ADALINDA GASPARINI              PSICOANALISI E FAVOLE
 
FAVOLE GRECHE

ESIODO       TEOGONIA
 
LA
NASCITA DEGLI DEI DEL MONDO DELLE PAROLE

INDICE DEI NOMI

PREMESSA TESTO GRECO
E TRADUZIONE LETTERALE A FRONTE
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ABILITÀ (gr. Dynàmene) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 400.

Dynamis in greco significa forza, capacità, abilità.
Parole italiane: dinamico: attivo, capace; dinamo: convertitore di energia meccanica in energia elettrica.


ACASTE v. PUNGENTE


ACHELOO ASPROPOTAMO divinità e fiume (pr. Achelòo). Figlio di Ostrica e Oceano, 540

Si racconta che Acheloo, in competizione con Heracles per Deianira, lo sfidò dicendogli:

O figliuolo d'Alcmena,
Giove da cui generato ti vanti t'è padre fallace
o solo vero per colpa; tu nell'adulterio materno
vai ricercando tuo padre. Ma scegli qual più ti par meglio:
o non sei figlio di Giove o nascesti per fallo di Alcmena!
(Metamorfosi, IX, vv. 23-26).

Quando, durante il combattimento, si vide perduto, Acheloo si trasformò in serpente, ma Heracles, dicendo che fin dalla culla sapeva ucciderli, lo prese alla gola. Allora Acheloo si trasformò in toro, ma subito l'eroe lo prese per le corna, con tanta forza che gliene svelse uno. Acheloo, vergognandosi della mutilazione, si nascose nelle acque di un fiume, al quale diede il suo nome. Le ninfe raccolsero il corno facendone la cornucopia, sempre colma di frutti e fiori profumati. Secondo un altro racconto la metamorfosi di Acheloo in fiume fu diversa. Acheloo avrebbe avuto come figlie le sirene, chiamate anche Acheloides, dall'unione con una delle muse, Calliope o Tersicore. Quando le sue figlie morirono, Acheloo ne ebbe un dolore tanto grande che supplicò la Terra di accoglierlo nel suo seno. La Terra lo esaudì, e fece sgorgare un fiume col suo nome, perché non fosse mai dimenticato.
Come è il primo dei suoi tremila fratelli, Acheloo è il fiume più lungo della Grecia, scorrendo dal Monte Pindo per oltre duecento chilometri verso lo Ionio, dove sfocia di fronte alle isole Echinadi. Venerato nel mondo greco, era considerato il dio protettore di tutte le acque fresche e limpide. Ha avuto anche nome Aspropotamo.

* Vedi un'immagine contemporanea del fiume in Grecia: https://it.wikipedia.org/wiki/Aspropotamo#/media/File:Acheloos_river_narrows_03.jpg, ultimo accesso: 16/01/2020.

 

ACHILLE
figlio di Peleos e Thetis, 1590.

La nereide Thetis, come l'oceanina Metis, era destinata a generare un figlio più forte del padre. Per non essere spodestati, Zeus e gli altri dei allora decisero di farle sposare un mortale: per quanto forte, un semidio non avrebbe rappresentato una minaccia per il loro potere. Presa dal re Peleos contro la sua volontà, Thetis si resistette trasformandosi in animali diversi, fino a che, mentre aveva assunto la forma di una seppia, il re riuscì ada verla e concepì un figlio, destinato ad essere l'eroe degli eroi greci. la madre, sapendo che il suo destino era di morire giovane, cercò di proteggerlo rendendolo invulnerabile. Prima lo immerse nelle acque di Brivido: ma il tallone del bambino, per il quale lo teneva, rimase vulnerabile. Per renderlo immortale Thetis decise quindi di temprarlo col fuoco, ma Peleos sopraggiunse e glielo strappò dalle braccia, certo che volesse ucciderlo. Pelos mandò il figlio da Chirone perché lo allevasse, e il centauro lo rese forte nutrendolo di midollo di leone, di cinghiale e di altri animali feroci. Al termine della sua educazione ribattezzò l'eroe col nome Achille, mentre prima si era chiamato Lighiron (Piagnucolone) e Pirisoo (Salvato dal fuoco). Dopo aver imparato da Chirone la lotta, l'atletica, la medicina e la musica, Achille completò la sua educazione con Fenice, che gli insegnò l'eloquenza e l'arte della guerra. Sapendo che il figlio era destinato a morire sotto le mura di Troia, Thetis, cercando di tenerlo all'oscuro dai preparativi per la guerra, lo nascose alla corte del re Licomede, travestito da donna. Quando Palamede smascherò Ulisse che si fingeva pazzo per non lasciare Itaca e lo costrinse a partire, Ulisse a sua volta trovò uno stratagemma per fare uscire allo scoperto Achille. Entrò nel palazzo di Licomede fingendosi un mercante di gioielli, ma mentre li mostrava fece risuonare le armi: immediatamente Achille si spogliò degli abiti femminili e partì per la guerra. Potendo scegliere una vita lunga e ingloriosa, Achille aveva preferito una vita breve ma illuminata dalla fama, che avrebbe avuto in eterno come eroe degli eroi. Nel decimo anno della guerra di Troia, nella quale Achille eccelse come campione dei greci, Agamennone, avendo dovuto restituire la sua amata schiava Criseide al padre, sacerdote troiano di Apollo, si prese Briseide, la schiava di Achille. L'eroe non sopportò questa prepotenza, e così se ne lamentava invocando la madre:

- Madre, poi che mi generasti a vivere breve vita,
gloria almeno dovrebbe darmi l'Olimpio
Zeus, che tuona sui monti; e invece per nulla m'onora.
Ecco, il figlio d'Atreo strapotente, Agamennone, m'offende;
m'ha preso e si tiene il mio dono: me l'ha strappato!
Diceva così versando lacrime: l'udì la dea madre, seduta
negli abissi del mare, vicino al padre vegliardo:
subito emerse dal mare canuto, come nebbia,
e si mise a sedere vicino a lui che piangeva,
lo carezzò con la mano e disse parole, diceva:;
- Creatura mia, perché piangi? che pena ha colpito il tuo cuore ?
(Iliade, I, vv. 352-362)

Proprio questa collera di Achille, che abbandona la guerra ritirandosi in riva al mare col suo esercito dopo la perdita di Briseide, è il soggetto dell'Iliade:

Cantami, o dea, l'ira d'Achille Pelide,
rovinosa, che infiniti dolori inflisse agli Achei,
gettò in preda all'Hades molte vite gagliarde,
d'eroi,ne fece il bottino dei cani,
di tutti gli uccelli...
(Ivi, vv. 1-5)

Non sopportando le vittorie dei Troiani, il suo amico Patroclo vestì di nascosto le armi di Achille e si gettò nella battaglia, sperando che i nemici si sarebbero ritirati appena lo avessero visto, credendo che il grande eroe fosse tornato a combattere. Ettore, principe e campione troiano, certo di trovarsi di fronte al campione dei greci, sfidò e uccise Patroclo, provocando un dolore irreparabile ad Achille. Piangendo sul corpo dell'amico, prima che venisse sepolto, Achille volle vendicarlo sfidando Ettore, pur sapendo che la propria morte sarebbe seguita di poco a quella dell'eroe troiano. Ettore portava le meravigliose armi tolte a Patroclo, e Achille ne aveva di ancora più belle, forgiate da Hefestos su richiesta di Thetis. Così si concluse lo scontro, quando Ettore, pur comprendendo che il filo della sua vita stava per essere tagliato:Prima di morire Ettore supplicò Achille di rendere a suo padre, il vecchio re Priamo, il suo corpo, ma Achille forò i piedi del cadavere, ci passò due strisce di cuoio, lo attaccò al suo cocchio e lo trascinò correndo davanti alle mura di Troia. La disperazione dei troiani rispondeva a quella di Achille, che continuava a soffrire nonostante avesse vendicato Patroclo: l‘amico gli apparve in sogno chiedendogli di seppellirlo, e dicendogli che se non lo avesse sepolto la sua anima non sarebbe stata accolta nel regno dei morti. Poi Patroclò invitò Achille a preparare un'urna che contenesse le ceneri di entrambi, perché fra poco anche lui sarebbe morto. Achille in sogno gli promise che avrebbe fatto tutto quello che gli chiedeva:

- Ma vieni vicino e almeno un istante, abbracciati,
godiamoci il pianto amaro a vicenda! -
Tese le braccia, parlando così,
ma non l'afferrò: l'anima come fumo sotto la terra
sparì stridendo ... 
(Ivi, vv. 97-101)

 ... Sguainò la spada affilata,
che dietro il fianco pendeva, grande e pesante,
si raccolse e scattò all'assalto, com'aquila alto volo,
che piomba sulla pianura traverso le nuvole buie,
a rapir tenero agnello o lepre appiattato:
così all'assalto scattò Ettore, la spada acuta agitando.
Ma Achille pure balzò, di furia empì il cuore
selvaggio: parò davanti al petto lo scudo
bello, adorno, e squassava l'elmo lucente
a quattro ripari; volava intorno la bella chioma
d'oro, che fitta Hefestos lasciò cadere in giro al cimiero.
Come la stella avanza fra gli astri nel cuor della notte,
Espero, l'astro più bello ch'è in cielo,
così lampeggiava la punta acuta, che Achille scuoteva
nella sua destra, meditando la morte d'Ettore luminoso,
cercando con gli occhi la bella pelle, dove fosse più pervia.
Tutcoprivan la pelle l'armi bronzee, bellissime,
ch'Ettore aveva rapito, uccisa la forza di Patroclo;
là solo appariva, dove le clavicole dividon le spalle
dalla gola e dal collo, e là è rapidissimo uccider la vita.
Qui Achille glorioso lo colse con l'asta mentre infuriava,
dritta corse la punta traverso al morbido collo;
però il faggio greve non gli tagliò la strozza,
così che poteva parlare, scambiando parole:
- Ettore, credesti forse, mentre spogliavi Patroclo,
di restare impunito: di me lontano non ti curavi,
bestia! ma difensore di lui, e molto più forte,
io rimanevo sopra le concave navi,
io che ti ho sciolto i ginocchi. Te ora cani e uccelli
sconceranno sbranandoti: ma lui seppelliranno gli Achei.
(Ivi, XXII, vv. 306-336)

Neppure dopo le onoranze funebri a Patroclo Achille trovò pace: piangeva, vagava sulla riva del mare, trascinava il corpo straziato di Ettore intorno alla tomba di Patroclo. Il vecchio re di Troia venne a offrirgli doni e a chiedergli il corpo di Ettore, e Achille si commosse, perché ricordò il proprio vecchio padre, Peleos, che avrebbe pianto la sua morte senza poterlo onorare con una cerimonia funebre. Diede quindi il corpo di Ettore a Priamo e lo ospitò con affetto nella sua tenda.
Iniziata col furore senza limiti di Achille, l'Iliade finisce con la sua pietà per il vecchio re, il vecchio padre: la storia dell'eroe guerriero per eccellenza finisce quando il sentimento di pietà scioglie il suo cuore: di lì a poco morirà per una freccia scagliata da Paride, con l'aiuto di Apollo, che lo colpirà nel tallone.
Nel poema di Ulisse, quando il più intelligente dei mortali scende fino alle porte degli Inferi, vede l'ombra corrucciata di Achille, e lo saluta dicendogli che anche fra le ombre la sua figura domina su tutti, come da vivo sovrastava tutti i greci:

Sdegnosa e amara fu la sua risposta:
- Non consolarmi della morte, Ulisse.
Vorrei, come bracciante, un contadino
servire, un uomo povero, che avesse
pochi mezzi per vivere, piuttosto
che regnare quaggiù su tutti i morti.
(Odissea 1, XI, vv. 488-491)

Il tallone di Achille indica la fragilità della condizione essere umano: per quanto un eroe sia forte e potente, ha una debolezza alla quale né un padre re come Peleos, né un maestro centauro come Chirone, né una madre divina come Thetis possono porre rimedio. L'ideale dell'eroe non vale la vita, perché non c'è vita al di fuori della vita: questo dice a Ulisse l'ombra di Achille, articolando per parte sua il senso che forma il cuore dell'Odissea. Che segue al poema nel quale per l'eroismo vale la pena vivere: lo splendore dell'eroe, la sua potenza, la collera, la morte di Achille, sono il cuore dell'Iliade.

*Achillea, pianta che avrebbe la proprietà di sanare le ferite; tallone d'Achille, la parte vulnerabile, fragile, di un carattere o di una teoria.



ACTEA v. PREMINENTE


ADMETE v. INDOMITA


ADE  v. HADES


AELLO v. TURBINE


AFRODITE (lat. Venus, it. Venere; pr. Afrodìte) dea dell'amore.

Appellativi ed epiteti esornativi: Citerea, perché approdata prima a Citera; Ciprigna perché nata nelle acque di Cipro; Falloamante (gr. Filommedea) perché ama il fallo.
Celebrata dalle Muse, 27; nata dalla spuma del mare, approda alle isole greche, 310; la accompagnano Eros e Desiderio ed è signora dei discorsi amorosi, della seduzione e del piacere dell'amore, 331; ha signoria sui discorsi delle fanciulle e sull'amore di miele 335; ispira l'amore fra Terra e Inferno, 1293; si congiunge amorosamente con Ares e genera Spavento, Terrore e Armonia, 1471; ispira l'amore fra Sapia e Aiete, 1515; ispira l'amore fra Bellafluente e Spadadoro, 1546; rapisce Fetonte per farne il sacerdote dei suoi templi, 1561; ispira l'amore fra Sabbia ed Eaco, 1587; si congiunge amorosamente con il mortale Anchise e genera Enea,1592; ispira l'amore fra Circe e Ulisse, 1601.

Mentre Eros è dio di ogni forma d'amore, Afrodite presiede all'attrazione fra i sessi diversi, all'amore che rende possibile la generazione, e perseguita gli esseri umani che, avendo scelto l'astinenza o l'omosessualità, non rendono onore alla sua potenza. La sua origine dalla spermatica spuma marina, sgorgata dal fallo del Cielo, la caratterizza come figura del desiderio fallico e generatore. Suo sposo è il dio fabbro Hefestos, geniale artefice che fonde e piega e scolpisce i metalli, zoppicante da entrambi i lati, mentre Ares, dio della guerra, è il suo amante. Con Anchise, principe troiano, assoggettata dallo stesso desiderio che ispira, genera Enea, capostipite dei fondatori e degli imperatori di Roma.
Così è invocata nell'inno omerico:

O Musa, dimmi le opere di Afrodite d'oro,
dea di Cipro, che infonde il dolce desiderio negli dei
e domina le stirpi degli uomini mortali,
e gli uccelli che volano nel cielo, e tutti gli animali,
quanti, innumerevoli, nutre la terra, e quanti il mare:
tutti hanno nel cuore le opere di Citerea dalla bella corona.
(Inni omerici, V. Ad Afrodite)

* Afrodisiaci, cibi, bevande o sostanze che stimolano il desiderio sessuale; venereo, che attiene ai rapporti sessuali; venerare, dedicare devozione a ciò che si considera sacro; cipria: polvere per il trucco; seta venus: una seta pura particolarmente pregiata, fine e lucente.



AGAVE 1 v. SPLENDORE

AGAVE 2 v. SPLENDIDA


AGLAIA v. SPLENDENTE


AGRIO, semidio, figlio di Circe e di Ulisse, fratello di Latino, signore di popoli italici, 1599.

AIETE, divinità, figlio di Persiana e del Sole, sposo di Sapia e padre di Medea, 1509.

Fratello di Circe, re della Colchide, nell'Asia Minore, possedeva il vello d'oro, o toson d'oro, simbolo della potenza regale. Sapendo che se l'avesse perduto avrebbe perso il suo potere, imponeva prove impossibili agli eroi che venivano per ottenerlo, provocandone la morte. Medea, sua figlia, si innamorò dell'eroe Giasone, giunto con gli Argonauti per prendere il vello d'oro, e partì con lui lasciando la sua patria.


ALCMENA, essere umano, madre di Heracles, 840, 1487, 1499.

Mentre il suo sposo Anfitrione, re di Tebe, era in guerra, Zeus ne prese la forma e Alcmena lo accolse nel palazzo e nel talamo nuziale, restando incinta di Heracles. Hermes, prendendo la forma di Sosia, servitore di Anfitrione, aiutava Zeus nell'impresa amorosa, e incontrò il vero Sosia di fronte al palazzo reale.


*Anfitrione, padrone di casa generoso e ospitale, come il re di Tebe ospitò Zeus; sosia, chi somiglia a una persona al punto di essere scambiata con questa.


ALFEO, divinità e fiume. Figlio di Ostrica e Oceano, 338.

Un mito racconta che mentre cacciava desiderò Aretusa, ninfa del corteo di Artemide, e la inseguì per averla. Per impedire che Aretusa fosse catturata, la dea la trasformò in fonte, e portò le sue acque fino all'isola Ortigia (Siracusa): Alfeo la raggiunse e unì per sempre le proprie acque a quelle dell'amata.

* Vedi un'immagine contemporanea del fiume in Grecia: https://it.wikipedia.org/wiki/Alfeo_(fiume_del_Peloponneso)#/media/File:Alpheios.jpg, ultimo accesso: 16/01/2020.


ALGOI v. DOLORI



ALIACMONE divinità e fiume della Macedonia (pr. Aliacmòne). Figlio di Ostrica e Oceano, 539.
* Vedi un'immagine contemporanea del fiume in Grecia: https://it.wikipedia.org/wiki/Aliacmone#/media/File:Aliakmonas_bridge.jpg, ultimo accesso: 16/01/2020.


ALIE v. MARINA
Per il nome di questa nereide, il terzo al verso 245 della traduzione letterale della Teogonia, abbiamo preferito Alie, tradotto con Marina, seguendo Cesare Pavese. Arrighetti preferisce Thalie, che si potrebbe tradurre con Fiore o Fiorente (Esiodo, Teogonia, Introduzione e note di Graziano Arrighetti. Testo greco a fronte. Milano: Biblioteca Universale Rizzoli 1984; Esiodo, Opere, testi introdotti, tradotti e commentati da Graziano Arrighetti. Testo greco a fronte. Milano: Mondadori 2007. Prima edizione Torino: Einaudi 1998). La preferenza per Alie rispetto a Thalie è solo un omaggio al lavoro di Pavese.


ALIMEDE v. CURAMARINA


AMABILE (gr. Eratò) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 397.


ANFIMEMBRO v. HEFESTOS ANFIMEMBRO


AMBRA (gr. Electra, it. Elettra) divinità, oceanina. Sposa Prodigio e genera con lui Arcobaleno e le due Arpie, 422; figlia di Ostrica e Oceano, 551.
*Elettricità, fenomeno originariamente collegato all'ambra; ambrato, colorato come l'ambra gialla o profumato come l'ambra grigia


ANFILOGIE v. DISCORSIAMBIGUI




AMORE v. EROS



AMPIAFORZA (gr. Eurybia, it. Euribia) figlia del Mare e della Terra, 387; congiunta amorosamente con Freddo genera Astreo, Pallante e Persiana,  590.


AMPIALEGGE (gr. Eurynome, Eurinome) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 564; si congiunge amorosamente con Zeus e genera le tre Grazie, 1430.



ANCHISE umano, amante di Afrodite e padre dell'eroe Enea, 1595.

Quando la bellissima Afrodite si presentò a lui, Anchise si rivolse a lei come a una dea, ma Afrodite gli fece credere di essere una mortale. Solo dopo l'unione la dea gli si manifestò in tutta la sua altezza e il suo splendore, e Anchise le chiese pietà, sapendo che nessun mortale viveva felice dopo aver amato una dea: Afrodite lo rassicurò, a patto che mantenesse il segreto sulla loro unione, senza svelare chi era la madre del bambino che sarebbe nato. Quando Anchise si vantò della sua unione con la dea dell'amore, Zeus gli scagliò il fulmine, e sarebbe morto se Afrodite non avesse deviato il colpo.
Sfiorato dalla potenza di Zeus, subì comunque un danno: non potè unirsi a una donna per il resto della vita. Il motivo dell'unione tra un essere umano e una donna soprannaturale, e del divieto che lei pone e lui infrange, è in molte storie popolari, come la fiaba ladina del pastore Cian Bolfin (Cane Volpino) che si unisce all'immortale signora che vive sui ghiacciai, Dona Kenina. (Fiabe e leggende della Val di Fassa, di Hugo de Rossi di San Giuliana, 1912)


ANDROSTASIE v. STRAGI

ANEMOI v. VENTI


ANFIROE v. DOPPIACORRENTE



ANFITRITE v. RIFRANGENTE



ANFITRIONIDE v. HERACLES

ANNIENTATRICE NERA (gr. Chera) divinità. Figlia della sola Notte, 348.

