveva spalle
purpureo...
(Inno omerico a Dionisos, vv. 2-6)
Pensando che fosse figlio di qualche re lo rapirono e lo portarono sulla nave. Ma quando cercarono di legarlo si accorsero che i lacci si scioglievano da soli, mentre il giobane dagli occhi scuri sorrideva e non parlava. Il pilota capì che si trattava di un dio, ed esortò i compagni a liberarlo, ma quelli lo schernirono e vollero issare la vela per prendere il mare.
Vino dapprima per la veloce nave nera
dolce a bersi gorgogliò profumato, e sorse un odore
immortale: stupore prese i naviganti tutti che vedevano.
Subito lungo l'altissima vela si stese
una vite qua e là, e pendettero molti
grappoli: intorno all'albero s'avvolse edera nera
di fiori germinante, e un amabile frutto ne sorse:
tutti gli scalmi ebbero corone: quelli vedendo
la nave già allora poi al pilota ordinarono
accostarsi alla terra: quello ad essi leone divenne entro la nave
terribile in prora, forte ruggì, e nel mezzo
orsa fece villoso collo indizi mostrando;
fece sorgere bramosa, il leone in cima al ponte
tremendo torvo guardante: quelli alla poppa fuggirono,
intorno al pilota prudente cuore avente
stettero sbalorditi: quello improvviso slanciandosi
il capo prese, essi fuori la mala sorte evitando
tutti insieme balzarono, perché videro, nel mare divo,
delfini divennero: il pilota commiserando
trattenne e lui fece felicissimo e disse parola:
- Coraggio, divo nocchiero, al mio cuore carissimo:
sono io Dionisos tonante che fece la madre
Cadmeide Semele nell'amore di Zeus congiunta.
(Ivi, vv. 35-57)
La
straordinaria metamorfosi dei pirati, che non
riconoscono il dio nel giovane rapito, viene rinarrata
da Ovidio, qualche secolo dopo, nella Roma di Augusto:
Zeus l'aveva scacciata dall'Olimpo perché provocava continue liti tra gli dei, e non era stata invitata alle nozze di Peleos e Thetis, come l'ultima fata nella fiaba della Bella Addormentata nel bosco. Mentre l'armonia regnava nel banchetto, Discordia arrivò a sorpresa e gettò sul tavolo una mela d'oro del giardino delle Hesperidi, sulla quale era scritto "alla più bella". Subito cominciò una contesa fra le dee Athena, Hera e Afrodite, ciascuna delle quali affermava che il premio spettava a lei. Come giudice fu scelto il troiano Paride, che la diede ad Afrodite, perché gli aveva promesso l'amore della donna più bella del mondo. Così Paride rapì Elena, sposa del re greco Menelato, e questa conseguenza dell'azione della Discordia provocò la guerra di Troia, alla quale parteciparono tutti gli eroi e tutti gli dei, come loro aiutanti. Discordia era sempre al fianco di Ares, provocando la guerra. Ludovico Ariosto nell'Orlando Furioso la presenta molteplice e contraddittoria: ha i capelli d'oro e d'argento, neri e grigi, di diverse lunghezze, sciolti e raccolti, arruffati e intrecciati:
Di citazioni piena e di libelli,
d'esamine e di carte di procure
Avea le mani e il seno, e gran fastelli
Di chiose e di consigli e di letture;
Per cui le facultà de' poverelli
Non sono mai nelle città sicure.
Avea dietro e dinanzi e d'ambi i lati
Notaj, procuratori ed avvocati.
(Orlando furioso, Canto XIV, st. 84)
La dea
Discordia esprime la volontà di rendere operante il
conflitto, annullando la possibilità di mediazione e
incontro, ed è figlia della sola Notte, dell'oscurità
come dominio dei fantasmi inconsci e cecità
dell'intelligenza e del sentimento che solo la luce
della coscienza può alimentare. Si ricordi che la Notte
ha un cuore di bronzo. La nascita di Discordia avviene
per partenogenesi, senza amore, come quella dei suoi
figli: da questi non pare nasca più nessuno, come se una
sterilità chiudesse, fermandola, la generazione, ovvero
la vita.
* Discordia viene dal latino discors, etimologicamente cuore diviso, mentre il nome greco Èris significa contesa, competizione, come l'analogo Erinni significa vendetta: si possono accostare ad arè, maledizione, rovina. Corrisponde al sumero erìm, contesa, carneficina, e all'accadico eretu, maledizione).
DISCORSIAMBIGUI (gr. Amfiloghiai,
Amfilogie) divinità. Figlie della sola Discordia, 374.
* Pseudonimo, nome usato da uno scrittore o da un artista al posto del proprio; pseudoscientifico, che vanta, senza averlo, un carattere scientifico.
*Algologia, la disciplina che si occupa del dolore; analgesico, che non fa sentire il dolore, dal greco analghesia, insensibilità al dolore.
Si racconta di
un gruppo scultoreo, opera del dio Hefestos, nel palazzo
meraviglioso del Sole, in cui era rappresentata nel suo
elemento con altre divinità marine:
DYNAMENE v. ABILITÀ
E
|
Eaco come re dell'isola di Egina fu così giusto e generoso che meritò l'amore degli dei. Durante una terribile siccità che affliggeva tutta la Grecia, l'oracolo di Delfi disse che solo le preghiere di Eaco sarebbero state ascoltate. Eaco offrì un sacrificio e la Grecia fu salva, così i suoi sudditi gli dedicarono un edificio, l'Eaceo, con tutte le statue dei Greci che erano venuti a chiedere il suo aiuto. Hera, gelosa di lui come di tutti i semidei figli di Zeus, mandò nella sua isola un serpente che avvelenò le sorgenti, provocando lo sterminio di tutti gli abitanti. Mentre disperato pregava il padre Zeus di farlo morire, vedendo una folla di formiche ai piedi di un albero desiderò che il suo popolo fosse altrettanto numeroso, e fu esaudito. Così ebbe origine il popolo dei Mirmidoni (gr. myrmex, formica) sul quale, dopo Eaco, regnò suo figlio Peleos, padre di Achille, col quale andarono a combattere a Troia.
Enea si salvò dalla distruzione di Troia, fuggendo dalla città in fiamme con l'aiuto della divina madre, Afrodite. Durante il lungo viaggio col padre Anchise, il figlio Iulo Ascanio e un gruppo di troiani scampati alla rovina della città, si fermò a Cartagine, dove si unì alla regina Didone che avrebbe voluto trattenerlo come suo re. Ma Enea doveva partire, pur amando Didone, perché il suo destino era viaggiare fino all'Italia, dove sarebbe nata Roma. Stretta alleanza con Latino, re del Lazio, Enea non poteva sposarne la figlia, dovendo combattere una guerra contro principi ostili alla sua presenza. Durante l'impero di Cesare Augusto il poeta Virgilio scrisse l'Eneide, che celebra con la storia di Enea il mito delle origini di Roma e dell'impero più grande del mondo:
L'armi canto e l'eroe che primo da terra troiana
venne, fuggiasco per fato, sugl'itali lidi lavini.
Spinto da forze divine, per terre e per mari a lungo
fu tormentato: per l'ira testarda dell'aspra Giunone;
molto soffrì pure in guerra purché la città elevasse,
pur d'introdurre gli dei nel Lazio; da ciò la latina
stirpe, i padri albani, le mura di Roma gloriosa.
(Eneide, I, 1-7)
ENNOSIGEO,
vedi SCUOTITERRA
Si racconta
anche che Zeus fece Pandora per donarla a Prometeo, che
comprendendo come Zeus volesse punirlo così del furto
del fuoco, non la volle. Epimeteo invece l'accolse e
credendo che contenesse un tesoro aprì il vaso che
Pandora portava con sé, e così fece uscire la morte, il
dolore, la vecchiaia e tutti i mali che da allora
affliggono il genere umano.
Formata da
Hefestos e Athena secondo il progetto
di Zeus, irresistibile e distruttiva per la vita degli
uomini, Pandora (il nome significa tutti i
doni, dono totale) è il piacere
assoluto, illimitato, che l'essere umano cerca senza
mai poterlo trovare. Prometeo rappresenta la parte
che, sapendo che è un desiderio irrealizzabile,
rinuncia a Pandora, mentre Epimeo significa la parte
dell'uomo che non è in grado di rinunciarvi. Si
racconta che in fondo al vaso di Pandora,
inaccessibile per chi fugge, troppo spaventato dai
mali e dai dolori della condizione essere umano, c'è
la speranza. Questa storia di Epimeteo dice che dalla
sua unione con Pandora nacque Pirra, la
sola donna che sopravvisse al diluvio. Fu lei con
l'altro sopravvissuto, Deucalione, a
ripopolare la terra. Il nome Prometeo significa colui
che pensa dopo, il cui pensiero segue, dopo l'azione,
al contrario del fratello Prometeo, colui che pensa
prima, il cui pensiero anticipa. I due fratelli
costituiscono la coppia che caratterizza la mètis, il
pensiero, in rapporto alla realtà. Se Prometeo è
l'anticipatore, amico degli uomini, donatore del
fuoco, eroe dell'invenzione, Epimeteo non è meno
necessario, rappresentando la mente che reagisce a
qualcosa di già dato, che recepisce, come il pensiero
che riproduce a-posteriori ciò di cui ha fatto
esperienza. Epimeteo, si racconta, formò una figura
essere umano di creta, e Zeus, non tollerando che lo
imitasse, lo trasformò in una scimmia, e gli diede le
isole Pitecusie, che corrispondono a Ischia. L'uomo è
definito simia dei, scimmia di dio, perché è fatto a
immagine di Dio, ma ne è una fragile imitazione, come
la scimmia imita l'essere umano.
Prometeo può significare il pensiero
scientifico, razionale, mentre Epimeteo può
rappresentare l'immaginazione. In termini
psicoanalitici, Prometeo sarebbe il signore del
simbolico, Epimeteo dell'immaginario, e non può
esistere l'uno senza l'altro.
Presiede ai canti e alla poesia d'amore, come vuole il suo nome, corrispondente a quello del dio Eros, ed è considerata madre del mitico cantore Tamiri. Si rappresenta incoronata di mirto e di rose, con la lira nella sinistra e un arco nella destra. Nell'antica Roma era invocata dagli amanti perché rendesse efficaci le loro parole d'amore, specialmente in aprile, mese dedicato a loro.
Corrisponde all'odierna Cadice.
Scioglimembra
(gr. lysimeles) perché la
passione d'amore fa sentire un allentamento nei muscoli
e in tutto il corpo, e perché la passione amorosa
fluidifica ogni durezza, del corpo come dello spirito:
nessuno fra gli uomini o gli dei può resistere al potere
di Eros. La tradizione attestata da Esiodo considera
Eros come il quarto dio ingenerato, ma secondo altri
miti era il primo dio, oppure era figlio di Afrodite e
Ares, o di Povertà (Penia) e Ricchezza (Poros). Nel
Simposio, il dialogo sull'amore, Platone racconta che
Socrate riferì l'origine del dio come l'aveva sentita
dalla sacerdotessa Diotima:
Eros è la
passione che lega i diversi mondi, né dio né uomo:
grande demone che spinge verso la passione della
conoscenza. Freud ha chiamato Eros il
principio di vita, generatore, contrapposto al
principio di morte, distruttore, Thanatos.
Vedi un'immagine contemporanea di quel
che resta del ponte romano sul fiume Esepo, che oggi si
chiama Gönen Çayı, in Turchia:
https://it.wikipedia.org/wiki/Ponte_sull%27Esepo#/media/File:Aesepus_Bridge._Picture_02.jpg,
ultimo accesso: 16/01/2020.
La fortuna di
Esiodo è stata maggiore in passato: fino all'Ottocento
gli studenti imparavano a memoria la Teogonia, che era
considerata il miglior compendio disponibile della
mitologia greca.
Esteticamente inferiore ai poemi omerici:
La sua Teogonia, opera scritta senza precisione e senz‘arte, è cionnondimeno il miglior quadro della religione degli antichi Greci. [...] Il suo stile, abbenché non abbia il fuoco e la sublimità di quello d'Omero, pure ha una dolcezza ed una armonia che incantano. Erano i suoi versi in tanta estimazione presso gli antichi che si facevano imparare a memoria ai giovinetti, e furono scolpiti nel tempio delle Muse delle quali Esiodo era stato sacerdote. S. Clemente d'Alessandria pretende che Esiodo avesse preso molti pezzi da Museo. Luciano lo fa parlare in uno dei suoi dialoghi. Virgilio nelle sue Georgiche segue le di lui tracce, e va superbo d'averlo preso per modello: Cicerone in molti luoghi delle sue opere lo colma di elogi. (Dizionario della favola, Esiodo)
L'altra grande
opera di Esiodo si intitola Le opere e i giorni,
e canta il lavoro agricolo e il suo valore profondo:
Virgilio, scrivendo le Georgiche, era orgoglioso di
dichiararsi un imitatore di Esiodo. I suoi versi erano
scolpiti nel tempio delle Muse, delle quali Esiodo era
stato sacerdote. Quando Esiodo fu assassinato il suo
corpo fu gettato in mare, ma i delfini lo portarono a
riva, ed ebbe una degna sepoltura nel tempio di Nemea.
Per lo storico greco Erodoto Esiodo era insieme a Omero
fondatore della tradizione mitica e religiosa dei Greci:
Ma
donde sia nato ciascuno degli dei, o se erano esistiti
tutti eternamente, e quali mai fossero d'aspetto, non lo
si sapeva fino a poco tempo fa, fino a ieri per così
dire. Esiodo e Omero infatti io
credo che fossero di 400 anni più vecchi di me enon di
più. Ed essi proprio sono quelli che hanno composto per
i Greci una teogonia e hnno dato i nomi agli dei,
dividendo gli onori e le prerogative e indicando il loro
aspetto.prerogative e competenze, sia descrivendo il
loro aspetto. I poeti che si dice siano vissuti primadi
questi uomini vissero invece più tardi, a quanto almeno
io credo. (Erodoto, Storie, II, 53, 1-3).
Esiodo è il primo poeta a dire il suo nome, come una firma, nella Teogonia, quando canta della vocazione da parte delle Muse: era un pastore, ed è stato scelto, chiamato. Non dice nulla di sé che renda conto del perché le nove fanciulle divine lo hanno scelto, semplicemente è a lui che si sono rivolte, apostrofandolo senza mezzi termini, come rappresentante di una categoria, non come un particolare individuo:
Pastori di campagna, brutta razza,E poi, senza aggiungere altro, e senza dire il loro nome, descrivono la loro attività:
che non sa altro che empirsi la pancia ... (v. 26).
Noi si sanno cantare storie finte
che somigliano proprio a quelle vere
e si sanno cantare storie vere
quando vogliamo (vv. 27-28).
Senza
aspettare la risposta di Esiodo, che immaginiamo
affascinato e ammutolito, le Muse gli mettono in mano un
ramo d'alloro come scettro, appena troncato con le loro
mani: solo allora gli ispirano un divino canto, perché
racconti degli dèi eterni e di loro stesse.
Così, prima di cominciare il suo canto, che è anche il
nostro canto, quello che ancora si racconta, da
duemilasettecento anni circa, a Esiodo resta solo da
dire che di quercia e roccia non gli importa, che non lo
riguardano. Indichiamo una singolare assonanza con un
verso dell'Odissea: quando Penelope interroga Ulisse,
che le si presenta come mendicante, sulle sue origini:
Ma anche così dimmi la stirpe, donde tu sei;
non certo da vecchia quercia sei nato o da roccia.
(Odissea 2, XIX, vv. 162-163).
Querce e rocce potrebbero significare la natura non umana, contrapposta alla sfera dell'umano. Le Muse non promettono a Esiodo di raccontare storie vere, ma storie che hanno sapore di verità, sia false e simili alle vere, sia vere, secondo il loro desiderio. La verità del mito, del canto, della poesia, dell'arte del linguaggio, non è dell'ordine della verità scientifica, che afferma di dar conto in maniera oggettiva della realtà, né della verità religiosa, che promette certezza e salvezza, in questa vita o nella vita ultraterrena. E' il senso di verità del discorso umano di cui le Muse personificano la molteplicità e la grazia. Le Muse, come tutte le divinità, non sono controllabili dagli esseri umani, come il nostro stato d'animo, la nostra passione, la nostra disperazione, non dipendono dalla nostra scelta, ma dall'ascolto della nostra realtà psichica. Qui non c'è nulla di oggettivo, concretistico, perché siamo nel luogo del sentimento:
[I]l
vero poetico è un vero metafisico, a petto del quale
il vero fisico che non vi si conforma dee tenersi a
luogo di falso. Dallo che esce questa importante
considerazione in ragion poetica: che ’l vero capitano
di guerra, per esemplo, è ’l Goffredo che finge
Torquato Tasso; e tutti i capitani che non si
conformano in tutto e per tutto a Goffredo, essi non
sono veri capitani di guerra.. (Giambattista Vico, Scienza
Nuova, vol. I, Libro I, Sez. II Sec. degn.
XLVII)
Non poté lasciare il regno al figlio Giasone, perché fu costretto a cederlo al cognato Pelias, dopo di che si ritirò a Iolcos. Al ritorno di Giasone, che aveva conquistato il Vello d'oro, Esone era ancora vivo ma vecchissimo, e fu ringiovanito dalle arti magiche di Medea.
In greco aithèr significa etere, regione dell'aria rarefatta, che un mito attribuisce come signoria a Zeus, al di sopra di quella dell'aria che respiriamo, più pesante, attribuita a Hera.
O tu che hai l'eccelsa forza per sempre indistruttibile di Zeus,
parte degli astri e del sole e della luna,
che tutto domi, spirante fuoco, scintilla per tutti i viventi,
Etere che splendi in alto, elemento ottimo del cosmo,
o germoglio splendente, apportatore di luce, rilucente di stelle,
invocando ti supplico di essere temperato e sereno.
(Inni orfici, 5 profumo di Etere, croco).
* Nella Divina Commedia l'etere è l'aria del Paradiso. Etereo, rarefatto, sottile.
Con il termine Etiopi anticamente si designavano gli africani, i popoli di pelle nera che una antica tradizione considerava i primi e più felici abitanti della terra. Etiope era detto Dionisos acceso nell'estasi e nell'ebbrezza. Il nome del popolo viene dalla parola greca aithos, che significa fuoco, calore, acceso, e quindi annerito, bruno.
Significa dono buono, e in greco è lo stesso nome della nereide Beldono.
Custodiva le mandrie del re Urlante, quando Heracles andò a rubarle per compiere la sua decima fatica, e fu ucciso dall'eroe insieme a Orto, il suo cane a due teste.
Un mito narra
che Zeus innamorato si avvicinò a lei trasformato in un
bianchissimo toro, e mangiò mansueto dalle sue mani,
inducendola a montare sul suo dorso. Allora
Zeus corse con Europa verso il mare.
Il nome Europa
significa grandi occhi.
Grande e al tramonto è l'Europa, figura estesa come il
suo continente, nella poesia di Fernando Pessoa:
(Una sola moltitudine, testo portoghese a p. 140; tr. nostra)
Ispiratrice e signora della musica, le viene attribuita l'invenzione del flauto e di tutti gli strumenti a fiato. Si narra che sposò il fiume Strimone, dal quale ebbe un figlio, il dio fiume Reso. Il suo nome è composto da eu-, buono, e tèrpo, rilasso l'animo, diletto, ritempro, risano: la musica è considerata una cura per l'anima, sia anticamente che oggi, nella varie forme di musico-terapia.
F
|
Da Ovidio viene descritta in un campo sassoso ai piedi del Caucaso:
[C]he con i denti e con l'unghie strappava le erbe rade:* Bulimia, composto da bus, bue, e limos, fame: fame smisurata, da bue.
Un mito dice che Fasi, principe della Colchide, respinse la nereide Thetis che si era innamorata di lui. Allora Thetis lo trasformò nel fiume che scorre in quel paese fino a sfociare nel Mar Nero.
* Vedi un'immagine del fiume che scorre in Georgia: https://it.wikipedia.org/wiki/Rioni#/media/File:Rioni_river_-_Georgia_(Europe).jpg, ultimo accesso 16/01/2020
Le Fate
Nere, Clothos, Làchesis e Atropos, nel poema di
Esiodo, dove, come nel sogno notturno, non vige il
principio di non contraddizione, vengono nominate sia
come figlie della Notte che come figlie di Zeus e
Norma, e sorelle delle Ore. La prima fata nera,
Clothos, trae il filo, che può essere bianco, e in
questo caso la vita del mortale sarà buona, o nero, e
allora sarà una vita dolorosa e disgraziata; la
seconda, Làchesis, lo avvolge, e la terza, Atropos, lo
taglia: per l'essere umano è la morte.
Come Brivido ha il privilegio di dare il nome al
giuramento sacro, che neppure gli dei possono
infrangere, così il destino, rappresentato dalle tre
Fate Nere, ha una potenza che neppure Zeus può
controllare. Il potere di queste divinità femminili
deriva dal potere della Notte, discendente di Tartaro
Inferno, e somiglia a quello della Terra che accoglie
i morti e dissolve i loro corpi. Anche se la fata
delle fiabe non sembra parente delle terribili sorelle
greche, figlie della Notte o di Zeus e Norma, il suo
nome deriva dal latino fatum, plurale fata: destino,
destini, come i termini greci Moros e Moire. Non solo
nel nome le fate delle fiabe e le antiche Fate Nere
hanno parentela di senso, attraverso passaggi aleatori
fra il tempo del mito greco e il nostro. Nel Medioevo
le fate avevano caratteristiche molto diverse da
quelle degli ultimi due secoli: Melusina, progenitrice
di un nobile e potente casato francese, aveva posto al
suo nobile sposo il divieto di vederla durante il suo
bagno, al quale dedicava il giorno del sabato. Ciò che
lo sposo non doveva vedere era la sua forma segreta,
di serpente o pesce dalla vita in giù, come l'antica
Vipera di Esiodo, forma che riassumeva durante
l‘immersione nel bagno. La fata medievale poteva
essere straordinariamente propizia, quanto ferocemente
distruttiva.
Nelle fiabe popolari dette da narratori
analfabeti a un pubblico composto di adulti, vecchi e
bambini, la fata resta donatrice di bene e di male,
come la baba-yaga delle fiabe russe, che vive in un
isba poggiata su una zampa di gallina: entrando da
lei, a seconda del modo in cui si comporta, il
protagonista della fiaba può ottenere ricchezza e
aiuto, o morte. Anche gli esseri demoniaci delle Mille
e una notte, geni o jinn, come i demoni della
tradizione induista, conferiscono disgrazia o grande
fortuna, non diversamente dagli gnomi e da
innumerevoli altre figure magiche. Così personificate
le creature magiche rappresentano la strutturale
ambivalenza dell'inconscio, mai dominabile,
distruttivo per chi ne sottovaluta la potenza,
propizio per l'essere umano che riconosce i limiti
della propria azione, consapevole che la potenza
magica è immensa, ma anche che la sua astuzia può
consentirgli di imprigionarla e servirsene. La parola
greca cher significa rovina, destino
di morte, lutto
Moire infinite, care figlie della Notte nera,
dai molti nomi, ascoltate me che prego, voi che abitando
presso il lago celeste, dove l'acqua candida per il calore notturno
scaturisce nell'ombroso fondo lucente dell'antro di belle pietre,
volate sulla terra infinita dei mortali;
da dove avanzate verso la stirpe mortale che nutre opinioni,
vana nella speranza, coperte di lini purpurei
[...]
aeree, invisibili, immutabili, sempre indistruttibili,
che tutto donate, che togliete, necessità per i mortali...
(Inni orfici, 59 profumo delle Moire, aromi)
Le Fate Nere, come le loro discendenti che abitano nei boschi o accanto alle fonti nelle fiabe, derivano la loro potenza e il loro nome dal lavoro della filatura: questa attività, insieme al ricamo e alla tessitura, costituiva parte della signoria di Athena, che di solito ricordiamo solo per il dominio dell'intelligenza e della forza guerriera. L'importanza simbolica delle arti femminili potrebbe riguardare il fatto che preparare un abito, tesserlo, cucirlo e ricamarlo, riguarda l'identità essere umano, sociale e culturale. Come confeziona l'abito, la donna con la gestazione e il parto forma e dona il corpo, considerato come dimora terrena dell'anima immortale. Ed è sul corpo le Fate Nere esercitano la loro ineluttabile signoria, traendolo al mondo e decretando la sua fine.
La parola
greca significa destino, e il dio, di cui non
esistevano statue, veniva interrogato in luoghi
particolari, nei quali gli veniva tributato un culto.
Era considerato anche il signore delle Fate Nere,
rappresentando come loro il destino, che nemmeno gli
dei immortali potevano modificare: le preghiere, i
sacrifici e le offerte potevano appena mitigarlo.
Nella fiaba della Bella Addormentata nel bosco il
destino di morte viene decretato dalla tredicesima
fata, non invitata al banchetto per il battesimo della
neonata principessa, come Discordia non era stata
invitata alle nozze tra Thetis e Peleos. Ma una
piccola fata, che non aveva ancora offerto il suo
dono, può mitigarlo: a quindici anni, pungendosi con
un fuso, come quello su cui Làchesis avvolgeva il
filo, la principessa Rosaspina non sarebbe morta, ma
avrebbe dormito un sonno lungo cent'anni. Il sonno
simile alla morte delle fiabe ricorda la pena alla
quale soggiacevano gli dei spergiuri, senza respiro e
senza cibo.
* Fato, fata, fatale, fatalità.
Secondo un mito era la madre del cantore Orfeo.
Un altro mito
racconta che Fetonte era figlio del Sole e che si
lamentò con lui, perché avendo detto chi era suo padre,
era stato schernito.