ANNIENTATRICI (gr. Chere) divinità. Figlie della sola Notte, 356
.


APATE v. FRODE



APESANTO uno dei luoghi greci devastati dal Leone di Nemea, 525.

APOLLO FEBO, dio solare, luminoso, signore della musica, della profezia, dell'ispirazione e dell'arco. Celebrato dalle Muse, 23; il suo amore rende gli uomini cantori e suonatori di cetra, 159; nutre gli uomini nella loro giovinezza, 549; figlio di Zeus e di Occulta, 1451.

I greci si recavano al suo santuario di Delo o Delfi per porgli domande alle quali il dio rispondeva attraverso la sua sacerdotessa, Pizia. Una tradizione mitica lo fa corrispondere al sole, i cui raggi possono guarire e ferire col calore bruciante, come le frecce con le quali Apollo poteva diffondere e curare le epidemie.
Erano suoi figli Orfeo, teologo, poeta, cantore, ed Esculapio, dio della medicina e protomedico, primo medico.
Possiamo considerare Apollo come una rappresentazione della luminosità splendente dell'intelligenza, che porta alle manifestazioni più alte, dell'arte, della divinazione, della guarigione, ma che, come eccesso, può provocare l'oscuramento e la morte. Di fatto in greco la parola farmacon significava sia medicina che veleno, e molti farmaci in dosi eccessive provocano danni. Anche il serpente rappresenta il doppio valore del farmacon, può avvelenare, eppure simbolizza la vita eterna e la guarigione. (Per il serpente nel caduceo, vedi Hermes)
Quando Apollo era innamorato di Cassandra, figlia di Priamo re di Troia, la principessa in cambio del suo amore gli chiese di concederle il dono della divinazione. Apollo glielo accordò, ma Cassandra non mantenne la promessa. Apollo, non potendo revocare il dono, vi aggiunse una condanna: Cassandra avrebbe indovinato la verità, ma nessuno l'avrebbe creduta. Così ricordiamo Cassandra disperata a cercar inutilmente di convincere i troiani che accettare il cavallo di legno avrebbe provocato la rovina della città. Le risposte del dio alle questioni degli uomini, gli oracoli, erano complessi, e dipendeva dalla intelligenza e dall'umanità del richiedente trarne giovamento. Socrate ebbe dall'oracolo il responso secondo il quale lui era l'uomo più sapiente di Atene. Considerandosi ignorante, Socrate, per comprendere cosa volesse dire l'oracolo, andò a parlare con gli uomini più sapienti della città, oratori, legislatori, letterati, politici, e comprese che la loro sapienza aveva un carattere illusorio. Allora interpretò l'oracolo non rinunciando alla consapevolezza della propria ignoranza, ma pensando che Apollo gli insegnava come la consapevolezza dell'ignoranza sia la prima forma di sapienza.
La potenza divinatoria espressa dalla donna deriva da un patto col diio, vale a dire che può esprimersi nella comunità solo riconoscendo il limite che fonda e sostiene la cultura patriarcale: l'origine della parola è divina, e maschile. Se Cassandra si appropria della parola, negando il suo debito verso il dio, non lasciandosi penetrare da lui, il valore della sua forza profetica è annullato. La sacerdotessa di Apollo, la sibilla o la Pizia, parla in un luogo segreto, dove gli esseri umani vanno a cercarla con un movimento che li porta in una direzione eccentrica rispetto alla polis, alla civitas, alla comunità degli uomini. La scelta di cercare la sibilla, e l'interpetazione del responso avvengono in un orizzonte umano, come circoscrivendo l'evento straordinario della comunicazione col dio che essa rende possibili, costituendo un ponte con lui. La presenza costante della profetessa nella città è una minaccia all'ordine politico che la governa, per questo la parola di Cassandra, essendo sempre vera, non è credibile: come un eccesso intollerabile di verità. Come la principessa troiana Cassandra, Ociroe manifesta il proprio sapere senza seguire l'ordine divino, e per questo viene disumanizzata.


Apollineo: solare, di perfette forme maschili. 



AQUILONE v. BOREAS


ARCOBALENO (gr. e lat. Iris, it. Iride) dea.

Figlia di Ambra e Prodigio, 425; messaggera degli dei, va ad attingere l'acqua di Brivido per i loro giuramenti, 1231.

Scende dal cielo lasciando la sua traccia variopinta, e collega come messaggera il mondo dei mortali e quelli degli immortali, o quello degli dei olimpici al mondo degli dei sotterranei, terrifici. In molte culture l'arcobaleno è il ponte fra cielo e terra, e secondo una leggenda dove finisce l'arcobaleno è sepolto un immenso tesoro (Over the rainbow).
Ovidio narra di Arcobal
eno che, per ordine di Zeus, va alla casa del Sonno, ai confini tenebrosi della terra:

Iride indossa la veste dipinta di mille colori
e della curva dell'arco segnando la volta celeste
vola alla casa del Sonno, che sotto le nubi si cela.
[...]
Quando la vergine entrò, con le mani rimosse quei Sogni,
che contrastavanle il passo; e la casa divina rifulse
per il fulgor della veste; ed il Sonno levando con stento
pigre le palpegre gravi e più volte cadendo sul letto
e percotendosi il seno col mento che gli tremolava,
sé finalmente scotendo da sé, sopra il gomito ritto,
poiché conobbe la dea, le chiese a che fine veniva.
(Metamorfosi, XI, vv. 589-591 e 616-622)

          * Iride in greco significa arcobaleno. Iride, la parte dell'occhio che si colora; iris, o ireos, fiore che ha petali di tanti colori diversi, lievi e cangianti; iridescente, cangiante, che ha i colori dell'iride.


ARDESCO divinità e fiume (pr. Ardèsco). Figlio di Ostrica e Oceano, 545.

        * Vedi un'immagine del fiume in Bulgaria, nome attuale Maritsa: https://it.wikipedia.org/wiki/File:Maritsa_river_02.jpg, ultimo accesso: 16/01/2020.

ARES (lat. Mars, it. Marte) dio (pr. Àres).Iolao amico di Heracles è simile a lui nell'aspetto 506; figlio di Hera e Zeus, fratello di Giovinezza e Soccorrente, 1454; si unisce ad Afrodite con la quale genera Paura, Terrore e Armonia, è distruttore di città e signore della guerra, 1471.

Può rappresentare la funzione maschile aggressiva, la violenza guerriera che incendia, erompe, collerica e ditruttiva, e allo stesso tempo l' irriducibile determinazione ad affrontare i conflitti dell'esistenza. Il suo legame con Afrodite simbolizza l'unione degli opposti, dai quali nascono sia forze che costringono a combattere, Paura e Terrore, sia Armonia, dolce frutto del contrasto.
Si narra che Ares fu allevato da Priapo, e per questo i Bitinii (Asia Minore) sacrificavano a Priapo un decimo delle spoglie dedicate ad Ares: il mito rappresenta il legame immaginario tra la potenza fallica - Priapo è il dio dell'erezione -, e la forza guerriera.

*Marziale, guerresco; marzo e martedì, mese e giorno della settimana consacrati al dio della guerra; Marte, pianeta rosso come il fuoco della guerra e dell'aggressività; marziano, abitante di Marte. 

        


ARGE v. LAMPO

ARIALATTEA (gr. Galaxaure, Galaxaure) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 555.


ARIANNA (gr. Ariadne) essere umano, discendente dal Sole. Sposa di Dionisos, 1494.

Figlia di Minosse e di Pasifae, sovrani di Creta, aiutò l'eroe Teseo a sconfiggere il Minotauro, mostro metà uomo e metà toro, generato dall'unione della regina Pasifae con un meraviglioso candido toro, che il re avrebbe dovuto sacrificare a Poseidon. Imprigionato nel labirinto costruito da Dedalo per ordine di Minosse, il Minotauro esigeva sacrifici umani, un tributo di giovani nobili che venivano dati in pasto al mostro. L'eroe Teseo, per far cessare questo debito della polis verso l'antica civiltà di Creta, entrò nel labirinto del Minotauro, con il filo che Arianna gli aveva dato. La principessa restò sulla soglia del labirinto con un capo del filo fra le mani, e Teseo, dopo aver vinto e ucciso il mostro, lasciò l'isola insieme ad Arianna. Ma siccome s'innamorò della sorella minore di lei, Fedra, abbandonò Arianna addormentata sulla riva dell'isola di Nasso. Dionisos trovò Arianna piangente, ne fece la sua sposa e le donò una corona di stelle, la Corona d'Arianna.

Arianna rappresenta, come Medea, una funzione femminile capace di affrontare il mistero, in questo caso il labirinto, di cui l'eroe non potrebbe venire a capo senza il suo aiuto. Ma l'eroe, dopo aver assolto il compito impossibile grazie al suo aiuto, può dimenticarla, e questo può provocare effetti tragici sulla sua vita, se la sua aiutante decide di vendicarsi.

 * Filo d'Arianna, la sottile traccia per un cammino altrimenti impossibile, per una ricerca che non si compie con le sole attitudini eroiche.

          

ARIMI popolo favoloso, forse in Cilicia; presso gli Arimi si annida sottoterra Vipera, 488.


ARISTEO essere umano (pr. Aristèo). Sposo di Autonoe, figlia di Armonia e Cadmo, 1541.

Secondo altri miti era figlio di Apollo, o di Dionisos. Fu allevato dalle Ninfe, che aggiunsero al nome Aristeo quello di Agreo, che significa cacciatore, e quello di Nomio, che significa pastore: Aristeo avrebbe insegnato la caccia e la pastorizia agli esseri umani. Da Autonoe Aristeo ebbe Atteone, e questo figlio, mentre cacciava vide la dea Artemide che si bagnava nuda insieme alle sue ninfe. Non tollerando che la vista di un uomo si posasse sul suo corpo, la dea lo trasformò in cervo e Atteone fu sbranato dai suoi stessi cani, che chiamava uno ad uno per nome perché lo riconoscessero, mentre emetteva solo bramiti. Fra gli antenati di Atteone ricordiamo Afrodite, Ares e Apollo, o Dionisos.

Figlio dell'inventore della pastorizia e della caccia, Atteone rappresenta la funzione culturale di domare e dominare la natura selvaggia. Il suo rapporto con la natura lo porta a posare lo sguardo sulle nudità della dea Artemide, che è la potenza femminile della natura aliena dalla sottomissione al maschile, che l'uomo non può vedere. Lo sguardo di Atteone rappresenta la rottura di un limite, perché si fissa, anche se involontariamente, su ciò che non può essere visto.
La tragedia di Atteone è il primo modello della vicenda leggendaria e fiabesca di tanti principi e cavalieri che vedono la loro amata quando è loro vietato, o aprono la stanza proibita trovandosi di fronte un mistero del femminile. Per Atteone la tragedia si realizza come regressione repentina alla natura animale che dominava, e proprio i suoi cani, che rappresentano la componente pulsionale domata, si scagliano contro il padrone come contro la preda.

... Gemendo si duole
non con la voce dell'uomo e né pure con quella del cervo,
ma di lamenti funesti riempie le note montagne;
e su le curve ginocchia atteggiato com'uno che prega
gira il suo tacito muso così come fossero braccia
[...]
ma lo circondano i cani, che messigli i denti nel corpo,
straziano il loro padrone, ch'ha forma fallace di cervo ...
(Metamorfosi, vv. 237-241 e 249-250)

* Arista, la parte migliore del maiale, come il nome Aristeo viene dal greco aristos, il migliore. Aristocrazia: potere dei migliori.


ARMONIA (Ermione) dea. Sposa Cadmo, re di Tebe, 1477; con Cadmo genera Splendore, Ino, Semele, Autonoe, 1538.

Figlia di Afrodite e Marte, sorella di Paura e Terrore, ebbe tutti gli dei alle sue nozze con Cadmo, signore di Tebe. Le nozze inizialmente furono felici e il regno godeva di una grande prosperità, ma la felicità di Cadmo e Armonia si trasformò nell'opposto. La figlia Splendore durante l'estasi dionisiaca uccise il proprio figlio Penteo, Atteone figlio di Autonoe morì sbranato dai suoi cani per aver visto la nudità di Artemide, Ino si gettò in mare con i figli. Da un altro figlio di Armonia, Polidoro, non nominato da Esiodo, discese Laio, che abbandonò il proprio figlio Edipo, e successivamente ne fu ucciso. Cadmo e Armonia lasciarono Tebe e dopo tante sciagure chiesero e ottennero di essere trasformati in una coppia di serpenti.


ARPIE (gr. Arpuiai, Arpie) dee. Dai bei capelli, si librano in volo insieme ai grandi rapaci, 425.

Le due figlie di Ambra e Prodigio, Turbine e Folata, sorelle di Arcobaleno, secondo la tradizione di Esiodo sono esseri femminili volanti dalla bella chioma. Come tutte le creature femminili dotate di prerogative straordinarie, siano ali per volare o coda di pesce, come le Sirene, vengono rese in era cristiana sempre più repellenti e disgustose: le arpie diventano tre, terrificanti, non più fornite di belle chiome: viso di donna, unghie lunghissime e adunche, enorme ventre, sempre affamate, portavano la carestia dove passavano. Si gettavano dove trovavano cibo saccheggiando le mense e lasciandole contaminate e maleodoranti. Dante le trova nell'Inferno, nella selva dei suicidi, dove non crescono foglie né frutti:

Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno
[...]
Ali hanno late, e colli e visi umani,
piè con artigli, e pennuto 'l gran ventre;
fanno lamenti in su gli alberi strani.
(Divina Commedia, Inferno, XIII, vv. 10 e 13-15)

*Arpia, persona malevola, avara, bisbetica.


ARTEMIDE (Diana) dea. Celebrata dalle Muse, 24; figlia di Zeus e Occulta, sorella di Apollo, 1451.

Dea lunare, della caccia, sorella di Apollo. Si racconta che nacque prima di Apollo, e aiutò la madre Occulta a partorire il fratello. Dea della caccia, vive nei boschi e nessun essere umano può violare con lo sguardo o col desiderio lei e le ninfe del suo corteo. Quando Atteone la vide, Artemide si bagnava e le sue ninfe si strinsero intorno a lei per nasconderla, e siccome la dea non aveva a portata di mano l'arco e le frecce, che aveva posato sulla riva:

Tolse dell'acqua che aveva e spruzzò d'Atteone la faccia
e, cospargendogli il crine coi vindici flutti, gli disse
queste parole foriere di morte futura: ‘Racconta
ora che nuda vedesti Diana, se pur lo puoi dire!'
Né più minaccia: gli mette sul capo irrorato le corna,
corna di cervo vivace, ed allungagli il collo e gli appunta
l'estremità degli orecchi, gli muta le mani coi piedi,
cambiagli in gambe le braccia e lo copre di pel maculato.
(Metamorfosi, III, vv. 189-197)

Si racconta che le sue frecce provocassero i dolori del parto, culmine del dolore fisico umano, e soglia attraverso la quale viene alla luce ogni creatura. Rappresentando il mistero femminile, inaccessibile allo sguardo e al dominio patriarcale, Artemide può coincidere con numerose altre divinità, in particolare Hecate, ricca di primitive signorie, e Persefone, sposa di Hades. Le grandi divinità femminili possono scomporsi e comporsi, come nella divinità egizia Iside, dea dai mille nomi, dalle innumerevoli prerogative, il cui culto dall‘Egitto si diffuse in tutto l‘Impero romano. Fra gli appellativi di Maria Vergine alcuni erano già di Iside.


ASIA divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 1565.


ASTERIA v. STELLA

          * Asteroidi, pianetini che appaiono come stelle; astro, astrale, che riguarda gli astri, astronomia, disciplina che studia le stelle e i pianeti.


ASTRI v. STELLE


ASTREO (gr. Astraios, Astreo) dio. Figlio di Freddo e di Ampiaforza, 592; sposo di Aurora e padre dei Venti, di Lucifero e delle Stelle, 595.

ATE v. VORACITÀ


ATHENA (lat. Minerva; it. Atena, Minerva) dea dagli occhi di cielo e dagli occhi lucenti (gr. glaucòpis, glaucopide) un colore celeste chiarissimo, luminoso, limpido; Tritogenia, perché nata presso il torrente Tritone, o perché nata terza; Pallade, guerriera, epiteto connesso al Palladio. Celebrata dalle Muse, 21; consiglia Heracles perché con Iolao vinca l'Hydra, 507; rende bellissima Pandora, 918 sgg.; figlia di Metis e Zeus, nata dalla testa del padre, 1402, 1413, 1457.

Dea della sapienza, della scienza e delle arti, in primo luogo quelle femminili, filatura, tessitura, ricamo. Il colore dei suoi occhi corrisponde al colore chiaro degli occhi della civetta, animale che le era sacro, perché come la civetta vede nella notte, quando gli animali diurni sono immersi nel sonno, lo sguardo di Athena penetra le tenebre con la limpida ragione. È sempre al fianco di Ulisse, eroe della ragione e dell'astuzia.
La città di Atene prese il suo nome perché i cittadini promisero di consacrarla al dio che avesse fatto agli uomini il dono più prezioso: Poseidon donò il cavallo, Athena l'ulivo, col quale vinse. L'ulivo è dall'antichità la pianta più preziosa per i popoli mediterranei, che ne usavano l'olio per condire, per conservare, e come cosmetico e unguento. Si ungevano di olio d'oliva gli atleti prima di gareggiare, e gli eroi stanchi facevano un bagno di olio per ritrovare le forze. A Troia era custodito il Palladio, una statua lignea di Athena alla quale era attribuita un'origine divina, e finché questa statua fosse stata custodita nella rocca di Troia la città sarebbe stata inespugnabile. In un'incursione notturna Ulisse e Diomede riuscirono a rubarla, nonostante ne fossero state fatte molte copie, esposte ben in vista per ingannare i ladri. Un altro mito racconta che il vero Palladio era rimasto a Troia, ed Enea fuggendo dalla distruzione della città lo portò in salvo fino all'Italia. Nella antica Roma era custodita questa statua, e ne erano state fatte molte copie per ingannare i ladri. Oltre a Roma erano molte le città antiche che vantavano il possesso della statua lignea di Pallade Athena, a garanzia della loro indistruttibilità. Athena era dea anche delle arti femminili, ricamo e tessitura, ed è opera sua il velo che drappeggia nella Teogonia dal capo di Pandora. La signoria di Athena sul ricamo, la tessitura, la moda, potremmo dire, non è in contraddizione con la sua signoria sulle battaglie e sull'intelligenza. Quando Aracne, la più grande tessitrice del mondo, sfidò la dea nel ricamo, venne colpita dall'ira della dea, che la trasformò in ragno.

Nella divisione di ruoli del patriarcato, in particolare in quella borghese, dell'Ottocento e del secolo appena trascorso, si sono considerate le arti femminili come passatempi per menti deboli, inferiori. L'arte di fornire gli abiti provvede le persone di identità culturale, sociale, dalle pelli intrecciate ai tessuti d'arredamento, dai pepli ricamati e drappeggiati intorno al corpo all'alta moda contemporanea: l'identità è legata all'arte femminile. Athena, come figura del femminile che può cooperare con divinità maschili o esseri umani, senza però lasciarsi mai sottomettere e possedere, sempre inviolata, vergine come Artemide, rappresenta una potenza della realtà psichica che rappresenta il lavoro incessante del pensiero, la cui forza è legata alla capacità ricettiva e feconda del femminile. La signoria nella guerra, per il quale Athena ha l'epiteto di grande predatrice, è sottilmente connessa con la potenza del pensiero. Scrive il matematico René Thom:

[L]o stato di veglia, sia nell'animale che nell'uomo, è uno stato di predazione virtuale continuata. Scorto un oggetto, esso diventa preda virtuale [...] Percipere, in senso etimologico, è captare continuamente l'oggetto nella sua totalità. (René Thom, Stabilità strutturale e morfogenesi. Saggio di una teoria generale dei modelli. Trad. di Antonio Pedrini. Einaudi, Torino 1980).