Chiese allora al padre di soddisfare un suo desiderio, e
il Sole giurò di accontentarlo. Fetonte gli chiese di
guidare per un giorno il suo carro nella volta celeste,
e il Sole non poté negarglielo. Ma i cavalli, sentendo
che non era il Sole a guidarli, non obbedivano, e il
carro della luce guidato da Fetonte saliva troppo in
alto, e poi precipitava tanto in basso da incendiare la
Terra, che allora chiese aiuto a Zeus. Il sovrano
olimpio per mettere fine alla folle corsa colpì Fetonte
con un fulmine e lo precipitò nel fiume Eridano. Le sue
sorelle Eliadi piansero tanto tragica fine di Fetonte
che gli dei impietositi le trasformarono in pioppi, gli
alberi che crescono sulla riva del fiume, mentre le loro
lacrime divennero elettro, materiale che si trovava
anche nel fiume Po. Si narra che quella volta anche
l'amico più caro di Fetonte, Cicno, fu trasformato in
cigno, uccello che ama volare sulle acque del Po e
nidificare sulle sue rive.
Era la dea del
fuoco che veniva conservato in ogni casa, inventrice del
focolare, che dà calore e permette di rendere
commestibili tanti cibi. Nell'antica Roma il culto di
Vesta consisteva nella conservazione del fuoco perenne
nel suo tempio, Opertum, dove gli uomini non erano
ammessi. Le sacerdotesse di Fiamma, le Vestali, venivano
portate nel tempio all'età di sei anni, nel quale
restavano a custodire il fuoco sacro per trent'anni,
dopo i quali potevano lasciare il tempio e sposarsi. Se
però lasciavano spegnere il fuoco, o se perdevano la
verginità, venivano punite con la morte.
Il fuoco dal quale si accende la fiaccola delle Olimpiadi mantiene questo antico simbolismo di Fiamma: ardeva nella casa comune, e pacifica, di tutti i Greci, che cessavano le guerre per la durata delle gare. Ancora oggi le Olimpiadi costituiscono un luogo d'incontro e di confronto non cruento per tutte le nazioni del mondo che vi inviano i loro atleti come rappresentanti. La sacralità del fuoco, la complessità dei riti per la sua conservazione, e la particolare dignità delle Vestali, furono intepretate dal grande fisico Isaac Newton come rappresentazione di un'antica intuizione del sistema solare, dove il fuoco è al centro come il sole:
Riconoscendo la sua teoria fisica, e la legge di gravitazione universale, in antiche rappresentazioni mitiche, Newton esprime un senso della scienza come procedimento che non consiste nel sostituire una verità oggettiva a una menzogna immaginaria, ma nel lavoro continuo di descrizione del mondo, in termini sempre nuovi, che non respingono le concezioni antiche.
I tremila fiumi, insieme alle sorelle Oceanine e al dio Apollo, nutrono nella crescita e nella giovinezza gli esseri umani, simbolizzando un principio di vita che come le loro acque dolci bagna e feconda la terra. Esiodo, dicendo che nessun essere umano conosce tutti i loro nomi, noti a coloro che abitano sulle loro rive, ne nomina venticinque: Acheloo, Alfeo, Aliacmone, Ardesco, Caico, Enevo, Heptaporos, Po Eridano, Ermo, Esepo, Fasi, Grenico, Danubio Istro, Ladone, Meandro, Nesso, Nilo, Partenio, Peneo, Reso, Rodio, Sangario, Scamandro, Simoenta, Strimone. Nell'arte figurativa venivano rappresentati come esseri umani, vegliardi con lunghe barbe e lunghi capelli se sfociavano nel mare, giovani imberbi se erano affluenti di un altro fiume, con corna di toro a significare l'impeto delle acque e il loro rumore, che ricorda il muggito di una mandria. Quando dovevano attraversare un fiume, gli uomini pregavano la divinità del fiume.xzxz
* Ippopotamo,
cavallo di fiume, da pòtamos, fiume, e ippos,
cavallo. Molti fiumi hanno mantenuto il nome greco,
altri hanno cambiato nome ma corrispoondono a quelli
nominati nella Grecia classica. Per questo dai fiumi,
per i quali è stato possibile trovarla, da questa pagina
si può accedere a un'immagine contemporanea. L'eredità
della Grecia classica all'Europa, mediata anche dalla
cultura latina ed ellenistica, è di una vastità
sorprendente.
Nella tradizione orfica Rea Fluente ha le prerogative di una divinità primitiva, ambivalente, che salva e distrugge:
Rea venerabile [...]
che metti il carro dalle sacre ruote sugli uccisori di tori,
accompagnata dai timpani, che ami il delirio, fanciulla risonante di bronzi,
madre di Zeus egioco signore dell'Olimpo,
da tutti onorata, dalle forme splendenti, beata compagna di Cronos,
che ti diletti dei monti e degli spaventosi urli dei mortali,
Rea di tutto sovrana, che susciti il tumulto di guerra, dall'animo forte,
ingannatrice, salvatrice, liberatrice...
(Inni orfici, 14 profumo di Rea, aromi)
Un mito racconta che la sua matrigna Endeide spinse i suoi figli a ucciderlo lanciando il disco sulla sua testa.
Nell'antica Roma, Fortuna era molto venerata, spesso col dio della ricchezza, Pluto, fra le braccia, ed era bendata, per significare che sceglie a caso gli esseri umani da beneficare. La parola latina fortuna, come quella greca tyche, significava sorte, sia buona che cattiva.
Terra e
Cielo generarono i tre Centimani di statura e potenza
smisurata e di carattere orgoglioso e violento, e
Cielo li chiuse in seno alla madre Terra, insieme ai
Ciclopi, perché erano terribili per forza e dimensioni
immense: esseri di dimensioni spaventose, irruenti e
collerici, sono i geni, o demoni, o jinn, delle Mille
e una notte.
I jinn hanno la funzione di permettere a un
essere umano di conquistare un tesoro o di raggiungere
l'essere amato: così opera il genio della lampada
nella storia di Aladino. Come Zeus comanda sui titani
fratelli di suo padre, che ha liberato, e che stanno
accando ai titani ribelli, anche se con la funzione di
guardiani, così i grandi califfi della raccolta di
fiabe hanno il comando su tutti i geni. E come i
titani, più antichi dell'ordine olimpico, vengono
imprigionati e costretti nei sotterranei, così i geni
ribelli vengono spinti e rinchiusi in boccali di rame
da re Salomone, per volontà di Dio e del profeta
Maometto.
Se un ordine e una legge basate sulla divisione
del potere e sul mantenimento delle promesse, ovvero
del diritto, vogliono durare nel tempo, come l'ordine
olimpico di Zeus e quello instaurato dopo Maometto con
l'Islam, non possono ignorare le forze arcaiche della
realtà psichica. Devono dar loro uno spazio,
altrimenti, come rivelano Terra e Cielo a Zeus, la
vittoria è impossibile. Nelle chiese romaniche mostri
di ogni genere erano inseriti nelle colonne per
sostenere dal basso la nuova chiesa come parte domata
ma non eliminabile. Il senso per il soggetto riguarda
l'inconscio nelle sue ineliminabili strutture
arcaiche, amorali e potenti: l'equilibrio consiste nel
loro relativo addomesticamento, non nella loro
eliminazione, che è in ogni caso impossibile.
FURIE (gr. Erinys, Erinni,
lat. Erinys, Furiae, Furie) dee della vendetta. Nate dalla
Terra fecondata dal sangue del Cielo che sprizza dal suo
sesso tagliato, 302;
vendicatrici del padre Cielo, 752.
Perseguitavano
i crimini senza mai fermarsi, fino a che il colpevole,
sia che fosse un uomo o un dio, non avesse subito la
giusta punizione; significano l'angoscia intollerabile
che perseguita chi ha commesso una colpa fino a che non
l'abbia espiata. Oreste, figlio di Agamennone, aveva
ucciso la madre Clitemnestra per vendicare il padre, che
lei aveva fatto uccidere quando era tornato da Troia,
d'accordo col suo amante Egisto.
Le Erinni dei matricidi erano implacabili, e inseguirono
Oreste, che tormentato dai rimorsi vagava disperato per
la Grecia, fino a che giunse ad Atene, dove l'Aeropago
si riunì per giudicarlo.
Mancava un voto per assolverlo, ma Athena
partecipè alla votazione e liberò Oreste dalla
persecuzione delle Erinni.
G
|
Il ciclope Polifemo si innamora di lei:
Condottiero
della spedizione degli Argonauti, andò a conquistare il
vello d'oro, simbolo di regalità, e superò le prove con
l'aiuto di Medea, principessa e maga potentissima. Il
padre Esone, re di Jolcos, affidò la tutela di Giasone
al cognato Pelias, perché gli cedesse la corona appena
avesse raggiunto l'età adulta. Ma Pelias temeva il
bambino e lo fece allontanare dal palazzo chiuso in una
specie di bara. Il piccolo Giasone giunse dal centauro
Chirone, educatore di eroi, e crebbe con lui, fino a
quando, divenuto adulto, si presentò al re Pelias.
Indossando una pelle di pantera come mantello, con
capelli linghi e ondeggianti, somigliava a un dio, e
chiese allo zio di rendergli il regno del padre. Pelias
non disse di no, ma chiese a Giasone di andare prima
nella Colchide a conquistare il vello d'oro, sperando
che morisse nell‘impresa. Giasone in compagnia degli
eroici Argonauti salì sulla nave Argo e andò nella
Colchide, regno di Aeta, dove con l'aiuto di Medea portò
a termine l'impresa.
Innamorata di lui Medea lo seguì a Iolco, dove
ringiovanì con la magia il suo vecchio padre Esone.
Quando le figlie di Pelias le chiesero di fare la stessa
cosa col loro padre, Medea ordinò loro di farlo a pezzi,
facendo credere che l'avrebbe ricomposto e ringiovanito,
e invece lo lasciò morire. Credendo di poter ignorare la
terribile potenza di Medea, che aveva tradito il padre e
la patria per lui, Giasone successivamente decise di
prendere in sposa la figlia di Acasto, figlio di Pelias,
che aveva il trono di Jolco, per ascendere al trono
senza violenza. Secondo un mito Medea allora lasciò il
regno di Jolco sul suo carro portato da draghi volanti
insieme ai figli avuti da Giasone, mentre la tragedia
narra che Medea uccise i figli e se stessa, dopo aver
provocato la morte di Acasto e della futura moglie di
Giasone: allora anche Giasone si uccise. Nella storia di
Giasone possiamo comprendere come l'eroe venga distrutto
dalla potenza femminile, se, dopo averne tratto il
massimo vantaggio, crede di poterla mettere da
parte.
Venivano
rappresentati come serpenti nella parte inferiore del
corpo, e per vendicare i Titani che Zeus aveva rinchiuso
nel Tartaro dopo averli sconfitti uscirono dalla Terra
nei Campi Flegrei, tanto spaventosi che gli Astri
impallidirono, il Sole si ritrasse, e l'Orsa Maggiore si
nascose nel Mare. La battaglia dei Giganti contro Zeus e
gli Olimpici somiglia all'ultima battaglia fra Olimpici
e Titani, o fra gli dei Olimpici e Tifeo, il figlio di
Terra e Inferno che a volte ha come loro la parte
inferiore del corpo di serpente. Una particolarità della
battaglia contro i Giganti è che gli Olimpici ebbero
bisogno, per vincere, dell'aiuto di un mortale, che fu
Heracles. Tutti i Cronidi e i loro alleati parteciparono
alla battaglia, nella quale l'asino di Sileno ebbe un
ruolo particolare: quando li vide si spaventò tanto che
cominciò a ragliare a perdifiato, e i Giganti fuggirono,
perché non conoscendo questo animale credettero che
fosse la voce di un essere terribile. Allora Zeus, per
ringraziare l'asino, lo pose fra le costellazioni. Altri
miti raccontano che la fuga dei giganti fu causata dagli
asini di Dionisos, o di Hefestos, oppure dal suono della
conca marina o bucina, nella quale Tritone aveva
soffiato con tutta la sua forza. Il sangue dei Giganti
precipitati sottoterra dai fulmini di Zeus, insieme al
monte che avevano elevato per dare la scalata
all'Olimpo, fecondò la Terra, e dai Giganti discese la
prima genìa essere umano, come dal sangue del fallo
tagliato del Cielo erano venuti i Giganti. Era una genìa
essere umano che disprezzava gli dei, dedita di continuo
a ogni forma di violenza, e Zeus mandò un diluvio e fece
annegare questi uomini feroci. Sulla Terra gli unici
sopravvissuti erano Deucalione figlio di Pasifae e Pirra
figlia di Epimeteo, che chiesero all'oracolo come
potevano ripopolare la Terra. L'oracolo rispose che
dovevano gettare alle loro spalle le ossa della madre, e
i due sopravvissuti lanciarono dietro di sé dei sassi,
le ossa della Terra, madre di tutti. Quelli lanciati da
Deucalione si trasformarono in uomini, quelli lanciati
da Pirra in donne, e questa fu la genìa essere umano
dalla quale noi siamo discesi.
In greco la parola emèra, che significa giorno, è femminile, come la divinità [efemeridi, raccolta dei dati relativi al movimento quotidiano degli astri; emeroteca, raccolta di giornali e periodici].
Venerata anche
col nome di Ganimeda, Ebe aveva il compito di versare il
nettare degli dei in un coppa d'oro. Si narra che un
giorno scivolò nella sala dei banchetti sull'Olimpo e
mostrò le sue parti intime, mettendo in imbarazzo la
vergine Athena.
Per questa ragione al suo posto venne assunto in cielo
Ganimede, ed Ebe sposò Heracles divenuto immortale. Ganimede
era figlio del re di Troia e di Bellafluente, a sua
volta figlia del fiume Scamandro, e stava cacciando
quando Zeus, assunta la forma di un'aquila maestosa, lo
rapì, innamorato dalla sua straordinaria bellezza. La
costellazione di Ganimede è il segno dell'Acquario, che
versa nettare con un'anfora
* Ebe, nome; ebefrenia, termine psichiatrico; Juventus.
In molte rappresentazioni ha il capo cinto da una corona, tiene una spada nella destra e una bilancia nella sinistra, per giudicare e punire. Inoltre ha i piedi incatenati, perché se gli uomini non la trattenessero con la forza la dea Giustizia volerebbe via verso il cielo. Un mito racconta che Giustizia, disgustata dalla violenza e dalla prevaricazione che imperversano fra gli uomini, lasciò per sempre la terra. Il mito significa che mantenere la giustizia per il soggetto umano richiede uno sforzo costante, una complessa operazione culturale, di civiltà: la giustizia non è un frutto spontaneo, e non è data una volta per tutte, somigliando piuttosto a un sogno celeste che si cerca di trasformare in realtà.
Dal greco càris, che significa piacere, cosa gradita, grazia, seduzione. Le figure delle Grazie, nude o appena velate, erano presenti in tutta la Grecia e tornarono nei dipinti rinascimentali. Secondo altri miti le grazie erano figlie di Zeus ed Hera, o di Sole ed Egle, o di Afrodite e Dionisos. Nella Grecia vi erano statue di Satiri, semiuomini dai piedi di capra, esseri un po' mostruosi, ma dentro a queste statue poteva trovarsi la statua d'oro di una Grazia e il filosofo Socrate paragonava se stesso a queste forme brutte che racchiudevano la bellezza: deformità e bruttezza sono parte dell'umano, e non si trova l'una senza l'altra. Omero assegna come sposi a due delle Grazie il Sonno ed Hefestos. Prima di iniziare una battaglia, gli Spartani offrivano sacrifici alle Grazie, volendo significare che non avevano lasciato nulla di intentato per mantenere la pace, della quale le Grazie sono le signore.
* Dalla parola greca càris vengono le parole latine carus e caritas, in italiano caro e carità, e la parola carezza.
Vedi le tre Grazie nella Primavera di Sandro Botticelli (https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/f9/Sandro_Botticelli_-_Three_Graces_in_Primavera%2C_1485-1487.jpg; ultimo accesso 16/01/2020). Mentre raffiguravano le tre Grazie della mitologia classica, le tre figure di Botticelli potevano significare le Grazie astrologiche, vale a dire i tre pianeti considerati benevoli, propizi: Mercurio, Venere, Giove. Nel circolo neoplatonico che circondava Lorenzo il Magnifico, del quale facevano parte pittori, filosofi, alchimisti, la Primavera fu pensata e dipinta come talismano che il signore avrebbe portato nella Villa di Poggio a Caiano. Mentre Botticelli dipingeva, musici suonavano, aromi venivano bruciati, versi venivano declamati, per attrarre gli influssi astrali positivi. A noi sembra che in ogni caso, anche per chi ignori tutto del dipinto conservato agli Uffizi, se si siede qualche minuto o anche una buona mezz'ora, seduti davanti al dipinto, arrivi qualcosa che si potrebbe chiamare magico, una specie di quiete indotta dalla bellezza non meno che dalla suggestione mitica. La lettura che preferiamo vede nel dipinto il mito dell'Anima come viene narrato da Er nella Repubblica di Platone.
* Vedi un'immagine del fiume che scorre in Turchia, col nome Kocabaş, Biga Çayı: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/ab/Granicus_River.jpg, ultimo accesso 16/01/2020.
H |
Sua dimora sono i
sotterranei del Tartaro Inferno, ed è il signore di
tutte le anime disincarnate, sia quelle che hanno
abbandonato i corpi alla morte, sia le anime che
torneranno alla vita scegliendo una forma per
reincarnarsi. Si racconta che Hades rapì Persefone,
figlia di Demetra e Zeus, mentre raccoglieva fiori. La
madre, signora delle messi e di tutti i frutti,
infuriata e disperata per la perdita, vietò alla terra
di dare frutti, e gli uomini rischiavano di morire di
fame. Finalmente fu trovato un accordo: Persefone
avrebbe potuto tornare dalla madre, purché nella sua
permanenza nel regno di Hades non avesse gustato nessun
cibo. Siccome aveva mangiato dei chicchi di melagrana,
l'accordo fu che restasse con lo sposo per una parte
dell'anno - la cattiva stagione - e tornasse con la
madre per l'altra parte - primavera ed estate.
La melagrana simbolizza la fecondità, e la gestazione avviene in segreto, nel corpo della donna, come il seme vegeta sotto la terra: la permanenza di Persefone sottoterra provoca la temporanea perdita dei fiori e dei frutti, ma rende possibile il loro ritorno. Così veniva pregato Hades nella tradizione orfica:
L'immagine di Hecate serviva ad allontanare i malefìci, e questa divinità della Luna e dei sotterranei infernali, signora degli incantesimi, dei fantasmi, degli spiriti notturni, si aggirava fra i sepolcri, e i cani ululavano al suo avvicinarsi. Hecate mantiene una molteplicità di dominii sotto la sovranità di Zeus, come se la complessità del mondo prima dell'ordine olimpico continuasse a esistere in lei, che ha una parte del dominio di tutti gli altri dei. Complessa e potente, capace di dare il bene e il male secondo il suo desiderio, Hecate era associata nel culto ad Artemide, anch'essa dea lunare, e veniva chiamata Polymorfe, dalle molte forme.
Hecate protettrice delle strade celebro, trivia, amabile,
celeste e terrestre e marina, dal manto color croco,
sepolcrale, baccheggiante con le anime dei morti,
figlia di Perse, amante della solitudine, superba dei cervi,
notturna, protettrice dei cani, regina invincibile,
annunciata dal ruggito delle belve, senza cintura, d'aspetto imbattibile,
domatrice di tori, signora che custodisce tutto il cosmo,
guida, ninfa, nutrice dei giovani, frequentatrice dei monti,
supplicando la fanciulla di assistere alle pie celebrazioni
benevola verso il bovaro sempre con animo gioioso.
(Inni orfici, I)
La
prerogativa di Hecate è avere una parte
di potere in ogni signoria, come se mantenesse un
ordine antecedente alla divisione e alla distinzione
delle diverse sfere d'influenza nel cosmo e
nella vita dell'uomo. Una suggestione:
la tiroide esercita un influsso altrettanto
potente e insidioso su tutto il corpo, come
un regolatore generale che interviene come un
regista, come un signore plenipotenizario che
pouò non farsi sentire, ma che
interviene su una visione dell'insieme,
quasi destituendo più o meno temporaneamente i
regolatori delle singole parti. La tiroide, come
Ecate, fa prosperare e appassire,
come intervenendo sulla singola parte per regolarne
la potenza, divenuta eccedente o carente.
Figlio della
sola Hera, secondo un mito il grande dio Hefestos fu
scaraventato dall'Olimpo dalla madre, che lo aveva
appena partorito, a gara con Zeus che aveva avuto Athena
dalla testa. Forse non le era sembrato abbastanza bello,
oppure a gettarlo dall‘Olimpo era stato Zeus, irato
perché Hera lo aveva fatto senza di lui. Nella caduta
Hefestos si ruppe le gambe e il dio, che zoppicava da
entrambi i lati, fu accolto nell'isola di Lemno, in
Grecia, o nelle isole della Sicilia, o sull'Etna, dove
accanto ai vulcani viveva come signore dei metalli
sotterranei e del fuoco col quale operava la fusione. I
Ciclopi, suoi compagni o suoi figli, lo aiutavano. A lui
si rivolgevano gli dei per ottenere gioelli, armi
prodigiosamente belle e forti e catene visibili e
invisibili, che nessuno poteva spezzare, come quelle che
legavano Prometeo nei sotterranei infernali.
La dea sposa
Hera, regina del mondo col re Zeus, come Terra era
regina col sovrano Cielo e Fluente con Tempo, bilancia
con la generazione di Hefestos il potere maschile,
reso saldo dall'incorporazione di Métis, figura
dell'intelligenza più potente: da Métis incorporata
per sempre da Zeus, che resta attiva dentro di lui per
indicargli il bene e il male, è originata Athena.
Zeus quindi assume prerogative femminili,
portando a termine la gestazione e il parto dalla
propria testa. Hera risponde con Hefestos, che in
Atene era associato nel culto ad Athena:
coppia di artefici che insegnano all'uomo a domare con
la cultura e l'arte della tecnica la condizione
primitiva. Se ricordiamo che Hefestos aiuta con la sua
ascia il parto di Zeus, innaturale, come un parto reso
possibile solo dal chirurgo, possiamo cogliere in
Hefestos il significato del maschile espresso dalla
regina, come Athena è il femminile
espresso dal re. La successione delle nascite degli
dei raccontata nella Teogonia è anche storia del
succedersi di rappresentazioni della potenza chiusa
nell'immenso seno della Terra, di cui ogni sua
discendente eredita il senso, assumendone sì un
aspetto particolare, ma mantenendone il segreto: dare
alla luce le creature e nutrirle. I Centimani e i
Ciclopi chiusi nel seno della Terra dal Cielo che non
vuole successori, il duro e grigio adamante che,
fabbro di se stessa, Terra trae dal suo seno per
forgiare la falce con la quale arma Tempo in agguato
al fallo paterno, e poi i Ciclopi, Bronte, Sterope e
Arge, che uscendo da questo orrido e annodato seno
materno portano a Zeus se stessi, Tuono, Folgore e
Lampo, e alla fine il terrificante e quasi onnipotente
Tifeo, generato dall'unione fra Terra e Tartaro
Inferno, del quale restano, dopo che è stato
imprigionato nella terra madre, i venti violenti e le
eruzioni vulcaniche, fino ad oggi: è una mirabile
catena di senso che rappresenta la ripetuta rimozione
di questa forza, il continuo ritorno del rimosso, e la
formazione di compromesso, quando Zeus ottiene le sue
armi invincibili facendo tornare alla luce Tuono,
Folgore e Lampo. In questa continua competizione per
il potere tra femminile e maschile, che inscena la
matrice mitica del patriarcato, e quindi della civiltà
occidentale, greca, ebraica, alessandrina, romana,
cristiana, islamica, i cui antecedenti sono facilmente
riconoscibili nella mitologia che era la religione
degli antichi egizi, la nascita di Hefestos significa
la possibilità di un'arte. Segna un momento di
cultura, di civiltà, essendo un'arte e al tempo stesso
una tecnica, per lavorare ciò che la Terra madre tiene
in seno, estraendolo, forgiandolo, col fuoco, senza
competere con la sua potenza, perché Hefestos come
serve Zeus serve la sua sposa Hera, come quando su sua
richiesta salva Achille bruciando i fiumi di Troia che
stavano annegando l'eroe. Il senso dell'andatura
oscillante di Hefestos, la sua doppia zoppìa: andatura
incerta, come il procedere dell'essere umano nella
scienza e nella vita, diversa dalla perfetta bellezza
degli dei celesti, ma altrettanto preziosa, divina. Il
dio fabbro Hefestos, ha in sposa Afrodite: nato senza
padre dalla dea regina, compagno di civilizzazione per
gli uomini, è lo sposo della dea nata senza madre dal
fallo del Cielo, principio dell'unione amorosa
generativa. Rispetto al tradimento di Afrodite con
Ares, bellissimo guerriero, la sua arte conferisce a
Hefestos una dignità che rimanda alla potenza
misteriosa del legame con la più affascinante delle
dee.
Il Sole svelò a Hefestos che Afrodite e Ares si incontravano nel suo letto matrimoniale, e il divino fabbro forgiò catene invincibili e invisibili, le tese coma una ragnatela intorno al talamo, e poi finse di andare a Lemno.
Appena seppe che Hefestos lasciava la casa, Ares corse a visitare Afrodite:
E nella trappola entrati, si stesero; e intorno ricaddero
le ingegnose catene dell'abilissimo Hefestos:
non potevan più muovere né alzare le membra,
ma lo capirono solo quando non c'era più scampo.
E fu loro addosso lo Zoppo glorioso, tornato
subito indietro, prima di raggiungere Lemno,
ché il Sole montava la guardia e gli fece la spia:
e lui corse a casa, afflitto nel cuore,
e si fermò sotto il portico: l'ira lo dominava, selvaggia.
Paurosamente gridò, e tutti i numi raggiunse...