Come pulsione epistemofilica, spinta alla conoscenza, in psicoanalisi si riconosce una trasformazione della pulsione per la quale il bambino vorrebbe impadronirsi del corpo materno, percepito come onnipotente, fallico, e di tutti i suoi contenuti germinali. Le battaglie nelle quali Athena non ha rivali rappresentano una massima espressione della predazione essere umano, come la caccia, di cui è signora Artemide. Captare, percepire, concetti e cose, appropriarsene e dominarle: questo lega nella predazione il dominio della guerra e quello della conoscenza, letterale il primo, sublimato il secondo. Riguardo poi alle arti femminili, si rifletta su quanti verbi relativi all'attività mentale di riflessione ed elaborazione sono tratti dai gesti della filatura, della tessitura e del ricamo: tirare le fila di un discorso, perdere il filo, trama di un racconto, tramare un inganno, ordire una congiura, ricamare su un fatto, per dipingerlo secondo il proprio desiderio; una situazione politica o un discorso sfilacciati, e così via, fino al punto di capitone, che trapunta un insieme di strati, ripreso da Jacques Lacan.

*Ateneo, università, luogo deputato alla cura delle arti e delle scienze, signoria di Athena; Atene, capitale della Grecia. Aracnidi, ragni, da Aracne. 


ATLANTE dio. Giapetide, figlio di Giapeto. Figlio di Giapeto e Clara, 811; regge il globo celeste sulle spalle, 825, 1181; padre di Maia, 1480.

Quando andò a cercare le mele d'oro delle Hesperidi, Heracles aiutò Atlante tenendo al suo posto il globo terrestre, ma quando si accorse che Atlante voleva farglielo tenere per sempre lo pregò di riprenderlo per un momento, con la scusa di per fargli cambiare posizione e sostenerlo meglio. Appena Atlante lo prese Heracles se ne andò e lo lasciò lì per sempre . Nel mito di Perseo, Atlante, guardiano del giardino delle Esperidi, subisce la metamorfosi in monte.

* Atlante, raccolta di carte geografiche per consultazione o studio, dal titolo dato alla sua raccolta dal cartografo fiammingo A. Mercatore, che aveva in copertina la figura del dio Atlante.


ATROPOS dea, una delle tre Fate Nere (pr. Àtropos). Figlia della sola Notte 357; figlia di Norma e Zeus, 1428.

Con le sorelle Clothos e Làchesis decide il destino degli esseri umani, e la sua funzione è quella di tagliare il filo, decretando la morte. Il significato del nome è tagliatrice, e il suo nome è apparentato all'ebraico tarap, che significa tagliare. Il significato potrebbe anche essere inflessibile, dal greco a-trepo. Col suo taglio il filo cessa di flettersi e avvolgersi, la morte è il suo gesto inflessibile.

AUREA (gr. Cryseis, Criseide) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 564.


AURORA (gr. Eos) celebrata dalle Muse, 33; figlia di Divina e Yperìon, 587; sposa di Astreo e madre dei Venti e delle Stelle, 595; la sua luce rende visibile ogni cosa, 717; congiunta amorosamente con Titone genera Memnone ed Emazione, con Cefalo genera Fetonte, 1552.

Ha rosee dita, con le quali apre il giorno alla luce.
Essendosi innamorata del mortale Titone, gli offrì un dono, e Titone chiese di essere liberato dalla morte, dimenticando di chiedere insieme l'eterna giovinezza. Titone immortale diventò così vecchio che Aurora doveva nutrirlo e fasciarlo come un neonato, e non provando più piacere nella vita Titone la supplicò di lasciare che finisse: si racconta che allora la dea lo trasformò in cicala, oppure nella lieve aria del primo mattino. Quando morirono i figli che aveva avuto da lui, il pianto di Aurora divenne rugiada, e da allora torna a bagnare la terra ogni mattina.

L'unione fra opposti rappresentata dal legame tra Aurora, luce chiara di ogni nuovo mattino, e il più vecchio dei vecchi mitici, ricorda che la condizione essere umano è tale che il dono divino non ne elimina mai l'imperfezione e la morte.


AUSTRO v. NOTOS


AUTONOE 1, figlia di Armonia e Cadmo, 1540 (pr. Autonoe). Sposa di Aristeo e madre di Atteone, che morì sbranato dai suoi cani. Omonima di una delle nereidi.


AUTONOE 2, v. AUTORIFLESSIONE


AUTORIFLESSIONE (gr. Autonoe) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 258.

Omonima di una delle figlie di Cadmo e Armonia.





B


BACCO v. DIONYSOS


BALENA (gr. Chetò, Ceto) dea. Figlia della Terra e del Mare, 386; congiunta amorosamente col fratello Bianco concepisce le due Canute e le tre Terrifiche 430; con genera il Serpe, 528.

Cetacei, mammiferi marini, come le balene.


BATTAGLIE (gr. Macai) divinità. Figlie della sola Discordia, 372.

          * Tauromachia, combattimento col toro.


BATTITODARIA (Plexaure) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 555.


BELDONO (gr. Eudore) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 394.


BELLAFLUENTE (gr. Calliroe) divinità, oceanina. Spadadoro si congiunge amorosamente con lei e genera Urlante, 460; in una grotta genera Vipera, 472; nasce da Ostrica e Oceano, 554; con Spadadoro genera il forte Gerione, 1543.


BELLAVITTORIA (gr. Euniche, Euniche) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 398.


BELLEROFONTE essere umano. Con il cavallo Pegaso uccide la Chimera, 515.

Il suo nome significa uccisore di Belleros, forse suo fratello. Una regina, innamorata da lui e respinta, lo accusò di averla violentata, e il re per farlo morire lo mandò a combattere contro la Chimera, considerata invincibile. Athena mostrò in sogno a Bellerofonte come poteva con un freno domare il cavallo alato Pegaso, e così l'eroe riuscì nell'impresa. Un mito racconta che Bellerofonte morì quando il cavallo alato Pegaso, alzandosi fino al cielo, fu morso da un tafano e precipitò, mentre Pegaso fu assunto in cielo come figura di stelle: la costellazione Borèale a nord dei Pesci e dell'Acquario.




BELPORTO (gr. Eulimene, Eulimene) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 397.


BELRIFIUTO (gr. Euarne, Evarne) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 413.


BENDISTESA (gr. Euagore, Evagora) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 408.


BIA v. FORZA


BIONDA (gr. Xanthe, Xante) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 559.


BIANCO (gr. Forchys, Forci) divinità. Nasce da Terra e Mare, 386; congiunto amorosamente con la sorella Balena concepisce le Canute e le Terrifiche, 430; con Balena concepisce poi il Serpe che è guardiano delle mele d'oro, 528.

Nell'Odissea abita in una grotta marina ed è chiamato come Nereo, Vecchio del Mare.
Sulla discendenza di Bianco (Forco o Forci) e Balena (Ceto) scrive Jean-Pierre Vernant:

Le Gorgoni appartengono alla discendenza di Forco e di Ceto [Bianco e Balena], il cui nome evoca al tempo stesso una enormità mostruosa e, nel più profondo del mare o della terra, cavernose voragini. In effetti, tutti i figli della coppia hanno in comune, accanto alla mostruosità, il fatto di abitare "lontano da dio e dagli uomini", nelle regioni sotterranee, al di là dell'Oceano, alle frontiere della Notte, spesso per svolgervi il ruolo di guardiani, addirittura di spauracchi, che sbarrano l'accesso a luoghi proibiti. Nati dall'unione fra Ponto e Gea, Forco e Ceto generano prima le Graìe, le vergini canute dalla nascita, che uniscono in sé il giovane e il vecchio, la freschezza della bellezza e le rughe di una pelle paragonabile a quella pellicola ruvida che si forma sulla superficie del latte raffreddato e che ha per l'appunto il loro nome: graus, pelle rugosa.

La prima delle Graie esiodee si chiama Pemphredo, pemphredon è una sorta di vespa che scava cavità sotterranee. La seconda si chiama Enyo, nome che evoca la signora dei combattimenti e il violento grido di guerra, l'invocazione squillante (alalè) che si alza in onore di Enialio. Sorelle delle Graie, le tre Gorgoni, che uniscono nel loro gruppo il mortale e l'immortale, abitano al di là delle frontiere del mondo, dalla parte della Notte, nel paese delle Esperidi dalla voce sonora. (J.-P. Vernant, La morte negli occhi, p. 58; vedi Bibliografia nel sito)

                   
BONACCIA (gr. Galene) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 394.


BOREAS Aquilone, vento settentrionale, che porta l'inverno e la neve; figlio di Aurora e Astreo, 598; diverso, come i suoi fratelli, dai terribili venti che origina Tifeo, 1374.

Nell'Iliade si racconta che il ricchissimo re Erittonio aveva tremila cavalle, e delle più belle si innamorò Boreas:

... E giacque con loro, sembrando un cavallo criniera azzurra;
esse rimasero pregne, e fecero dodici puledre.
Queste, quando saltavano per la pianura dono di biade,
correvano sopra la cima delle spighe e non la rompevano;
e quando saltavano sul dorso largo del mare,
correvano sopra la cima dell'onde del mare canuto.
(Iliade, XX, vv. 224-229)

Nella tradizione narrativa è ricorrente il motivo del vento che feconda le cavalle, generando puledri meravigliosi.

* Boreale, proveniente dal nord, settentrionale; bora, vento invernale. 

BRAMOSIA (gr. Filoteta, Filotete) divinità. figlia della sola Notte 366.


BRIAREO (OBRIAREO) v. FORZOSO


BRIVIDO (gr. Styx, Stige) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 568; con Pallante genera Zelo, Vittoria, Potere e Forza, 605;Brivido offre per prima aiuto a Zeus, e ottiene come premio onore per i suoi figli, 613; risponde per prima all'appello di Zeus, 626; Zeus con gli altri dei stabilisce che sul suo nome e sulle sue acque sia il sacro giuramento degli dei e degli uomini, 633, 1229; vive nelle profondità sotterranee, 1223; Arcobaleno va ad attingere le sue acque per il giuramento Orcos, 1240.

Styx Brivido è la figlia primogenita di Oceano, rappresenta quindi una parte dell'elemento primordiale, mobile, insidioso, ricco, la sua decima parte, che col nome di Styx corre sotterranea e sgorga da una roccia. È la parte della fluida sensibilità primordiale, arcaica, che non si scalda col sole, che non è visibile sulla terra: può significare la spinta della realtà psichica che sempre sfugge al controllo della coscienza.
Zeus parte dall'accordo con lei per vincere la guerra che gli consentirà di dominare sugli dei e sugli uomini, ovvero sul mondo. Il giuramento Orcos, in nome delle acque di Brivido, è il limite alla parola degli immortali e dei mortali, che Zeus istituisce.
Riguardo al giuramento Orcos, Iride rabbrividisce quando va ad attingere l'acqua di Brivido, tanto è lontana la sua leggerezza variopinta dal gelo sotterraneo dell'oceanina.

Infrangere l'Orcos giuramento significa sottovalutare la potenza di Styx, riconosciuta da Zeus: quando la sua amante Semele si fa giurare che esaudirà qualunque suo desiderio, Zeus deve farlo, anche se mostrarsi a lei nella sua potenza divina la incenerisce. Brivido, col giuramento Orcos e i Gelidi figli, può rappresentare la una spinta inconscia che si lega al desiderio di potere del soggetto, e al dominio di una cultura: qualcosa che ha origine sotterranea, oscura, contigua alla morte, orribile anche per gli immortali, come la dimora di Brivido.
Sottovalutare questa potenza, con la quale il sovrano deve venire a patti, ovvero spergiurare, ha effetti tragici per gli esseri umani, e sottopone gli dei a una punizione durissima. Con il brivido sotterraneo dell'inconscio, secco come il nome Styx, molto vicino alle pulsioni distruttive, a quanto in psicoanalisi si nomina come Thanatos, occorre venire a patti, lasciandogli un dominio limitato ma sacro, intoccabile, il più possibile lontano dal calore in cui prospera la vita. La parola greca Orcos, giuramento sacro, in latino assunse il significato di Inferi, e nelle fiabe designa il mostro divorante. I tesori sono sottoterra come sono custoditi dall'Orcos.

* Stigio, infernale, scuro, cupo.


BRONTE v. TUONO

BUIO (gr. Erebos, Erebo) divinità. Figlio della divinità primigenia Caos, fratello della Notte, 207; congiunto alla sorella Notte genera il figlio Etere e la figlia Giorno, 208; Zeus punisce il superbo Menezio scagliandolo nel Buio, 822; i giganti dalle cento mani escono dal Buio per combattere i Titani al fianco di Zeus, 1062.

Si tratta della totale assenza di luce che caratterizza il mondo sotterraneo: la parola greca erebos significa buio, tenebre, oscurità: tutto ciò che riempie di angoscia e paura i bambini, e gli adulti quando al risveglio da un incubo non distinguono i confini della loro stanza e dubitano delle loro percezioni.

          *La parola Erebo può significare Inferno, Tartaro. Erebofobia, paura del buio.

BUONALEGGE (gr. Eunomie, Eunomia) divinità, una delle tre Ore. Nata da Norma e Zeus; 1423.

BUONASCORTA (gr. Eupompe, Eupompe) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 415.




C






CADMO
essere umano. La Sfinge è rovina della sua stirpe, 519; genera, con la sposa Armonia, Ino, Semele, Splendore e Autonoe, 1477; padre di Semele, 1481.

Un mito racconta che Cadmo era un principe fenicio, e partì alla ricerca di Europa sua sorella, che era stata rapita da Zeus. Dopo tanto tempo si fermò in Grecia, dove, come gli aveva consigliato un oracolo, seguì una giovenca e dove l'animale si fermò gettò le fondamenta di una città. Per ringraziare gli dei mandò i suoi compagni a cercare acqua per offrire la giovenca in sacrificio ad Athena, ma un dragone li divorò tutti.
Cadmo affrontò il drago e lo uccise, e su indicazione di Athena ne seminò i denti: dalla terra nacquero uomini armati, contro i quali Cadmo scagliò una pietra. Gli armati cominciarono a combattersi fra loro e si uccisero tutti tranne cinque, che aiutarono Cadmo a costruire la città di Tebe. I fenici avevano inventato l'alfabeto, e Cadmo, che lo portò in Grecia, fu considerato l'inventore della scrittura. Alle sue nozze felici con Armonia, figlia di Afrodite e Ares, intervennero gli dei, ma l'invidia di Hera provocò disgrazie nella sua famiglia, fino alla tragedia di Edipo e della sua discendenza. Ormai vecchi, Cadmo e Armonia si ritirarono in un luogo deserto, dove Cadmo, ricordando il drago serpente che aveva ucciso prima della fondazione di Tebe, pensò che fosse sacro, e chiese agli dei, che lo esaudirono, di trasformare in serpenti lui e la sua sposa.


CAICO divinità e fiume (pr. Càico). Figlio di Ostrica e Oceano, 543.

        Vedi un'immagine contempooranea del fiume in Turchia, nome attuale Bakïrcay: https://en.wikipedia.org/wiki/Bak%C4%B1r%C3%A7ay.



CALIPSO divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 565; congiunta amorosamente con Ulisse genera Nausitoo e Nausinoo, 1605.

Dal verbo greco calypto, avvolgo, nascondo, il nome della dea significa coperta, nascosta. Dea signora dell'isola Ogigia, nello Ionio, accolse Ulisse naufrago quando ormai aveva perduto tutti i compagni e tutte le navi, si prese cura di lui e gli offrì l'immortalità e l'eterna giovinezza, se avesse voluto restare con lei per sempre.
Nonostante l'amore della bellissima dea, Ulisse passava i giorni sulla riva del mare guardando verso l'orizzonte, per la nostalgia di Itaca.
Quando, passati sette anni, gli dei ordinarono a Calipso di lasciarlo partire, la ninfa gli chiese come potesse rifiutare la sua offerta, e Ulisse rispose:

- Dea potente, di questo non serbarmi
rancore; anch'io so bene che la saggia
Penelope al confronto per bellezza
per grazia e maestà molto è
inferiore: ella è mortale, e tu da morte immune
e da vecchiaia. Eppure tutti i giorni
piango di nostalgia, tornare a casa
voglio, e vedere il tempo del ritorno.
Se poi mi sperda naufrago sulle onde
livide un dio, resisterò con animo
forte, paziente; molti affanni e molti
dolori sopportai sul mare e in guerra:
vada anche questo in compagnia di quelli! -
Mentre parlava, il sole cadde e l'ombra
scese; i due nei recessi più profondi
della spelonca giacquero, e godettero
del loro amore, avvinti l'uno all'altra.
(Odissea 1, V, vv. 215-227) 

*Eucalipto, ben nascosto, perché nei fiori di queste piante gli stami sono ben coperti dai petali.


CALLIOPE divinità, una delle nove Musa. Figlia di Memoria e Zeus, 138.

Il suo nome significa bella voce, dal greco kalòs, bello e òps, fra le Muse era signora e ispiratrice del canto e della poesia sublime. Si racconta che con Apollo generò Orfeo, e con Acheloo le Sirene. Le nove principesse figlie di Piero avevano splendide voci, e sfidarono le Muse nel canto. Per tutte loro cantò la sublime:

Sorse Calliope e stretti con l'edera i crini disciolti
tastò col pollice come per prova le corde canore;
poscia, toccandole, il canto congiunse col suon della cetra.
(Metamorfosi, V, vv. 338-340)

Athena aggiudicò la vittoria alle Muse e le nove pieridi furono trasformate in gazze. Ogni volta che i mortali sfidano gli dei perdono, insieme alla sfida, la loro stessa umanità: per quanto gli uomini o le donne siano dotati di una grande arte, la loro fragilità essere umano, che è il senso della loro vita, si perde credendosi superiore alla perfezione degli immortali.



CALLIROE v. BELLAFLUENTE


CANUTE (gr. Graiai, Graie) divinità. Penfrèdo ed Enio, figlie di Balena e Bianco, belle e dai capelli bianchissimi, 430, 432.

Secondo un altro mito erano tre, ed erano le guardiane delle Gorgoni: avevano un solo occhio e un solo dente, e se li passavano a turno quando volevano vedere o mangiare. Si mettevano l'occhio sulla fronte, e quando non serviva a nessuna delle tre lo custodivano in un cassetto. Il dente era più grande di una zanna di cinghiale, e quando Perseo andò a tagliare la testa di Medusa, rubò loro l'occhio e il dente, rendendoglielo solo quando le Canute gli indicarono la dimora delle Gorgoni.

Il senso di queste due o tre sorelle potrebbe essere quello di un femminile immobile nel tempo, avendo fin dalla nascita un carattere delle vecchiaia, i capelli bianchi, ed essendo sdentate, come i neonati e i vecchi. L'eroe che sottrae il loro occhio ottiene che indichino la giusta via per la sua impresa: dal limite nella vista delle Canute deriva a Perseo la visione del cammino.


CAOS dio originario. Il primo delle divinità primigenie, o primitive, o ingenerate, seguito da Terra, Inferno, Eros, 194; genera da solo la Notte e il Buio, 207; è pervaso dal calore infuocato della battaglia fra i Titani e gli dei olimpici, 109; i Titani vivono esiliati oltre il Caos, 1282.

Mentre in Esiodo il Caos precede Terra, Inferno ed Eros, ma genera solo Notte e Buio.

Nella tradizione Caos rappresenta ciò che, esistendo prima dei tempi e delle forme, comprende, in un ammasso confuso, tutte le forme che in seguito a un processo di creazione emergeranno, illuminandosi, venendo all'esistenza, nella quale noi possiamo percepirli e conoscerli. Gli orfici raccontano che dal Caos emerse per primo Fanes, Luce accesa, forma originaria dalla quale tutte le altre forme traggono origine. Il Caos significa la dimensione della realtà psichica nella quale nulla è distinguibile e conoscibile, anche se vi sono in potenza tutte le forme possibili. Per questo Notte e Buio, che nascondono e velano tutte le forme, nascono dal Caos.

Prima che fossero il mare e la terra e la vòlta del cielo
uno era solo l'aspetto dell'orbe, che dissero Caos,
mole confusa ed informe e non altro che immobile peso,
massa di germi discordi di cose tra sé raccozzate. (Metamorfosi, I, vv. 5-9)

Privo di rappresentazioni nella natura, il Caos ha obbligato i pittori a lasciar libera la loro immaginazione:

Quindi per rappresentare il Caos si accumulano per ordinario senz'ordine e senza serie i principali oggetti, che più colpiscono nello spettacolo dell'Universo; vi si pone un pezzo di Zodiaco fuori del suo asse; il fuoco del cielo misto colle acque della terra; l'astro del giorno in lotta colle tenebre della notte; lo spirito dei venti, che non soffia da' suoi punti; e in mezzo a tutto questo uno schizzo di Genio riproduttore, portato su dense nuvole, in atto d'ingerire in tutte quelle masse informi ed opposte la rispondente armonia e l'unione dell'ordine”. (Dizionario portatile delle favole).

* La parola greca càos significa abisso splancato, apertura o spazio incommensurabili. Caotico; teorie del caos, matematica del caos. (Caos è l'anagramma di caso).


CARITI v. GRAZIE



CAVALLO
(gr. Ippo) fonte nella quale si bagnano le Muse, 6. Nella Grecia contemporanea è la fonte Ippocrene, sul monte Elicona.

        * Dalla parola greca, ippica.


CAVALLA (gr. Ippò, Ippo) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 553.


CEFALO mortale. Congiunto amorosamente con Aurora genera lo splendido Fetonte, 1555.

Si racconta che Aurora, innamorata di lui, fece di tutto per sedurrre il bellissimo Cefalo, ma inutilmente, perché egli amava solo la sua sposa Procri. Allora gli dei resero tanto gelosi uno dell'altro i due sposi, che alla fine Cefalo provocò involontariamente la morte di Procri.

*La parola greca chefale significa testa, e la parola chefalos, uguale al nome del dio, designa come in italiano il cefalo, pesce che vive in acque dolci e salmastre. Encefalo, cervello, contenuto nella scatola cranica; cefalea, mal di testa.

CELESTE (gr. Uranie, Uranide) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 552.


CELESTI v. TITANI


CENTIMANI (gr. Ecatonchiri) divinità, giganti. Imprigionati in seno alla Terra dal padre Cielo, 987, sono con Zeus nella battaglia decisiva, 1060.

Cottos, Forzoso e Membruto, giganti con cento mani e cinquanta teste, imprigionati dal padre Cielo in seno alla madre Terra insieme ai tre Ciclopi, vi restarono fino a quando Zeus, su consiglio della Terra e del Cielo, li liberò, perché lo aiutassero nella guerra contro i Titani, ristorandoli con nettare e ambrosia. Le trecento enormi pietre che lanciavano tutti contemporaneamente seppellirono i Titani, dando la vittoria agli Olimpici.


CEO v. COIOS


CERBERO mostro. Cane guardiano dell'Inferno, figlio di Vipera e di Tifone, 495.

È un mostro cannibale, con cinquanta teste che latrano con forza orrenda. Accanto ai morti veniva sepolta una focaccia di miele, un'offa, da gettare in pasto a Cerbero per placarlo all'entrata nell'aldilà: si racconta che il cane è ferocissimo anche con chi da vivo, come Dante o Enea, vuole entrare nel regno dei morti. Solo Orfeo, arrivato alla soglia del regno dei morti per ritrovare la sua sposa Euridice, lo ammansì e lo addormentò, riuscendo così a entrare. Quando Heracles scese agli Inferi per liberare Alcesti, Cerbero si spaventò di fronte alla sua forza e fuggì a nascondersi sotto il trono di Hades, da dove lo stanò l'eroe per trascinarlo sulla terra, in Tessaglia. Cerbero schiumava di rabbia e sparse il suo veleno sulle piante di quella regione greca, che divennnero velenose e insieme ricche di virtù magiche. In greco la parola farmacon significava sia farmaco, medicina, che veleno. Dante lo incontra all'Inferno, nel cerchio dei golosi:

Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.
(Divina Commedia, III, VI, 13-15)

* Cerbero, persona truce e troppo severa, anche non efficacemente; dar l'offa al Cerbero, placare con astuzia, accontentando in qualche modo, chi altrimenti impedirebbe un percorso. immagine


CERCEIDE v. SPOLA


CETO v. BALENA


CHERA v. ANNIENTATRICE NERA


CHERE v. ANNIENTATRICI


CHIMERA mostro. Figlia di Vipera e Tifone, 508.

Una testa è di leone con gli occhi di fuoco, una di capra e una di drago serpente, come le parti del corpo. Chimera soffia fuoco come i draghi delle fiabe e delle mitologie, partecipando, come i vulcani, della potenza indomita che la terra tiene nel suo seno. Venne sconfitta da Bellerofonte che montava Pegaso, il cavallo alato.

* Il nome chimera designa qualunque mostro mitico, composto di animali diversi, che lo connettono al caos originario, dove le forme sono ancora confuse. Chimera, un sogno o un progetto che si rivela un'illusione irrealizzabile, di natura indefinita. 


CHIOMATURCHINA v. POSEIDON

CHIRONE centauro. Alleva ed educa Giasone, sposo di Medea, 1581.

Fu generato da Cronos - secondo un altro mito, da Poseidon - che, avendo assunto forma di cavallo, si congiunse con Filira, figlia dell'Oceano. Aveva il corpo umano fino alla cintura e di cavallo dalla cintura in giù. Conoscitore dei poteri della natura, in particolare delle piante, fu grandissimo maestro di eroi e semidei, come di Esculapio, dio della medicina, di Achille, Ulisse, Enea, Teseo, Ippolito, Diomede, Castore e Polluce, ecc. Durante la battaglia fra Heracles e i centauri, questi si rifugiarono dal suo maestro Chirone, ma Heracles non smise di inseguirli e con una freccia, bagnata nel sangue dell'Hydra di Lerna, ferì Chirone a un ginocchio.
Heracles disperato cercò di curarlo con un rimedio che aveva appreso da lui, ma non potè far nulla. Chirone chiese aiuto a Zeus, che lo liberò dal dolore con uno dei suoi fulmini e lo assunse in cielo, trasformandolo nella costellazione del Sagittario.
Il centauro Chirone, che unisce e armonizza natura divina e essere umano e animale, rappresenta una potenza che ha accesso a una molteplicità di sensi inaccessibile all'essere solo umano e all'essere solo divino: per questo è maestro di tanti eroi.

* Il nome Chirone deriva dal greco cheir, mano: Chirone possedeva in grado massimo l'arte della chirurgia, lavorazione, operazione con la mano. Chiromanzia, arte di indovinare basata sulle linee del palmo della mano; chiropratica, medicina empirica basata sugli influssi positivi che emanerebbero dalle mani del curatore.


CIANOCAITES, vedi CHIOMATURCHINA


CICLOPI dèi giganti, Tuono, Folgore e Lampo. Figli di Terra e Cielo, donatori di tuono, folgore e lampo a Zeus, 230; Ciclope in greco significa occhio rotondo, e si riferisce al grande occhio in mezzo alla fronte, 237.

Ulisse nell'isola dei ciclopi viene imprigionato nell'antro di Polifemo, al quale inutilmente chiede di ospitare lui e i compagni in nome delle sacre leggi dell'ospitalità, ma Polifemo non sicura di queste leggi.
					... Nulla,
spietato in cuore, il mostro mi rispose,
ma d'un balzo allungò sui miei le mani
e due ne prese a un tempo e li sbatteva
come cuccioli al suolo; le cervella
sparse qua e là bagnavano il terreno.
Li fece a brani, e s'imbandì la cena;
mangiò come un leone di montagna
voracemente, i visceri e le carni
tenere, le ossa e tutte le midolla.
(Odissea 1, IX, vv. 287-293).

La sera dopo gli offre un otre di vino fortissimo, frutto di una civiltà che i ciclopi ignorano, e Polifemo lo tracanna senza limiti. Poi chiede il suo nome a Ulisse, promettendogli un dono:

- Ciclope, mi chiedi il mio nome glorioso; io
te lo rivelerò, ma tu dammi il dono ospitale che mi hai promesso.
Nessuno è il mio nome; padre e madre
e tutti gli altri compagni mi chiamano Nessuno.
Così dissi: ed egli mi rispose con animo spietato:
- Per ultimo, dopo i suoi compagni, io mangerò Nessuno,
e tutti gli altri prima; questo sarà il mio dono ospitale.
Disse; e piegatosi all’indietro, cadde supino,
e giacque, piegando di lato il collo massiccio; e il sonno
che tutto doma lo vinse. Dalla gola gli uscivano vino
e pezzi di carne umana; e ruttava, del tutto ubriaco.
(Ivi, 345-374)
Ulisse non può uccidere il Ciclope, perché la caverna è chiusa con un masso che solo il mostro può sollevare. Quando il ciclope giace addormentato e ubriaco, Ulisse con i suoi compagni piantano un tronco d'albero appuntito e infocato nell'unico occhio di Polfemo, che urlando di dolore chiama gli altri ciclopi in soccorso. Questi gli chiedono cosa vuole, chi gli fa del male, e Polifemo risponde che Nessuno lo sta uccidendo. Allora i ciclopi se ne vanno, dicendogli che se nessuno gli sta facendo del male, bisogna che si raccomandi non a loro, ma a suo padre Poseidon.
Quando apparve mattiniera Aurora dalle rosee dita,
allora egli spinse gli arieti al pascolo,
mentre le femmine belavano presso i recinti, non munte
e le mammelle erano gonfie da scoppiare.
Il padrone, dilaniato da atroci dolori, tastava il dorso
di tutte le pecore che stavano in piedi; e non capì,
lo sciocco, che essi erano legati al ventre delle pecore lanose.
Per ultimo uscì dalla porta il maschio del gregge,
appesantito dal suo vello e da me, uomo dalla mente sottile.
E il fortissimo Polifemo, palpandolo, gli diceva:
«Mio caro ariete, perché mai mi esci così dalla grotta,
ultimo del gregge? Un t
empo non restavi mai indietro alle pecore,
ma prima di tutti pascevi il tenero fiore dell’erba,
con grandi balzi, e per primo arrivavi alle correnti dei fiumi,
per primo, alla sera, eri impaziente di tornare all’ovile:
ora, invece, sei proprio l’ultimo. Forse rimpiangi
l’occhio del tuo padrone, che un vile accecò, insieme ai suoi
maledetti compagni, dopo avermi ottenebrato la mente con il vino,
Nessuno, che credo non sia ancora sfuggito alla morte.
Oh, se tu potessi capire e se ti fosse concesso il dono
della parola, per dirmi dove costui si nasconde
dalla mia rabbia! Allora lo sbatterei a terra, e il suo cervello
schizzerebbe qua e là per la caverna; e il mio cuore avrebbe
sollievo dalle sofferenze che questo Nessuno da nulla mi ha inflitto».
E dopo aver detto così, spingeva l’ariete fuori dell’apertura.
Arrivati un po’ lontano alla caverna e dal recinto,
io per primo mi sciolsi dall’ariete e sciolsi anche i compagni.
(Ivi, 437-463)

          Quando Ulisse è ormai sulla nave, non resiste al desiderio di schernire il gigante primitivo e crudele, svelandogli la sua vera identità. Allora Polifemo ricorda che un indovino gli aveva predetto che    
          Ulisse gli avrebbe tolto la vista, ma non immaginava che potesse essere lui:

- Però sempre io mi aspettavo
che qui arrivasse un uomo grande e bello,
vestito di gran forza; e invece un tale
piccolo, debole e da nulla, l'occhio
mi tolse e il senno mi domò col vino.
(Ivi, 515-516)
     Per vendicare il figlio Polifemo, Poseidon scatena tutta la sua potenza contro Ulisse, ma alla fine non può impedire il suo ritorno. Quando i Feaci lo accompagnano a Itaca Poseidon li punisce privandoli per sempre della virtù magica che permetteva loro di navigare guidando la nave con la potenza della mente, senza sbagliare direzione, senza fatica, in assoluta sicurezza.

L'uomo da nulla. piccolo e debole, Ulisse, rappresenta il valore della condizione umano, che grazie alla cultura, alla civiltà, può vincere la forza bruta del gigante, come la violenza delle pulsioni più primitive. È un duello che innumerevoli volte si rappresenta nelle fiabe, come nel Gatto con gli stivali di Perrault, che sconfigge l'orco cannibale esaltando la sua potenza,, o nella storia delle Mille e una notte in cui un povero pescatore vince un demone potentissimo, così alto che il suo capo sfiora le nuvole, esaltando l'onnipotenza del demone.

* Mura ciclopiche, costruite con grandi massi.

         


CIELO (gr. Uranos, lat. Celus). Padre degli dei, 84, 178, 666, 1023; uno dei primi dèi, 185; prende vita dalla Terra come suo simile e sposo, 211; genera con la Terra i Titani: Oceano, Coio, Freddo, Yperìon, Divina, Giapeto, Fluente, Norma, Memoria, Ispirazione, Ostrica e Cronos, 220; odiato dal figlio Cronos, 229; padre dei giganti Centimani Cottos, Forzoso e Membruto, 241; odia i suoi figli giganti e non permette loro di venire alla luce, imprigionandoli in seno alla Terra, 251, 985; gode della sua azione cattiva, 259; scende avvolgendo d'amore la Terra e il figlio Cronos lo castra con la falce affilata 289; le gocce del suo sangue penetrano nella terra generando le Erinni, i Giganti e le Ninfe, mentre il suo sesso scagliato da Cronos cade in mare, e dalla schiuma che ne sgorga nasce Afrodite, 311; prevede sofferenze per i suoi figli che l'hanno detronizzato, 342; le stelle sono la corona del Cielo, 602; una parte del suo dominio appartiene ad Hecate, 653, 672; con la Terra rivela a Cronos che un suo figlio detronizzerà anche lui, 736; con la Terra consiglia Fluente su come salvare Zeus da Cronos divoratore, 749; Atlante sostiene la sua volta stellata, 826; geme scosso dai colpi di Zeus contro i Titani, 1077, giunge fino a lui il clamore della battaglia fra Titani e Olimpici, 1086; Zeus si scaglia dal Cielo per colpire i Titani, 1092; sembra che si schiacci o cada sulla Terra per la terribile battaglia fra i Titani e gli dei olimpici, 1112; il Tartaro è lontano dal suolo della Terra quanto la Terra è lontana dal Cielo, 1138, 1143; le sue radici si trovano nellle caliginose tenebre del Tartaro, 1166, 1273; rimbomba col Mare e con la Terra per i colpi vibrati da Zeus contro Tifeo, 1324; ribolle per la vampa infuocata scatenata da Zeus contro Tifeo, 1336; per consiglio suo e della Terra Zeus ingoia Metis ed evita di essere detronizzato, 1406

Primo sovrano del mondo, Cielo chiude i figli che ha generato nel seno della Terra, sua madre e sposa, tutti quelli che ha generato. Altri raccontano che teneva prigionieri solo i tre giganti Centimani, Forzoso, Cottos e Membruto, e i tre ciclopi, Tuono, Folgore e Lampo, terribili e tracotanti. Con la prima divinità maschile generatrice comincia la lotta per il mantenimento del massimo potere nel mondo divino e umano: la sua oppressione dei figli viene definita dalla Terra sposa e madre la prima azione cattiva. Sembra significare che la cattiveria originaria riguarda il potere, per mantenere il quale il genitore impedisce ai suoi propri figli di nascere, chiudendoli nella matrice della Terra. Al genitore che usa la propria violenza contro i figli, risponde la prima azione violenta dei figli, istigati dalla madre, che non tollera l'imposizione dello sposo. Cronos conquista il potere come figlio castrando il padre Cronos, e come genitore sovrano lo mantiene divorando i suoi figli appena Fluente li partorisce. La castrazione significa la privazione del potere illimitato, esercitata da qualcuno più potente. L'incorporazione dei figli rappresenta l'esercizio di un potere illimitato nei loro confronti: i figli sono per Cronos parte di sé: incorporandoli impedisce loro una vita propria, li costringe a vivere come una parte di se stesso. Il figlio Zeus non viene divorato per la ribellione della madre Fluente, alleata con i suoi genitori Cielo e Terra: la generazione spodestata desidera che venga cacciato il nuovo sovrano. Zeus come figlio domina il padre e lo costringe a vomitare tutti i suoi fratelli olimpici. Ma come sovrano Zeus divora a sua volta Metis, che è destinata a generare un figlio detronizzatore, cioè più forte e intelligente del padre, come lui era destianto a detronizzare Cronos, come Cronos doveva detronizzare Cielo. Costringendola a sposare un mortale, impedisce che il destino della nereide Thetis, di generare un figlio superiore al padre, implichi la sua perdita del potere sovrano. Si racconta che Prometeo era il solo a conoscere il destino della sovranità di Zeus, e che Zeus lo liberò dalle catene che lo tenevano negli Inferi, dove l'aquila gli divorava il fegato ogni giorno, per conoscere questo segreto. Insieme alla feroce lotta tra figli e padri per il trono, che forma da sempre la trama di tante tragedie e tanti romanzi, oltre ad essere presente nella storia di ogni essere umano, nella Teogonia sono presentate le alleanze fra generazioni - i giganti Centimani sepolti da Cielo vengono liberati da Zeus perché combattano contro i loro stessi fratelli che li avevano lasciati sottoterra - e fra divinità femminili e maschili. Abbiamo visto come la Terra, madre e sposa di Cielo, inciti il figlio Cronos a castrare il padre, e come successivamente insegni a Fluente come salvare il figlio Zeus contro Cronos. A Zeus Terra e Cielo consigliano di liberare i giganti per vincere contro i Titani, ma quando finalmente la guerra è finita e si è insediato il potere di Zeus, Terra si unisce con un'altra divinità orginaria, Inferno, e mette al mondo il figlio più terrificante, Tifeo, che potrebbe in un giorno solo detronizzare gli Olimpici e regnare al loro posto. Il gemito della Terra quando Tifeo viene sepolto per sempre nel suo seno, precipitato da Zeus dalle parti del monte Etna, resta perturbante come le eruzioni vulcaniche e gli uragani, che dal suo nome si chiamano tifoni. Il senso di questa rappresentazione sembra dirci che nessuno è estraneo alla lotta per il potere, che scuote perfino il Caos.
Con mutevoli alleanze, ogni generazione combatte l'altra e i maschi e le femmine agiscono per mantenere o conquistare il massimo potere possibile gli uni contro gli altri, come in alleanza gli uni con gli altri. In fondo la Teogonia può essere intesa come Nascita, Origine, degli dei, in quanto origine e avvicendamento attraverso la lotta per il dominio. Il pianeta Urano prende il nome dalla divinità originata da Terra, e la parola greca urànos significa cielo. Il cielo in quanto datore di piogge può riguardare l'atto di urinare, bagnare la terra facendo piovere dall'alto: urànos, cielo, avrebbe delle connessioni con con urèo, orino (Semerano). Un proverbio toscano recita: Cielo rosso, o piscia o soffia. Nelle fantasie infantili l'orina è fecondante, non distinta dallo sperma, come la pioggia che bagna e feconda la terra. Così lo invocavano gli orfici:

Cielo genitore di tutto, parte per sempre indistruttibile del cosmo,
antico, principio di tutto e di tutto fine,
cosmo padre, che ti avvolgi come sfera intorno alla terra,
dimora degli dei beati, che cammini con vortici di rombo,
custode celeste e terrestre che tutto circondi,
che hai nel petto l'intollerabile necessità della Natura,
scuro, indomito, svariato, dalle forme cangianti,
che tutto vedi, che hai Cronos per figlio, beato, demone supremo...
(Inni orfici, 4 profumo di Cielo, incenso).

*Urano, pianeta del sistema solare; uraniche, divinità riferite al Cielo.


CILESTRA (gr. Glauche) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 395.
          * Glauco, colore tra l'azzurro e il grigio; glaucoma, per l'opacità dell'occhio malato.


CIMATOLEGHE v. ONDACALMA


CIMO v. ONDA


CIMODOCE v. ONDARACCOLTA


CIMOPOLEA, v. FLOTTANTE


CIMOTHOE v. ONDASVELTA


CIPRIGNA v. AFRODITE


CIPRO isola greca. Nelle sue acque nasce Afrodite, 317; dal nome dell'isola la dea è chiamata Ciprigna, 327.