(Odissea 2, VIII, vv. 296-305)
Hefestos irato chiese a Zeus che gli restituisse i doni che aveva pagato per Afrodite, sposa bellissima ma spudorata. Tutti gli dei accorsi nel portico della casa contemplavano ammirati la nudità di Afrodite incatenata ad Ares nell'abbraccio, la loro inutile vergogna, e la geniale trappola di Hefestos. Apollo chiese a Hermes se gli sarebbe piaciuto essere al posto di Ares, e il messaggero degli dei rispose:
Potesse questo avvenire, sovrano lungisaettante Apollo,
catene tre volte più grosse, infinite, mi tenessero avvinto,
e tutti veniste a vedermi, voi dèi, e poi anche le dee:
io dormirei volentieri con la dorata Afrodite!
(Ivi, vv. 339-342)
Solo quando Poseidon
dichiara che risarcirà il dio fabbro di tutti i doni di
nozze, Hefestos scioglie le catene e i due amanti si
dileguano fuggendo in direzioni opposte. La doppia
zoppìa di Hefestos riguarda il suo appellativo amfigyèis,
composto da amfi-, doppio, e -ghyes, che
significa pezzo, membro, da cui il nome
di Membruto (Gige, o Ghyghe) uno
dei Centimani.
L'aggettivo greco gyos significa storpio,
zoppo, dal nome gyon, che significa membro.
Pavese traduce l'appellativo di Hefestos prima come ambimembro
(vv. 571 e 579) poi come ambozoppo (v. 945).
Il racconto diffuso fra i greci e trasmesso fino a noi,
della doppia zoppìa di Hefestos, può rivelare il
significato originario dell'appellativo, costituendone
una copertura, non meno che un indizio del significato
rimosso, disponibile per chi voglia cercarlo fin dalle
pagine di un comune dizionario. L'eroe tragico per
eccellenza, col quale in psicoanalisi si nomina la
pietra angolare della vicenda psichica, porta nel suo
nome la stessa zoppìa del divino fabbro: Edipo,
Oidipus, significa Piedi gonfi.
Si racconta che i piedi di Edipo neonato furono forati
per farci passare un laccio e appenderlo a un albero,
oppure che Laio ordinò che a suo figlio fossero feriti i
piedi prima di abbandonarlo, perché nessuno avesse
voglia di raccoglierlo. Il piede nel simbolismo dei
sogni e del feticismo allude al membro maschile, e alla
potenza fallica: prima ancora significa la potenza
sessuale intatta nel linguaggio comune, quando di
qualcuno che si è felicemente legato in una relazione
sentimentale, uomo o donna, si dice che ha trovato la
scarpa per il suo piede. Il piede gonfio quindi
può significare un'erezione quasi illimitata, e di fatto
Edipo, senza limite al suo desiderio inconscio, uccide
il padre e si unisce alla madre. L'epiteto di Hefestos
arriva quasi intatto fino ad oggi: ambiguo, vale
a dire oscillante, vuol dire non coerente,
imperfettamente significante e quindi zoppo, ma anche
doppiamente sensato, dotato di doppio senso. Ciò che ha
un doppio senso è incerto: Hefestos amfigyeis
può essere contemporaneamente sia superdotato, con un
doppio membro, o strumento, sia doppiamente zoppo,
oscillante, incerto. Ben comprensibile che tocchi a lui
come sposa Afrodite Falloamante. Essendo Hefestos il dio
metallurgo e l'inventore di tecniche di civilizzazione,
può essere accostato ad altri eroi analoghi, uno fra
tutti il trickster, o briccone divino, degli
indiani americani: ha un pene che può estendersi
illimitatamente, fino a fecondare la figlia del capo al
di là di un fiume, e che, se viene tagliato, dà origine
a fiori e frutti essenziali alla vita della tribù.
(Radin P., Jung C.G., Kerényi K., Il briccone divino
ctrl).
L'oscillazione del membro di Hefestos rimanda
all'epiteto di Cronos, che poi sarà di Prometeo e di
Ulisse: anchylometis, dotato di una mente angolosa,
serpeggiante, sinuosa: il procedere non rettilineo del
pensiero è prezioso come l'andatura oscillante del
divino fabbro artefice, Hefestos. Nel greco antico ghyes
ha il significato di pezzo, attrezzo, membro, e anche in
italiano attrezzo vale anche come pene e come strumento
tecnico, dell'artefice. Lo strumento, dal martello del
falegname al vomere dell'agricoltore alla pinza del
fabbro è una proiezione nello spazio dell'arto umano e
della sua azione che prende o colpisce o incide: il suo
legame con il genitale che aumenta di volume e
consistenza, è talmente evidente da essere al tempo
stesso misconosciuta e sempre presente. L'efficacia del
pensatore - anchylometis - e del fabbro
(artefice, demiurgo, artigiano) - amfigyeis -
non è in una perfezione, in un movimento retto e
armonico, di padroneggiamento, ma in un movimento che
torna su se stesso, descrivendo curve e angoli, e in
un'andatura zoppicante. Anche quando riconosceva di aver
presentato argomentazioni incomplete e lacunose, Freud
non rinunciava a procedere nella sua ricerca, e scriveva
nel 1920:
Del resto possiamo consolarci per i lenti progressi della nostra conoscenza scientifica con le parole di un poeta: Ciò che non si può raggiungere a volo, occorre raggiungerlo zoppicando ... La Scrittura dice che zoppicare non è una colpa. (Sigmund Freud, Al di là del principio di piacere, OSF IX, p. 248).
Protettrice
dell'unione matrimoniale e delle spose fedeli, gelosa e
persecutrice delle rivali, soccorrevole nei parti; la
dea era implacabile persecutrici di tutte le amanti di
Zeus e dei figli che generavano con lui, anzitutto di
Heracles. Quando era innamorato di Io, per nasconderla
dalla collera di Hera Zeus la trasformò in una giovenca,
ma Hera riuscì a prenderla e la diede da custodire ad
Argo, che aveva cento occhi, e ne teneva cinquanta
aperti mentre a gli altri cinquanta erano chiusi nel
sonno.
Per liberare la sua amante, Zeus inviò Hermes, che si
mise a suonare la siringa per Argo, raccontandogli la
storia di Dafne e Siringa. A un certo punto Hermes:
[V]ide che tutti
d'Argo dormivano gli occhi coperti dal velo del sonno.
Subito tace, ne aggrava il sopor con la magica verga
accarezzandogli i lumi che languono profondamente.
Poi con la spada falcata, mentre Argo vacilla, la testa
staccagli dove s'unisce alla nuca, e la gitta cruenta
giù dalla rupe scoscesa, che tinse di gocce sanguigne.
Argo, tu giaci disteso; e la luce, che dentro tant'occhi
ti scintillava una volta, s'è spenta del tutto! La notte,
unica notte perenne ricopre i tuoi occhi infiniti!
Ma li raccoglie Giunone e li colloca sovra le penne
del suo pavone, a cui empie la coda di gemme stellanti.
(Metamorfosi, I, vv. 714-723).
La coppia legittima dei sovrani degli dei e degli uomini anticipa e riassume le contraddizioni del matrimonio nella cultura patriarcale che ha nella antica Grecia la sua sorgente. Tradimenti di Zeus, liti continue e rivalità incessante si rappresentano in questo episodio, nato nei piaceri della loro alcova: un giorno Zeus, inebriato di nettare, disse ad Hera che il piacere delle femmine era maggiore di quello dei maschi. Hera affermava il contrario, e fu chiamato a dirimere la questione Tiresia, un essere umano che aveva sperimentato sia la condizione di femmina che quella di maschio. Quando in un bosco aveva percosso col bastone due serpenti avvinghiati nell'amore, era diventato femmina, e solo sette anni dopo, rivedendo due serpenti accoppiati e percuotendoli nuovamente, si era ritrasformato in uomo. Tiresia disse che Zeus aveva ragione, ed Hera, per vendicarsi del segreto che aveva rivelato, gli tolse la vista. Vi sono segreti riguardo al piacere che devono restare tali: per questo Tiresia, che aveva visto e rivelato troppo, fu condannato a non vedere altro. Ma Zeus concesse a Tiresia, che aveva visto ciò che resta invisibile agli uomini, il dono della profezia, consentendogli di conoscere i segreti celati a tutti gli altri.
E' chiamato Anfitrionide perché Anfitrione era il re sposo di sua madre Alcmena, che aveva concepito l'eroe con Zeus credendolo suo marito, di cui aveva preso le forme. Nacque insieme a Euristeo, vero figlio di Anfitrione, e nella culla strozzò due serpenti mandati da Hera, che, gelosa di Zeus, lo perseguitò per tutta la vita. Heracles è l'eroe della forza essere umano che sconfigge e uccide i mostri, rendendo migliore la vita sulla terra; come i massimi eroi, Heracles visitò anche il regno dei morti; dovette compiere dodici mitiche fatiche.
Heracles d'animo vigoroso, di grande forza, prode Titano,
dalle mani potenti, indomito, ricco di fatiche gagliarde,
[...]
che per i mortali hai dato la caccia e posto fine alle specie feroci,
desiderando la pace che nutre i giovani, splendidamente onorata
[...]
che intorno al capo porti l'aurora e la nera notte,
passando attraverso dodici lotte da oriente a occidente,
immortale, esperto, infinito, incrollabile...
(Inni orfici, 12 profumo di Heracles, incenso).
Heracles è
il più grande degli eroi civilizzatori, che bonificano
il mondo dai resti ambigui e primitivi, rendendolo
abitabile dagli esseri umani. Le dodici fatiche di
Heracles sono state associate ai dodici segni dello
zodiaco, rappresentando un ciclo concluso di lotte
durissime che come i dodici mesi si ripete ogni anno:
nella vita dell'uomo è necessario combattere per
difendere la civiltà con i suoi frutti preziosi e
fragili dai mostri che la minacciano di distruzione.
L'opera grande (mèga èrgon) compiuta da
Heracles può significare l'opus magnum alchemico, che
è rappresentato dal cerchio completo dello Zodiaco, al
cui compimento si consegue la trasformazione della
materia vile in oro inalterabile, come vittoria sulla
morte, sulla malattia e sulla vecchiaia.
* Anfitrione, ospite perché il re aveva
ospitato, per quanto senza averlo deciso, Zeus; la
parola sosia è legata a questa storia, perché
era il servitore del re ed Hermes prese la sua forma per
aiutare Zeus nell'impresa amorosa.
La funzione del dio è nel suo nome, che significa interprete e messaggero. Hermes portava agli uomini e agli dei i messaggi divini, e come interprete fra diversi mondi aveva la prerogativa di guidare le anime, sia quelle dei morti, verso i sotterranei infernali, sia dal regno di Hades verso una nuova vita. Dio della comunicazione tra mondi diversi, fra differenti piani di esistenza, Hermes è il signore degli scambi, anzitutto della parola, del linguaggio, quindi del commercio, che spinge gli uomini a incontrarsi e intraprendere viaggi, e anche dei ladri, che operano un passaggio di proprietà al di fuori della legge. Il nome latino Mercurio, secondo un'antica etimologia, sarebbe derivato dalla stessa parola dalla quale viene l'italiano merce. Signore delle trasformazioni, Hermes porta il caduceo, una verga attorno alla quale si intrecciano due serpenti, simbolo di guarigione, che tutt'ora è emblema dell'arte dei medici e dei farmacisti (per il doppio valore del farmakon, vedi Apollo). Il suo copricapo, il petaso, e i suoi calzari, sono alati, come gli angeli, che sono per il cristianesimo messaggeri fra cielo e terra, dal greco anghelos, messaggero. Hermes nacque in una grotta, e la sua irresistibile mobilità si manifestò immediatamente:
Se Hermes
glielo avesse dato, propose Apollo, non solo avrebbe
potuto tenere le cinquanta vacche, ma avrebbe ottenuto
grazie alla sua intercessione un posto per sé e uno per
la madre Maia accanto agli immortali, e molti
ricchissimi doni. Hermes accettò, e concluso questo
patto fu per sempre amico e alleato di Apollo.
Il dio Hermes ebbe grande importanza nel Rinascimento,
quando fu collegato al mitico saggio dell'antico Egitto
Ermete Trimegisto, figura di massima sapienza e
saggezza, capace di creare un collegamento fra gli
uomini e Dio.
Anche Hermes abita nelle case dei mortali, anzi, come gli dice Zeus nell'Iliade «più di tutti gli dèi tu ami far da compagno a un mortale.» Ma vi abita come angelos, il messaggero, come chi è pronto a ripartire. «Non c'è niente, in lui, di fisso, di stabile, di permanente, di circoscritto, né di chiuso. Egli rappresenta, nello spazio e nel mondo umano, il movimento, il passaggio, il mutamento di stato, le transizioni, i contatti tra elementi estranei. Nella casa, ... , protegge la soglia, respinge i ladri perché è lui stesso il Ladro [...], per il quale non esistono né serrature, né recinto, né confine.» Presente alle porte delle città, ai confini degli stati, agli incroci delle vie, sulle tombe, che sono le porte del mondo infernale. Egli è presente ovunque gli uomini, fuori della loro casa privata, entrano in contatto per lo scambio -- nelle discussioni e nel commercio --, o per la competizione, come nello stadio. Banditore, dio errante, padrone delle strade, sulla terra e verso la terra; introduce una dopo l'altra le stagioni, fa passare dalla veglia al sonno, dal sonno alla veglia, dalla vita alla morte. Hermes è quindi inafferrabile, ubiquitario. Quando una conversazione cade subitamente e subentra il silenzio, il Greco dice: «Passa Hermes». (Questa espressione del resto sopravvive anche oggi; nei paesi anglofoni quando la conversazione cade si dice «an angel passes».) Hermes porta una bacchetta magica che cambia tutto ciò che egli tocca. È anche ciò che non si può prevedere né trattenere, il fortuito, la buona o la cattiva sorte, l'incontro imprevisto, e anche il felice ritrovamento casuale. (Sergio Benvenuto, Hestia-Hermes)
* Ermeneutica, arte dell'interpretazione; ermetica, la perfetta chiusura di un vaso che ne isola il contenuto dalla distruzione: questo nome viene dal vas hermeticum nel quale gli alchimisti tentavano la trasformazione in oro di tutti i metalli; ermetico, stile espressivo, in particolare in poesia, nel quale il significato è come chiuso dentro ai versi, non facile da comprendere.
Significa Occidentali il nome delle figlie della Notte che custodivano le mele d'oro ai confini dell'Oceano, dove il sole tramonta, frutti magici che tanti eroi del mito e tanti principi delle fiabe cercano di ottenere: crescono in sotterranei o in reami lontanissimi, comunque difficili da raggiungere, ottenibili solo a costo di grandi rischi e non senza un aiuto magico. Nella mitologia greca la mela d'oro più ricordata è quella che Discordia gettò sul tavolo dove gli dei, che non l'avevano invitata, banchettavano per le nozze di Thetis e Peleos. Sulla mela era incisa una dedica, alla più bella, e la contesa per averla, fra Athena, Hera e Afrodite, provocò la guerra di Troia.
Fra i
giardini magici del mito e della fiaba, ricordiamo
quello visitato da Aladino, che vi scende per ordine
del mago, il quale conta di sfruttarlo per ottenere la
lampada meravigliosa: prima di arrivare alla lampada
Aladino vede alberi dai quali pendono frutti che sono
pietre preziose scintillanti di luci multicolori. Nel
giardino dai frutti meravigliosi dove l'uomo sta prima
della nascita, come Adamo ed Eva nell'Eden, tutti i
bisogni e i desideri sono appagati, senza fatica,
senza dolore, senza vecchiaia e senza morte. In tutte
le storie l'essere umano infrange il tabù che la
divinità, o il maître, gli ha posto come condizione
per godere del giardino, e venendone cacciato diventa
mortale e conosce la fatica, ma anche l'avvicendarsi
delle generazioni che formano la sua storia. Il
giardino dove il piacere dell'essere è totale resta il
suo sogno, e viene rappresentato come Paradiso, dono
divino per chi lo merita in vita. I frutti d'oro
all'estremo Occidente possono rappresentare la mitica
traccia di luce lasciata dal Sole prima della notte,
significando quindi l'immortalità: non possono essere
che un frutto proibito agli uomini. Allo stesso tempo
il frutto significa la sessualità, e di fatto i
genitali maschili e femminili sono nominati spesso
come frutti: fiori e frutti degli esseri umani sono i
figli. L'essere umano può abitare il futuro solo
immaginando i suoi discendenti, le generazioni che
vivranno dopo la sua morte. Dalla parola greca melon,
malon, derivano il latino malum
e l'italiano mela, melone,
e, come il latino pomum, malon significa
frutto.
Alla forma dorata del mitico frutto del pomario
delle Hesperidi somiglia l'arancia, come un piccolo
sole, e per questo è raffigurato un aranceto dietro a
Venere nella Primavera di Botticelli.
Il nome del frutto d'oro è stato dato all'ortaggio del
Nuovo Mondo, o Indie Occidentali, rosso come il sole
al tramonto, che rivoluzionò la nostra cucina: il
prezioso pomodoro. Hanno la stessa origine del nome
delle guardiane occidentali dalle altissime voci le
nostre parole Espero, Vespri,
Vespero, vespertino.
L'Hydra viveva nelle paludi di Lerna, e si diceva che avesse sette, nove o anche cento teste di serpente, con le quali divorava uomini e animali, causando morte e desolazione. Accompagnato da Iolao, Heracles andò ad affrontarla, e mentre l'Hydra si attorcigliava intorno alle sue gambe tagliava le sue teste con una falce. Quando si accorse che per ogni testa che tagliava ne ricrescevano due, un granchio gigantesco alleato dell'Hydra gli arrivò alle spalle: Heracles uccise il granchio con la clava, e chiese aiuto a Iolao. Allora l'amico incendiò le foreste circostanti, e portò a Heracles dei tronchi accesi con i quali l'eroe bruciò alla base le teste mano a mano che le tagliava, perché non ricrescessero. Siccome la testa di mezzo era immortale, Heracles la seppellì e vi pose sopra una grossa pietra. Il sangue dell'Hydra era tanto velenoso che ne bastava una goccia per rendere le ferite non rimarginabili. Heracles vi intinse le sue frecce, e con una di queste colpì Nesso. Nesso prima di morire vi intinse la sua camicia e la diede a Deianira dicendole che avrebbe potuto usarla per ottenere la fedeltà di Heracles, ma quando Deianira, temendo di essere tradita, gliela fece indossare, Heracles morì avvelenato.
Per la
splendente bellezza dei suoi figli, Hyperion fu tanto
invidiato che i suoi fratelli titani cercarono di
annegare nel Po Eridano il Sole suo figlio, quando
ancora era bambino.
*Il nome del
padre del Sole viene da iper, sopra, e iòn,
andante: colui che va al di sopra. Iperico,
pianta officinale di color giallo intenso.
I
|
* Gennaio, Rio de Janeiro.
Sposa del re
di Tebe Atamante, dal quale ebbe Learco e Melicerto, Ino
odiava i due figli di primo letto del marito, perché
avrebbero ereditato il regno invece dei suoi. Decisa a
farli morire avvelenò le riserve di grano provocando una
terribile carestia nel popolo tebano. I sacerdoti
corrotti da Ino dissero che il solo modo di farla
cessare era di sacrificare i figli di Atamante. Ma i due
principi riuscirono a fuggire, e il re scoprì la
crudeltà della sua sposa.
Allora uccise Learco e inseguì la sposa e l'altro figlio
fino al mare, dove Ino e Melicerto si gettarono morendo.
Secondo un altro racconto il crimine di Atamante sarebbe
dipeso da una follia indotta da Hera, che, non contenta
di aver provocato la morte di Semele, con la quale Zeus
aveva avuto Dionisos, volle vendicarsi anche di Ino che
aveva cresciuto il dio. Così fece impazzire Atamante,
che, credendo che il suo palazzo fosse una foresta, e i
suoi figli e la sposa bestie feroci, schiacciò Learco, e
inseguì la sposa con l'altro figlio. Anche in questo
mito Ino atterrita si gettò in mare col bambino, ma si
racconta che Tuttovedente con le sorelle Nereidi prese
la madre e il figlio fra le braccia e li portò in Italia
senza mai emergere dal mare. Finalmente Ino e Melicerto
divennero per volontà di Poseidon divinità marine.
Veniva rappresentata come una donna dal passo incerto, vestita di una stoffa cangiante, e portava in una mano la clessidra, a significare la regola, e nell'altra mano una banderuola, come segno della variabilità. Si racconta che Inquietudine in riva a un fiume trovò dell'argilla, e plasmò una figura con due piedi, due braccia e una testa. Zeus capitò da quelle parti, e quando la figlia della Notte gli chiese di dare vita alla sua creatura, la esaudì. Quando Inquietudine volle dare il suo nome al nuovo essere, Zeus si oppose, vantando il diritto a dargli il proprio, e anche la Terra entrò in gara per dare il suo nome. Cronos, chiamato a dirimere la contesa, assegnò alla Terra, che aveva fornito la materia, questo diritto, e il nuovo essere si chiamò uomo, homo in latino, da humus, fango. Siccome Zeus, sovrano degli esseri mortali e immortali, gli aveva infuso lo spirito, Cronos diede allo spirito dell'uomo la prerogativa di regnare sul corpo, e all'Inquietudine, che lo aveva formato, diede il diritto di impadronirsi in qualunque momento dello spirito dell'uomo.
Era amico fedele di Heracles, e combattè al suo fianco in diverse fatiche: gli veniva tributato un culto per la purezza e la costanza dell' amicizia. Quando Heracles morì, gli toccò l'onore di preparare il rogo per i suoi resti, ma non volle accenderlo. Ormai vecchissimo, Iolao si mise alla testa degli Eraclidi e si recò ad Atene, dove chiese il comando dell'esercito ateniese per combattere Euristeo, il fratellastro di Heracles che gli aveva ordinato le dodici fatiche. Ma indossando l'armatura Iolao, troppo vecchio, si piegò sotto il peso, e dovettero sorreggerlo fino al campo di battaglia. Allora Iolao chiese agli dei che gli concedessero, solo per quel giorno, la forza che aveva da giovane: in un istante si videro due stelle fermarsi sul carro di Iolao, che subito fu avvolto da una nube densa. Quando la nube si dissipò, Iolao era diritto e forte come da giovane: così condusse l'esercito alla vittoria, uccidendo di sua mano Euristeo. Le due stelle non erano altri che Heracles e la sua sposa Ebe.
J
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K
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L
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Con le sorelle Atropos e Clothos decide il destino degli esseri umani, avvolgendo sul fuso il filo della vita.
Quando Lachesis non ha più del lino,
solvesi da la carne...
(Divina Commedia, II, XXV, 79-80)
Il fuso di Lachesis rimanda al fatale fuso della fiaba della Bella Addormentata nel bosco, che, per la maledizione di una fata, cade in un sonno simile alla morte, analogo a quello degli dei spergiuri, proprio pungendosi con un fuso. Nella Repubblica di Platone Lachesis si trova agli Inferi, e ammonisce le anime:
Parole della vergine Lachesi sorella di AnankeAnime dall'effimera esistenza corporea, incomincia per voi un altro periodo di generazione mortale, preludio a una nuova morte. Non sarà un dèmone a scegliere voi, ma sarete voi a scegliervi il dèmone. Il primo che la sorte designi scelga per primo la vita cui sarà poi indissolubilmente legato. La virtù non ha padrone; secondo che la si onori o la si spregi, ciascuno ne avrà più o meno. La responsabilità è di chi sceglie, il dio non è responsabile. (Platone, Repubblica, 617d).
Si racconta che questo fiume dell'Arcadia era padre delle bellissime ninfe Dafne e Siringa. Dafne era inseguita dal dio Apollo, quando giunse correndo sulle rive del Ladone, e si rivolse a lui:
- Padre, m'aiuta -, esclamando; - e i fiumi han potere divino!
Mutami e toglimi questa figura, onde fui troppo cara.
Come finì di pregare, sentì nelle membra torpore
grave: si cinsero i molli precordi di scorza sottile,
fronde divenner le chiome, le braccia si fecero rami,
ed alle pigre radici aderirono i piè tanto svelti;
vetta divenne la faccia e rimasele solo il nitore.
Febo anche l'albero adora e, poggiando la destra sul tronco,
sente che palpita il petto pur sotto la nuova corteccia.
Come se fossero membra, ne stringe le rame, le abbraccia,
l'albero bacia, ma l'albero i baci disdegna tutt'ora.
Quindi così le favella: - Poiché non puoi essermi sposa,
sarai almen la mia pianta. O alloro, di te s'orneranno
i miei capelli per sempre, per sempre il turcasso e la cetra.
[...]
Tu, come il mio giovane capo
sempre biondeggia d'intonsi capelli, tu pure per sempre
ti fregerai dell'onore di verdi freschissime fronde.
Disse; e l'alloro assentì con le foglie novelle, e la cima,
come se fosse la testa sembrò ch'ondeggiando accennasse.
(Metamorfosi, I, vv. 545-559 e 564-567)
La stessa cosa accadde con Siringa, che giunse sulle rive del padre quando il dio Pan innamorato stava per prenderla, e chiese e ottenne che la trasformasse in un canneto. Si racconta che il dio Pan:
... ormai credendo ghermire Siringa, stringeva le canne
della palude pel corpo di lei e che, qui sospirando,
l'aria soffiò nelle canne cavandone flebile suono;
che Pan sorpreso dall'arte novella e dal canto soave
disse: - Sarò tuo compagno per sempre! - che sì tra di loro
giunte le dispari canne con cera, di lei serbò il nome.
(Ivi, vv. 705-712)
* Ancora oggi questo strumento si chiama siringa, o flauto di Pan. Vedi un'immagine del fiume che scorre in Grecia: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/df/Ladonas_river.jpg, ultimo accesso 16/01/2020
Fratello di Agrio, progenitore dei popoli del Lazio, diede sua figlia Lavinia in sposa all'eroe troiano Enea. Da lui presero nome gli abitanti del Lazio e la lingua dei romani. Dante lo incontra nel Limbo:
* Lazio, latino.
La pelle del
leone divenne da allora il mantello dell'eroe.
Il motivo di un animale feroce che distrugge i campi coltivati dall'essere umano e devasta tutto il suo ambiente, finché un eroe non lo sconfigge, è in molti motivi popolari e racconti fiabeschi di tutto il mondo, come la fiaba cinquecentesca de L'Uomo selvatico. (Straparola)
LETO, vedi OCCULTA
In greco significa: portatore dell'aurora. Il suo nome venne a volte confuso con quello di Lucina. Lucifero nella mitologia cattolica è il nome del principe delle tenebre, il diavolo, che prima di ribellarsi a Dio era il più bello degli angeli.
La Luna simbolizza la luce che non brucia, e che consente di esplorare l'oscurità; principio femminile per eccellenza, cala e cresce come il corpo della donna con la gravidanza e il parto. Moltissime dee significano la luna, che in Esiodo ha questa sua specifica personificazione. La Luna comanda sulle acque del mare, sollevandole e abbassandole con le maree, e sui liquidi in genere, in particolare sul flusso mestruale della donna, che torna con un ritmo di ventotto giorni, corrispondente al mese lunare. Dal ritmo lunare vengono le settimane, ciascuna pari a un quarto del mese lunare. L'influsso della luna è determinante per la riuscita del vino e delle conserve, e agisce sulla linfa delle piante, tanto che ancora si semina e si mettono a dimora le piantine scegliendo la fase lunare più adatta.
Ascolta dea regina, portatrice di luce, Luna divina,
Mene dalle corna di toro, che corri di notte, ti aggiri nell'aria,
notturna, portatrice di fiaccole, fanciulla, Mene dai begli astri,
crescente e calante, femmina e maschio,
splendente, ami i cavalli, madre del tempo, portatrice di frutti,
luminosa, triste, che rischiari, ti accendi di notte,
che tutto vedi, ami la veglia, ti circondi di begli astri,
godi della tranquillità e della notte felice ...
(Inni orfici, 9, profumo a Luna, aromi)
* Selenio, elemento chimico usato nei dispositivi elettronici; selenografia (come geografia) disciplina che studia il suolo lunare.
M
|
Quando suo figlio Hermes, appena nato, torna a nascondersi nella culla dopo aver rubato cinquanta capi di bestiame ad Apollo, lo ammonisce che non riuscirà a sfuggire alla collera del dio, ma Hermes le risponde che lui in questo modo le procurerà un posto fra gli dei dell'Olimpo. Un antico etimo collegava il nome di Maia col mese di maggio.
Il Mare mai stanco, che si agita e ribolle, che culla con le sue onde il fallo di Cielo, dal quale sgorga la spuma, che porta Afrodite alla terra di Citera, che le onde marine lambiscono tutto intorno, è opposto alla Terra perché aporos, senza passaggi segnati, mentre la terra, madre di tutti, è solcata dalle belle vie. Sulla terra si possono tracciare sentieri, confini, sul mare il percorso individuato dal nocchiero con l'aiuto di qualche stella è incerto, e le onde lo cancellano mano a mano che viene tracciato.
Questo
è il fascino del mare, che corrisponde a tutto ciò che
nella vita l'essere umano non può prevedere,
predeterminare, controllare. Il motto della Lega
Anseatica, Navigare necesse est, vivere non
necesse, ricorda che la dimensione essere umano
è in un costante misurarsi con l'incerto, visitando
isole meravigliose e piene di tesori, ascoltando
sirene dal canto ammaliatore e mortifero, incontrando
ciclopi, ninfe, maghe, popoli strani e mai immaginati.
Il viaggio per mare è di Ulisse nella nostra
tradizione mitica, di Sindibad nelle Mille e una
notte, e di tanti attanti fiabeschi, che vanno per
mare solo dopo che hanno cercato in ogni parte del
mondo la loro amata, o il tesoro che devono
conquistare. Mettendosi in mare il personaggio inizia
la parte più misteriosa del suo viaggio, e capita che
faccia naufragio, e che dopo il naufragio, approdando
a un'isola nudo, privo di tutto tranne che della sua
consistenza essere umano, trovi proprio là,
perdendosi, quello che cercava. I greci chiamavano il
mare con due diverse parole: pòntos e thalassa. Col
nome pontos intendevano il mare
aperto, insolcabile, immenso; con la parola thalassa
designavano il mare vicino alla costa, nel quale
sapevano navigare.
* Talassobiologia, studio degli organismi marini; talassofobia, paura ossessiva del mare; talassoterapia, cura effettuata in ambiente marino.
Dal nome di questo fiume dell'Asia Minore, che sfociava nel Mar Egeo, dopo aver fluito in un percorso tortuoso e sinuoso, deriva quello delle serpentine formate dai fiumi e di ogni via o passaggio dal movimento intricato o labirintico. Secondo il mito Meandro era un fiume della Frigia, che prima di sfociare nel mare descriveva tanti giri tortuosi, nei quali si potevano scorgere tutte le lettere dell'alfabeto greco.
La spartizione del bue con la quale l'astuto Prometeo inganna Zeus, anche se Esiodo ci dice che era impossibile ingannare la grande mente del sovrano degli dei, assegna agli uomini la parte più ricca degli animali offerti in sacrificio, con la quale potevano banchettare in abbondanza. Gli dei amavano nutrirsi del fumo dei sacrifici loro offerti dagli esseri umani, anche se bruciavano per loro solo le ossa bianche e la dura pelle. Coloro che offrivano il sacrificio prima si lavavano di tutta la sporcizia, e poi pregavano, come racconta Omero:
E dopo che pregarono, gettarono i chicchi d'orzo
trassero indietro le teste, sgozzarono, scuoiarono;
tagliarono poi le cosce, le avvolsero intorno di grasso,
ripiegandolo e sopra le primizie disposero
sulle cataste il vecchio li ardeva e vino lucente
versava sopra; i giovani intorno avevano forche tra mano.
E quando le cosce furono arse, mangiarono i visceri;
fecero il resto a pezzi, li infilarono su spiedi,
li arrostirono con cura, poi tutto ritolsero.
E quando finirono l'opera ed ebbero pronto il banchetto,
mangiarono, e il cuor non sentiva mancanza di parte abbondante.
(Iliade, I, vv. 458-468)
Quando nella
sua terra, la Colchide, arrivò Giasone, alla testa degli
Argonauti, sulla nave Argo, per conquistare il vello
d'oro, Medea si innamorò di lui, gli svelò la soluzione
dei segreti che rendevano impossibile il suo compito, e
con i suoi filtri lo rese invincibile in tutti i
combattimenti che il re Aiete gli imponeva. Facendolo
vincere tradì il re suo padre, e lasciò la patria per
seguire Giasone in Grecia. Là usava le sue arti magiche
in favore dello sposo, e dato che come Circe poteva
trasformare, guarire, uccidere e resuscitare, per far
felice Giasone decise di far ringiovanire il suo
vecchissimo padre Esone.
Dopo aver preparato altari ornati di molti fiori, Medea aveva sgozzato due agnelle nere, versando vino e latte sul loro sangue, e aveva invocato gli dei infernali.
Dopo che li propiziò col sussurro di lunghe preghiere, Dionisos,
vedendo il prodigio dal cielo, chiese a Medea un po' del
suo filtro per far ringiovanire le proprie nutrici.
Così il vecchio Esone tornò nel pieno del vigore, ma
nonostante la sua dedizione Giasone decise di lasciarla
per sposare la nipote di Pelias e salire così al trono
che era comunque suo.
Distrutta dal tradimento Medea si uccise, e uccise anche
i due figli che aveva avuto da Giasone, dopo aver
mandato al re e alla principessa, futura sposa
dell'eroe, doni che provocarono la loro morte. Giasone
impazzì di dolore.
Medea simbolizza una potenza femminile immensa, che usa solo a vantaggio dello sposo, senza limiti, ma quando il marito vuole metterla da parte, la sua passione amorosa si trasforma in un odio che non risparmia nessuno. Questo narra la tragedia greca che porta il suo nome, ma si racconta anche che dopo il tradimento di Giasone Medea volò via con i figli sul suo carro portato da draghi volanti.
* Colchico, pianta erbacea della famiglia delle
liliacee, e nome di un bulbo velenoso, perché la
Colchide era considerata la terra di veleni, dei quali
Medea era espertissima.
Questo figlio non sarebbe esistito secondo la tragedia greca "Medea".
Si narra che
la sua chioma fosse formata da serpenti vivi tanto
terribili che pietrificavano chi la guardava. Dopo che
aveva avuto l'amore del dio Poseidon, fu uccisa
dall'eroe Perseo, aiutato dagli dèi.
Perseo rubò l'unico occhio alle Canute, per costringerle
a rivelare dove si trovavano le Terrifiche, di cui erano
le guardiane.
Perseo si avvicinò a Medusa reggendo uno Perseo si
avvicinò a Medusa reggendo lo scudo di bronzo levigato
come uno specchio e camminando a ritroso si avvicinò a
lei abbastanza per ucciderla senza mai guardarla
direttamente. Dal suo sangue vennero alla luce il
cavallo Pegaso e Spadadoro. La testa mozzata di Medusa
fu posta da Athena sul suo scudo o sulla sua corazza, e
da allora la dea dagli occhi di cielo ebbe il potere di
pietrificare coloro a cui mostrava lo scudo.
Il motivo
della pietrificazione oltre che nel mito è presente in
tante fiabe popolari: chi viene pietrificato è un
personaggio maschile, e per liberarlo occorre l'azione
di un personaggio femminile. Guardare Medusa significa
guardare ciò che non è visibile, tutto ciò che della
propria origine materna resta e deve restare oscuro.
Per affrontarla occorre uno specchio, uno strumento
artificiale, un artificio prodotto dall'arte
dell'uomo: solo la cultura e la civiltà consentono di
affrontare le origini oscure. L'immagine della testa
mozzata e anguicrinita (coi capelli a forma di
serpenti) di Medusa è una delle più diffuse nelle arti
figurative.
* Medusa, animale marino che ha tentacoli serpentiformi come la chioma della Gorgona, e avvelena col suo tocco.
* Il nome in greco come in italiano significa dolce come il miele.
Signora e
ispiratrice della tragedia, viene rappresentata con la
maschera tragica nella mano sinistra, mentre con la si
appoggia a una clava simile a quella di Heracles. Come
Dionisos porta una corona di pampini e può essere
accompagnata da un capro. Il capro espiatorio era
l'animale che veniva sacrificato dopo che i partecipanti
al rito lo avevano caricato immaginariamente delle loro
colpe. Il suo nesso con la tragedia riguarda l'effetto
liberatorio, catartico, che si prova alla fine di una
rappresentazione, come se l'angoscia della colpa si
fosse sciolta riconoscendola nella forma teatrale.
* Il nome di Melpomene significa canto e danza, dal greco molpè, canto, o mèlos, canto accompagnato dalla danza (da melos viene melodia) e mènos, che significa spirito, ardore, slancio.
MEMNONE
semidio. Figlio di Aurora e Titone, re africano, 1553.
Partecipò alla
guerra di Troia contro i Greci, alla testa di una grande
armata di Indi e di Etiopi, e grazie a lui l'esercito
troiano stava vincendo, quando Achille lo uccise e mise
in fuga l'esercito troiano. Alla sua morte la madre
Aurora si inginocchiò davanti a Zeus per chiedergli di
onorare la memoria del figlio, e il sovrano olimpico
fece nascere dalle sue ceneri uno stormo di grandi
uccelli neri, che ogni anno tornavano a volare intorno
alle rovine di Troia, si bagnavano le ali nel fiume
Esepo, e ne portavano le acque sulla tomba di Memnone.
MEMORIA (gr. Mnemosyne, Mnemosine) divinità titanide. Regina di Eleutero, congiunta a Zeus concepisce le Muse e le partorisce dopo una gravidanza che dura un intero anno, 100, 108; figlia di Terra e Cielo, 223; quinta sposa di Zeus, genera con lui le Muse, 1444.
Simbolizza la capacità di ricordare, di conservare figure e parole nella mente, e solo da questa capacità di far tesoro dell'esperienza nascono le Muse, le arti meravigliose, attraverso l'incontro appassionato, lungo nove notti, con il signore dell'ordine sereno dell'Olimpo. Per far nascere le Muse occorre un anno di gestazione, un ciclo completo del tempo, superiore ai nove mesi di una normale gravidanza. Invocata dai poeti, Memoria è raffigurata con una corona e molti ornamenti fra i capelli, perché la testa è la parte più importante per questa dea, memtre la sua mano destra tocca l'occhio e l'orecchio, perché l'atto di ascoltare e vedere costituisce la base della memoria.
Invoco Memoria, sposa di Zeus, sovrana,
che ha generato le sacre, sante Muse dalla voce sonora,
esente dal cattivo oblio che sempre turba la ragione,
sostiene ogni intelligenza che vive con le anime degli uomini,
accresce la potente forte ragione dei mortali,
dolcissima, ama la veglia e tutto fa ricordare,
ciò di cui ciascuno sempre depone il pensiero nel petto,
per nulla devia, risvegliando la mente a tutti.
(Inni orfici, 77 profumo di Memoria, incenso)
* Mnestico, che riguarda la memoria: amnesia, mancanza di memoria; mnemotecnica, insieme di tecniche per aumentare la memoria.
Zeus condannò Menezio alla prigione infera perché si era schierato con i Titani nella guerra contro gli dei olimpici.
Metis è la
divinità delle acque che può significare l'intelligenza
mobile, la flessibilità e l'agilità della mente, che
permettono di trovare soluzioni a problemi a prima vista
impossibili. Col suo nome sono formati gli appellativi
che spettano agli esseri mortali e immortali dal
pensiero mobile ed efficace: Cronos è anchylomètis,
dalla mente sinuosa, che sa procedere aggirando gli
ostacoli, Prometeo ha questo epiteto, e anche quello di
poichilomètis, dalla mente variopinta, e polumètis,
dalla molta, mente, intelligenza abbondante, molteplice.
Metis può
significare astuzia, in un'accezione alta, ampia. Fra
gli esseri umani tutti gli appellativi della mètis
spettano a Ulisse. Fu Metis a suggerire a Zeus di dare
una bevanda emetica a Cronos, per fargli vomitare i
figli che aveva divorato, e dopo questo aiuto
determinante Zeus volle unirsi a lei, e poi
incorporarla, quando Cielo e Terra gli rivelarono che
il figlio di Metis avrebbe spodestare suo padre.
L'incorporazione di Zeus è la sua azione volta a
mantenere il dominio, e corrisponde alle azioni contro
i propri discendenti compiute da Cielo e da Cronos: ma
Zeus incorpora Metis e fa proprie le sue prerogative,
senza distruggerla, e la tiene come consigliera. Pur
incorporata, Metis porta a termine la gravidanza di Athena,
che al giusto tempo nasce dalla testa di Zeus. Mentre
l'azione violenta di Cielo e di Crono avevano
suscitato l'azione di rivolta della Terra e di
Fluente, i cui figli non potevano venire alla luce,
quella di Zeus permette la nascita di Athena,
frutto dell'unione. Il diverso rapporto di Zeus con il
femminile trova una conferma nella sua capacità di
portare a termine nella coscia la gestazione di
Dionisos, quando la mortale Semele viene incenerita
durante la gravidanza del dio concepito con Zeus.
Anche la cura che Zeus dedica ai propri figli può
significare che il sovrano degli dei non rigetta la
parte femminile: ha incorporato Metis tenendola viva
in se stesso. Nel Simposio di Platone si racconta che
Metis era nonna di Eros, generato da suo figlio Poros,
Soluzione, Ricchezza, unito a Penia, Povertà.
Figlio di Zeus e di Europa, Minosse, che regnava a Creta, era considerato il re per eccellenza, conoscitore delle leggi e giudice imparziale. Ogni nove anni si ritirava in un antro per un certo tempo, e attendeva che il padre Zeus gli trasmettesse nuove leggi. Con i fratelli Radamanto e Sarpedonte, o con Eaco, si trova nella letteratura antica a giudicare le anime negli Inferi. Nel secondo cerchio dell'Inferno dantesco il grande re pagano, giudice e legislatore, ha voce e forma animale, ma mantiene le sue prerogative di giudice. Avvolgendo su se stesso la lunga coda indica quanto deve scendere nell'Inferno l'anima dannata:
Stavvi Minòs orribilmente e ringhia:
essamina le colpe ne l'intrata;
giudica e manda secondo ch'avvinghia.
Dico che quando l'anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata
vede qual loco d'inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa.
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
vanno a vicenda ciascuna al giudizio,
dicono e odono e poi son giù volte.
- O tu che vieni al doloroso ospizio -,
disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l'atto di cotanto offizio,
- guarda com'entri e di cui tu ti fide;
non t'inganni l'ampiezza de l'intrare!
(Divina Commedia, 1, V, 4-20)
Le montagne,
come i fiumi e le fonti, potevano essere rappresentate e
venerate come divinità.
* Orografia, disciplina che studia e descrive i monti.
Nessun tempio,
nessuna statua nella antica Grecia raffigurava il dio
della morte, che non ha rappresentazione nella realtà
psichica, anche se l'orrore suscitato dal pensiero di
questa realtà essere umano ha generato tante figure,
come lo scheletro armato di falce, a volte vestito di
broccato, o la donna dagli occhi chiusi, pallida,
emaciata, che tiene nelle mani due torce rivolte verso
il basso, come sua madre, la Notte.
La Notte volava con due bambini fra le braccia, uno dei quali, bianco, era il Sonno, l'altro, nero e con i piedi incrociati, la Morte. Freud diede il nome di questo figlio della Notte alla coazione a ripetere, che è pensabile come un odio rivolto contro la realtà o contro il soggetto stesso, tanto forte da svuotare di senso qualunque esperienza, fino a portare in certi casi all'omicidio - nell'odio rivolto contro il mondo della psicosi paranoica - o al suicidio - nell'odio rivolto contro il soggetto stesso, che è della depressione melanconica. All'opposto di Thanatos, nella concezione freudiana, c'è Eros, principio che rigenera la vita, passione, investimento sulla realtà, sugli altri come sulla propria esistenza.
A volte Omero
invoca un'unica Musa, altre parla delle nove fanciulle.
Un mito narra che prima di Esiodo esistevano solo tre
Muse: Memoria, Meditazione e Canto, rappresentanti di
ciò che favorisce e protegge la cultura e la civiltà
dell'uomo. Tre scultori ebbero l'incarico di scolpirle a
gara, e le nove statue che produssero risultarono così
belle che Esiodo trovò per loro nove nomi, elevando così
il loro numero al quadrato. Clio è la musa della storia,
Euterpe della musica, Tàlia della commedia, Melpomene
della tragedia, Tersicore della danza, Eratò della
poesia d'amore, Polimnia del canto, Urania della poesia
degli astri, Calliope della poesia sublime, la più alta.
Il numero tre indica la perfezione, e il suo quadrato ne
incrementa il senso, significando la compiuta bellezza
delle arti legate alla parola.
La parola greca musa significa tutto ciò che da sempre,
e per sempre, riguarda l'arte: canto, poesia, eloquenza,
persuasione, arte, scienza, cultura, gusto, finezza.
Ciascuno dei loro nomi rimanda al piacere e alla virtù
della loro arte, e il poeta al principio del canto le
invoca, cercando ispirazione e sostegno profondo per la
sua opera: l'essenziale nel canto è al di là della
volontà e del desiderio cosciente del soggetto,
dell'artista stesso.
Muse della Pieria, di gran nome, di splendida fama,
desideratissime dai mortali che assistete, multiformi,
che generate irreprensibile virtù di ogni disciplina,
nutrici dell'anima, donatrici di retto sentire
e sovrane che guidate l'intelligenza potente...
(Inni orfici, 76 profumo delle Muse, incenso)
N
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Molto
rispettata dai Greci antichi, rappresenta la repulsione
per i misfatti compiuti, che punisce, anche quando non
sono stati scoperti.
Nella realtà
psichica, come le Erinni persecutrici, rappresenta
l'impossibilità di evitare l'elaborazione della colpa
e il lutto: non riconoscendo la propria colpa, anche
immaginaria, inconscia, il soggetto è condannato allo
scacco della coazione a ripetere.
Secondo una tradizione Nemesis porta una corona
di narcisi, i fiori nati dalla morte di Narciso,
amante fisso all'immagine di sé: l'incapacità di
andare incontro agli altri forma la base di ogni
misfatto per il quale non si prova senso di colpa, e
il fiore segna la fine di questa condizione. A volte
la figura di Nemesi corrisponde a quella della
Fortuna.
* La parola greca nèmesis significa sdegno, riprovazione, biasimo, repulsione derivante dallo sdegno. Nemesi storica, espressione che indica una punizione che sopraggiunge quando ci si sente al sicuro.
Le nereidi
nominate da Esiodo sono cinquanta, pari al numero delle
Nereidi secondo l'inno orfico loro dedicato, mentre
altri autori variano il numero e i nomi, tanto che,
formando un elenco con tutti i nomi diversi che sono
stati tramandati, se ne possono contare cento.
Molti dei loro nomi nella Teogonia significano ciò che nel mare favorisce la navigazione, che rimanda a quanto nell'anima essere umano permette di superare le difficoltà simbolizzate dal mare, luogo del mistero e del rischio mortale. Oggi che il mare è solcato da rotte come la Terra di Esiodo era solcata dalle belle vie, possiamo pensare all'inconscio della psicoanalisi, per il quale non disponiamo di vie tracciate in maniera definitiva, ma di un'arte della navigazione, la psicoanalisi, che traccia rotte di cui si può dire o narrare delle cose nella teoria e nella clinica, mai definitive o certe. I cinquanta nomi sono: Abilità (Dynamene) Splendida (Agave) Autoriflessione (Autonoe) Beldono (Eudore) Belporto (Eulimene) Bellavittoria (Euniche) Belrifiuto (Evarne) Bendistesa (Evagora) Bonaccia (Galene) Buonascorta (Eupompe) Pensierocavalcante (Ipponoe) Velocecavalcante (Ippothoe) Cilestra (Glauche) Signoradellegenti (Laomedea) Curamarina (Alimede) Distesa (Leagora) Dora (Doto) Donata (Doride) Fermacavalli (Menippe) Grotta (Speio) Infallibile (Nemerte) Insulare (Neseia) Isola (Neso) Galatea, Legalità (Temisto) Leggechiara (Glauconome) Marina (Alie) Mellita, Moltariflessione (Polinoe) Natante (Ploto) Onda (Cimo) Ondacalma (Cimatoleghe) Ondaraccolta (Cimodoce) Ondasvelta (Cimothoe) Amabile (Eratò) Previdenza (Pronoe) Prima (Proto) Primacura (Protomedea) Preminente (Actea) Recante (Ferusa) Rifrangente (Anfitrite) Sabbia (Psamate) Salute (Sao) Sciogliregina (Lisianassa) Spiaggia (Eione) Temperata (Eucrante) Thetis, Traversata (Pontoporea) Tuttadivina (Pasitea) Tuttovedente (Panope).
Ninfe del marino Nereo dal volto di corolla, pure,
[...]
in fondo al mare, che danzate insieme, dagli umidi sentieri,
cinquanta fanciulle folleggianti fra le onde,
cavalcando il dorso dei Tritoni esultate insieme
della forma in figura di mostri, i cui corpi il mare nutre,
e di altri che abitano l'abisso, flutto Trittonio,
dimoranti nell'acqua, danzanti, volteggianti nell'onda,
delfini vaganti nel mare, risonanti nei flutti, splendenti d'azzurro.
(Inni orfici, 24 profumo delle Nereidi, aromi)
* Nereidi, invertebrati marini che migrano durante la riproduzione.
Nereo era indovino e dava responsi sempre veritieri, aveva il potere di trattenere e lasciar correre i venti, che custodiva negli antri sottomarini. Perché gli rivelasse dov'era il giardino delle Hesperidi, Heracles lo legò mentre dormiva. In un inno orfico gli vengono attribuiti gli stessi poteri di Poseidon, dio del mare:
O tu che contieni le radici del mare, sede di ceruleo splendore,
che ti compiaci delle cinquanta fanciulle sull'onda
in cori di belle figlie, Nereo, demone di gran nome,
fondo del mare, confine della terra, principio di tutto,
che agiti il sacro seggio di Deo, quando i soffi
spinti in recessi notturni rinchiudi; ma, beato, impedisci i terremoti ...
(Inni orfici, 23 profumo di Nereo, mirra)
Nasce dal
monte Rodope e sfocia nell'Egeo. Il centaturo Nesso
offrì il suo aiuto a Heracles quando con la sposa
Deianira doveva attraversare un fiume.
Ma appena ebbe sul suo dorso Deianira, Nesso se ne
innamorò, e l'avrebbe portata lontano se Heracles non lo
avesse ferito a morte con una freccia intinta nel sangue
velenoso dell'Hydra di Lerna. Prima di morire Nesso
bagnò la camicia nel proprio sangue avvelenato, e la
offrì a Deianira, dicendole che quando avesse temuto di
perdere l'amore di Heracles, se gliela avesse fatta
indossare lo avrebbe riportato a sé. Dopo un certo
tempo, quando Deianira sospettò che Heracles la
tradisse, gli fece indossare la camicia di Nesso. Allora
Heracles morì come se un fuoco lo divorasse dall'interno
del corpo, consumandolo e lasciando solo la sua parte
divina e immortale:
Non più di lui la figura si può riconoscere, perde
la somiglianza materna e gli resta sol l'orma del padre.
Come rinnovasi il serpe, poiché si spogliò con le squame
della vecchiezza e grandeggia splendendo di pelle recente:
così il Tirintio, lasciate le spoglie mortali materne,
vige di sé nella parte migliore, più grande a vedersi,
e venerando diventa per la maestà dell'aspetto.
L'onnipotente suo padre lo chiuse entro una nuvola cava
e lo rapì tra le stelle raggianti di su la quadriga.