L'italiano cipria da Cipro, per la bellezza di Afrodite. Cipro, isola greca.


CIRCE dea. Figlia di Persiana e del Sole, 1509; amante di Ulisse, genera con lui Agrio, Latino e Telegono 1597.

Come Medea, figlia del suo fratello Aiete, è una delle grandissime maghe del mito, e sono sue parenti tutte le fate e le maghe della fiaba e della leggenda. Oltre che alla magia è dedita ai lavori femminili. Anche le Fate Nere filano e tagliano il filo della vita dei mortali, mentre Athena è dea dell'intelligenza e della forza aggressiva che si esprime nella guerra, culmine della lotta per il potere, e insieme delle arti femminili. Circe si dedica a queste arti nel suo palazzo meraviglioso, dove i compagni di Ulisse vedono animali feroci che si avvicinano a loro:

                ... E come, dimenando
la coda, i cani attorniano il padrone
che si leva da mensa, e sempre porta
qualche ghiotta leccòrnia: così i lupi
d'unghia forte i leoni dimenavano
la coda intorno a loro che, alla vista
di quei mostri tremavano atterriti.
Nell'atrio della dea dai bei capelli
stettero, e Circe udirono che dentro
cantava con voce soave; e un'ampia
tela tesseva, splendida, immortale,
come quelle finissime che ordiscono
solo le dee, piene di luce e grazia.
(Odissea 1, X, vv. 216-223).

L'invenzione del tessuto consente di disporre di un abito fatto ad arte, tratto da ciò che esiste in natura, le fibre vegetali, come i vasi sono tratti per l'arte essere umano dall'argilla.
L'abito tessuto e ricamato, candido o tinto con i colori che imitano la vegetazione e il cielo, e l'oro e l'argento che ricordano le luci degli astri, rappresentano l'identità formale con cui l'uomo può vestirsi, presentarsi, grazie all'arte della donna filatrice, tessitrice, ricamatrice. Signora dell'isola di fronte al promontorio Circeo, in Campania, che prende da lei il nome, Circe mantiene il suo potere femminile assoggettando e domando gli uomini, che per la sua arte magica regrediscono alla forma animale. Ma quando Ulisse va a cercare i compagni, che non fanno ritorno alle navi, Hermes gli dà un'erba che neutralizza la potenza di Circe, e gli insegna a levare la spada come per ucciderla quando vorrà colpirlo con la bacchetta magica. Ulisse, che non sottovaluta mai le superiori potenze degli dei, segue le indicazioni del dio, e quando Circe lo vede con la spada alzata, capisce che si tratta dell'eroe greco, e lo invita a restare con lei fino a che non saranno riparate le navi. Prima di seguirla nel talamo, Ulisse le chiede di liberare dall'incantesimo tutti i suoi compagni, e Circe:

... la verga in mano tenendo, le porte aprì del porcile
e fuori li spinse, simili a porci grassi di nove stagioni.
Quelli le stavan davanti, e lei in mezzo a loro
andando, li ungeva a uno a uno con altro farmaco.
E dalle loro membra le setole caddero, nate
dal veleno funesto, che diede loro Circe sovrana:
uomini a un tratto furono, più giovani di com'eran prima,
e anche molto più belli e più grandi a vedersi.
Mi conobbero essi, e ciascuno mi strinse la mano,
e in tutti, gradita, nacque la voglia di pianto: la casa
terribilmente echeggiava,, la dea stessa provava pietà.
(Ivi, 389-399)

* Circeo, promontorio che ha preso il nome dalla dea, che aveva là la propria dimora.


CITERA isola alla quale approda Afrodite appena nata, 315; la dea è chiamata Citerea perché si è mostrata per Citera, 326 (pr. Citèra). Isola delle Cicladi


CITEREA (pr. Citerèa) v. AFRODITE


CLARA (gr. Clymene, Climene) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 553; con Giapeto genera Atlante, Menezio, Prometeo ed Epimeteo, 808.

Si racconta che dalla sua unione con Apollo nacquero divinità splendenti: Fetonte, Faetusa, Lampezia, Lampetusa, da cui il nome dell'isola italiana, Lampedusa.


CLIMENE v. CLARA

CLIO divinità, una delle nove Muse. Figlie di Memoria e Zeus, 136.
Ispiratrice e signora della storia, è la prima delle muse; la parola greca clèos, che forma il suo nome, significa celebrazione, fama, annuncio, esaltazione. Clio conferisce gloria e fama a coloro che entrano nella storia, ed è rappresentata come una vergine incoronata d'alloro, con una tromba in una mano e un libro nell'altra, o con una cetra e un plettro. Si racconta che Clio rimproverò ad Afrodite di essere stata debole innamorandosi di Adone, e la dea si vendicò facendola innamorare di Piero, dal quale ebbe Giacinto. Il bellissimo giovane giocava al lancio del disco con Apollo, che una volta lo fece alzare fino alle nuvole. Giacinto corse per raccoglierlo, ma ne fu colpito sul volto, e subito impallidì, colpito a morte. Apollo usò tutte la sua arte medica per curarlo, ma inutilmente, e allora lo trasformò nel fiore che porta ancora il suo nome.


CLIZIA (gr. Clytie) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 554.

Amata da Apollo, inteso in questo mito come Sole, quando scoprì che il dio si era innamorato della principessa Leucotee, lo disse al padre di lei. Questo re allora imprigionò sua figlia sotterra, e il Sole sparse nettare profumato sulla sepoltura, sulla quale subito nacque la pianta dell'incenso. Sdegnato Apollo non rivolse più vedere Clizia, che non poté far altro che volgere continuamente lo sguardo verso l'amante perduto, finché non si trasformò nel girasole, o eliotropio.


CLOTHOS divinità, una delle Fate Nere (pr. Clothòs). figlia della sola Notte 357; figlia di Norma e Zeus, 1428.

Con le due sorelle decide il destino degli esseri umani traendo il filo. Clothos, la filatrice, ha la funzione di chiamare l'anima alla vita.

* La parola greca clothòs, dal verbo corrispondente che significa girare, torcere, vuol dire filo.


COIOS divinità, titano. Figlio di Terra e Cielo, 222; si congiunge con la sorella Ispirazione e genera Occulta e Stella, 639.


CONGIUNTA (gr. Zeuxò) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 556.

Dalla parola greca che forma il suo nome viene l'italiano zeugma, figura retorica che consiste nella congiunzione di due termini in una sola costruzione, come: parlar e lagrimar vedrai insieme. (Divina Commedia, 1, XXXIII, 9)



CORE
v. PERSEFONE


COTTOS divinità, gigante dei tre Centimani. Figlio di Terra e Cielo, come i fratelli Forzoso e Membruto dotato di cinquanta teste e cento braccia, 243; odiati per l'immane forza dal padre Cielo lui e i fratelli vengono imprigionati nel sotterraneo infernale, 250, 988; Zeus li libera e li ristora per invitarli a combattere al suo fianco contro i Titani 618; Cottos risponde a Zeus anche per i fratelli, accettando di combattere al suo fianco, 1038; con i fratelli riaccende la battaglia decisiva nella quale scagliano insieme trecento pietre, e dopo la vittoria degli dei olimpici spingono nel sotterraneo infernale i Titani e ve li imprigionano, 1129; Zeus pone lui e i suoi fratelli come guardiani della terrificante prigione dei Titani ribelli, dove ha dimora, ai confini di tutte le parti del mondo, 1287.


CRATOS v. POTERE

CRETA isola. Vi viene portato e nascosto il neonato Zeus, per salvarlo dalla gola del padre Cronos, 759, 766; nella sua ricca terra Demetra congiunta amorosamente con Giasone concepisce Pluto, 1531.

Nell'isola di Creta fiorì una grande civiltà anteriore a quella greca, fra l'inizio del terzo e la metà del secondo millennio a.C.
A Creta è si trovava il leggendario labirinto, costruito dall'architetto Dedalo per ordine del re Minosse, che voleva imprigionarvi il Minotauro, nato dall'amore tra la regina Pasife e un toro.
Perché non svelasse il segreto del labirinto, Minosse vi imprigionò Dedalo col figlio Icaro, e Dedalo fuggì costruendo per sé e per lui ali di piume e cera. Inebriato dal volo, Icaro andò in alto e precipitò in mare quando il sole gli si sciolse la cera delle ali. Creta, isola greca.

* Creta, terra da modelllare.


CRIO v. FREDDO


CRISAORE v. SPADADORO


CRISEIDE v. AUREA


CRONIDE v. ZEUS


CRONOS (lat. Saturnus, Tempo) dio titano. Celebrato dalle Muse, 31; pensierisinuosi, 33, 228, 277, 754, 785; vinto e spodestato dal figlio Zeus, 130; padre di Zeus, 668, 713, 1017, 1495; ultimo figlio di Terra e Cielo, dai pensieri complessi, 226; il solo che accoglie la richiesta della madre Terra quando chiede ai figli di vendicarsi del padre Cielo, 276; evira il padre Cielo e lancia il suo sesso in mare, 292; Zeus si rivolge agli dei che lui ha privato di onore, 624; con la sposa sorella Fluente genera Fiamma, Demetra, Hera, Hades, Poseidon e Zeus, 720; divora i figli appena escono dal seno della madre per evitare di essere spodestato, 733; conosce il destino, secondo il quale un figlio lo spodesterà, 738; sempre vigile, ingoia i figli appena nascono, 743; la sposa sorella Fluente chiede a Cielo e Terra di aiutarla a salvare dalle sue fauci il figlio che deve nascere, 754; si dà corso al destino che gli toglierà il potere, 757; gli viene data da mangiare una pietra avvolta nelle fasce e lui crede di aver mangiato l'ultimo figlio, 772; è costretto da Zeus a risputare tutti i figli che ha ingoiato, 784; i suoi figli Centimani vengono liberati da Zeus, 997; i suoi figli combattono contro i Titani, 1004; sposo di Fluente e padre degli dei olimpici, 1005, 1029, 1061; i Titani si stringono intorno a lui nel Tartaro durante la lotta contro Tifeo, 1344.

È il primo essere i cui pensieri, la cui intelligenza, vengono definiti angolosi, contorti, complicati, sinuosi: capaci cioè di comprendere la complessità e le ragioni segrete delle cose. Dopo di lui la stessa complessità mentale è attribuita a Prometeo, e a Ulisse. Solo Cronos dà ascolto senza restare muto e atterrito alla madre Terra che chiede ai figli di liberarla dal potere opprimente del padre Cielo. La sua azione di castrazione è la risposta alla prima azione cattiva, inventata dal Cielo per non perdere il potere.
Cronos segna la prima battuta, irreversibile come il tempo che è il suo nome e il suo senso, nel dramma dell'avvicendamento violento fra generazioni, e come è figlio che toglie il potere al padre, è padre che cerca di evitare di essere spodestato dai figli. Per ciò che significa è quindi il capostipite dell'eroe tragico per eccellenza, Edipo, nella tragedia essere umano per eccellenza, quella per l'esercizio del potere. Inoltre è figlio di un'unione incestuosa, se ricordiamo che Cielo è figlio della Terra. Cronos subisce la stessa sorte del padre, quando viene spodestato da Zeus, avendo ripetuto un'analoga violenza sui figli: come il padre Cielo impediva loro di nascere premendoli nel seno della madre Terra, il padre Cronos li imprigiona divorandoli alla loro nascita. Come il figlio Cronos ha spodestato il padre Cielo, il figlio Zeus spodesta il padre Cronos, prendendogli il potere sugli dei e sugli uomini; Zeus a sua volta subirebbe lo stesso destino del padre Cronos e del nonno Cielo, se non divorasse la dea destinata a generare con lui il suo figlio più potente. Nei conflitti per il potere del padre sui figli, la madre si allea con i figli, affinché la liberino dal potere opprimente del suo sposo, ma diventa successivamente nemica dei figli quando
prendono stabilmente il potere. La Terra, ad esempio, d'accordo col Cielo, aiuta Fluente a nascondere Zeus, che spodesta Cronos, il solo dei suoi figli che le aveva obbedito; quando poi il nipote Zeus vince contro i Titani, la Terra genera con l'Inferno il più terribile dei suoi figli, Tifeo, che avrebbe da solo il potere di annientare il regno di Zeus. Nel linguaggio simbolico e narrativo, sia mitico, sia fiabesco, sia letterario, sia dei sogni notturni, uccidere, evirare, spodestare, indicano la stessa azione contro il potere tirannico del padre, come divorare e imprigionare indicano la stessa azione contro i figli. Ricordiamo che il primo castratore del proprio padre è rappresentato con una falce in mano, come la Morte, ma anche che a Saturno si attribuisce il regno nell'età dell'oro, una condizione paradisiaca in cui gli esseri umani non conoscevano né la malattia, né la vecchiaia, né la morte.

Così veniva pregato nella tradizione orfica:

Sempre fiorente, padre degli dei beati e degli uomini,
dai vari espedienti, incorrotto, di grande forza, prode Titano,
che tutto esaurisci e al contrario tu stesso accresci,
che hai legami infrangibili nel cosmo infinito,
Cronos generatore assoluto dell'eternità, Cronos dal vario parlare,
germoglio di Terra e del Cielo stellato,
nascita, crescita, diminuzione, sposo di Rea, augusto Prometeo,
che abiti in tutte le parti del cosmo, capostipite,
dai disegni tortuosi, ottimo ...
(Inni orfici, 13 profumo di Crono, storace)

Molti secoli dopo, nel Seicento, a Napoli, Basile scrive la fiaba di Cianna che andò verso la dimora del Tempo a cercare un rimedio che potesse far tornare umani i suoi sette fratelli divenuti colombini. Un vecchio prima di morire le descrive la casa:

Ora ascoltami bene, bella fanciulla mia senza peccato, devi sapere come e in che modo sulla cima di quella montagna troverai un rudere di casa, che non si può sapere quando fu costruita, larghe crepe traversano le sue mura, le fondamenta sono marce, le porte divorate dai tarli, i mobili ammuffiti, tutto è consumato e distrutto: di qua vedi colonne spezzate, di là statue mutilate, l'unica cosa intera è uno stemma scolpito sul portone, che rappresenta un serpente che si morde la coda, un cervo, un corvo e una fenice, che come sai è quell'uccello meraviglioso che rinasce dalle sue ceneri. Appena entrata vedrai sparse per terra lime sorde, seghe, falci, cesoie e cento e cento pentolini di cenere, sui quali sono scritti i nomi come sui vasi degli speziali, dove si legge: Corinto, Sagunto, Cartagine, Troia e mille altri nomi di città morte e scomparse, il Tempo ne conserva le ceneri per ricordo delle sue imprese. (Basile, I sette piccioncini)

Il Tempo, sotto lo sguardo di Cianna che si è nascosta, mangia e rosica tutto, perfino la calce sui muri di casa sua, ma grazie alla sua sapienza, Cianna ottiene la liberazione per i suoi fratelli e per tante altre creature che le hanno confidato la loro pena, per la quale solo il Tempo conosce il rimedio. Francisco Goya ha dipinto Cronos che divora i figli, ma il suo dio Tempo somiglia più a un'orco fiabesco, è una figura di cannibale che sbrana e distrugge il figlio che tiene in mano come Mangiafoco quando mangiava il suo montone. Il dio Cronos di Esiodo ingurgita i figli in un boccone, senza danneggiarli, e rappresenta una figura paterna che tollera i figli solo a patto di includerli in sé, di pensarli come una propria parte, mantenendoli in vita e impedendo la loro espansione soggettiva. Il Cronos di Esiodo in questa azione cattiva somiglia a molti genitori di sempre. Ai figli tocca, con l'aiuto materno, liberarsi e liberare i fratelli da questa possessione: quando Zeus costringe il padre a vomitare i figli, i suoi fratelli e le sue sorelle escono perfetti dal seno del padre, mentre il figlio dipinto da Goya, già decapitato e mutilato dalle fauci paterne, non potrà mai uscire con un emetico.

* Cronometro, misuratore del tempo; cronologia, ordine di eventi nel tempo. 


CURAMARINA (gr. Alimede) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 409.






D

DANUBIO ISTRO, divinità e fiume. Figlio di Ostrica e Oceano, 538.

        Vedi un'immagine attuale del fiume in Ungheria: https://it.wikipedia.org/wiki/Danubio#/media/File:Danube_at_Budapest,_Margit_Bridge.jpg, ultimo accesso: 16/01/2020.


DEFINITIVA (gr. Telestò, Telesto) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 563.

          * Il nome greco dell'oceanina deriva da tèlos, fine, come l'italiano teleologia, teoria che considera la realtà come un sistema organizzato secondo una finalità.


DEIMOS v. TERRORE


DEMETRA (lat. Ceres, Cerere) dea cronide. Figlia di Fluente e Cronos, 721; congiunta amorosamente con Zeus genera Persefone, 1437; congiunta amorosamente con l'eroe Giasone genera Pluto, dio delle ricchezze, 1528.

Le grandi dee, o semplicemente le dee: così venivano chiamate dai greci Demetra e Persefone, alle quali erano dedicati i misteri eleusini, diffusi nel mondo antico, analoghi al Cristianesimo per la fede nella vita eterna. Nel mito di Demetra e Persefone si racconta della morte che entra fra le dee, fino a quel punto felici sulla terra sempre ricca di fiori e di frutti, sotto la forma di Hades, dio dell'Inferno, che emergeva dal suo regno sotterraneo con un carro tirato da cavalli neri per rapire la figlia, che i latini chiamavano Proserpina, mentre spensierata con le sue compagne raccoglie gigli e viole:

Dite la vede e, vedendola, infiamma d'amore e la ruba.
Tanto fu rapido amore! Proserpina chiama sgomenta
con voce mesta la madre e le amiche, e più spesso la madre,
e, poiché aveva squarciato dell'orlo dell'abito un lembo,
giù dalla tunica rotta le caddero i fiori raccolti.
In quell‘età puerile che semplicità di fanciulla:
anche il cadere dei fiori toccò della vergine il cuore!
Il rapitore sul carro sospinge i cavalli e per nome
chiama ciascuno, scotendo sul collo crinito le briglie
tinte di ruggine nera e discorre per laghi profondi
e dei Palìci pei stagni odorosi di zolfo, bollenti
entro la terra squarciata...
(Ovidio, Metamorfosi, V, 395-406)

Non trovando più Persefone, e non sapendo dove fosse, e chi l'avesse presa, Demetra vagava come impazzita per tutta la terra cercando la figlia adorata, e vietò alla terra di dare frutti, al punto che gli uomini rischiavano di morire di fame. La separazione aveva trasformato la nutrice in una furia che condannava a morte il genere umano. Cercando soccorso da Zeus, Demetra che ormai sa che Hades le ha rapito Persefone, lo accusa di essere un criminale rapitore, ma Zeus le parla così:

          La figlia ci è pegno e ci è peso comune;
            ma se si vuole chiamare la cosa col suo vero nome,
            non è quel furto un'ingiuria, ma segno verace d'amore...
            (Ivi, p. 523-526).

La storia si conclude col patto in base al quale Persefone avrebbe passato una parte dell'anno con lo sposo e una parte con la madre. Le messi e tutti i frutti della terra dopo questo evento non sarebbero stati più un dono di cui gli uomini godevano senza sforzo: Demetra insegnò l'arte dell'agricoltura e la celebrazione dei suoi misteri eleusini. L'agricoltura simbolizza la consapevolezza e l'accettazione della morte, come condizione per una nuova nascita, e l'idea della resurrezione degli esseri umani, o della loro reincarnazione, corrisponde all'esperienza del seme che nella terra marcisce per poi germogliare nuovamente. Un etimo spiega il nome greco Demeter come formato da meter, madre, e dalla parola da, che come ghe significa terra: Demetra, nutrice di tutti, è in ogni caso la madre che nutre, e come la figura materna originaria non tollera la separazione, rappresentata da Hades che porta la figlia, Persefone, nella condizione adulta. Perché la separazione sia tollerata occorre l'intervento del padre Zeus, per il quale le nozze non sono un lutto, ma una crescita. Il mito della coppia Demetra e Persefone che per volontà di Zeus deve tollerare la separazione può rappresentare divinamente il concetto psicoanalitico per il quale la figura paterna, introducendosi come terzo nella coppia madre-bambino, impone e rende possibile la rottura della relazione simbiotica che non consentirebbe al piccolo di raggiugnere la condizione adulta.