(Metamorfosi, IX, vv. 271-272)
Veniva
chiamato anche Egitto, perché le sue piene
rappresentavano la vita per la civiltà millenaria che
fiorì sulle sue coste, e l'Egitto era detto dono del
Nilo. Era paragonato a Zeus, perché le sue piene
bagnavano e fecondavano, come le piogge inviate dal
sovrano dell'Olimpo. All'inizio del XIX secolo si
descriveva così una statua del divinità e fiume, il cui
originale si trovava al Museo Pio Clementino, e in copia
a Versailles:
* Vedi un'immagine del fiume che scorre in Egitto: https://it.wikipedia.org/wiki/Nilo#/media/File:NileDelta-EO.JPG, ultimo accesso 16/01/2020.
NINFE Melie, divinità della natura.. Amano vivere sugli alti monti, 215; si generano nella Terra quando si impregna del sangue del padre Cielo, 305.
Amanti dei balzi e dei boschi montani, secondo i miti dimorano ovunque nel mondo, e hanno una natura intermedia tra quella divina e quella essere umano; sono legate agli alberi e aiutano gli uomini nella crescita. Melie o Meliadi sono le ninfe, in particolare quelle che proteggono le greggi. Il loro numero è immenso e indefinito, ogni albero ne contiene una, e una è presente in ogni corso d'acqua, in ogni balzo montano, significando la divinità che si manifesta nella natura, la più vicina agli esseri umani. La funzione delle ninfe è simile a quella del genius loci latino, genio o spirito del luogo.
Ninfe, figlie di Oceano dal grande cuore,
che avete le case sotto i recessi della terra posati sull'acqua,
correte nascoste, nutrici di Bacco, ctonie, date grande gioia,
nutrite frutti, siete nei prati, correte sinuosamente, sante,
vi rallegrate degli antri, gioite delle grotte, vaganti nell'aria,
siete nelle sorgenti, veloci, vestite di rugiada, dall'orma leggera,
visibili, invisibili, ricche di fiori, siete nelle valli,
con Pan saltate sui monti, gridate evoè,
scorrete dalle rocce, melodiose, ronzanti, errate sulle montagne,
fanciulle agresti, delle sorgenti e che vivete nei boschi,
vergini odorose, vestite di bianco, profumate alle brezze...
(Inni orfici, 51 profumo delle Ninfe, aromi)
Il nome greco
significa legge, costume, giustizia, diritto: Norma
rappresenta la legge applicata. Dalla sua unione con
Zeus, supremo ordinatore, nascono le Ore, gli elementi
del tempo che dividendo la giornata ritmano le attività
degli uomini, e le Fate Nere, che decidono la durata e
la qualità della loro vita: su loro non domina neppure
il grande Zeus.
I nomi delle Ore sono Buonalegge, Giustizia e Pace, come
significanti che vengono per filiazione dall'elemento
maschile fecondatore e ordinatore, Zeus, e dal senso
applicato della legge. Così la pregavano gli orfici:
Soffia dal meridione, la sua stagione è l'autunno, e porta pioggia e tempeste.
Palpito rapido che vai umido attraverso l'aria,
scosso qua e là da ali veloci,
vieni con le nubi australi, patriarca della pioggia;
perché questo, dato da Zeus, è tuo privilegio vagante per l'aria:
mandare dall'aria sulla terra nubi generatrici di pioggia...
(Inni orfici, 82 profumo di Noto, incenso)
Genera da sola divinità che dall'oscurità dell'animo tormentano l'essere umano, contenitore immaginario di tutti i mali che si sprigionano dall'assenza di ragione e di riflessione, in una parola di intelligenza, che si rappresenta come luce. Ma quando si unisce al fratello Buio, oscurità sotterranea e luogo del terrore, nascono due divinità della luce: Etere e Giorno. La separazione fra Notte e Giorno, tra Vita e Morte, è allo stesso tempo una contiguità, un avvicendarsi dei due elementi, opposti e complementari. Dopo il buio della Notte, la luce del giorno. Un mito orfico immagina la Notte come divinità primigenia, insieme al Vento: in principio c'erano solo Notte e Vento, e il Vento correva nella Notte, e la fecondò: la Notte depose un uovo d'oro. Al giusto tempo l'uovo si schiuse e ne uscì il primo dio, Eros tutto d'oro, che per la sua n
atura diede origine a tutti gli esseri:
Notte canterò, genitrice degli dèi e degli uomini.
[...]
Ascolta, dea beata, dal cupo splendore,
scintillante di stelle, che ti rallegri della quiete e della calma dal molto sonno,
Letizia, gradita, che ami la veglia notturna, madre dei sogni,
che fai dimenticare gli affanni e possiedi il buon riposo delle fatiche,
datrice del sonno, amica di tutti che guidi i cavalli, ti accendi di notte,
incompiuta, terrestre e ancora celeste,
periodica, danzatrice negli inseguimenti attraverso l'aria,
tu che invii sotto terra la luce e a tua volta fuggi
nell'Hades; perché la terribile Necessità domina tutto.
(Inni orfici, 3 profumo di Notte, torce)
O |
L'acqua del fiume Oblio lavava la memoria, cancellando ogni ricordo: la bevevano le anime prima di risalire sulla terra per rinascere in un nuovo essere umano. Dante pone il Lete alla fine del Purgatorio, nel sacro giardino dell'Eden, e le anime che hanno espiato i loro peccati ne perdono anche la memoria bevendo dalle sue acque.
Esiodo la nomina come la
più dolce dell'Olimpo, cara ai mortali e agli immortali,
dal manto turchino. Quando era incinta dei gemelli di
Zeus, Hera, gelosa di lei come di tutte le amanti dello
sposo Zeus, fece giurare alla Terra di non darle alcun
posto in cui partorire, e creò il serpente Pitone che la
inseguisse. Vedendo la dea Occulta che vagava senza
trovare un posto in cui fermarsi, il dio del mare
Poseidon ebbe pietà di lei e fece emergere dal suo regno
abissale l'isola fluttuante di Delo, dove Occulta diede
alla luce Apollo e Artemide. Le ninfe lavarono il
neonato Apollo nelle loro acque e Ostrica lo nutrì di
ambrosia e nettare. Apollo poi fermò l'isola della sua
nascita fra le Cicladi, e uccise il serpente Pitone.
Latona può
significare un aspetto femminile non legittimato
dall'unione legale, che non trova uno spazio proprio,
e la sua dolcezza sembra legata al suo essere in
disparte, o nascosta, come vuole il suo nome.
Da lei e da Zeus nascono Apollo e Artemide, che
rappresentano la luce solare e la luce lunare.
* Latente.
I loro nomi, come quelli delle Nereidi, sono significativi dei fenomeni delle acque e delle terre raggiungibili solo per mare, con i pericoli e gli approdi che sperimentano i marinai: rappresentano qualcosa della realtà psichica mobile, della sensibilità, di cui l'acqua è elemento analogico. Da Oceano e Ostrica nascono come figlie anche Europa e Asia. Insieme ai Fiumi, loro fratelli, e al dio Apollo, nutr ono gli esseri umani nella crescita e nella giovinezza. Esiodo ne nomina quarantuno: Suadente (Peito) Ambra (Elettra) Indomita (Admete) Viola (Iante) Poppa (Primno) Celeste (Uranide) Cavalla (Ippo) Clara (Climene) Rosea (Rodeia) Sapia (Idìa) Bellafluente (Calliroe) Clizia (Clitie) Doris, Battitodaria (Plexaure) Arialattea (Galaxaure) Congiunta (Zeuxo) Tuttasnella (Pasithoe) Dione, Rapida (Thoe) Persiana (Perseide) Pastoradagnelli (Melobosis) Tantidoni (Polidora) Ianèira, Bionda (Xante) Pungente (Acaste) Spola (Cerceide) Stabile (Menesto) Ricchezza (Plutò) Petria, Europa Occhigrandi, Metis, Definitiva (Telesto) Ampialegge (Eurinome) Fortuna (Tiche) Aurea (Criseide) Asia, Calipso, Eudora, Velocecorrente (Ociroe) Doppiacorrente (Anfiroe) Brivido (Styx, Stige).
Rappresenta
le acque profonde che circondano tutta la terra, dalle
quali, attraverso l'unione col principio ricettivo
femminile, simbolizzato da Ostrica, discendono tutti i
fiumi, le sorgenti e le innumerevoli divinità
dell'acqua, che significano movimenti trasformativi
della realtà psichica, e anche isole e continenti.
L'Oceano, fiume perfetto concluso in se stesso,
indica la completezza del flusso perenne delle acque,
come movimento incessante della vita.
Così lo pregavano gli orfici:
Invoco Oceano, padre immortale, che sempre è,
origine degli dèi immortali e degli uomini mortali,
che ondeggia intorno al cerchio che delimita la terra;
dal quale derivano tutti i fiumi e tutto il mare
e i santi umori ctoni della terra che scorrono dalle sorgenti.
(Inni orfici, 83 profumo di Oceano, aromi)
ODISSEO v. ULISSE
Mitica sede
degli dei governati da Zeus, per la sua cima sempre
avvolta dalle nuvole, pareti della loro reggia
invisibile. Monte Olimpo, Grecia
* Olimpico,
sereno, che mostra una calma imperturbabile, come quella
degli dei beati.
* In greco antico il verbo chyèo significa sono grossa, gravida, incinta, e la parola chyèma vuol dire feto, embrione; chyma è l'onda come rigonfiamento del mare. Dal greco la parola cima, germoglio, estremità delle piante, delle funi, dei monti, come risultato di un onda di crescita, di espansione.
Il motivo dell'Orcos che Esiodo presenta al suo tempo arriva fino a noi con una complessità di senso non facile da comprendere. Significa il patto col quale le divinità olimpiche, belle, serene, luminose, mantengono il potere concedendo qualcosa a una divinità sotterranea come Styx Brivido: dimenticare il patto secondo il quale il giuramento Orcos sulle sue acque è sacro, significa ignorare la componente misteriosa, pericolosa, della realtà psichica, dell'inconscio. Illusione pericolosa, che rovina chi giura in una contesa, un litigio, in tribunale, con leggerezza: per il potere che Zeus, limite sereno, ha riconosciuto alla sua prima alleata Brivido, spergiurare significa infrangere questo patto, necessario all'equilibrio che consente la spartizione del potere e quindi l'ordine legale. L'Orcos Giuramento è come la sorgente sotterranea dell'ordine e della legge, limite oscuro tra dominio della coscienza, rappresentata dagli dei olimpici e da Zeus, e dominio dell'inconscio, sotterraneo in cui vivono incatenate le potenze primitive che sovvertirebbero questo potere, insieme alle altre potenze primitive, libere, sempre sotterranee, che hanno trovato uno spazio alleandosi con gli dei olimpici. L'importanza dell'Orcos può essere accennata ricordando che dalla parola greca orcos, che significa giuramento, deriva il latino Orcus, che è il nome del dio degli Inferi e designa gli Inferi stessi, come se l'Orcos fosse il nucleo di senso del mondo sotterraneo. La punizione che subiscono gli dei immortali quando tradiscono il Giuramento Orcos sembra la matrice del sonno magico delle fiabe, in cui chi subisce l'incantesimo, come la Bella addormentata nel bosco dei Grimm o Talia in Sole, Luna e Talia di Basile, non è morto, ma la sua vita è sospesa. Allo stato di morte apparente, senza respiro e senza cibo, nel quale giace il dio spergiuro, seguono nove anni di esclusione dalla comunità degli dei: chi infrange il nucleo sotterraneo della legge, resta escluso dalla vita sociale che la legge rende possibile, cioè dai consigli degli dei e dai loro banchetti. Dalla parola latina Orcus prende in seguito nome il mostro delle fiabe, l'orco divorante, che incorpora l'eroe come fa la terra col cadavere, e come il cannibale dell'inferno, il cane Cerbero. Come si incontra Cerbero passando la soglia tra due mondi separati, quello dei vivi e quello dei morti, così si incontra l'orco delle fiabe uscendo dalla dimensione comune a tutti gli esseri umani, entrando nel mondo della magia, alla ricerca di un tesoro o in fuga da un pericolo mortale. L'orco delle fiabe ha varie forme, e può persino essere un aiutante benefico, in ogni caso ha i segni della voracità incontrollabile: bocca immensa e lunghe zanne di cinghiale. La più recente grande rappresentazione degli orchi è nella trilogia del Signore degli anelli tratta da Tolkien, dove gli Orchi vivono in seno alle montagne, sotterranei quindi, inferi, hanno grandi zanne, e combattono per il regno delle tenebre e del male.
Significano la regolarità del tempo, le stagioni che si avvicendano:
Stagioni, figlie di Temi e Zeus sovrano,
Legalità e Giustizia e Pace molto felice,
primaverili, siete nei prati, ricche di fiori, sante,
di ogni colore, molto profumate nelle brezze fiorite,
Stagioni sempre verdi, che vi muovete in cerchio, d'aspetto soave,
vestite di pepli rugiadosi di tanti fiori che crescono,
compagne di giochi di Persefone, quando le Moire
e le Grazie la fanno risalire alla luce con danze circolari
compiacendo Zeus e la madre datrice di frutti:
venite alle pie sacre cerimonie tra i nuovi iniziati
portando generosamente nascite feconde di frutti di stagione.
(Inni orfici, 43 profumo delle Stagioni, aromi)
Nella Nascita di Venere di Botticelli le Ore porgono alla dea il manto fiorito. Nella Primavera di Botticelli la figura che alla sinistra di Venere sparge fiori, può essere interpretata come l'Ora della Primavera. Così Ovidio:
* Ore, dal greco òrai.
Secondo un altro racconto questi figli sarebbero nati dall'unione incestuosa tra Orto e sua madre Vipera.
Ostrica rappresenta il principio ricettivo complementare all'Oceano, come il mollusco marino di cui ha il nome, nella cui valva si forma la perla.
Invoco la sposa di Oceano, Tethys dagli occhi glauchi,
sovana dal peplo scuro, che fluttua scorrevolmente,
spinta intorno alla terra da brezze profumate.
Con coste e scogli frange gli alti flutti,
serena con quiete corse delicate ...
[...]
soccorri benevola,
mandando, beata, un vento favorevole alle navi che corrono veloci.
(Inni orfici, 22 profumo del Mare, grano d'incenso)
P |
Sul più alto monte della Grecia, sacro alle Muse, si sarebbe successivamente posata l'arca con la quale si erano salvati dal diluvio Deucalione e Pirra. Il monte aveva due cime, una sacra ad Apollo e alle Muse, l'altra a Dionisos, e fra le due cime sgorgavano tre fonti: chi beveva queste acque, cantava e poetava con una travolgente ispirazione. Nella tradizione greca questo era il centro della terra, significando la centralità per l'uomo della lingua e della poesia. Monte Parnaso, Grecia.
O diva Pegasëa che li 'ngegni
fai glorïosi e rendili longevi,
ed essi teco le cittadi e 'regni,
illustrami di te, sì ch'io rilevi
le lor figure com'io l'ho concette:
paia tua possa in questi versi brevi!
(Divina Commedia, 3, XVIII, 82-87)
Figura tra le più ricorrenti della mitologia greca, Pegaso significa la potenza maschile sublimata, candida e alata, capace di salire alle stelle.
Figlio di Eaco e di Endeide, a sua volta figlia del centauro Chirone, uccise Foco e dovette lasciare Egina, la sua patria. Si rifugiò presso il re Euritione, in Ftia, fu purificato dall'omicidio, e sposò la figlia del re, Antigone, che gli portò in dote un terzo del regno. Durante la caccia al cinghiale Calidonio, che devastava le loro terre, scagliò la sua asta e per errore uccise il suocero Euritione: allorà si rifugiò a Iolcos, dove Acasto lo purificò di questa colpa. La regina di Iolcos, Astidamia, si innamorò di lui, e siccome non riuscì a sedurlo lo accusò di averla violata, e scrisse ad Antigone, moglie di Peleos, che suo marito stava per sposare la figlia di Acasto. Antigone alla notizia si impiccò, e il re Acasto, credendo che Peleos avesse preso con la forza la sua regina Astidamia, violando gravemente le leggi dell'ospitalità, ordinò che durante una battuta di caccia fosse disarmato e legato sul monte Pelion, perché lo divorassero le bestie feroci. Così venne fatto, ma Zeus ordinò a suo fratello Hades di scioglierlo dalle catene, e di dargli una spada per vendicarsi della crudeltà della regina, vendetta nella quale gli furono compagni l'eroe Giasone e i gemelli Castore e Polluce. Dopo questa storia Peleos fu scelto fra i mortali come sposo della divina Thetis, che era destinata a generare un figlio più forte del padre. La dea non voleva essere umiliata con nozze mortali, e cercò di sfuggirgli trasformandosi in animali, uno dopo l‘altro, ma quando prese la forma di una seppia Peleos riuscì a prenderla. Quando il loro figlio Achille era piccolissimo, Peleos sorprese Thetis a temprarlo nel fuoco, e pensando che che volesse ucciderlo glielo portò via, e lo affidò il figlio al centauro Chirone, perché lo allevasse. Sul monte Pelion cresceva un frassino che Chirone aveva donato a Peleo, al quale Athena aveva dato forma, e che Hefestos aveva fornito di una meravigliosa punta di rame: questo albero divenne una lancia, che si chiamava Pelias, e che solo Achille era in grado di maneggiare.
Suo fratello Esone, re legittimo e padre di Giasone, gli aveva affidato temporaneamente il regno, ma Pelias, per non cederlo a Giasone, gli ordinò di andare a conquistare il Vello d'oro nella Colchide, in Asia Minore, sperando che sarebbe morto nell'impresa.
Nelle sue acque si gettava il fiume Titaresio:
Ma non si mischia col Peneo flutto d'argento,
gli scorre di sopra, a fior d'acqua, come olio,
perché è un braccio di Stige, l'acqua tremenda del giuramento.
(Iliade, I, vv. 753-754)
* Vedi un'immagine del fiume che scorre in Grecia, con lo stesso nome: https://it.wikipedia.org/wiki/Peneo_(fiume_della_Tessaglia)#/media/File:Thessaly_Plain.jpg, ultimo accesso 16/01/2020
PENFREDO divinità, una delle due Canute (pr. Penfrèdo). Sorella di Enio, figlia di Balena e Bianco, dal bel manto, 435. Figlia di
Demetra e Zeus, chiamata dai greci anche Core, la
Fanciulla, la figlia per eccellenza, costituiva con la
madre, grande nutrice, una coppia perfetta e completa.
Questa unità perfetta fu spezzata da Hades, dio degli
Inferi, che con il consenso del fratello Zeus rapì
Persefone mentre coglieva fiori. Demetra percorse piena
di collera e di dolore tutta la terra alla ricerca della
figlia, distruggendo le messi e i frutti, che fino ad
allora crescevano senza fatica, spontaneamente, e
provocando una carestia che rischiava di distruggere il
generre umano. Per porre rimedio a questa catastrofe
Zeus, padre di Persefone, fece un patto con Demetra:
avrebbe potuto tornare dal regno dei morti, purché non
avesse assaggiato alcun cibo durante la sua permanenza
nel regno infero. Ma Persefone aveva gustato alcuni
chicchi di melagrana, frutto che simbolizza la
fecondità: l‘accordo allora fu che tornasse dalla madre
una parte dell'anno, corrispondente alla bella stagione,
nella quale la natura fiorisce e dà frutti, e restasse
con lo sposo nel resto dell'anno, corrispondente
all'autunno e all'inverno. Dopo questa separazione
Demetra insegnò agli uomini l'arte dell'agricoltura, e
il nutrimento non fu più un dono spontaneo della terra.
La condizione perché Persefone tornasse per sempre con
la madre, nutrice per eccellenza, era che non ci fosse
stato per lei nessun altro cibo che quello materno: ma
la madre non può dare alla figlia la fecondità,
simbolizzata dalla melagrana che si trova nel regno
dello sposo.
Il mito
racconta di un tempo in cui la madre dà tutto, e il
legame con lei è perfetto, come quello del neonato che
succhia tutto ciò di cui ha bisogno dal seno della
madre, e di come questa unità col genitore si spezzi
nel tempo in cui l'altro, lo sposo per Core, rapisce e
nutre con un cibo fino ad allora ignoto. La condizione
adulta è la perdita del senso di perfezione
dell'infanzia in rapporto all'unione con la madre, ed
è l'inizio dell'agricoltura, che è l'arte di conoscere
e far tesoro del ritmo alterno e costante delle
stagioni, con la quale l'essere umano lavora per
ottenere cibo per sé e per coloro di cui si prende
cura. Il mito racconta con la rottura della coppia
perfetta costituita da madre e figlia l'alternanza tra
vita e morte, tra visibile e invisibile, tra
abbondanza e privazione: il vivente è tale perché
trascorre un tempo, prima della nascita, e dopo la
morte, nel seno della madre terra, o nel grembo
materno durante la gestazione. Così un lavoro
creativo, sia un'opera d'arte o un'innovazione
scientifica, sia un'opera attraverso la quale il
soggetto, nella sua vita comune, introduce una
trasformazione nella propria esistenza, hanno bisogno
di una fase di silenzio, di mancanza, corrispondente
alla permanenza nel regno infero. Nella necessità che
la figlia, la parte più giovane, viva una parte
dell'anno nel buio sotterraneo possiamo riconoscere
una rappresentazione della depressione e del lutto che
si alternano normalmente al tempo dello slancio e
della produzione.
Così veniva pregata la dea figlia nella tradizione orfica:
Persefone, figlia del grande Zeus, vieni, beata,
[...]
compagna delle Stagioni, portatrice di luce, dalla forma splendente,
santa che tutto domini, fanciulla ricca di frutti,
dalla bella luce, dotata di corna, tu sola desiderabile per i mortali,
primaverile, ti rallegri delle brezze sui prati,
riveli la sacra persona con i germogli dai frutti verdeggianti,
rapita per essere sposata con nozze autunnali,
sola vita e morte per i mortali dai molti affanni,
Persefone: perché sempre tutto nutri e uccidi.
(Inni orfici, 29 inno di Persefone)
La madre di Perseo era Danae, figlia del re di Argo, al quale un oracolo aveva predetto che un suo nipote lo avrebbe ucciso. Il re allora chiuse Danae in una camera di bronzo su un'alta torre, perché nessuno potesse vederla e chiederla in sposa, ma non bastò a fermare lo sguardo e il desiderio di Zeus: il sovrano degli dei se ne innamorò e la fecondò trasformandosi in una pioggia d'oro. Quando nacque Perseo, il re di Argo abbandonò alle acque del mare sua figlia col bambino appena nato, pensando che sarebbero annegati. Invece la principessa giunse all'isola di Serifo, e il re dell'isola volle sposarla. Quanto al bambino, lo mandò nel tempio di Athena dove fu allevato. Toccò a lui il compito eroico di uccidere Medusa, che pietrificava coloro su cui posava lo sguardo: camminando a ritroso con lo scudo che ne rispecchiava la figura, Perseo si avvicinò a Medusa senza subire il suo sguardo fatale, e così poté tagliarle la testa. Dal taglio nacquero Spadadoro e il cavallo Pegaso, sul quale montò Perseo per salire in cielo, dove vagò portato dai venti fino alle costellazioni dei Cancro e delle Orse. Al calare della notte si fermò all'estremo occidente, dove chiese ospitalità ad Atlante. Ma il titano sapeva che il suo giardino dalle mele d'oro sarebbe stato spogliato da un figlio di Zeus:
Questo temendo, rinchiuse il pomario con solide mura
e n'affidò la custodia a un dragone d'immane grandezza,
lungi tenendo dall'orto la gente venuta da fuori.
- Scostati, Atlante gli disse, perché non ti giovi la gloria
delle tue geste che mènti né Giove ti rechi soccorso!
Alle minacce congiunse la forza tentando scacciare
lui ch'indugiava e mischiava parole violente alle miti.
Pèrseo, di forze inferiore (di forze chi mai con Atlante,
chi pareggiar si potrebbe?): - Poiché l'amicizia disdegni,
prendi, gli disse, un regalo! - e scoprì dalla parte sinistra
della Medusa l'orribile teschio, voltandosi indietro.
Monte divenne quant'esso era grande: la barba e i capelli
gli si mutarono in selve, e in giogaie le spalle e le mani:
quello che prima era il capo si fece la vetta del monte,
l'ossa cambiaronsi in pietre. Cresciuto da tutte le parti
si sollevò smisurato (così voi, o numi, voleste!)
e su di lui si posò tutto il cielo con tutte le stelle.
(Metamorfosi, vv. 646-662)
Molte fiabe sembrano apparentate al mito di Perseo, che è uno dei più ricordati dagli autori antichi: ricordiamo solo le più antiche: Pietropazzo, narrata nel Cinquecento da Straparola nelle Piacevoli notti, e Penta mano-mozza, narrata nel Seicento da Basile nel Cunto de li cunti.
Un'altra
figlia della stessa coppia era Pasifae, sposa di Minosse
re di Creta, madre di Arianna. Per vendicarsi del Sole
suo padre, che aveva scoperto al marito Hefestos il suo
tradimento con Ares, Afrodite fece innamorare Pasifae di
un toro bianco che Poseidon aveva fatto uscire dal mare.
Pasifae chiese all'architetto Dedalo di aiutarla, e il
grande artefice fabbricò una giovenca di bronzo, nella
quale entrò la regina, unendosi col toro. Da questa
unione nacque il Minotauro, mostro metà uomo e metà
toro, che venne imprigionato nel labirinto, costruito da
Dedalo su ordine del re Minosse. Per evitare che Dedalo
svelasse il segreto del labirinto, il re ve lo rinchiuse
con suo figlio Icaro, ma dal labirinto Dedalo fuggì
costruendo ali di piume tenute insieme dalla cera.
Mentre l'artefice giunse sano e salvo in Grecia, Icaro,
avendo voluto salire troppo in alto, precipitò in mare
quando il calore del sole sciolse la cera.
Le Muse erano dette anche Pieridi, dal nome della città, o perché avevano vinto le nove sorelle figlie di Piero, quando queste avevano osato sfidarle nel canto.