DESIDERIO (gr. Hìmeros) dio. Abita come le Grazie in una dimora vicina a quella delle Muse, 116; con Eros accompagna Afrodite fin dalla sua nascita, 332.
Esiodo non dice da chi nasce, una tradizione che non considera Eros come divinità primigenia afferma che Himeros ed Eros nacquero da Afrodite appena uscì dalle acque.

*In greco hìmeros significa desiderio appassionato, vagheggiamento, e può essere considerato corrispondente al latino amor, amore. Analoga è la parola accadica amaru, che significa vagheggiare, conoscere, accoppiare, e ad amertu, che significa sguardo.


DICHE v. GIUSTIZIA


DIONE divinità, oceanina (pr. Diòne). Celebrata dalle Muse, 30; figlia di Ostrica e Oceano, 556.

Un mito racconta che dalla sua unione con Zeus nacque Afrodite Dionea, terrestre, distinta dall'Afrodite Celeste, di cui parla la Teogonia, nata dal fallo di Cielo. Nell'Iliade Dione è la madre di Afrodite, e accoglie la figlia colpita in una battaglia sotto le mura di Troia:

- Il figlio di Tideo mi colpì, il violento Diomede,
perché fuor dalla mischia portavo in salvo il mio figlio
Enea, che più di tutto quanto m'è caro.
[..]
Allora le rispose Dione, la dea luminosa:
- Creatura mia, sopporta, subisci, per quanto afflitta.
(Iliade, V, vv. 376-378 e 381-382)

Nel Simposio di Platone si legge di come Afrodite Celeste, dea dell'unione spirituale, nata senza unione carnale dal fallo del Cielo, sia superiore ad Afrodite Dionea, signora della passione che spinge all'unione fisica.


DIONYSOS (lat. Bacchus, Bacco) dio (pr. Diònysos). Figlio di Semele e Zeus, 1484; sposa Arianna, 1493.

Quando la madre mortale Semele fu incenerita dalla vista della potenza divina di Zeus, il padre riuscì a salvarlo e se lo cucì in una coscia, dove lo tenne sino al termine della gestazione. Appena nato Dionisos scese agli Inferi, liberò sua madre e la portò in cielo, ottenendo che Zeus la rendesse immortale. Dio del vino, dell'ebbrezza e dell'estasi, dalle sue feste orgiastiche e dai suoi riti una tradizione fa nascere la tragedia. Si racconta che dei pirati tirreni lo videro addormentato

[L]ungo il lido del mare infruttuoso
sulla costa sporgente a giovane uomo simile
pubere: belle si agitavano le chiome
scure, un manto intorno alle robuste aveva spalle
purpureo...
(Inno omerico a Dionisos, vv. 2-6)

Pensando che fosse figlio di qualche re lo rapirono e lo portarono sulla nave. Ma quando cercarono di legarlo si accorsero che i lacci si scioglievano da soli, mentre il giobane dagli occhi scuri sorrideva e non parlava. Il pilota capì che si trattava di un dio, ed esortò i compagni a liberarlo, ma quelli lo schernirono e vollero issare la vela per prendere il mare.

Vino dapprima per la veloce nave nera
dolce a bersi gorgogliò profumato, e sorse un odore
immortale: stupore prese i naviganti tutti che vedevano.
Subito lungo l'altissima vela si stese
una vite qua e là, e pendettero molti
grappoli: intorno all'albero s'avvolse edera nera
di fiori germinante, e un amabile frutto ne sorse:
tutti gli scalmi ebbero corone: quelli vedendo
la nave già allora poi al pilota ordinarono
accostarsi alla terra: quello ad essi leone divenne entro la nave
terribile in prora, forte ruggì, e nel mezzo
orsa fece villoso collo indizi mostrando;
fece sorgere bramosa, il leone in cima al ponte
tremendo torvo guardante: quelli alla poppa fuggirono,
intorno al pilota prudente cuore avente
stettero sbalorditi: quello improvviso slanciandosi
il capo prese, essi fuori la mala sorte evitando
tutti insieme balzarono, perché videro, nel mare divo,
delfini divennero: il pilota commiserando
trattenne e lui fece felicissimo e disse parola:
- Coraggio, divo nocchiero, al mio cuore carissimo:
sono io Dionisos tonante che fece la madre
Cadmeide Semele nell'amore di Zeus congiunta.
(Ivi, vv. 35-57)

La straordinaria metamorfosi dei pirati, che non riconoscono il dio nel giovane rapito, viene rinarrata da Ovidio, qualche secolo dopo, nella Roma di Augusto:

Quelli stupiti persistono a battere i remi, e le vele
spiegano, e tentano il corso con vele e con remi; ma i remi
l'edera implìca che serpe con torto groviglio e le vele
stringe coi gravi corimbi. Esso, Bacco, ricinto la fronte
d'uve con penduli grappi palleggiasi il tirso velato
tutto di pampini. Stannogli attorno le tigri e di linci
vani fantasmi ed i corpi feroci di pinte pantere.
Quelli, o l'insania li spinga o li muova il timor, dalla nave
balzano fuori; e per primo Medonte comincia di pinne
a nereggiare nel corpo e si piega incurvando la spina.
A Licabante che dice: - Che mostro diventi? - la bocca
slargasi, il naso s'incurva e la pelle s'indura in isquame.
Libi, che tenta di muovere i remi nel senso contrario,
vede contrarsi le mani, che più non son mani ma pinne.
Altri che desiderava abbracciare la gomena torta
più non si sente le braccia e col torso si lancia nell'onde
curvo all'indietro con l'estremità della coda falcata,
che somigliava alle corna ricurve di mezza la luna!
Saltano da tutti i lati spargendo gran nembo di spruzzi,
guizzano fuori dell'onde e di nuovo si tuffano sotto;
danzano in forma di coro giocando con guizzi scherzosi
e dalle larghe narici fuor soffiano l'acqua raccolta.
(Ovidio, Metamorfosi, III, 662-686)

        



DISCORDANZE (gr. Neichea, Nechie) divinità. Figlie della sola Discordia, 373.


DISCORDIA (gr. Èris) divinità. Figlia della sola Notte, 368; da sola genera il Travaglio, l'Oblio, la Fame, i Dolori, le Battaglie, le Risse, le Stragi. gli Omicidi, le Discordanze, i Discorsifalsi, i Discorsiambigui, l'Illegalità, la Voracità e l'Orcos giuramento, 369.

Zeus l'aveva scacciata dall'Olimpo perché provocava continue liti tra gli dei, e non era stata invitata alle nozze di Peleos e Thetis, come l'ultima fata nella fiaba della Bella Addormentata nel bosco. Mentre l'armonia regnava nel banchetto, Discordia arrivò a sorpresa e gettò sul tavolo una mela d'oro del giardino delle Hesperidi, sulla quale era scritto "alla più bella". Subito cominciò una contesa fra le dee Athena, Hera e Afrodite, ciascuna delle quali affermava che il premio spettava a lei. Come giudice fu scelto il troiano Paride, che la diede ad Afrodite, perché gli aveva promesso l'amore della donna più bella del mondo. Così Paride rapì Elena, sposa del re greco Menelato, e questa conseguenza dell'azione della Discordia provocò la guerra di Troia, alla quale parteciparono tutti gli eroi e tutti gli dei, come loro aiutanti. Discordia era sempre al fianco di Ares, provocando la guerra.  Ludovico Ariosto nell'Orlando Furioso la presenta molteplice e contraddittoria: ha i capelli d'oro e d'argento, neri e grigi, di diverse lunghezze, sciolti e raccolti, arruffati e intrecciati:

Di citazioni piena e di libelli,
d'esamine e di carte di procure
Avea le mani e il seno, e gran fastelli
Di chiose e di consigli e di letture;
Per cui le facultà de' poverelli
Non sono mai nelle città sicure.
Avea dietro e dinanzi e d'ambi i lati
Notaj, procuratori ed avvocati.
(Orlando furioso, Canto XIV, st. 84)

La dea Discordia esprime la volontà di rendere operante il conflitto, annullando la possibilità di mediazione e incontro, ed è figlia della sola Notte, dell'oscurità come dominio dei fantasmi inconsci e cecità dell'intelligenza e del sentimento che solo la luce della coscienza può alimentare. Si ricordi che la Notte ha un cuore di bronzo. La nascita di Discordia avviene per partenogenesi, senza amore, come quella dei suoi figli: da questi non pare nasca più nessuno, come se una sterilità chiudesse, fermandola, la generazione, ovvero la vita.

* Discordia viene dal latino discors, etimologicamente cuore diviso, mentre il nome greco Èris significa contesa, competizione, come l'analogo Erinni significa vendetta: si possono accostare ad arè, maledizione, rovina. Corrisponde al sumero erìm, contesa, carneficina, e all'accadico eretu, maledizione).


DISCORSIAMBIGUI
(gr. Amfiloghiai, Amfilogie) divinità. Figlie della sola Discordia, 374.


DISCORSIFALSI (gr. Pseudoi logoi) divinità. Figli della sola Discordia, 373.

* Pseudonimo, nome usato da uno scrittore o da un artista al posto del proprio; pseudoscientifico, che vanta, senza averlo, un carattere scientifico.


DISNOMIA v. ILLEGALITÀ


DISTESA (gr. Leagore, Leagora) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 408.


DIVINA (gr. Theia) dea Titanide. Figlia di Terra e Cielo, 223; congiunta amorosamente col fratello Yperìon genera Sole, Luna e Aurora, 585.

DOLORI (gr. Algoi) divinità. Figli della sola Discordia, 371.

*Algologia, la disciplina che si occupa del dolore; analgesico, che non fa sentire il dolore, dal greco analghesia, insensibilità al dolore.


DONATA (gr. Doris, Doride) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 401.


DOPPIACORRENTE (gr. Amfirò, Anfiroe) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 567.


DORA (gr. Dotò, Doto) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 399.


DORIDE v. DONATA


DORIS divinità, oceanina. Congiunta amorosamente a Nereo genera nel mare cinquanta figlie, 390; figlia di Ostrica e Oceano, 554.

Si racconta di un gruppo scultoreo, opera del dio Hefestos, nel palazzo meraviglioso del Sole, in cui era rappresentata nel suo elemento con altre divinità marine:

[L']onde contengono numi cerulei: Tritone canoro,
Proteo che muta d'aspetto, Egeone che con le sue braccia
preme la schiena d'enormi balene: v‘è Doride sculta
con le sue figlie, che parte si vedono scorrere i flutti,
parte di sopra li scogli si asciugano i verdi capelli;
altre cavalcano i pesci: l'aspetto non uno di tutte
né tuttavia differente, ma quale conviene a sorelle.
(Metamorfosi, II, vv. 8-14)


DOTO v. DORA



DYNAMENE
v. ABILITÀ





E



EACO re divino (pr. Eàco). Figlio di Zeus ed Europa; si congiunge amorosamente con Sabbia, e genera Foco, 1586.

Eaco come re dell'isola di Egina fu così giusto e generoso che meritò l'amore degli dei. Durante una terribile siccità che affliggeva tutta la Grecia, l'oracolo di Delfi disse che solo le preghiere di Eaco sarebbero state ascoltate. Eaco offrì un sacrificio e la Grecia fu salva, così i suoi sudditi gli dedicarono un edificio, l'Eaceo, con tutte le statue dei Greci che erano venuti a chiedere il suo aiuto. Hera, gelosa di lui come di tutti i semidei figli di Zeus, mandò nella sua isola un serpente che avvelenò le sorgenti, provocando lo sterminio di tutti gli abitanti. Mentre disperato pregava il padre Zeus di farlo morire, vedendo una folla di formiche ai piedi di un albero desiderò che il suo popolo fosse altrettanto numeroso, e fu esaudito. Così ebbe origine il popolo dei Mirmidoni (gr. myrmex, formica) sul quale, dopo Eaco, regnò suo figlio Peleos, padre di Achille, col quale andarono a combattere a Troia.


EBE v. GIOVINEZZA


ECATONCHIRI v. CENTIMANI

ECHIDNA v. VIPERA


EGEO monte di Creta, nelle cui grotte fu nascosto Zeus neonato, 770.


EGIOCO v. ZEUS

EILITIA v. SOCCORRENTE


EIONE v. SPIAGGIA


ELETTRA v. AMBRA


ELEUTERO città greca. Regno di Memoria, 101.


ELICONA (pr. Elicòna) monte sacro sul quale hanno dimora le Muse, 2; le Muse se ne allontano e vi fanno ritorno danzando, 11; ai piedi del monte le Muse parlano a Esiodo, 43. Monte Elicona, Grecia


ELIOS v. SOLE


EMERA v. GIORNO


EMAZIONE dio. Figlio di Aurora e Titone, 1554.


ENEA eroe e semidio troiano. Figlio di Afrodite e Anchise, 1592.

Enea si salvò dalla distruzione di Troia, fuggendo dalla città in fiamme con l'aiuto della divina madre, Afrodite. Durante il lungo viaggio col padre Anchise, il figlio Iulo Ascanio e un gruppo di troiani scampati alla rovina della città, si fermò a Cartagine, dove si unì alla regina Didone che avrebbe voluto trattenerlo come suo re. Ma Enea doveva partire, pur amando Didone, perché il suo destino era viaggiare fino all'Italia, dove sarebbe nata Roma. Stretta alleanza con Latino, re del Lazio, Enea non poteva sposarne la figlia, dovendo combattere una guerra contro principi ostili alla sua presenza. Durante l'impero di Cesare Augusto il poeta Virgilio scrisse l'Eneide, che celebra con la storia di Enea il mito delle origini di Roma e dell'impero più grande del mondo:

L'armi canto e l'eroe che primo da terra troiana
venne, fuggiasco per fato, sugl'itali lidi lavini.
Spinto da forze divine, per terre e per mari a lungo
fu tormentato: per l'ira testarda dell'aspra Giunone;
molto soffrì pure in guerra purché la città elevasse,
pur d'introdurre gli dei nel Lazio; da ciò la latina
stirpe, i padri albani, le mura di Roma gloriosa.
(Eneide, I, 1-7)


ENEVO divinità e fiume. Figlio di Ostrica e Oceano, 544 (pr. Ènevo).


ENIO divinità, una delle Canute. Sorella di Penfrèdo, figlia di Balena e Bianco, 436 (pr. Ènio).


ENNOSIGEO, vedi SCUOTITERRA



EOS v. AURORA


EOSFERO v. LUCIFERO


EPIMETEO divinità (pr. Epimèteo). Figlio di Clara e Giapeto, fratello imprevidente del previdente Prometeo, 813.

Si racconta anche che Zeus fece Pandora per donarla a Prometeo, che comprendendo come Zeus volesse punirlo così del furto del fuoco, non la volle. Epimeteo invece l'accolse e credendo che contenesse un tesoro aprì il vaso che Pandora portava con sé, e così fece uscire la morte, il dolore, la vecchiaia e tutti i mali che da allora affliggono il genere umano.

Formata da Hefestos e Athena secondo il progetto di Zeus, irresistibile e distruttiva per la vita degli uomini, Pandora (il nome significa tutti i doni, dono totale) è il piacere assoluto, illimitato, che l'essere umano cerca senza mai poterlo trovare. Prometeo rappresenta la parte che, sapendo che è un desiderio irrealizzabile, rinuncia a Pandora, mentre Epimeo significa la parte dell'uomo che non è in grado di rinunciarvi. Si racconta che in fondo al vaso di Pandora, inaccessibile per chi fugge, troppo spaventato dai mali e dai dolori della condizione essere umano, c'è la speranza. Questa storia di Epimeteo dice che dalla sua unione con Pandora nacque Pirra, la sola donna che sopravvisse al diluvio. Fu lei con l'altro sopravvissuto, Deucalione, a ripopolare la terra. Il nome Prometeo significa colui che pensa dopo, il cui pensiero segue, dopo l'azione, al contrario del fratello Prometeo, colui che pensa prima, il cui pensiero anticipa. I due fratelli costituiscono la coppia che caratterizza la mètis, il pensiero, in rapporto alla realtà. Se Prometeo è l'anticipatore, amico degli uomini, donatore del fuoco, eroe dell'invenzione, Epimeteo non è meno necessario, rappresentando la mente che reagisce a qualcosa di già dato, che recepisce, come il pensiero che riproduce a-posteriori ciò di cui ha fatto esperienza. Epimeteo, si racconta, formò una figura essere umano di creta, e Zeus, non tollerando che lo imitasse, lo trasformò in una scimmia, e gli diede le isole Pitecusie, che corrispondono a Ischia. L'uomo è definito simia dei, scimmia di dio, perché è fatto a immagine di Dio, ma ne è una fragile imitazione, come la scimmia imita l'essere umano.
Prometeo può significare il pensiero scientifico, razionale, mentre Epimeteo può rappresentare l'immaginazione. In termini psicoanalitici, Prometeo sarebbe il signore del simbolico, Epimeteo dell'immaginario, e non può esistere l'uno senza l'altro.


ERATÒ  (pronuncia Eratò) divinità, una delle nove muse. Figlia di Zeus e Memoria, 137.

Presiede ai canti e alla poesia d'amore, come vuole il suo nome, corrispondente a quello del dio Eros, ed è considerata madre del mitico cantore Tamiri. Si rappresenta incoronata di mirto e di rose, con la lira nella sinistra e un arco nella destra. Nell'antica Roma era invocata dagli amanti perché rendesse efficaci le loro parole d'amore, specialmente in aprile, mese dedicato a loro.


ERATO v. AMABILE


EREBO v. BUIO


ERIDANO v PO ERIDANO


ERINNI v. FURIE


ERIS v. DISCORDIA


ERITIA città (pr. Eritìa). Nei suoi pressi Heracles vinse Urlante, 465, 1551.

Corrisponde all'odierna Cadice.


ERMIONE v. ARMONIA


ERMO divinità e fiume dell'Asia Minore (pr. Èrmo). Figlio di Ostrica e Oceano, 542.


EROS (lat. Amor, Amore, e Cupidus, Cupido) dio ingenerato. Quarta divinità primigenia, dopo Caos, Terra e Inferno, 204; compagno di Afrodite, 331.

Scioglimembra (gr. lysimeles) perché la passione d'amore fa sentire un allentamento nei muscoli e in tutto il corpo, e perché la passione amorosa fluidifica ogni durezza, del corpo come dello spirito: nessuno fra gli uomini o gli dei può resistere al potere di Eros. La tradizione attestata da Esiodo considera Eros come il quarto dio ingenerato, ma secondo altri miti era il primo dio, oppure era figlio di Afrodite e Ares, o di Povertà (Penia) e Ricchezza (Poros). Nel Simposio, il dialogo sull'amore, Platone racconta che Socrate riferì l'origine del dio come l'aveva sentita dalla sacerdotessa Diotima:

Dunque, quando nacque Afrodite, gli dei tenevano banchetto, e tra gli altri c'era anche il figlio di Metis, Poros. E dopo che ebbero cenato, giunse Penia per mendicare, poiché il cibo era stato sontuoso, e stava alla porta. Poros intanto, ubriaco di nettare, il vino infatti non c'era ancora, era entrato nel giardino di Zeus e, appesantito dall'ebbrezza, dormiva. Penia allora, proponendosi, per la propria povertà, di avere un figlio da Poros, si distende accanto a lui e concepisce Eros. Per tale ragione, del resto, Eros risulta seguace e dedito al suo servizio: egli infatti è stato generato durante la festa per la nascita di lei, e al tempo stesso è, per natura, amante della bellezza e di Afrodite, che è bella. In quanto è figlio di Poros e di Penia, dunque, ad Eros è toccata una siffatta sorte. Anzitutto, è sempre povero, e ben lungi dall'essere morbido e bello, come crede il volgo; piuttosto è ruvido e irsuto e scalzo e senza asilo si sdraia sempre per terra, senza coperte. Dorme a cielo scoperto davanti alle porte e alle strade, e possiede la natura della madre, sempre dimorando assieme all'indigenza. Secondo la natura del padre, d'altro canto, ordisce complotti contro le cose belle e le cose buone: invero, è coraggioso e si getta a precipizio ed è veemente, è un mirabile cacciatore, intreccia sempre delle astuzie, è desideroso di saggezza ed insieme ricco di risorse, passa tutta la vita ad amare la sapienza, è un terribile mago, e stregone, e sofista. E la sua natura non è né di un mortale né di un immortale: in una stessa giornata, piuttosto, ora è in fiore e vive, quando trova una strada, ora invece muore, ma ritorna di nuovo alla vita grazie alla natura del padre; ciò che si è procurato, peraltro, a poco a poco scorre sempre via, cosicché Eros non è mai né sprovvisto né ricco, e d'altro canto sta in mezzo fra la sapienza e l'ignoranza.(Simposio, 203-204)

Eros è la passione che lega i diversi mondi, né dio né uomo: grande demone che spinge verso la passione della conoscenza. Freud ha chiamato Eros il principio di vita, generatore, contrapposto al principio di morte, distruttore, Thanatos.