Pito è il nome
antico della città di Delfo, vicina al monte Parnaso,
dove Apollo uccise e lasciò imputridire il serpente
Pitone, che Hera aveva mandato a inseguire sua madre
Occulta quando era incinta di lui e di Artemide. Dal
serpente prese il nome la Pizia, la sacerdotessa di
Apollo attraverso la quale il dio pronunciava i suoi
oracoli. La pietra deposta da Zeus, quella che sua madre
Fluente aveva fatto ingoiare al padre Cronos per
salvarlo, e che aveva vomitato prima di tutti i
fratelli, si può ancora vedere a Delfi. Pito (Delfi)
Camminando verso il quarto cerchio dell'Inferno, Dante incontra Pluto, che chiama gran nemico, perché la ricchezza corrompe gli uomini. Il dio greco, che come Minosse ha tratti animaleschi, pronuncia parole il cui senso pare tuttora incomprensibile:
- Pape Satàn, pape Satàn aleppe!
cominciò Pluto con la voce chioccia.
(Divina Commedia, 1, VII, 1-2)
Per i Greci Pluto non aveva la voce chioccia, e incontrarlo era solo una fortuna, vista l'abbondanza di mezzi di cui permetteva agli uomini di godere. Pluto spesso è raffigurato fra le braccia della Fortuna. La ricerca della ricchezza può rappresentare tendenze sadico-anali, e i beni, se acquisiti con avidità e conservati con avarizia, significano per il soggetto un controllo sulla radicale incertezza della condizione essere umano. Se è dominato dal bisogno di controllare la vita, l'essere umano finisce con l'asservirsi proprio a ciò che vuole eliminare: la morte. L'oro e i tesori sono custoditi sottoterra, nell'oscurità, e il nome stesso di Pluto a volte coincide con quello di Plutone, dio degli inferi. Ma l'abbondanza di mezzi come disposizione al peccato è assente nel mito greco.
* Plutocrazia, dominio dei ricchi.
Si racconta che Eridano era uno dei nomi di Fetonte, e il fiume Eridano si chiamava così da quando il giovane era annegato nelle sue acque dopo la folle corsa sul carro del padre Sole. Per i latini lo stesso fiume è Padus, il re dei fiumi, che rappresentavano con corna dorate, perché trasportava sabbia d'oro, raccolta in segreto da chi abitava lungo le sue rive, e aveva la sua sorgente negli Inferi. Quando Enea scende nel regno dei poveri morti, e si trova nei Campi Elisi, vede la sorgente del fiume Po Eridano:
Scorge altri a destra e a sinistra per banchettare
e cantare in coro un lieto peana
tra un odoroso bosco d'alloro, da dove nel mondo
di sopra fluisce rigoglioso per la selva il fiume Eridano
(Eneide, VI, vv. 656-659
* Pianura
padana, Po, dal latino Padus.
Vedi
un'immagine del fiume che scorre in Italia: https://it.wikipedia.org/wiki/Po#/media/File:Torino_-_vista_ponte_Isabella_-_Castello_del_Valentino_e_Mole_Antonelliana.jpg,
ultimo accesso 16/01/2020
Fu attribuita l'invenzione della lira a lei, signora e ispiratrice dei canti inneggianti, e si narra che Orfeo nacque dalla sua unione con Oeagro, re della Tracia. Dal greco polys, molto, e ymnos, inno, o mnèsis: il nome significa quindi molti inni, o molta memoria.
Fratello di Zeus, ha la
sua signoria sulle acque, ma il nome del dio
significherebbe signore della terra, e secondo un mito
Poseidon è lo sposo della Terra madre: a questo sembra
collegata la sua prerogativa di provocare i terremoti,
cioè di rendere la terra oscillante come le acque, che
sono il suo dominio. Il colore della sua chioma ci
ricorda la fata turchina di Pinocchio, la cui funzione
di madrina è la stessa delle Oceanine. In un mito si
racconta che Fluente salvò anche Poseidon dalle fauci
del padre Cronos, dandogli da mangiare al suo posto un
puledro, e Poseidon aiutò Zeus a liberare i fratelli.
Mentre una tradizione lo considera il padre dei
ciclopi, che per vendicare l'accecamento di Polifemo
perseguita Ulisse, un'altra narra che i Ciclopi, grati
per la liberazione dalla prigione sotterranea, gli
donarono il suo scettro, il tridente. Il tridente
simbolizza il suo triplice potere sulle acque: di
agitarle, calmarle, e conservarle. Altrimenti può
significare la sovranità sui tre tipi di acque: quelle
aperte del mare e dell'oceano, quelle chiuse dei
laghi, e quelle che sgorgano dalle fonti e scorrono
nei fiumi.
Quando Atene, la città greca per eccellenza
promise l'onore di darle il nome al dio che avesse
offerto agli esseri umani il dono più utile, Poseidon
presentò il cavallo, ma fu battuto da Athena,
che portò l'ulivo. Il cavallo ricorda le onde
possenti, i cavalloni, ed è legato per la sua potenza
alle fonti che sgorgano dalla terra, molte delle quali
hanno un nome che contiene la parola ippos, che in
greco significa cavallo. In una storia delle Mille e
una notte si racconta di alcuni cavalli marini che
potevano fecondare in certe notti le cavalle della
terra, generando puledri di meraviglisoa bellezza, ma
i guardiani dovevano essere molto abili per evitare
che portassero le cavalle tra le onde.
Così veniva pregato il dio delle acque nella tradizione orfica:
* Cratos in greco significa forza potente, dominante; democrazia, potere del popolo (da demos), aristocrazia, potere dei migliori, dei nobili (da aristos); plutocrazia, potere dei ricchi (da plutos)
Dalla parola greca, pronostico, previsione.
Dalla parola greca, prototipo, primo esemplare.
I pensieri di
Prometeo sono sinuosi, o angolosi, contorti, capaci cioè
di comprendere la complessità e le ragioni segrete delle
cose, come i pensieri di Cronos. Prometeo
significa il pensiero che precede, prevedendoli, gli
avvenimenti, mentre il nome del fratello Epimeteo
significa il pensiero che segue gli eventi. La sua mente
è definita anche molteplice, sinuosa, variopinta,
cangiante. Prometeo è il dio che col pensiero soccorre
gli uomini, come il pensiero stesso permette di non
essere totalmente soggetti alla natura e sopraffatti
dagli dei. Quando Zeus gli chiese di spartire la
ricchezza degli animali sacrificati sugli altari tra dei
e uomini, Prometeo compose una parte con le sole ossa
avvolgendole nell'appetitoso grasso dell'animale, mentre
nascose la buona carne nella pelle immangiabile, poi
disse a Zeus di scegliere. Il padre degli dei scelse la
parte che appariva più ricca e quando si vide ingannato,
sfogò la sua collera contro gli uomini privandoli del
fuoco, perché avevano ottenuto grazie all'astuzia di
Prometeo il diritto di nutrirsi di tutte le parti buone
degli animali che sacrificavano agli dei. Avendo pietà
degli uomini Prometeo si recò sull'Olimpo con una canna
cava, vi nascose una scintilla di fuoco e la portò agli
uomini. Allora fu ancora più grande la collera di Zeus
che imprigionò il disobbediente Prometeo nei sotterranei
infernali, e lo legò con catene indistruttibili forgiate
da Hefestos: un'aquila, simbolo del potere di Zeus, ogni
giorno gli mangiava una parte del fegato, e la stessa
parte gli ricresceva ogni notte.
La forza del
pensiero si intreccia al coraggio di liberarsi dalla
soggezione degli dei, e gli dei puniscono chi si
ribella, tormentando il loro coraggio immortale,
simbolizzato dal fegato di Prometeo. Il coraggio, come
il fegato, per quanto divorato, ricresce ogni notte,
indistruttibile, come la forza del pensiero che gioca
il potere divino. Si narra che Prometeo fu liberato da
Heracles, la forza eroica degli esseri umani che
libera la forza del pensiero. Un‘altra storia dice che
Zeus restituì la libertà a Prometeo in cambio del
segreto, che solo lui conosceva, che gli avrebbe
consentito di mantenere nelle sue mani il regno degli
dei e degli uomini: solo Prometeo avrebbe saputo che
l'oceanina Thetis doveva generare un figlio più forte
del padre.
Zeus, per bilanciare il possesso del fuoco,
formò per gli uomini un dono negativo, Pandora, la
donna tanto seducente che non si può resisterle. Una
storia racconta che quando furono creati gli animali e
l'uomo, gli dei assegnarono a Prometeo ed Epimeteo il
compito di distribuire fra loro tutte le virtù.
Epimeteo, mentre Prometeo si era allontanato, le
distribuì generosamente fra tutti gli animali, e
quando finalmente gli si presentò l'uomo non aveva più
nulla da dargli. Allora fece ritorno Prometeo, e vide
che l'uomo era rimasto nudo, senza pelliccia, non
avendo denti aguzzi e potenti, che erano toccati ai
lupi e ai leoni, né la forza del corpo e la folta
pelliccia che avevano gli orsi, né la velocità nella
corsa, che era dei cervi e delle gazzelle, non aveva
le ali, che si erano prese gli uccelli, né le pinne
che consentivano ai pesci di nuotare negli abissi. Per
rimediare all'ingiustizia dovuta all'imprevidenza di
Epimeteo, Prometeo salì sull'Olimpo e in una canna
cava nascose una scintilla del divino fuoco, che solo
l'uomo usa sulla terra, col quale tiene lontani gli
animali, e illumina le tenebre, cuoce e conserva i
cibi, forgia i metalli per disporre di armi e
recipienti. Il fuoco simbolizza il pensiero stesso in
quanto capacità di trasformare la natura creando col
lavoro nuove forme e condizioni di vita migliori.
Figlio dei titani Giapeto e Clara, discendente del
Cielo e della Terra come Zeus, Prometeo riconosce solo
in parte il suo potere: la sua simpatia per gli esseri
umani costituisce una continua sfida al dominio del
Cronide Zeus.
Sant'Antonio
eredita le prerogative di Prometeo sia per il suo
bastone, la ferula, canna cava nella quale Prometeo
nascose il fuoco per portarlo agli uomini, sia per
la sua natura soccorrevole. I
suoi
miracoli, sia straordinari, sia relativi alla
vita quotidiana - come far ritrovare un oggetto
perduto recitando una preghiera dedicata a lui. Il
rapporto con il fuoco non si limita alla ferula:
la malattia cutanea virale, Herpes Zoster, o Fuoco
di sant'Antonio prende da lui il nome, e in nome
suo veniva guarito dai guaritori popolari.
Tutt'ora la medicina ufficiale dispone di farmaci
lenitivi della malattia, che invece può essere
guarita con successo da pranoterapeuti o altri
guaritori estranei al campo scientifico. Anche il
suo rapporto col maiale attesta il dominio del
santo sul piacere della tavola, rendendolo quindi
accessibile. Nella Val Padana, almeno fino alla
seconda guerra mondiale, il prete era chiamato a
benedire le stalle il 17 gennaio, festa di
Sant'Antonio abate. Era il solo giorno dell'anno
nel quale anche i contadini anarchici e socialisti
invitavano il prete, riconoscendo il potere del
santo comeerede di un protettore degli animali.
* Prometeico, ciò che di umano si spinge a forzare i limiti, tendendo verso una maggiore conoscenza.
PREMINENTE
(gr. Actaie, Actea) divinità,
nereide. Figlia di Doris e Nereo, 400.
PRONOE v. PREVIDENZA
PROTO v. PRIMA
Q |
R
|
Reso, re di
Tracia, figlio del divinità e fiume Strimone e della
musa Tersicore, aveva splendidi cavalli, grandissimi,
più bianchi della neve e più veloci del vento. Un
oracolo aveva predetto che Troia non sarebbe mai stata
presa se i cavalli di Reso avessero potuto bere l'acqua
del fiume Xanto e brucare l'erba delle sue rive.
Avendolo saputo, Ulisse e Diomede andarono contro di lui
prima che arrivasse al fiume, dove i suoi erano
accampati sotto tende bianchissime, e lo uccisero. Poi
presero i cavalli meravigliosi e li portarono
nell'accampamento greco.
Il mito racconta che per sfuggire a Poseidon, che si era innamorato di lei, si nascose vicino ad Atlante, all'estremo confine occidentale. Ma il dio del mare era tanto innamorato che mandò i suoi messaggeri in tutte le parti del mondo: dopo tanto tempo un delfino trovò Rifrangente e le chiese di sposare il suo signore. L'oceanina finalmente acconsentì, Poseidon ne fece la regina del mare, e ricompensò il delfino mettendolo fra le costellazioni.
Rodi, isola greca; rododendro, arbusto che ha il fiore simile alla rosa, che in epoca antica fu portata nella Macedonia dall'Asia Minore.
S
|
Quando Eaco, innamorato di lei, la inseguiva, Sabbia per sfuggirgli si trasformò in una fonte e in un pesce, ma Eaco riuscì a prenderla. Per la rabbia e il dolore che provò all'incidentale morte di Foco, nella quale ebbe parte anche Peleo, padre di Achille, Sabbia suscitò contro di loro un lupo ferocissimo. Consigliato dalla nereide Thetis, sorella di Sabbia e sua sposa, Peleos chiese pietà a Sabbia:
Le mani Pelèo tendendo di là verso il lido del libero mare
Psàmate azzurra scongiura che cessi dall'ira e li aiuti.
Quella non cede alle preci. La supplica Teti, che ottiene
per il marito perdono. Ma il lupo, benché richiamato
da quell'orribile strage, persiste con grande ingordigia
per la dolcezza del sangue, finché fu mutato in un sasso,
mentre una lacera vacca azzannava di su la cervice.
(Metamorfosi, XI, vv. 397-404)
Nelle fiabe
popolari si chiamano Sapia attanti di umili origini che
grazie alla loro astuzia diventano regine. Idùia in
greco significa vedente, percipiente, sapiente.
Ida,
nome femminile, con significato simile a Sofia.
* Sangario
era uno dei nomi di Ganimede, che viveva sulle sue rive.
Vedi
un'immagine del fiume che scorre in Turchia, col nome
Sakarya: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/c/c5/Sakaryariver.JPG,
ultimo accesso 16/01/2020
Dio del biasimo, della critica, della beffa, dell'arguzia, del cinismo, della satira, dell'arringa accusatoria in tribunale, di tutto ciò che mette in ridicolo e toglie senso a qualunque persona o cosa, essere umano o divina.
Le sue acque scorrevano intorno a Troia, e siccome il fortissimo Achille correva dentro di lui contro corrente, riempiendo il suo letto cadaveri, il fiume disse al Simoènta:
Caro fratello, cerchiamo insieme di trattenere
la forza di quest‘eroe, che presto del sire Priamo la rocca
distruggerà, non resistono i Teucri al suo ardore.
Corri presto in aiuto, riempi il tuo corso
d'acqua dalle sorgenti, spingi i torrenti tutti,
alza un'ondata immensa, suscita gran fracasso
di piante e sassi; fermiamo l'uomo selvaggio,
che adesso trionfa e infuria pari agli dei.
Io te lo dico, né forza gli gioverà, né prestanza,
né l'armi belle, che giù nel fondo della palude
giaceranno, fasciate di fango; e lui stesso
rotolerò nella sabbia alta, versandogli intorno
ghiaia infinita, così che l'ossa non potran più gli Achei
raccogliere, tanta melma gli verserò sopra.
(Iliade, XXI, vv. 308-321)
* Vedi un'immagine dello Scamandro che scorre in Turchia, nome attuale Karamenderes: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/9/98/Troy_scamander.JPG, ultimo accesso 16/01/2020
Semele morì incenerita per aver chiesto e ottenuto di vedere il suo amante Zeus in tutto lo splendore abbagliante della sua divinità. Glielo aveva suggerito, fingendosi la sua nutrice, Hera, come sempre gelosissima delle amanti di Zeus, dicendole che per sapere se davvero si trattava del sovrano degli dei doveva porgli questa richiesta. Semele chiese a Zeus di giurare sulle acque di Brivido che avrebbe esaudito un suo desiderio, e anche se sapeva di causarne la morte, Zeus non poté evitare di mostrarsi armato dei fulmini incendiari. Non potè evitare la morte dell'amante, ma riuscì a salvare il bambino che aveva in seno, cucendoselo in una coscia, finché la gestazione non fu compiuta. Così nacque il grande dio Dionisos, che essendo uscito sia dal ventre materno che dal corpo del padre, si chiamava anche Binato. Appena nato il dio scese agli Inferi per riprendere la madre Semele, e la portò in cielo, dove Zeus la rese immortale.
Secondo una
tradizione mitica fu posto a guardiano delle mele d'oro
da Hera, perché le Hesperidi avevano l'abitudine di
mangiarle. La voce greca òfis, latino anguis, va
collegata a èchis, vipera, che forma la parola Echidna.
Voce accadica corrispondente è abbu, che significa
acquitrino, pantano, da cui abbû, appû, creatura
vermiforme. Nelle favole come nei miti il serpente e il
drago sono intercambiabili, e sono talora rappresentati
anche come dragoserpente, essere immaginario che unisce
le prerogative di entrambi.
* Ofidi, serpenti; ofiuroidi, stelle marine dalle lunghe braccia squamate, serpentine; ofiolatria, culto dei serpenti.
La Sfinge
greca aveva testa e seno di donna, corpo di leone, ali
di uccello, coda di serpente, mentre la sfinge egiziana
era maschile, barbuta, e senza ali. La Sfinge dimorava a
Tebe, fondata da Cadmo, nel cuore della città, o su una
sua via di accesso: poneva a chiunque passava accanto a
lei questo enigma: “Qual è l'animale che al mattino
cammina con quattro gambe, a mezzogiorno con due, la
sera con tre, ed è più svelto quando cammina con meno
gambe?” Chi non conosceva la risposta veniva ucciso,
precipitato in un burrone. A Edipo, abbandonato in fasce
dal padre Laio, l'oracolo aveva predetto che avrebbe
ucciso suo padre e sposato sua madre, e l'eroe tragico
fuggì da Corinto, perché questo non accadesse, credendo
che il re e la regina di Corinto, che l'avevano
cresciuto come loro figlio, fossero i suoi genitori. Nel
suo viaggio Edipo uccise Laio senza riconoscerlo, e
diede la soluzione all'enigma della Sfinge: “l'uomo, che
comincia a muoversi con quattro punti di appoggio, le
ginocchia e le mani, che da adulto cammina sulle due
gambe, e da vecchio si appoggia al bastone”.
La Sfinge allora si precipitò in un burrone, mentre
Edipo giunse a Tebe e ne divenne il re, sposando
Giocasta, con la quale generò quattro figli. Edipo, dopo
aver avuto da Giocasta quattro figli, scoprì che il re e
la regina di Corinto non erano i suoi veri genitori, e
che senza saperlo aveva fatto ciò che si era illuso di
evitare. Un altro mito racconta che la Sfinge era figlia
di Laio re di Tebe, e quando alla sua morte si
presentarono i pretendenti al trono essa poneva loro il
suo enigma: della soluzione erano a conoscenza solo gli
eredi legittimi della corona di Tebe.
*La parola sfinx per i greci significava una specie di scimmia, immagine dell'essere umano, e deriverebbe dalla voce egiziana šsp, che significava immagine, statua del faraone. Sarebbe connessa con la parola accadica apsasû, che indica un animale esotico, come la scimmia, o mitologico, come la sfinge. Collegato a sfinx è il verbo greco sfingo, che significa stringo, in una contrazione che impedisce l'uscita. La contrazione che impedisce il passaggio richiama fantasie infantili, e sembra articolarsi a partire da uno spasmo mortifero: dell'ano o della vagina, che possono sostituirsi uno all'altra nelle fantasie infantili e nella sessualità: Edipo alla strettoia controllata da Sfynx può procedere solo con la forza polymetis e ankylometis, col pensiero incorporeo che proprio per questo permette l'uscita dal dominio protettivo e soffocante della madre. Dal verbo greco sfingo vengono l'italiano sfintere, muscolo circolare che può contrarsi e rilassarsi, e asfissia, compressione che impedisce il respiro.
Scorreva nella Frigia (Turchia) vicino a Troia, e con un'inondazione cercò di contrastare l'invasione dei greci, ma la dea Hera scese dal cielo col suo carro per sostenere l'esercito greco:
Quanta distesa d'aria abbraccia un uomo con gli occhi,
assiso sopra una cima, guardando al livido mare,
tanto divoran di slancio gli altonitrenti cavalli.
Ma quando giunsero a Troia, sulle correnti dei fiumi,
dove l'acque confondono Simòenta e Scàmandro,
qui frenò i cavalli la dea braccio bianco Hera,
sciogliendoli dal carro, e intorno versò molta nebbia.
E il Simòenta produsse per essi erba ambrosia, perché pascessero.
(Iliade, V, vv. 770-777)
Il nome della dea significa veniente: chiamandola tre volte per nome, Soccorrente veniva ad aiutare le donne durante il travaglio e il parto. Lei aveva aiutato Occulta nel momento del parto di Apollo, mentre la sua gemella, Artemide neonata assisteva al parto del gemello Apollo. Lo stesso culto poteva essere dedicato a Soccorrente e ad Artemide, che aveva, come la Luna, una parte delle prerogative della grande dea madre, onorata con mille nomi fin dal Paleolitico.
Ovidio li rappresenta nella casa del Sonno, che giace su un letto coperto di veli neri:
Stannogli
intorno disperse da tutte le parti le forme
vane dei Sogni con vari gli aspetti sì come nel campo
varie le spighe o le fronde del bosco o del lido le
sabbie.
(Metamorfosi, XI, vv. 613-615)
La dea Arcobaleno dalla veste rifulgente li scosta al
suo passare come ragnatele, mentre va a chiedere che
venga inviato un sogno alla regina Alcione, che attende
vanamente il ritorno del suo amato sposo Ceice. Gli dei
intendono farle sapere che Ceice è morto annegato:
Di tra la folla dei mille suoi figli chiamò
il Sonno allora
a sé Morfeo, maestro nel rappresentar le figure.
Non è di lui alcun altro ch'imiti con più somiglianza
passo che gli si comandi e l'aspetto ed il suon della
voce;
anche le vesti e gli accenti che sono più usati da
ognuno.
Ma solo gli uomini imita. C'è altro che mutasi in fiera,
che si trasforma in uccello ed in lungo serprente: dai
numi
Icelo è detto ed il volgo mortale Fobetor lo noma.
E ve n'è un terzo, dissimile all'arte, che Fantaso è
detto:
prende ingannevoli forme di terra, di sasso, di flutto,
d'alberi, e tutte le cose diventa che son senza spirto.
Ai condottieri ed ai prenci costui si presenta di notte;
vagano gli altri dispersi tra mezzo alla gente volgare.
(Ivi, vv. 633-645)
Secondo l'antica oniromanzia, l'arte di comprendere il
destino attraverso i sogni, i sogni erano ingannevoli
nella stagione in cui le foglie cadono dagli alberi, e
fra tutti i sogni notturni solo quelli del mattino,
prima del risveglio, erano veritieri.
* Onirico, relativo ai sogni; oniromanzia, arte di indovinare attraverso i sogni.
Nella gerarchia olimpica narrata da Esiodo il generoso Sole, che splende e diffonde calore su tutti gli esseri, giusti e ingiusti, è meno potente del dio possessore del tuono e della folgore, Zeus, mentre in un inno orfico il Sole viene invocato col nome di Hyperion, e coincide con Zeus stesso e col padre del tempo, come un dio primigenio, increato.
Beato, tu che hai l'eterno occhio che tutto vede,
Titano di luce d'oro, Hyperion, luce del cielo,
da te stesso generato, instancabile, dolce vista dei viventi,
a destra genitore dell'aurora, a sinistra della notte,
che temperi le stagioni, danzando con piedi di quadrupede,
buon corridore, sibilante, fiammeggiante, splendente, auriga,
che dirigi il cammino con i giri del rombo infinito,
per i pii guida di cose belle, violento con gli empi,
dalla lira d'oro, che trascini la corsa armoniosa del cosmo,
che indichi le cose buone, fanciullo che nutri le stagioni,
signore del cosmo, suonatore di siringa, dalla corsa di fuoco, ti volgi in cerchio,
portatore di luce, dalle forme cangianti, portatore di vita, fecondo Paian,
sempre giovane, incontaminato, padre del tempo, Zeus immortale,
sereno, luminoso per tutti, del cosmo l'occhio che per tutto circola,
che ti spegni e t'accendi di bei raggi splendenti,
indicatore di rettitudine, che ami i rivi, padrone del cosmo,
custode della lealtà, sempre supremo, per tutti d'aiuto,
occhio di rettitudine, luce di vita; o tu che spingi i cavalli,
che con la sferza sonora guidi la quadriga: ascolta le parole,
e agli iniziati mostra la vita soave.
(Inni orfici, 8 profumo a Sole, grano d'incenso)
* Dal greco Elios, sistema eliocentrico
Quando Arcobaleno va a portare un messaggio degli dei al Sonno, lo trova nella sua casa quieta e silenziosa, dove mormora fra i sassi il ruscello dell'oblio, invitando a dormire, e dove fiorisce il papavero, che la Notte raccoglie per addormentare gli esseri umani. Le porta della sua casa aprendosi non cigolano, e dentro:
... Soltanto nel mezzo dell'antroNasce insieme al cavallo alato, Pegaso, quando Perseo uccide Medusa.
* Fobia, paura angosciosa, non razionale.
SPLENDORE (gr. Agave) figlia di Cadmo e Armonia, 1540.
Sposò Echione,
re di Tebe, nato dai denti del dragone ucciso da Cadmo,
e con lui generò Penteo.
Divenuto re di Tebe, suo figlio non volle ricononoscere
la divinità di Dionisos, e il dio, per vendicarsi,
ispirò, durante i riti a lui dedicati, un'estasi
violenta in Armonia e nelle sue sorelle Ino e Autonoe.
Quando Penteo volle spiare la madre e le sue sorelle,
Agave lo scambiò per un cinghiale e insieme alle altre
donne lo fece a pezzi.
Il nome greco, come quello dell'omonima oceanina,
significa splendida. Da Agave, pianta.
Un mito narra che si trasformò in quaglia, e tentò di attraversare a volo il mare, ma siccome le mancarono le forze precipitò, e allora Zeus la trasformò in pietra. Stella era una pietra in fondo al mare quando la dea Occulta peregrinava alla ricerca di un luogo in cui partorire, e nessuna terra voleva accoglierla. Allora emerse come isola, e sulla sua terra nacquero Apollo e Artemide. Il nome dell'isola, dalla parola greca che significava quaglia, fu Ortigia.
L'essere
umano potrebbe aver formulato le prime osservazioni
scientifiche, centinaia di migliaia di anni prima di
inventare la scrittura, osservando il cielo notturno e
distinguendo tra le stelle mobili, i pianeti, e stelle
fisse. Proiettando sui punti luminosi nel cielo
notturno la propria realtà psichica, gli esseri umani
hanno immaginato le costellazioni come figure di senso
dotate di grande astrazione: vi sono disegni delle
costellazioni sulle rocce preistoriche che precedono
di molte migliaia di anni la scrittura.
L'astrologia è stata la prima scienza, come
primo sapere tramandabile intorno alla natura, grazie
alla quale gli Assiri e i Babilonesi erano in grado di
prevedere le eclissi, che per tutti i popoli antichi
avevano un significato funesto, rappresentando la
possibile fine della luce che consente la vita. I
sacerdoti astronomi salivano sulle torri babilonesi,
le zigurrath ctrl, per osservare il cielo quando stava
nascendo l'erede al trono e tracciarne l'oroscopo. Ciò
che per noi è superstizione, l'astrologia, includeva
l'osservazione astronomica, in una sorprendente
mescolanza di magia e miracolosa capacità di calcolo
del movimento dei pianeti, dalla quale poco più di
cinquecento anni fa, con Galileo e Newton, si è
staccata l‘astronomia come scienza. Le stelle regolano
il destino degli esseri umani perché sono le guide, le
figure che gli esseri umani scelgono per orientarsi.
La superstizione anticamente si intrecciava alla
conoscenza: il grande poeta latino Manilio chiamava le
costellazioni ‘Aurea signa', figure d'oro, attraverso
le quali l'uomo poteva comprendere se stesso e il
proprio destino.
Astri
celesti, cari figli della Notte nera,
che vi muovete in giro con vortici circolari correndo
intorno.
Scintillanti, di fuoco, genitori di tutto sempre,
determinate il destino essendo guide di ogni destino,
regolate il sentiero divino degli uomini mortali ...
(Inni orfici, 7 profumo degli Astri, aromi)
Si racconta che era tanto ricco di acque da essere navigabile, fino al giorno in cui Heracles, volendo attraversarlo e non trovando un guado, lo riempì di massi. Strimone generò un figlio, Reso, divinità e fiume e re della Tracia, con Tersicore, musa della danza, o con Euterpe, signora della musica. Sulle sue rive Orfeo pianse la perdita di Euridice fino a morirne.
* Vedi un'immagine del fiume che scorre in Bulgaria, nome attuale Struma: https://en.wikipedia.org/wiki/Struma_(river)#/media/File:Struma_Winter.jpg, ultimo accesso 16/01/2020.
T
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Signora e ispiratrice della commedia, protegge anche l'arte dell'agricoltura e lo studio dei campi, al quale venne associata la geometria, come arte di misurare la terra. Viene rappresentata coronata di edera, i cui serti ornano anche il capo di Dionisos, e tiene in mano una maschera comica. A volte le sta accanto una scimmia, che rappresenta l'imitazione comica, che suscita il riso, fecondo di vita come la terra coltivata.
* In greco thàllos significa germoglio, da cui talea, parte della pianta che, staccata, può emettere radici; tallo, germoglio; tallire, germogliare.
Nato dopo
il Caos e dopo la Terra, rappresenta l'angoscia
spaventosa del buio sotterraneo, dimensione opposta e
complementare a quella della Terra, illuminata e
scaldata dal sole. Rappresenta il seno della terra
nella sua funzione orrida, smisurata, il luogo della
morte come regressione e reinfetazione: prigione di
tutti i nati di Terra e Cielo, dei Centimani e dei
Ciclopi, e poi dei Titani che hanno combattuto contro
gli dei olimpici, e infine di Tifeo, terrificante
gigante sepolto nell'Etna. Può significare la mancanza
assoluta di luce come condizione in cui l'essere umano
è abbandonato senza appello, privo, nel buio, della
vista, come percezione e intelligenza. Tartaro Inferno
coincide con la morte: anche nella concezione
cristiana l'Inferno è la vera morte, terrifica, come
privazione di Dio, ed eterno tormento. Gli antichi
greci non avevano un Aldilà felice, come il paradiso
cristiano o musulmano, e l'oltretomba infernale era
fonte di un'angoscia senza speranza.
Ulisse racconta di quando Circe gli rivelò che avrebbe dovuto recarsi presso il regno dei poveri morti a interrogare Tiresia:
A me si spezzò il caro cuore;
piangevo caduto sul letto e il mio cuore
non voleva più vivere, veder luce di sole.
Ma quando fui sazio di rotolarmi e di piangere,
allora le risposi parole e le dissi:
- O Circe, chi dunque m'insegnerà questa via?
All'Hades nessuno mai giunse con nave nera.
(Odissea 2, X, vv. 496-502)
* Tartari, gli invasori orientali, perché ispiravano un terrore che ricordava quello del Tartaro o Inferno.
Cadmo costruì
la città con l'aiuto di magici guerrieri scaturiti dalla
terra. Si racconta anche che Tebe fu eretta da Anfione:
cantando e suonando la lira commosse i sassi, che
spontaneamente formarono le mura. A Tebe giunse l'eroe
Edipo, che risolvendo l'enigma della Sfinge liberò la
città dalla sua oppressione e ne diventò re. Ma durante
il suo regno scoppiò una terribile pestilenza di cui
Edipo era causa involontaria, avendo, senza saperlo,
ucciso il padre Laio, e sposato la regina, che era sua
madre. Quando furono scoperte le nozze incestuose, la
madre Giocasta si suicidò, e il re Edipo si accecò,
perché nessuno fosse contaminato dal suo sguardo.
Accompagnato dalle figlie, mentre i due figli gemelli si
dividevano il potere nella città, Edipo giunse a Colono,
demo di Atene, ormai vicino alla morte. Tebe intanto era
sconvolta dalla lotta fratricida di Eteocle e Polinice,
e Creonte, fratello di Giocasta, si presentò a lui
chiedendogli di tornare a Tebe. L'oracolo aveva rivelato
che la città dove fosse stata la tomba di Edipo sarebbe
stata vittoriosa: Edipo scelse di restare ad Atene,
governata dal giusto Teseo, rifiutando la fedeltà alla
città con la quale aveva legami di sangue, e morì a
Colono. Sua figlia Antigone, che lo aveva accompagnato
nell'esilio, tornò a Tebe, dove i fratelli si erano
uccisi a vicenda, e Creonte, salito al trono, aveva
ordinato che il corpo di Polinice fosse lasciato in
pasto ai cani. Ma Antigone diede sepoltura al fratello,
e sostenne di fronte al re Creonte, che l'accusava di
aver infranto la legge, di aver agito secondo una legge
superiore, presente nell'anima dell'uomo prima delle
leggi scritte: quella della pietà.
Nella storia di Edipo, che per i greci era l'eroe tragico per eccellenza, Freud riconosce il dramma dell'essere umano, che desidera subentrare al padre, detronizzandolo, e far propria la madre. Da Cielo a Cronos a Zeus, la ferocia nell'avvicendarsi delle generazioni, che è la tragedia essere umano del potere, forma e distrugge esseri umani e dei immortali. Edipo scopre la fragilità dell'uomo, che opponendosi al destino diventa un burattino fra le sue mani: l'oracolo di Delfi infatti gli aveva predetto che avrebbe sposato la madre e ucciso il padre, e per evitare che si realizzasse Edipo era fuggito da Corinto, dove regnavano quelli che credeva i suoi genitori. Ma durante la fuga aveva incontrato il suo vero padre e lo aveva ucciso senza riconoscerlo, per poi sposare sua madre divenendo re di Tebe. La tragedia di Edipo e di Antigone racconta della incolmabile distanza tra la legge del sentimento e la legge come regola che garantisce la vita comune degli esseri umani.
Come l'Odissea racconta che Penelope mandò il figlio Telemaco alla ricerca di Ulisse, un mito racconta che Circe mandò Telegono a cercarlo. Telegono fece naufragio, e trovandosi solo sull'isola di Itaca viveva di furti. Telemaco e Ulisse lo affrontarono e Telegono uccise Ulisse. Athena ordinò che il corpo di Ulisse fosse portato da Circe, e la figlia del Sole in seguito sposò Telemaco, mentre Telegono sposò Penelope. A Telegono si attribuiva la fondazione di Tusculo (Frascati) e di Preneste (Palestrina). Il suo nome significa generato lontano, mentre il nome Telemaco significa combattente lontano.
La Teogonia è regno della parola, lògos, mythos, verbum, perché con una sola battuta nascono i nomi, gli dei, le cose, che la parola chiama alla vita, all'esistenza: Urano Cielo è il dio figlio e sposo della Terra, che ogni notte scende su lei per avvolgerla e amarla dappertutto, ed è anche la volta celeste stellata, stellata come il manto del dio, ed è anche la parola Urano, che ancora risuona nominando il pianeta che, scoperto nel secolo scorso, porta il suo nome, Urano, o l'elemento radioattivo. E così è di Terra e di tanti esseri divini nominati nella Teogonia, incluse le quaranta Oceanine e le cinquanta Nereidi che suggeriscono molteplici percorsi e guadi all'essere umano che si mette in mare. Per i greci le acque del mare aperto erano opposte alla terra: questa solcata da belle o molteplici vie, quello aporos senza guadi, senza vie tracciate, stabili, elemento analogo a ogni mistero, alla realtà psichica, all'inconscio, nel quale il desiderio spinge l'essere umano, che supplisce con artifici alla mancanza di pinne e di organi natatori delle creature acquatiche, che trasforma i tronchi in navi, come la zattera che Ulisse costruisce per partire dall'isola di Calipso. Il mare, o l'inconscio, non hanno sentieri tracciati, e allora valgono l'intelligenza e l'arte del nocchiero che intuisce, o inventa, percorsi per arrivare a destinazione, per non essere inghiottito, ora come allora, e non solo metaforicamente, dall'impadroneggiabile mistero che si porta dentro e che vede fuori di sé... sentieri e guadi, passaggi, pòroi, di cui può raccontare, ma che non può segnare con picchetti né asfaltare. E se il mare e il cielo oggi sono solcati da rotte certe, grazie alla tecnica - technè in greco significava anche arte - ciò che il mare significava per i greci antichi è ancora vivo nell'incertezza della nostra realtà psichica, e dei percorsi necessari ad aprirci a orizzonti nuovi, che ci sfidano e ci atterriscono e ci attraggono, ora come allora, immaginando una convivenza più essere umano, una sapienza più utile, una pace più vera. Il motto della Lega Anseatica amato da Freud, Navigare necesse est, vivere non necesse, significa che la vita come esistenza è data, mentre la navigazione è oggetto di un desiderio che è allo stesso tempo necessità alla quale piegarsi: la stessa che costrinse Ulisse a navigare per il Mediterraneo, e a sostare nelle sue isole, fra ciclopi e sirene, fra Circe e Calipso e l'imboccatura del Tartaro Inferno, per dieci anni, prima di arrivare dove lo spinge la sua nostalgia, a Itaca, a casa. La Teogonia è la storia di come sorge il nostro mondo, che ha come matrice e antecedente il mondo degli dei, e la sua esistenza, la sua stabilità e le sue trasformazioni, hanno come filo conduttore la lotta per il governo supremo e le leggi.
La Terra, seconda
divinità primitiva o primigenia, dopo il Caos, è
l'elemento stabile, la nutrice, è solcata dalle belle,
o larghe, o ampie, strade, in opposizione al Mare,
privo di sentieri tracciati.
Base per gli esseri umani, significa la madre,
elemento originario di ogni vivente: madre di tutti,
che tutti nutre. La sua prima azione è dare vita al
Cielo, per appagare il proprio desiderio di essere
avvolta dall'abbraccio amoroso, ma quando il Cielo,
come funzione fallica illimitatamente fecondante,
limita la sua facoltà di mettere al mondo i figli più forti e
tracotanti chiudendoglieli in seno, ne progetta
l'evirazione, che il figlio Cronos esegue. La Terra
definisce l'azione del Cielo, suo figlio amante sposo,
come la prima azione cattiva. Il significato
dell'alleanza di Terra con i figli, Cronos in
particolare, per limitare il potere del Cielo,
richiede una riflessione, visto che questa alleanza
rompe un ordine primordiale facendo emergere un ordine
legato a Cronos Tempo, alla misura che scorre e
include quindi la fine delle cose come il loro
principio. Cronos, su consiglio della madre Terra,
pone fine al potere paterno e inaugura il proprio. A
sua volta Cronos ripeterà l'azione violenta del padre
Cielo sulla madre Terra, incorporando i figli che ha
generato appena Fluente, che è sua sorella e sposa,
non madre e sposa, li dà alla luce. L'incorporazione
dei figli è il modo di Cronos di evitare che la fine
che lui ha segnato per il proprio padre Cielo sia
segnata per lui da uno dei suoi figli. Ma Fluente,
come la madre Terra, si ribella: per amore dei figli,
certo, ma anche perché questa azione maschile agisce
contro il suo potere, il potere femminile di dare vita
e far crescere le creature. L'ostilità di Terra verso
Cielo significa la ribellione della parte femminile al
potere di controllo maschile, che per durare senza
limiti le impedisce di generare e dare alla luce. Non
per questo finisce l'alleanza con il primo figlio
amante, Cielo: quando il fallo tagliato di Cielo,
prima di cadere nel Mare mai stanco, passa su di lei,
Terra assorbe tutte le gocce di sangue, e nel tempo
prendono vita, come da un estremo amplesso, i giganti
armati di lunghe lance e le ninfe Melie. Terra e
Cielo, non più amanti e generanti, restano uniti nel
dare consigli e svelare il destino ai loro discendenti.
Terra e Cielo fanno in modo che il potere del loro
figlio Cronos, prima favorito dalla Terra stessa,
venga limitato da quello del figlio di lui, e per
questo aiutano Fluente a salvare l'ultimo bambino,
Zeus, sia per vendicarsi del potere eccessivo che
Tempo esercita su lei, sia per vendicare l'evirazione
del padre Cielo. La Terra continua a sostenere gli dei
olimpici quando indica a Zeus come vincere i Titani,
liberando dalle tenebre sotterranee i Centimani, che
non erano mai usciti dal seno materno dove Cielo li
aveva imprigionati. Con lo sposo Cielo, Terra svela
poi a Zeus che il figlio che potrebbe concepire con
Métis gli toglierebbe il potere, e così Zeus incorpora
Métis già incinta di Athena.
Ma quando l'ordine di Zeus sembra stabilito,
scaturisce una nuova manifestazione di potenza della
Terra, che accoppiandosi con la terza divinità
primigenia, Tartaro Inferno, genera la creatura più
gigantesca e terrificante, Tifeo, capace di spazzar
via il nuovo ordine e di prendere il controllo del
mondo, se Zeus non lo scorgesse subito col suo ampio
sguardo. Il sovrano olimpio si scaglia con le sue armi
contro di lui finché non lo precipita e lo imprigiona
in seno alla Terra. Come in seno alla Terra Cielo
aveva chiuso i figli, Zeus vi imprigiona Tifeo, la cui
incursione minacciosa continua a farsi sentire nelle
eruzioni vulcaniche e nei tifoni, le manifestazioni
tuttora più violente e incontrollabili della natura.
Come rassegnata alla potenza di Zeus, è ancora Terra,
che aveva partorito il minaccioso Tifeo, a
consigliare gli Olimpici a dare a lui il potere. Zeus
ha la prerogativa di far tremare la grande madre
Terra, grazie alle armi del tuono e del fulmine che
vengono dalla sua alleanza con i fratelli dei Titani.
Significando quindi il femminile fecondo, che genera e
nutre, l'unione di Terra col maschile si trasforma in
ostilità quando il maschile impedisce l'espressione
della sua potenza femminile, di dare vita. Il suo
favore per Zeus, dopo la prova di forza che vince con
Tifeo, potrebbe spiegarsi con le prerogative
fecondanti di Zeus, che si prende cura
degli innumerevoli figli che genera, al punto di far
assolvere al suo corpo la funzione di completare la
gestazione di Athena
e di Dionisos. In questo modo Zeus, divinità maschile,
ha in sé caratteri che non appartenevano né a Cielo né
a Cronos, come l'amore e la sollecitudine per i figli
e la capacità di gestazione e parto. Forse per questo
Terra tollera che Zeus possa farla tremare con il
fulmine e il tuono, doni che i Ciclopi hanno tratto
dal suo stesso seno. Nelle invocazioni antiche delle
dee femminili, ciascuna delle quali ha prerogative che
si possono ricondurre alla Terra, la prerogativa di
dare vita non è separata da quella di dare morte: come
la terra dà nutrimento a tutti gli esseri, ne dissolve
i corpi, e li riprende nel suo seno. Come il seme del
grano marcisce e rigermoglia nella terra, così gli
esseri umani tornando alla terra con la morte
attendono il tempo della reincarnazione o della
resurrezione.
Dea Terra, madre dei beati e degli uomini mortali,
che tutto nutri, tutto doni, che porti a maturazione, tutto distruggi,
che favorisci la vegetazione, porti frutti, ricca di belle stagioni,
sostegno del cosmo immortale, fanciulla variopinta,
che con le doglie del parto produci il frutto di molte specie,
eterna, molto venerata, dal seno profondo, dalla sorte felice,
demone che ti allieti delle erbe profumate ricche di fiori,
che ti rallegri della pioggia...
(Inni orfici, 26 profumo di Terra, tutti i semi tranne fave e aromi)
L' Ipotesi di Gaia, elaborata in campo scientifico alla fine del XX secolo, considera il pianeta Terra, la sua atmosfera, i suoi monti, i mari, la sua vegetazione, gli animali e gli esseri umani come un grande organismo vivente, nel quale ogni parte dipende dalle altre: da materia inerte Terra Gaia torna a rappresentarsi come un organismo vivente, formato da tutti gli esseri che contiene.
La depressione collettiva secondo la quale gli esseri umani dalla fine del XX secolo in poi sono colpevoli di aver offeso la Terra, inquinandola, e per questo potrebbero estinguersi, corrisponde al mito antico secondo il quale Gaia/Terra si ribella contro il figlio/fratello/amante Urano/Cielo che non rispettando le sue prerogative impedisce ai figli di nascere opprimendola col peso che la opprime. Il figlio minore Cronos si mette al suo fianco ma poi lascia nel suo seno giganti e ciclopi, e Gaia/Terra si allea con Rea/Fluente impedendo a Cronos di ingoiare Zeus, che successivamente lo detronizza.
Quando gli olimpici hanno instaurato il loro dominio, Gaia/Terra si unisce con l'altro primigenio, Tartaro, e genera Tifeo, che potrebbe divorare tutto il cosmo se Zeus non lo scorgesse e non chiamasse a combattere tutte le divinità. Solo la legge di Zeus, che istituisce il giuramento sacro e per primo spartisce il potere fra tutte le divinità disposte a sostenerlo, consente di non distruggere un equilibrio che riduce la potenza della Terra/Madre. Ma riducendola non la elimina: Tifeo sepolto sotto l'Etna erutta fuoco dalla bocca del vulcano, fa tremare la terraferma, genera i venti cattivi, irregolari, dai quali i naviganti non sanno come difendersi. I miti greci narrati da Esiodo nella Teogonia ci raccontano che le prerogative della Terra - di Gaia, del femminile - non possono essere domate. L'angoscia di colpa che provoca un consumo spaventoso di psicofarmaci segue un arco di tempo nel quale, dalla fine del Settecento a tutto il Novecento, la potenza fallocentrica dell'essere umano si è dispiegata in maniera indipendente da antichi limiti religiosi o civili.
Stenno ed Euriale, immortali, e Medusa, mortale, abitano accanto alle Hesperidi dalle altissime voci, dove vive la Notte, e sono raffigurate con ali di pipistrello sulle spalle, serpenti al posto dei capelli, mani di bronzo, denti lunghe come zanne di cinghiale. Sono così terrificanti che guardarle significa morire, diventando statue di pietra. Poche rappresentazioni di divinità femminili sono orride come le Terrifiche, e la pietrificazione esprime questo orrore, che irrigidisce la vita.
Ispiratrice e signora della danza, viene raffigurata con l'arpa o il tamburello, con la testa ornata di piume che ondeggiano ai suoi passi di danza. Secondo un mito sarebbe stata lei la madre delle Sirene, nate dall'unione con Acheloo. Il suo nome è composto da coros, danza, e tèrpo, rilasso l'animo, diverto, diletto, ritempro, risano. L'effetto terapeutico della danza, noto agli antichi come quello della musica, è utilizzato ancora oggi in varie forme di danza-terapia.
Come la titanide Metis, era destinata a generare un figlio così forte che avrebbe tolto il potere al padre, come Cronos aveva fatto contro Cielo e Zeus contro Cronos. Zeus e i suoi fratelli olimpici allora si accordarono di farla sposare, contro la sua volontà, a un essere umano, in modo che, per quanto fosse stato forte, questo figlio non potesse minacciare la loro sovranità. Scelsero il re Peleos, che dovette lottare per unirsi con Thetis: la nereide cercò di rendere impossibile l'unione trasformandosi in molti animali diversi, ma quando aveva forma di seppia Peleos riuscì a prenderla. Il motivo della sposa che sfugge all'unione con successive metamorfosi è presente in molte fiabe popolari. Thetis diede alla luce l'eroe guerriero più grande, Achille, e immergendolo nelle acque di Brivido lo rese invulnerabile in tutto il corpo, tranne che nel tallone per il quale lo teneva. Tentò di completare l'opera ponendo il bambino sul fuoco per temprarlo, ma Peleos la sorprese e glielo strappò dalle braccia, credendo che volesse ucciderlo. Inutilmente Thetis cercò di tener lontano Achille dalla guerra. Quando Patroclo, l'amico di Achille, indossando le armi dell'eroe fu ucciso da Ettore, Thetis, sapendo che avrebbe combattuto per vendicarlo, pregò il dio Hefestos di forgiargliene di nuove. Appena ebbe le armi, andò a portarle al figlio che piangeva sul cadavere di Patroclo: Achille gioì per le armi di bellezza mai vista, ma non voleva lasciare il corpo dell'amato Patroclo:
- Madre mia, un nume m'ha dato l'armi, ed è chiaro
che sono opera d'immortali, non l'ha fatte un uomo mortale.
Ora me n'armerò, certo; ma terribilmente
ho paura che intanto nel forte figlio di Menezio
entrino mosche per le piaghe aperte dal bronzo
e facciano nascere vermi, sfigurino il corpo -
la vita è stata uccisa - marcisca tutta la carne ...
E gli rispose allora la dea Teti piedi d'argento:
- Creatura, questo non ti preoccupi in cuore;
cercherò io d'allontanare la razza selvaggia,
le mosche, che gli uomini uccisi in guerra divorano.
Un mito
racconta che gli dei beati dell'Olimpo fuggirono in
Egitto e si trasformarono in animali, quando videro il
mostruoso Tifeo, che col capo arrivava alla volta
celeste, e con le braccia toccava l'Occidente e
l'Oriente.
Ultimo figlio della Terra, che lo ha generato con Inferno, primigenio come lei, rappresenta la ribellione sua e dei suoi abissi terrificanti e oscuri al dominio di Zeus dal limite sereno. Anche dopo che viene imprigionato per sempre da Zeus e dagli olimpici nel seno immenso della madre Terra, Tifeo continua a far sentire qualcosa della formidabile potenza naturale che nessun ordine umano può controllare né contenere completamente. Ancora oggi può manifestarsi indomabile la potenza sotterranea, repentina come Tifeo quando nasce e cresce alzandosi verso l'Olimpo, dei tifoni e del fuoco vulcanico, come dei desideri inconsci e onnipotenti, per quanto la coscienza li rimuova.
* Tifone, violento fenomeno naturale.
Alcuni racconti lo sovrappongono a Tifeo, generato dalla Terra col Tartaro Inferno, ultima minaccia al potere di Zeus.
Esiodo ne
nomina dodici, sei maschi e sei femmine: Oceano, Coios,
Freddo (Crio) Hyperion, Giapeto, Cronos, e Ostrica
(Tethys) Fluente (Rea) Norma (Themis) Divina (Teia)
Memoria (Mnemosine) Ispirazione (Febe). Alcuni di loro
non accettarono l'ordine stabilito da Zeus che aveva
preso il potere al padre Cronos dividendolo con i suoi
fratelli, e combatterono contro gli dei olimpici una
lunghissima guerra che non ebbe vinti né vincitori fino
a che gli dei olimpici presero come alleati i Centimani.
Sono la prima generazione che toglie potere al padre, Urano Cielo, e alla quale la generazione successiva, i figli di Cronos e Fluente, tolgono il potere. Nella realtà psichica possono essere considerati figure dell'onnipotenza arcaica e infantile, immortale perché sempre presente nell'essere umano, che non rispetta ordine, limite, né norma collettiva. Vinti dal signore di questo ordine, Zeus, nella loro prigione sotterranea rappresentano un assetto pulsionale arcaico o infantile, controllato nella condizione adulta. I domini e le signorie che avevano sulla terra, vengono assunti dalle divinità olimpiche e dai titani che si sono alleati e sottomessi a loro. Un mito racconta che Titano era il primogenito di Cielo e Terra, e concesse al fratello Cronos, favorito dalla madre, la sovranità, a patto che non la trasmettesse a nessuno dei suoi discendenti: per questo Cronos avrebbe incorporato tutti i figli. Per rovesciare il potere di Cronos, Titano avrebbe stretto alleanza con Zeus, salvo poi ribellarsi contro di lui, nella guerra fra Titani e Olimpici. [Titanico, impresa gigantesca, ai limiti del possibile; Titanic: singolare che transatlantico considerato invincibile abbia fatto naufragio, sconfitto come i primitivi potentissimi signori del mondo: chi scelse questo nome per il transatlantico sapeva della forza dei Titani, ma forse ignorava la loro sconfitta].