ESEPO divinità e fiume dell'Asia Minore (pr. Èsepo). Figlio di Ostrica e Oceano, 541.

        Vedi un'immagine contemporanea di quel che resta del ponte romano sul fiume Esepo, che oggi si chiama Gönen Çayı, in Turchia:
        https://it.wikipedia.org/wiki/Ponte_sull%27Esepo#/media/File:Aesepus_Bridge._Picture_02.jpg, ultimo accesso: 16/01/2020.


ESIODO poeta greco, autore della Teogonia, nacque e visse in Beozia fra il secolo VIII e il VII a.C. Mentre pascola il suo gregge, le Muse gli donano la poesia, perché canti la nascita degli dei, 40.

La fortuna di Esiodo è stata maggiore in passato: fino all'Ottocento gli studenti imparavano a memoria la Teogonia, che era considerata il miglior compendio disponibile della mitologia greca.
Esteticamente inferiore ai poemi omerici:

La sua Teogonia, opera scritta senza precisione e senz‘arte, è cionnondimeno il miglior quadro della religione degli antichi Greci. [...] Il suo stile, abbenché non abbia il fuoco e la sublimità di quello d'Omero, pure ha una dolcezza ed una armonia che incantano. Erano i suoi versi in tanta estimazione presso gli antichi che si facevano imparare a memoria ai giovinetti, e furono scolpiti nel tempio delle Muse delle quali Esiodo era stato sacerdote. S. Clemente d'Alessandria pretende che Esiodo avesse preso molti pezzi da Museo. Luciano lo fa parlare in uno dei suoi dialoghi. Virgilio nelle sue Georgiche segue le di lui tracce, e  va superbo d'averlo preso per modello: Cicerone in molti luoghi delle sue opere lo colma di elogi. (Dizionario della favola, Esiodo)

L'altra grande opera di Esiodo si intitola Le opere e i giorni, e canta il lavoro agricolo e il suo valore profondo: Virgilio, scrivendo le Georgiche, era orgoglioso di dichiararsi un imitatore di Esiodo. I suoi versi erano scolpiti nel tempio delle Muse, delle quali Esiodo era stato sacerdote. Quando Esiodo fu assassinato il suo corpo fu gettato in mare, ma i delfini lo portarono a riva, ed ebbe una degna sepoltura nel tempio di Nemea. Per lo storico greco Erodoto Esiodo era insieme a Omero fondatore della tradizione mitica e religiosa dei Greci:

Ma donde sia nato ciascuno degli dei, o se erano esistiti tutti eternamente, e quali mai fossero d'aspetto, non lo si sapeva fino a poco tempo fa, fino a ieri per così dire.  Esiodo e Omero infatti io credo che fossero di 400 anni più vecchi di me enon di più. Ed essi proprio sono quelli che hanno composto per i Greci una teogonia e hnno dato i nomi agli dei, dividendo gli onori e le prerogative e indicando il loro aspetto.prerogative e competenze, sia descrivendo il loro aspetto. I poeti che si dice siano vissuti primadi questi uomini vissero invece più tardi, a quanto almeno io credo. (Erodoto, Storie, II, 53, 1-3).

Esiodo è il primo poeta a dire il suo nome, come una firma, nella Teogonia, quando canta della vocazione da parte delle Muse: era un pastore, ed è stato scelto, chiamato. Non dice nulla di sé che renda conto del perché le nove fanciulle divine lo hanno scelto, semplicemente è a lui che si sono rivolte, apostrofandolo senza mezzi termini, come rappresentante di una categoria, non come un particolare individuo:

Pastori di campagna, brutta razza,
che non sa altro che empirsi la pancia ... (v. 26).
E poi, senza aggiungere altro, e senza dire il loro nome, descrivono la loro attività:
Noi si sanno cantare storie finte
che somigliano proprio a quelle vere
e si sanno cantare storie vere
quando vogliamo (vv. 27-28).

Senza aspettare la risposta di Esiodo, che immaginiamo affascinato e ammutolito, le Muse gli mettono in mano un ramo d'alloro come scettro, appena troncato con le loro mani: solo allora gli ispirano un divino canto, perché racconti degli dèi eterni e di loro stesse.
Così, prima di cominciare il suo canto, che è anche il nostro canto, quello che ancora si racconta, da duemilasettecento anni circa, a Esiodo resta solo da dire che di quercia e roccia non gli importa, che non lo riguardano. Indichiamo una singolare assonanza con un verso dell'Odissea: quando Penelope interroga Ulisse, che le si presenta come mendicante, sulle sue origini:

Ma anche così dimmi la stirpe, donde tu sei;
non certo da vecchia quercia sei nato o da roccia.
(Odissea 2, XIX, vv. 162-163).

Querce e rocce potrebbero significare la natura non umana, contrapposta alla sfera dell'umano. Le Muse non promettono a Esiodo di raccontare storie vere, ma storie che hanno sapore di verità, sia false e simili alle vere, sia vere, secondo il loro desiderio. La verità del mito, del canto, della poesia, dell'arte del linguaggio, non è dell'ordine della verità scientifica, che afferma di dar conto in maniera oggettiva della realtà, né della verità religiosa, che promette certezza e salvezza, in questa vita o nella vita ultraterrena. E' il senso di verità del discorso umano di cui le Muse personificano la molteplicità e la grazia. Le Muse, come tutte le divinità, non sono controllabili dagli esseri umani, come il nostro stato d'animo, la nostra passione, la nostra disperazione, non dipendono dalla nostra scelta, ma dall'ascolto della nostra realtà psichica. Qui non c'è nulla di oggettivo, concretistico, perché siamo nel luogo del sentimento:

[I]l vero poetico è un vero metafisico, a petto del quale il vero fisico che non vi si conforma dee tenersi a luogo di falso. Dallo che esce questa importante considerazione in ragion poetica: che ’l vero capitano di guerra, per esemplo, è ’l Goffredo che finge Torquato Tasso; e tutti i capitani che non si conformano in tutto e per tutto a Goffredo, essi non sono veri capitani di guerra.. (Giambattista Vico, Scienza Nuova, vol. I, Libro I, Sez. II Sec. degn. XLVII)

Erodoto segue le Muse perché è stato scelto, e asseconda con passione la chiamata: non sua è la scelta, se non di assecondare la vocazione. Come dire che la poesia, il fare del linguaggio (poesia dal verbo greco poièin, fare) non è frutto del soggetto come io, coscienza, controllo, ma di una chiamata, dall'Elicona o dalla propria realtà interiore, che si può ascoltare. Ed Esiodo ascolta, come loro alunno, le storie degli dei e degli uomini primi, di come nacque il mondo, di come le diverse generazioni degli dei nacquero e lottarono fra loro per il predominio. Il poeta, alunno delle Muse - alunno vuol dire allevato, nutrito, educato - non è il cantore del vero assoluto, che spesso è indistinguibile dal falso, ma di ciò che ha sapore di verità. Da Esiodo a oggi, la forza della letteratura, la parte condivisa dell'immaginario umano, che si forma e si trasforma incessantemente, è nel sapore di verità delle storie e delle poesie.

Socrate – Ho sentito narrare che a Naucrati d'Egitto dimorava uno dei vecchi dèi del paese, il dio a cui è sacro l'uccello chiamato ibis, e di nome detto Theuth. Egli fu l'inventore dei numeri, [d] del calcolo, della geometria e dell'astronomia, per non parlare del gioco del tavoliere e dei dadi e finalmente delle lettere dell'alfabeto. Re dell'intiero paese era a quel tempo Thamus, che abitava nella grande città dell'Alto Egitto che i Greci chiamano Tebe egiziana e il cui dio è Ammone. Theuth venne presso il re, gli rivelò le sue arti dicendo che esse dovevano esser diffuse presso tutti gli Egiziani. Il re di ciascuna gli chiedeva quale utilità comportasse, e poiché Theuth spiegava, egli disapprovava ciò che gli sembrava [e] negativo, lodava ciò che gli pareva dicesse bene. Su ciascuna arte, dice la storia, Thamus aveva molti argomenti da dire a Theuth sia contro che a favore, ma sarebbe troppo lungo esporli. Quando giunsero all'alfabeto: “Questa scienza, o re – disse Theuth – renderà gli Egiziani piú sapienti e arricchirà la loro memoria perché questa scoperta è una medicina per la sapienza e la memoria”. E il re rispose: “O ingegnosissimo Theuth, una cosa è la potenza creatrice di arti nuove, altra cosa è giudicare qual grado di danno e di utilità esse posseggano per coloro che le useranno. E cosí ora tu, per benevolenza verso l'alfabeto di cui sei [275 a] inventore, hai esposto il contrario del suo vero effetto. Perché esso ingenererà oblio nelle anime di chi lo imparerà: essi cesseranno di esercitarsi la memoria perché fidandosi dello scritto richiameranno le cose alla mente non piú dall'interno di se stessi, ma dal di fuori, attraverso segni estranei: ciò che tu hai trovato non è una ricetta per la memoria ma per richiamare alla mente. Né tu offri vera sapienza ai tuoi scolari, ma ne dai solo l'apparenza perché essi, grazie a te, potendo avere notizie di molte cose senza insegnamento, si crederanno d'essere dottissimi, mentre per la maggior parte non sapranno nulla; con loro sarà [b] una sofferenza discorrere, imbottiti di opinioni invece che sapienti”. Fedro – O Socrate, ti è facile inventare racconti egiziani e di qualunque altro paese ti piaccia! Socrate – Oh! ma i preti del tempio di Zeus a Dodona, mio caro, dicevano che le prime rivelazioni profetiche erano uscite da una quercia. Alla gente di quei giorni, che non era sapiente come voi giovani, bastava nella loro ingenuità udire ciò che diceva “la quercia e la pietra”, purché dicesse il vero. Per te, invece, fa differenza chi è che parla e da qual paese viene: tu non ti accontenti di esaminare semplicemente se ciò che dice è vero o falso. Fedro – Fai bene a darmi addosso, anch'io son del parere che riguardo l'alfabeto le cose stiano come dice il Tebano. (Platone, Fedro 1, 274 c sgg.; grassetto mio)


ESONIDE v. GIASONE

ESONE re. Padre di Giasone, 1567, 1574.

Non poté lasciare il regno al figlio Giasone, perché fu costretto a cederlo al cognato Pelias, dopo di che si ritirò a Iolcos. Al ritorno di Giasone, che aveva conquistato il Vello d'oro, Esone era ancora vivo ma vecchissimo, e fu ringiovanito dalle arti magiche di Medea.


ESTIA v. FIAMMA


ETERE divinità. Figlio della Notte e del Buio, fratello della dea Giorno, 209, arrivano fino a lui le fiamme della battaglia contro i Titani, 1106.

In greco aithèr significa etere, regione dell'aria rarefatta, che un mito attribuisce come signoria a Zeus, al di sopra di quella dell'aria che respiriamo, più pesante, attribuita a Hera.

O tu che hai l'eccelsa forza per sempre indistruttibile di Zeus,
parte degli astri e del sole e della luna,
che tutto domi, spirante fuoco, scintilla per tutti i viventi,
Etere che splendi in alto, elemento ottimo del cosmo,
o germoglio splendente, apportatore di luce, rilucente di stelle,
invocando ti supplico di essere temperato e sereno.
(Inni orfici, 5 profumo di Etere, croco).

* Nella Divina Commedia l'etere è l'aria del Paradiso. Etereo, rarefatto, sottile.


ETIOPI popolo di cui è sovrano Memnone, 1554.

Con il termine Etiopi anticamente si designavano gli africani, i popoli di pelle nera che una antica tradizione considerava i primi e più felici abitanti della terra. Etiope era detto Dionisos acceso nell'estasi e nell'ebbrezza. Il nome del popolo viene dalla parola greca aithos, che significa fuoco, calore, acceso, e quindi annerito, bruno.


EUCRANTE v. TEMPERATA


EUDORE, v. BELDONO


EUDORA, divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 564.

Significa dono buono, e in greco è lo stesso nome della nereide Beldono.


EUFROSINE v. GIOIA


EULIMENE v. BELPORTO


EUNICHE v. BELLAVITTORIA


EUNOMIA v. BUONALEGGE


EUPOMPE v. BUONASCORTA

EURIALE divinità, una delle Terrifiche. Figlia di Balena e Bianco, 438.

EURIBIA v. AMPIAFORZA

EURINOME v. AMPIALEGGE


EURITIONE gigante. Guardiano di buoi nella terra di Euritia, sconfitto da Heracles, 469.

Custodiva le mandrie del re Urlante, quando Heracles andò a rubarle per compiere la sua decima fatica, e fu ucciso dall'eroe insieme a Orto, il suo cane a due teste.


EUROPA OCCHIGRANDI, divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 562.

Un mito narra che Zeus innamorato si avvicinò a lei trasformato in un bianchissimo toro, e mangiò mansueto dalle sue mani, inducendola a montare sul suo dorso. Allora Zeus corse con Europa verso il mare.

Il nome Europa significa grandi occhi.
Grande e al tramonto è l'Europa, figura estesa come il suo continente, nella poesia di Fernando Pessoa:

L'Europa giace, sui gomiti poggiando:
giace da Oriente a Occidente, fissando,
e le ombreggiano i romantici capelli
gli occhi greci, ricordando.

Il gomito sinistro è rigirato
il destro è ad angolo disposto.
Il primo dice Italia, ove è posato
l'altro dice Inghilterra ove, discosto,
regge la mano dove poggia il volto.

Fissa, con sguardo sfingico e fatale,
l'Occidente, futuro del passato.
                                                                     Il volto con cui fissa è Portogallo.
                                                                     (Una sola moltitudine, testo portoghese a p. 140; tr. nostra)


EUTERPE divinità, una delle nove Muse. Figlia di Zeus e Memoria, 136.

Ispiratrice e signora della musica, le viene attribuita l'invenzione del flauto e di tutti gli strumenti a fiato. Si narra che sposò il fiume Strimone, dal quale ebbe un figlio, il dio fiume Reso. Il suo nome è composto da eu-, buono, e tèrpo, rilasso l'animo, diletto, ritempro, risano: la musica è considerata una cura per l'anima, sia anticamente che oggi, nella varie forme di musico-terapia.


EVAGORA v. BENDISTESA


EVARNE v. BELRIFIUTO




F


FALLOAMANTE v. AFRODITE


FAME (gr. Limos) figlia della Discordia, 371.

Da Ovidio viene descritta in un campo sassoso ai piedi del Caucaso:

[C]he con i denti e con l'unghie strappava le erbe rade:
irto era il crine e lo sguardo infossato nel pallido volto,
vizze le livide labbra, corrosi di ruggine i denti,
aspra la pelle da cui si sarebbero viste le viscere;
aride di sotto i lombi ricurvi sporgevano l'ossa;
vuoto era il luogo del ventre e sarebbe potuto vedersi
pender il seno sorretto soltanto dal filo del dorso:
gonfie l'articolazioni sembravano delle ginocchia
e delle mani ed uscivano enormi le noci dei piedi.
(Metamorfosi, VIII, 799-808)

* Bulimia, composto da bus, bue, e limos, fame: fame smisurata, da bue.



FASI RIONI divinità e fiume. Figlio di Ostrica e Oceano, 539.

Un mito dice che Fasi, principe della Colchide, respinse la nereide Thetis che si era innamorata di lui. Allora Thetis lo trasformò nel fiume che scorre in quel paese fino a sfociare nel Mar Nero.

* Vedi un'immagine del fiume che scorre in Georgia: https://it.wikipedia.org/wiki/Rioni#/media/File:Rioni_river_-_Georgia_(Europe).jpg, ultimo accesso 16/01/2020

FATE NERE (gr. Moirai, Moire, lat. Parcae, Parche) divinità. Figlie della sola Notte, 357, figlie di Norma e Zeus, 1426.

Le Fate Nere, Clothos, Làchesis e Atropos, nel poema di Esiodo, dove, come nel sogno notturno, non vige il principio di non contraddizione, vengono nominate sia come figlie della Notte che come figlie di Zeus e Norma, e sorelle delle Ore. La prima fata nera, Clothos, trae il filo, che può essere bianco, e in questo caso la vita del mortale sarà buona, o nero, e allora sarà una vita dolorosa e disgraziata; la seconda, Làchesis, lo avvolge, e la terza, Atropos, lo taglia: per l'essere umano è la morte.
Come Brivido ha il privilegio di dare il nome al giuramento sacro, che neppure gli dei possono infrangere, così il destino, rappresentato dalle tre Fate Nere, ha una potenza che neppure Zeus può controllare. Il potere di queste divinità femminili deriva dal potere della Notte, discendente di Tartaro Inferno, e somiglia a quello della Terra che accoglie i morti e dissolve i loro corpi. Anche se la fata delle fiabe non sembra parente delle terribili sorelle greche, figlie della Notte o di Zeus e Norma, il suo nome deriva dal latino fatum, plurale fata: destino, destini, come i termini greci Moros e Moire. Non solo nel nome le fate delle fiabe e le antiche Fate Nere hanno parentela di senso, attraverso passaggi aleatori fra il tempo del mito greco e il nostro. Nel Medioevo le fate avevano caratteristiche molto diverse da quelle degli ultimi due secoli: Melusina, progenitrice di un nobile e potente casato francese, aveva posto al suo nobile sposo il divieto di vederla durante il suo bagno, al quale dedicava il giorno del sabato. Ciò che lo sposo non doveva vedere era la sua forma segreta, di serpente o pesce dalla vita in giù, come l'antica Vipera di Esiodo, forma che riassumeva durante l‘immersione nel bagno. La fata medievale poteva essere straordinariamente propizia, quanto ferocemente distruttiva.
Nelle fiabe popolari dette da narratori analfabeti a un pubblico composto di adulti, vecchi e bambini, la fata resta donatrice di bene e di male, come la baba-yaga delle fiabe russe, che vive in un isba poggiata su una zampa di gallina: entrando da lei, a seconda del modo in cui si comporta, il protagonista della fiaba può ottenere ricchezza e aiuto, o morte. Anche gli esseri demoniaci delle Mille e una notte, geni o jinn, come i demoni della tradizione induista, conferiscono disgrazia o grande fortuna, non diversamente dagli gnomi e da innumerevoli altre figure magiche. Così personificate le creature magiche rappresentano la strutturale ambivalenza dell'inconscio, mai dominabile, distruttivo per chi ne sottovaluta la potenza, propizio per l'essere umano che riconosce i limiti della propria azione, consapevole che la potenza magica è immensa, ma anche che la sua astuzia può consentirgli di imprigionarla e servirsene. La parola greca cher significa rovina, destino di morte, lutto

Moire infinite, care figlie della Notte nera,
dai molti nomi, ascoltate me che prego, voi che abitando
presso il lago celeste, dove l'acqua candida per il calore notturno
scaturisce nell'ombroso fondo lucente dell'antro di belle pietre,
volate sulla terra infinita dei mortali;
da dove avanzate verso la stirpe mortale che nutre opinioni,
vana nella speranza, coperte di lini purpurei
[...]
aeree, invisibili, immutabili, sempre indistruttibili,
che tutto donate, che togliete, necessità per i mortali...
(Inni orfici, 59 profumo delle Moire, aromi)

Le Fate Nere, come le loro discendenti che abitano nei boschi o accanto alle fonti nelle fiabe, derivano la loro potenza e il loro nome dal lavoro della filatura: questa attività, insieme al ricamo e alla tessitura, costituiva parte della signoria di Athena, che di solito ricordiamo solo per il dominio dell'intelligenza e della forza guerriera. L'importanza simbolica delle arti femminili potrebbe riguardare il fatto che preparare un abito, tesserlo, cucirlo e ricamarlo, riguarda l'identità essere umano, sociale e culturale. Come confeziona l'abito, la donna con la gestazione e il parto forma e dona il corpo, considerato come dimora terrena dell'anima immortale. Ed è sul corpo le Fate Nere esercitano la loro ineluttabile signoria, traendolo al mondo e decretando la sua fine.