Quando la dea
Aurora si innamorò di Titone chiese e ottene per lui
l'immortalità, ma avendo dimenticato di chiedere anche
l'eterna giovinezza, si trovò uno sposo che continuava
ad invecchiare, divenendo decrepito. In una fiaba
secentesca il mattino succede così alla notte:
Quando
l'Aurora esce a gittare il pitale del vecchio suo,
pieno di arenella rossa, alla finestra d'oriente... (Basile,
La fiaba dell'orco).
Stanco della vita che trascorreva in una debolezza
inimmaginabile, Titone finalmente chiese la grazia di
morire, e fu trasformato nell'aria fresca che spira ogni
mattina, quando giunge Aurora.
Nel greco antico ponos designava sia il dolore dell'eroe in guerra, sia il travaglio del parto. A Sparta il nome sulla tomba spettava agli uomini morti in guerra nella difesa della patria, e alle donne morte di parto
Raffigurato spesso come uomo fino alla cintola e pesce nella parte inferiore, con una conchiglia in mano, la bucina, era chiamato anche centauro del mare. Presenta delle analogie con Dionisos e Pan per l'elemento inebriante e terrificante: miti diversi raccontano che fu lui, e non il grande dio Pan, a soffiare in una conchiglia emettendo un suono così terrificante che mise in fuga i Giganti che combattevano contro gli dei olimpici. Poseidon chiedeva a Tritone di soffiare nella conchiglia quando voleva che le acque tornassero nella loro sede dopo le tempeste.
Dal greco pas, tutto, e thea, dea.
Il suo nome è composto da pas, tutto, e thoe, veloce, agile, pronta, snella.
TUTTOVEDENTE (gr. Panopeia, Panope) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 401.
Veniva
invocata dai marinai come una delle divinità più
soccorrevoli.
* Dal greco pas,
tutto, e òpsis, vista. Da qui l'italiano panottico,
nome, che significa edificio circolare adibito a
carcere, con un vano centrale dal quale si possono
sorvegliare tutte le celle, e panottico aggettivo,
in ematologia colorazione che mostra al microscopio tutte
le componenti delle cellule ematiche.
U
|
Ulisse è l'eroe dell'Odissea, poema omerico del viaggio e della nostalgia. La sua intelligenza, sempre ricca di risorse ma al tempo stesso attenta ai limiti segnati dagli dei e dal destino, è nominata come sinuosa, complessa, variopinta e cangiante, e la sua protettrice divina è la dea ingegnosa, combattiva, lucidissima: Athena. Nessun personaggio della letteratura di tutto il mondo può vantare come Ulisse una popolarità tanto grande e ininterrotta, dalla diffusione dei poemi omerici a oggi. Ogni tempo ha visto in Ulisse qualcosa di proprio, legato alla ricerca, alla passione essere umano, agli affetti e all'ingegno. Quando tutti i principi greci erano alla sua corte come pretendenti di Elena, la donna più bella, e il re non si decideva a scegliere il genero, temendo la reazione dei pretendenti respinti, Ulisse propose un patto per superare l'impasse: chiunque fosse stato il prescelto, gli altri principi non solo non lo avrebbero attaccato, ma avrebbero combattuto al suo fianco se qualcuno avesse attentato all'onore di Elena. La donna più bella della Grecia scelse Menelao e Ulisse ebbe Penelope, nipote del re. Quando Elena fu rapita dal troiano Paride, Ulisse non aveva nessun desiderio di andare in guerra: quando il messo dei greci, Palamede, andò a cercarlo a Itaca, si finse pazzo, facendosi trovare in riva al mare intento a seminare il sale sulla sabbia. Palamede, conoscendo la sua astuzia, gli mise il suo piccolo figlio davanti all'aratro, certo che se non fosse stato pazzo si sarebbe fermato. Così accadde, e Ulisse dovette lasciare la sposa Penelope e il figlioletto Telemaco. Tentò una mediazione a Troia per evitare la guerra, ma fallì per l'impulsività collerica che dominava gli altri.
Così lo ricorda il re Priamo verso la fine della guerra:
Ma ogni volta che Odisseo abilissimo si levava,
stava in piedi, guardando giù, fissando gli occhi in terra,
e non moveva lo scettro né avanti né indietro,
lo teneva immoto, sembrando un uomo insipiente;
avresti detto che fosse irato o pazzo del tutto.
Quando però voce sonora mandava fuori dal petto,
parole simili ai fiocchi di neve d‘inverno,
allora nessun altro mortale avrebbe sfidato Odisseo,
allora non pensavamo ad ammirare l'aspetto d'Odisseo!
(Iliade, III, vv. 216-224)
Nella guerra
non si distingue per forza guerriera, ma solo la sua
astuzia, col cavallo di legno, permise ai greci di
distruggere Troia e tornare in patria vittoriosi. Il
ritorno avvenne dopo dieci anni, lo stesso tempo della
guerra, e Itaca dall'Odissea in poi significa patria,
porto e luogo degli affetti. Le tempeste, i pericoli del
mare e le azioni sconsiderate dei compagni, o l'ostilità
dei popoli dove Ulisse si trova ad approdare per
rifornire le navi, lo costringono a un lungo viaggio,
durante il quale visita tutti i luoghi mitici del
Mediterraneo, fino a sfiorare le Colonne d'Ercole,
limite del mondo abitato e percorribile per gli antichi.
Nel Medioevo, quando non si leggevano i poemi omerici perché si ignorava la lingua greca, conoscendoli attraverso la tradizione latina, Dante scelse una particolare storia secondo la quale Ulisse, avendo preferito il viaggio al ritorno in patria, volle andare al di là delle Colonne d'Ercole, corrispondenti allo Stretto di Gibilterra, dove il Mediterraneo si apre all'Atlantico. Dante incontra l'eroe dell'intelligenza all'Inferno, punito come consigliere fraudolento per l'inganno del cavallo, e ascolta il racconto della sua ultima avventura. Giunto all'estremo confine, con una orazion picciola Ulisse convince i compagni a tentare la via mai percorsa, nella costante sfida dell'uomo per la conoscenza:
- O
frati, - dissi, - che per cento milia
perigli siete giunti a l'occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d'i nostri sensi ch'è del rimanente
non vogliate negar l'esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.
Li miei compagni fec'io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;
e volta nostra poppa nel mattino,
de' remi facemmo ali al folle volo.
(Divina Commedia, 1, XXVI, 112-125)
Riguardo alle figure femminili, Ulisse è l'unico eroe
del mito ad aver amato molte donne e molte dee senza
che nessuna di loro lo abbia maledetto, o si sia
uccisa per la sua partenza. Penelope non lo tradisce
né vuole risposarsi nei suoi vent'anni di lontananza,
al punto che il nome di Penelope è sinonimo di
fedeltà. Quando Ulisse, solo, dopo molti naufragi, bello
di fama e di sventura (Ugo Foscolo) torna a Itaca,
deve sconfiggere i Proci, giovani nobili che hanno
occupato la sua reggia per chiedere a Penelope a
scegliere uno di loro come nuovo re. Finalmente,
sconfitti i Proci, ripresa la sua regalità,
rinvigorito grazie all'intervento di Athena,
Ulisse si riunisce con Penelope nel letto nuziale, che
aveva costruito su un albero d'ulivo, e le rivela che
gli resta da intraprendere un ultimo viaggio.
Dovrà partire con un remo sulla spalla, fino a
quando qualcuno gli chiederà a che serve quel
ventilabro, scambiando lo strumento per navigare con
un attrezzo agricolo. Allora Ulisse dovrà insegnerà
cosa sia il mare a questo popolo che non ne conosce
nemmeno l'esistenza, e poi potrà tornare a Itaca, per
vivere in pace e prosperità l'ultima parte della sua
vita. Il più grande viaggiatore della storia viaggia
senza averlo scelto, come l'essere umano vive senza
aver scelto di nascere, né quando, né dove: forse è il
più grande e il più umano proprio per questo. L'ultima
parte della vita, compiuto il viaggio, verrà solo
quando avrà insegnato il senso del mare, dove la rotta
si traccia nuova ogni volta sulle onde, a chi conosce
solo la terraferma, dove le strade sono tracciate
stabilmente. Ulisse rappresenta il soggetto umano che
sceglie la terra, la patria, gli affetti, ma è scelto
aleatoriamente dagli eventi, e allora ne fa
esperienza. Considerando il mare come rappresentazione
dell'inconscio, il naufragio ripetuto dell'eroe, che
alla fine resta solo e nudo, significa l'esperienza
della complessità della vita, comprensibile solo per
chi si spogli dell'identità legata all'ideale di sé e
alla maschera sociale. Allora, e solo allora, potrà
riprenderle, scoprendo che non si perde nulla di ciò
che è proprio, né si conserva nulla di ciò che non ci
appartiene veramente.
All'Odissea greca si sono ispirate molte opere letterarie nel Novecento, ricordiamo qui solo Ulysses di J. Joyce (Paris 1922) e Orcynus Orca di Stefano D'Arrigo (Milano 1975)
* Odissea, lunga serie di peripezie, avventure e disgrazie, prima del conseguimento della meta.
Ispiratrice e
signora dell'astronomia, che fino alla nascita della
scienza moderna era anche astrologia, canta del cielo e
delle stelle. Il verbo italiano considerare
deriva dal latino siderare, relativo all'attenta
osservazione degli astri, e cum, unitariamente,
nel loro insieme. (Devoto). Si stabilirebbe così una
suggestiva parentela tra la riflessione e l'osservazione
delle stelle, che trova riscontro nell'ipotesi dei
paleostorici secondo la quale la prima scoperta
scientifica dell'essere umano sarebbe consistita nella
distinzione nel cielo stellato di corpi mobili, i
pianeti, e fissi, le stelle. L'immaginazione corre
scorgendo forme nell'immenso cielo notturno, e
stabilendo una relazione tra lavita umana e i moti delle
stelle gli uomini hanno potuto narrare e spiegare a se
stessi qualcosa della propria natura e del proprio
destino.
* Dal greco urànos, cielo, come il nome del dio e del pianeta Urano.
Era un mitico sovrano, della Spagna o delle Baleari, o di Eritia, che corrisponde a Cadice, ed era celebre per le sue mandrie di buoi, che faceva custodire dal gigante Euritione, accompagnato da Orto, il cane a due teste. La decima fatica di Heracles era toglierli i buoi, e l'eroe cominciò uccidendo Euritione e Orto. Il pastore di Hades, Menezio, avvertì Urlante, dotato di tre teste e sei braccia, che andò a sfidare Heracles, ma nonostante l'aiuto di Hera, sempre ostile all'eroe, fu ucciso.
V |
Secondo un
mito la vecchiaia e la morte erano contenute con tutte
le pene nel vaso di Pandora, e giunsero con lei agli
esseri umani che prima non le conoscevano.
* Geriatria,
cura dei vecchi; gerontologia, branca della
medicina che riguarda la vecchiaia.
Come figlia del centauro Chirone, Ociroe ha il dono della preveggenza e per questo rivela al padre e ad Esculapio il proprio destino. Viene perciò trasformata in cavalla dagli dei, in quanto colpevole di aver rivelato il futuro agli uomini.
Sono tre i
venti impetuosi discendenti di Aurora e Astreo, o
quattro, secondo un altro mito, uno per ogni punto
cardinale. Esiodo dice di Zefyros, vento occidentale e
primaverile, lieve e sempre favorevole, di Boreas,
settentrionale, invernale, più forte, che porta la neve,
e infine di Notos, meridionale, umido e legato
all'autunno, che porta nuvole e nebbia. Manca in Esiodo
il vento orientale, Euro, rappresentato con la pelle
scura, come un Etiope, che porta l'estate.
Questi venti sono conoscibili e hanno un senso divino
per gli esseri umani, a differenza dei venti cattivi e
violenti che Tifeo genera dalla sua prigione
sotterranea. Nell'ordinamento del mondo a ogni vento fu
assegnata una diversa direzione, perché smettessero di
infuriare combattendosi:
Dalla sua
congiunzione con Tifone nascono figli mostruosi e
violenti, con Urlante poi genera i cani Orto e Cerbero,
l'Hydra di Lerna, e la Chimera, la Sfinge e il Leone
Nemeo. Partorita in una grotta da Bellafluente, Vipera
aveva come padre Spadadoro, nato con Pegaso dalla testa
tagliata di Medusa, ed era una bellissima ninfa nella
parte superiore del corpo, mentre dalla vita in giù era
un serpente orribile.
Nelle leggende medievali e in tante fiabe di tutti i
tempi, fino alla celebre Sirenetta di H. C. Andersen,
non è difficile incontrare una bellissima donna che
impone al suo sposo di non vederla quando si immergerà
nel suo bagno: la fata medievale Melusina il sabato
assume la sua forma primitiva, che è la stessa di
Vipera. Nelle fiabe la coda di pesce vale come
rappresentazione di un potere femminile, che non trova
espressione fino a quando non hanno luogo l'incontro e
le nozze con un essere umano. Se da una parte l'essere
femminile che detiene questo potere conferisce a chi
sposa potere e ricchezza - Melusina rende grande la
stirpe dei Lusignano, discendenti suoi e dello sposo
umano -, dall'altra la fata rassicura lo sposo sulla sua
fedeltà a patto che le lasci il suo segreto. Questo
segreto, che ha la sua lontana fonte mitica in Artemide
che si bagna con le sue ninfe fra i boschi, tabù per gli
esseri umani, somiglia al segreto sul piacere femminile
nell'amore, che Hera non vorrebbe fosse rivelato a Zeus.
Il segreto riguarda la potenza fallica del femminile che
il dominio patriarcale, maschile, non deve conoscere,
perché non potrà mai farlo suo, né assoggettare la donna
che lo detiene. Questa potenza femminile, rappresentata
con una parte del corpo che corrisponde alle creature
acquatiche, o agli uccelli, come gli abiti di piume che,
indossati, permettono di alzarsi in volo, vive lontana
dalla civiltà, fra i boschi o nelle profondità marine o
in regni che solo chi ha le ali può raggiungere. Quando
una creatura dotata di prerogative non umane, come il
corpo serpentino dalla vita in giù, che accomuna Vipera,
le sirene e Melusina, si unisce in matrimonio con un
mortale, la curiosità porta immancabilmente lo sposo,
prima o poi, a infrangere il divieto: a quel punto la
sposa fugge, e non potrà più essere ritrovata.
Accade solo in qualche fiaba che il protagonista, dopo
un lunghissimo viaggio oltre i confini delle terre
conosciute, ritrovi e riconquisti la sua sposa, essendo
divenuto partecipe, iniziato, a mondi che restano
sconosciuti a tutti gli altri esseri umani.
Echidna, Ordine dei Monotremi
* Nike, nome delle calzature sportive, che negli USA si pronuncia nik, mentre in Europa viene pronunciato come una parola inglese, naik. Accade che studenti universitari durante gli esami parlano della celebre statua greca alata come Naik di Samotracia. Un altro esempio, come Titanic, Titanico, da Titano, che si pronuncia Taitènic, di come una parola greca entri nel vocabolario inglese per tornare in quello italiano con la pronuncia inglese. Nicheofobia, paura patologica di vincere, a causa della quale, ad esempio, un tennista conduce l'intero incontro per poi perdere agli ultimi game.
VORACITÀ
(gr. Ate) divinità. Figlia della sola Discordia,
sorella e compagna di Illegalità, 375.
La coppia
delle due sorelle Voracità e Illegalità rimanda
a pulsioni orali, perché la mancanza di legge è mancanza
di limite, come la voracità non riconosce alcun confine
all'incorporazione, del cibo, e di tutto ciò che non ci
appartiene.
W |
X |
Y |
Z |
Soffia da Occidente e porta i fiori e l'aria propizia della primavera.
*La parola
greca, come la corrispondente latina zelus,
significa spirito di emulazione, e può quindi designare,
come componenti diverse di esso, contesa, rivalità,
gara, gelosia, ambizione.
Terzo sovrano dopo Urano Cielo, padre di Cronos, e dopo Cronos Tempo, suo padre, Zeus deriva il suo potere da un atto di forza: come Cielo che per mantenere il suo dominio imponeva ai figli Titani di non venire alla luce, come Cronos che evira il padre Cielo per prendergli il dominio e che divora i propri figli per mantenerlo. Zeus costringe Cronos Tempo a risputare i fratelli, con la forza ma anche con l'astuzia, e imprigiona il padre nel Tartaro Inferno, o lo esilia. Ma il suo modo di mantenere il potere non si basa solo sulla forza e sull'astuzia: Zeus divide il potere sia con i fratelli, assegnando a Poseidon il dominio delle acque e ad Hades il dominio del sotterraneo infernale, sia con i Titani che Cielo aveva imprigionato sottoterra e che Cronos aveva prima liberato e poi imprigionato nuovamente: sono i Centimani e i Ciclopi che lo aiutano a vincere i Titani, i fratelli del padre che non vogliono che abbia il massimo potere. Le unioni amorose di Zeus con divinità e donne mortali sono proporzionali alla sua posizione di dio degli dei in un pantheon patriarcale.
Se
consideriamo la violenza fra generazioni come il
conflitto relativo all'assunzione del potere di
governare il mondo intero, possiamo osservare che Zeus
è il primo dio che domina attraverso la rinuncia al
potere assoluto. Il patto tra generazioni diverse
rappresenta il riconoscimento dell'esistenza dei
genitori da parte dei figli e dei figli da parte dei
genitori: nessun ordine è possibile senza questo
riconoscimento. Nella Teogonia pare questo il tema
centrale, insieme alla nascita, al venire ad essere,
degli dei, che è anche il venire all'essere delle cose
e delle parole con sui si nominano: Gaia Terra è il
nostro pianeta, madre di tutti, solcata dalle belle
vie, prodigiosa, come è la divinità primigenia, come è
la parola con la quale ancora chiamiamo ad essere
concetti e teorie (v. la Teoria di Gaia, elaborata da
chimici e biologi a partire dagli anni Novanta del
secolo scorso). Leggiamo con attenzione le prerogative
che Zeus lascia a Brivido, nel cui nome e sulle cui
acque giurano gli dei, e lo stesso Zeus: nominare
Brivido giurando significa rinunciare a mentire,
quindi accettare volontariamente un limite, e questa è
una novità rispetto alla storia che precede Zeus.
Oppure vediamo come Zeus lascia a Hecate, figlia di
Stella e Perse, a loro volta figli di due diverse
coppie di Titani, quindi in qualche modo sua cugina,
tutti i domini che aveva ricevuto dalle generazioni
precedenti: mantenendo una parte del dominio di tutti
gli altri dei, Hecate si trova nell'ordine di Zeus con
prerogative singolari, che valgono come un
riconoscimento di forze sulle quali Zeus può regnare
solo lasciando intatta la loro natura originaria,
indipendente dal suo ordine. Le Fate Nere, secondo
Esiodo, intorno al duecentesimo verso, vengono
generate dalla Notte, e, sempre secondo Esiodo,
intorno al novecentesimo, hanno Zeus come padre, Norma
Temi come madre e le Ore come sorelle: a loro comunque
Zeus lascia la facoltà di filare e tagliare il destino
degli esseri mortali. Quando stanno per tagliare il
filo della vita di un suo figlio mortale, come
Heracles, Zeus non può impedire questa morte. Nel
frammento eracliteo Zeus limite sereno, il dio occupa
la posizione del lògos, del lògos che nel
Cristianesimo si farà carne, e si incarnerà
nell'uomo-dio salvatore, Cristo. Inconcepibile per il
filosofo greco, divino e umano si congiungono non nel
mito di Zeus che ama donne mortali e genera semidei,
ma per una rivelazione del Verbo, del Logos, del vero
assoluto, rivelato, per il quale mortale e immortale
coincidono, chiamando alla vita eterna tutti gli
esseri umani.
L'orizzonte
mitico è l'orizzonte del racconto, nel quale la
separazione tra mortali e immortali è una barriera e
un limite, un discrimine che la condizione di
sofferenza e di morte impedisce di eliminare. E il
mito è lo sfondo immaginario dal quale si stacca come
un germoglio, tornando ad affondarvi le proprie radici
come nell'humus (in latino homo è da humus) che resta
la sua matrice, come un resto materno, femminile, mai
trasformabile complatamente. Per questo gli antichi
romani sentivano il cristianesimo come estraneo,
eppure seducente. Già molto prima del cristianesimo i
misteri orfici ed eleusini permettevano di
condividere, religiosamente, la speranza in
un'esistenza concretamente possibile oltre la morte. A
Zeus limite sereno, nell'orizzonte labirintico del
mito, retto da una logica diversa da quella della
coscienza, non è estraneo Zeus che non ha perso la
tendenza a usare la forza, grazie alla quale ha
ottenuto il potere esautorando il padre Cronos,
divorando qualcuno come faceva lui, quando ingoia
Métis, e cacciando come lui e come Cielo i Titani
ribelli, con Prometeo e Tifeo, nelle viscere della
Terra. Mentre Cielo e Cronos, quando regnano, sono
descritti come prevalentemente dediti al mantenimento
del potere, Zeus, una volta assunta la sovranità,
appare come dio fecondatore, con una lista di spose
divine, sia della sua generazione che della
precedente, e umane, che non sfigura nemmeno se
confrontata al catalogo di Don Giovanni. A differenza
di Cronos e Cielo, Zeus e il fratello Poseidon sono
padri che amano i loro figli, e se ne prendono cura,
seguendoli e assistendoli: se sono mortali. Quando la
fine della loro vita è decisa dalle Fate Nere, i figli
di Zeus possono essere assunti in cielo, diventando
immortali, o come nuove costellazione che eternano
nello splendore del cielo notturno il loro nome e la
loro forma. Zeus appare unico nel portare a compimento
la gravidanza dei figli e nel darli alla luce. Athena,
di cui è incinta Metis quando Zeus la incorpora, nasce
da lui con una sorta di taglio cesareo, con Hefestos
nella parte di chirurgo e la scure al posto del
bisturi. Poi, quando Semele viene incenerita dalla
visione di Zeus, il padre divino si cuce il feto nella
coscia fino al termine della gravidanza. La
straordinaria attività erotica di Zeus lo rende capace
di assumere attitudini femminili, mentre Cielo e
Cronos credevano di poter usare il seno delle loro
spose, madri e sorelle, come prigione per i loro
stesso discendenti, se ne temevano la forza. Accanto
alla sua inarrestabile passione eterosessuale, Zeus
partecipa anche del desiderio omoerotico, quando si
innamora del bellissimo Ganimede, e lo rende immortale
coppiere sull'Olimpo, dopo esserselo fatto portare da
un'aquila.
Possiamo dire che
Zeus rappresenta la potenza che pone limiti al proprio
potere regale, distribuendo e condividendo le signorie
e gli onori attraverso patti che rispetta sempre: a
questa gestione del potere corrisponde una
generatività senza pari per varietà. Attenuate da
questa molteplicità erotica, le primitive tendenze
incorporanti e imprigionanti dei suoi padri restano
comunque presenti in Zeus, ma come in secondo piano.
Interessante osservare come il signore e padre degli
dei e degli uomini abbia come armi invincibili i più
intensi fenomei atmosferici, i lampi e i tuoni dei
temporali, dalla sonorità e dalla luminosità al tempo
stesso intensissima e repentina, imprevedibile. Zeus è
adunatore e dissipatore di nuvole, come un pastore che
raccoglie le nuvole come pecore nell'ovile o le lascia
andare al pascolo. Regolando pioggia e siccità, Zeus è
signore della fecondità della Terra e quindi della
vegetazione che fa prosperare gli uomini, e gli
animali e le piante di cui gli uomini si nutrono. Lo
stato del tempo meteorologico è fonte di analogie
continue con lo stato d'animo, l'umore degli esseri
umani: buono e cattivo, arido o fluido, radioso o
tetro, alto o basso, depresso o euforico... Di fatto
l'astrologia con Claudio Tolomeo nei primi secoli
della nostra era si struttura come previsione, o
divinazione, del tempo, sia in rapporto ai lavori
agricoli e alle attività umane, regolate dalle
mutazioni atmosferiche, sia come previsione e
divinazione della natura psichica e fisica del
soggetto, dei suoi umori, fluidi che regolano il suo
stato d'animo, analoghi a quelli che regolano
l'avvicendarsi delle stagioni.
Nel mito
greco come nell'Induismo, il signore del fulmine ha
una sovranità superiore al signore del Sole: Indra è
più potente di Surya, come suo figlio Arjuna è più
potente di Carna. Allo stesso modo Zeus è più potente
di Elios, il Sole. Non si tratta in questo gioco
dell'importanza del Sole per la vita essere umano,
certo non inferiore a quella del fulmine e della
pioggia, ma di ciò che nel mito si rappresenta. Il
Sole, che splende allo stesso modo sui buoni e sui
cattivi, ha una natura illimitatamente generosa,
mentre il fulmine incendiario, repentino e letale, può
rappresentare la legge paterna che punisce i nemici o
il malvagio, distinguendolo dagli innocenti. Il dio
che governa è tale perché si può guardare alle sue
azioni come rispondenti a una legge, volte a assegnare
in base a queste premi o castighi, ordinando il cosmo.
Essendo la
legge il principio regolatore della convivenza tra gli
uomini, il dio che la rappresenta è il più potente, e
il fulmine acquisisce il significato di prerogativa
del sovrano Zeus ponendolo al di sopra dello
splendente Sole, che elargisce a tutti i suoi doni.
* Dalla stessa radice di Zeus: dì, dio, diurno, giorno.