FATO (gr. Moros) divinità. Figlio della Notte, 347.

La parola greca significa destino, e il dio, di cui non esistevano statue, veniva interrogato in luoghi particolari, nei quali gli veniva tributato un culto. Era considerato anche il signore delle Fate Nere, rappresentando come loro il destino, che nemmeno gli dei immortali potevano modificare: le preghiere, i sacrifici e le offerte potevano appena mitigarlo. Nella fiaba della Bella Addormentata nel bosco il destino di morte viene decretato dalla tredicesima fata, non invitata al banchetto per il battesimo della neonata principessa, come Discordia non era stata invitata alle nozze tra Thetis e Peleos. Ma una piccola fata, che non aveva ancora offerto il suo dono, può mitigarlo: a quindici anni, pungendosi con un fuso, come quello su cui Làchesis avvolgeva il filo, la principessa Rosaspina non sarebbe morta, ma avrebbe dormito un sonno lungo cent'anni. Il sonno simile alla morte delle fiabe ricorda la pena alla quale soggiacevano gli dei spergiuri, senza respiro e senza cibo.

* Fato, fata, fatale, fatalità.


FEBE v. ISPIRAZIONE


FEBO v. APOLLO FEBO


FERMACAVALLI (gr. Menippe) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 416.

Secondo un mito era la madre del cantore Orfeo.


FERUSA v. RECANTE


FETONTE essere umano. Generato da Aurora e Cefalo, bello e splendente come un dio, viene rapito da Afrodite per farne il sacerdote e il solo abitante del santuario in cui abita lei stessa, 1556.

Un altro mito racconta che Fetonte era figlio del Sole e che si lamentò con lui, perché avendo detto chi era suo padre, era stato schernito.
Chiese allora al padre di soddisfare un suo desiderio, e il Sole giurò di accontentarlo. Fetonte gli chiese di guidare per un giorno il suo carro nella volta celeste, e il Sole non poté negarglielo. Ma i cavalli, sentendo che non era il Sole a guidarli, non obbedivano, e il carro della luce guidato da Fetonte saliva troppo in alto, e poi precipitava tanto in basso da incendiare la Terra, che allora chiese aiuto a Zeus. Il sovrano olimpio per mettere fine alla folle corsa colpì Fetonte con un fulmine e lo precipitò nel fiume Eridano. Le sue sorelle Eliadi piansero tanto tragica fine di Fetonte che gli dei impietositi le trasformarono in pioppi, gli alberi che crescono sulla riva del fiume, mentre le loro lacrime divennero elettro, materiale che si trovava anche nel fiume Po. Si narra che quella volta anche l'amico più caro di Fetonte, Cicno, fu trasformato in cigno, uccello che ama volare sulle acque del Po e nidificare sulle sue rive.


FIAMMA (gr. Istie, Estia, lat. Vesta) dea. Figlia primogenita di Fluente e Cronos, 721.

Era la dea del fuoco che veniva conservato in ogni casa, inventrice del focolare, che dà calore e permette di rendere commestibili tanti cibi. Nell'antica Roma il culto di Vesta consisteva nella conservazione del fuoco perenne nel suo tempio, Opertum, dove gli uomini non erano ammessi. Le sacerdotesse di Fiamma, le Vestali, venivano portate nel tempio all'età di sei anni, nel quale restavano a custodire il fuoco sacro per trent'anni, dopo i quali potevano lasciare il tempio e sposarsi. Se però lasciavano spegnere il fuoco, o se perdevano la verginità, venivano punite con la morte.

Il fuoco dal quale si accende la fiaccola delle Olimpiadi mantiene questo antico simbolismo di Fiamma: ardeva nella casa comune, e pacifica, di tutti i Greci, che cessavano le guerre per la durata delle gare. Ancora oggi le Olimpiadi costituiscono un luogo d'incontro e di confronto non cruento per tutte le nazioni del mondo che vi inviano i loro atleti come rappresentanti. La sacralità del fuoco, la complessità dei riti per la sua conservazione, e la particolare dignità delle Vestali, furono intepretate dal grande fisico Isaac Newton come rappresentazione di un'antica intuizione del sistema solare, dove il fuoco è al centro come il sole:

Secondo Neuton nel principio del suo libro de mundi systemate, pare che nell'introdurre il fuoco di Vesta, e nel riporlo nel mezzo del rotondo tempio di lei, avesse di mira il sistema, che colloca il Sole nel centro dell'Universo; e che per conseguenza Pittagora, il quale al dire di Cicerone (Tusc. Quaest. lib. IV) visse in Italia sul principio della Repubblica Romana, ne fosse puramente il promulgatore; poiché, dice Neuton, è verisimile, che questa opinione sia stata propagata dagli antichi Egizii antichissimi osservatori degli astri. Dagli Egizii passò ai Greci; di là all'Italia: talché, secondo lui, i sacri riti di Vesta sanno dell'Egiziana accortezza, la quale coi religiosi riti, e coi geroglifici dipingeva i misterij superiori alla intelligenza del volgo. Secondo molti, gli antichi Saggi intendevano tutto l'Universo, cui attribuirono un'anima che l'informava. (Virg. Georg. lib. IV. Eneid. lib. VI) (Dizionario portatile delle favole)

Riconoscendo la sua teoria fisica, e la legge di gravitazione universale, in antiche rappresentazioni mitiche, Newton esprime un senso della scienza come procedimento che non consiste nel sostituire una verità oggettiva a una menzogna immaginaria, ma nel lavoro continuo di descrizione del mondo, in termini sempre nuovi, che non respingono le concezioni antiche.

Hestia è il focolare circolare, fissato nel suolo, è l'ombelico attorno al quale la casa si radica nella terra. Essa - nota Jean-Pierre Vernan - è simbolo e pegno di fissità, di immutabilità, di permanenza. Ed è in quanto centro fermo a partire dal quale lo spazio umano si orienta e si organizza, che Hestia, per i poeti e i filosofi antichi, potrà identificarsi con la terra, immobile al centro del cosmo. La terra intera, casa degli uomini, sarà il focolare fisso del mondo. Essa non scambia, resta casta: Hestia è vergine, come Athena e Arthemide. (Sergio Benvenuto, Hestia-Hermes)



FILOMMEDEA v. FALLOAMANTE


FILOTETE v. BRAMOSIA

FIORITA (gr. Thalie, Talia) dea. Una delle tre Grazie, figlia di Largalegge e Zeus, 1433.


FIUMI (gr. Potamoi) divinità. Sono fra le più antiche divinità del mondo, 182; nati dalla congiunzione amorosa di Ostrica e Oceano, 534; nutrono gli uomini nella crescita, 548; sono tre volte mille, 578; nessuno può nominarli tutti, ma ne conoscono il nome coloro che abitano sulle loro rive, 583.

I tremila fiumi, insieme alle sorelle Oceanine e al dio Apollo, nutrono nella crescita e nella giovinezza gli esseri umani, simbolizzando un principio di vita che come le loro acque dolci bagna e feconda la terra. Esiodo, dicendo che nessun essere umano conosce tutti i loro nomi, noti a coloro che abitano sulle loro rive, ne nomina venticinque: Acheloo, Alfeo, Aliacmone, Ardesco, Caico, Enevo, Heptaporos, Po Eridano, Ermo, Esepo, Fasi, Grenico, Danubio Istro, Ladone, Meandro, Nesso, Nilo, Partenio, Peneo, Reso, Rodio, Sangario, Scamandro, Simoenta, Strimone. Nell'arte figurativa venivano rappresentati come esseri umani, vegliardi con lunghe barbe e lunghi capelli se sfociavano nel mare, giovani imberbi se erano affluenti di un altro fiume, con corna di toro a significare l'impeto delle acque e il loro rumore, che ricorda il muggito di una mandria. Quando dovevano attraversare un fiume, gli uomini pregavano la divinità del fiume.xzxz

* Ippopotamo, cavallo di fiume, da pòtamos, fiume, e ippos, cavallo. Molti fiumi hanno mantenuto il nome greco, altri hanno cambiato nome ma corrispoondono a quelli nominati nella Grecia classica. Per questo dai fiumi, per i quali è stato possibile trovarla, da questa pagina si può accedere a un'immagine contemporanea. L'eredità della Grecia classica all'Europa, mediata anche dalla cultura latina ed ellenistica, è di una vastità sorprendente.


FLOTTANTE (gr. Chymopolea, Cimopolea) divinità. Figlia di Poseidon e sposa del gigante centimane Forzoso, 1290.


FLUENTE (gr. Reia, Rea) divinità Titanide. Figlia di Terra e Cielo, 223; congiunta amorosamente col fratello Cronos, genera Fiamma, Demetra, Hera, Hades, Poseidon e Zeus, 719; provando un dolore insopportabile perché Cronos divora tutti i loro figli, si consiglia con i genitori Terra e Cielo e riesce a salvare Zeus dando da mangiare allo sposo fratello una pietra fasciata al suo posto, 745; va a Litto per partorire Zeus e proteggerlo dalla grande bocca di Cronos, 760; i figli suoi e di Cronos liberano i Centimani, 997; madre degli dei olimpici, 1007.

Nella tradizione orfica Rea Fluente ha le prerogative di una divinità primitiva, ambivalente, che salva e distrugge:

Rea venerabile [...]
che metti il carro dalle sacre ruote sugli uccisori di tori,
accompagnata dai timpani, che ami il delirio, fanciulla risonante di bronzi,
madre di Zeus egioco signore dell'Olimpo,
da tutti onorata, dalle forme splendenti, beata compagna di Cronos,
che ti diletti dei monti e degli spaventosi urli dei mortali,
Rea di tutto sovrana, che susciti il tumulto di guerra, dall'animo forte,
ingannatrice, salvatrice, liberatrice...
(Inni orfici, 14 profumo di Rea, aromi)


FOBOS v. SPAVENTO

FOCO essere umano. Figlio di Sabbia ed Eaco, 1586.

Un mito racconta che la sua matrigna Endeide spinse i suoi figli a ucciderlo lanciando il disco sulla sua testa.


FOLATA (gr. Ochypetes, Ocipete) divinità. Una delle due Arpie, figlia di Prodigio e Ambra, sorella di Turbine, vola in cielo con gli uccelli rapaci, 426.


FOLGORE (gr. Sterope) divinità, uno dei Ciclopi. Figlio di Terra e Cielo, fratello di Tuono e Lampo, 231.


FONOI v. OMICIDI


FORCI v. BIANCO


FORTUNA (gr. Tyche) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 560.

Nell'antica Roma, Fortuna era molto venerata, spesso col dio della ricchezza, Pluto, fra le braccia, ed era bendata, per significare che sceglie a caso gli esseri umani da beneficare. La parola latina fortuna, come quella greca tyche, significava sorte, sia buona che cattiva.


FORZA (gr. Bia) dea, una dei figli di Brivido. Generata da Brivido e Pallante, 607.

La parola greca significa forza fisica, violenza., ed è stata accostata con le parole bìos, che significa vita, mezzo di vita (da cui biologia, biografia, ecc.) e biòs, arco.
Un solo ideogramma sumero indica sia freccia sia vita. “L'arco ha nome di vita, e opera di morte” (Diels, 48) recita un frammento di Eraclito, e gli antichi etimologi citavano il frammento per attestare la parentela tra arco e vita. Questa antica connessione fra violenza, vita, arco, morte, è l'antica radice della coppia freudiana costituita da pulsione di vita e pulsione di morte, Eros e Thanatos.


FORZOSO (gr. Briareus, Briareo) dio gigante, uno dei tre Centimani. Figlio di Terra e Cielo, fratello di Cottos e Membruto, 243; con i fratelli per la loro forza e la loro tracotanza erano stati imprigionati in seno alla Terra dal padre Cielo, da dove Zeus li libera, e poi li ristora per invitarli a combattere al suo fianco contro i Titani, 987; con i fratelli riaccende la battaglia decisiva contro i Titani, nella quale scagliano trecento pietre in un colpo solo 1129; Zeus pone lui e i suoi fratelli come guardiani della terrificante prigione dei Titani ribelli, dove ha dimora, ai confini di tutte le parti del mondo, 1161; sposo di Flottante figlia di Poseidon, 1287.

Terra e Cielo generarono i tre Centimani di statura e potenza smisurata e di carattere orgoglioso e violento, e Cielo li chiuse in seno alla madre Terra, insieme ai Ciclopi, perché erano terribili per forza e dimensioni immense: esseri di dimensioni spaventose, irruenti e collerici, sono i geni, o demoni, o jinn, delle Mille e una notte.
I jinn hanno la funzione di permettere a un essere umano di conquistare un tesoro o di raggiungere l'essere amato: così opera il genio della lampada nella storia di Aladino. Come Zeus comanda sui titani fratelli di suo padre, che ha liberato, e che stanno accando ai titani ribelli, anche se con la funzione di guardiani, così i grandi califfi della raccolta di fiabe hanno il comando su tutti i geni. E come i titani, più antichi dell'ordine olimpico, vengono imprigionati e costretti nei sotterranei, così i geni ribelli vengono spinti e rinchiusi in boccali di rame da re Salomone, per volontà di Dio e del profeta Maometto.
Se un ordine e una legge basate sulla divisione del potere e sul mantenimento delle promesse, ovvero del diritto, vogliono durare nel tempo, come l'ordine olimpico di Zeus e quello instaurato dopo Maometto con l'Islam, non possono ignorare le forze arcaiche della realtà psichica. Devono dar loro uno spazio, altrimenti, come rivelano Terra e Cielo a Zeus, la vittoria è impossibile. Nelle chiese romaniche mostri di ogni genere erano inseriti nelle colonne per sostenere dal basso la nuova chiesa come parte domata ma non eliminabile. Il senso per il soggetto riguarda l'inconscio nelle sue ineliminabili strutture arcaiche, amorali e potenti: l'equilibrio consiste nel loro relativo addomesticamento, non nella loro eliminazione, che è in ogni caso impossibile.


FREDDO (gr. Crios, Crio) dio titano. Figlio di Terra e Cielo, 222; congiunto amorosamente con Ampiaforza genera Astreo, Pallante e Perse, 591.
          *  Crioterapia, terapia col freddo; crioanestesia, anestesia ottenuta col freddo.


FRODE (Apate) divinità. Figlia della sola Notte 366.



FURIE
(gr. Erinys, Erinni, lat. Erinys, Furiae, Furie) dee della vendetta. Nate dalla Terra fecondata dal sangue del Cielo che sprizza dal suo sesso tagliato, 302; vendicatrici del padre Cielo, 752.

Perseguitavano i crimini senza mai fermarsi, fino a che il colpevole, sia che fosse un uomo o un dio, non avesse subito la giusta punizione; significano l'angoscia intollerabile che perseguita chi ha commesso una colpa fino a che non l'abbia espiata. Oreste, figlio di Agamennone, aveva ucciso la madre Clitemnestra per vendicare il padre, che lei aveva fatto uccidere quando era tornato da Troia, d'accordo col suo amante Egisto.
Le Erinni dei matricidi erano implacabili, e inseguirono Oreste, che tormentato dai rimorsi vagava disperato per la Grecia, fino a che giunse ad Atene, dove l'Aeropago si riunì per giudicarlo.
Mancava un voto per assolverlo, ma Athena partecipè alla votazione e liberò Oreste dalla persecuzione delle Erinni. 






G


GAIA v. TERRA

GALATEA divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 402.

Il ciclope Polifemo si innamora di lei:

Sì, certo, perfino il Ciclope feroce,
delle foreste terrore [...]
sentì che cosa è l'amore, e per me di passione si strusse
dimenticando il suo gregge e i suoi antri. Oramai, Polifemo,
tu vuoi piacere e t'abbelli e rastrelli la ruvida chioma...
(Metamorfosi, XIII, 759-765)


Il povero ciclope, non ricambiato, canta per la nereide, il cui nome significa bianca come il latte:

O Galatea, del niveo ligustro più candida sei
e più fiorente dei prati, più snella dell'alno, lucente
più del cristallo; tu sei più lasciva del tenero capro,
delle conchiglie più liscia sfregate dall'onde insistenti...
(Ivi, vv. 789-792)

Rifiutato da Galatea, che ha un bellissimo amante, Aci, un giorno la sorprende con lui. Di fronte alla sua ferocia i due amanti fuggono, e mentre Galatea si tuffa in mare, Aci viene colpito dalla cima di un monte scagliata da Polifemo. Aci si trasforma in fiume, e Galatea gli resta fedele per sempre.
Con i nomi di Aci e Galatea si chiamano nella notte i genitori di 'Ndria Cambria nel romanzo di Orcynus Orca. Il brano che segue, dedicato a chi ne può percepire la bellezza e la potenza insuperabili, racconta della penetrazione dei miti greci nella Sicilia, fra poveri pescatori sullo stretto:

E venivano infine delle voci affannose e incomprensibili, che però arrivavano all'orecchio sempre più vive, come se Caitanello e l'Acitana s'avvicinassero di lontano, tenendosi a braccetto e stranamente ciuciuliando, perché si dicevano solo due parole, una lei, una lui, e quasi sempre la stessa, eppure, forse perché la sillabavano complimentosamente, davano quella impressione di ciuciulio tenebroso, ovattato e trillante, come un cicaleggio, a punta di becco, di passeri sull'aranciara.
« Aci mio » gli diceva lei. Oppure: « Aci reale mio »
« Galatea » le rispondeva lui. Oppure: « Gala a tea »
Solo questo, ma che intendevano dirsi? La prima volta che li aveva sentiti, gli era parso che lei gli dicesse: Acireale mio, come lo chiamasse, chissà perché, col nome del suo paese di nascita, mentre in effetti gli diceva Aci reale mio. E gli era parso che lui le dicesse, una volta Gala a te, come la proclamasse degna di pompa e di sfarso, e un'altra: Galatea, come le dicesse galatota, col nome del paese di Galati Mamertino che però non c'entrava, né con lei né con lui, mentre in effetti la chiamava Galatea.
Solo questo, sempre questo: Aci mio... Aci reale mio... lei, e: Galatea... Gala a te... lui, ed era come se si passassero e ripassassero, sempre uno stesso garofano lei a lui, sempre una stessa rosa lui a lei: ogni volta però, pareva che un altro garofano si aggiungesse a quell'unico, e un'altra rosa a quella sola rosa, come scoprissero una sfumatura sempre nuova nel garofano e nella rosa che si regalavano, come un pensiero, una frase detta in toni sempre differenti e alla fine era come si infiorettassero con grandi, sempre più grandi, con freschi, sempre più freschi buché di complimenti, e come se di tali complimenti sarebbero stati capaci di farsene per notti e notti ancora, per mille e una notte di giorni di carestia di mare. Allora, però, a lui muccusello potevano mai venirgli in mente garofani e rose? In mente sua invece, quel ciuciulio meschinello, continuo: Aci mio, Galatea. Aci reale mio. Gala a te... gli faceva pane e pane, crosta con mollica, mollica con crosta. Per questo, gli ricordavano qualche volta i muccuselli come lui, quando mangiavano pane e spezzando si dicevano: questo è pane, mangio pane e carne di pane, oppure: questo è capicollo, mangio pane e capicollo: oppure questo è panedispagna, mangio pane e panedispagna... Ma padre e madre si mettevano pure loro a fare i muccuselli giocando a pane con idem come prima? Si mangiavano quei due nomi, accompagnandoli forse con carne di belle frasi, con capicollo di galanterie, con panedispagna di pensieri reali e di parole di gala? In fondo, quel muccusello, scherzandoci, era andato molto vicino alla verità, ma che poteva saperne allora lui di quella verità? (Stefano D'Arrigo, Orcynus Orca, pp. 452-453) 


* Galassia, o via Lattea, per il bianco splendore; galattosio, zucchero presente nel latte.


GALAXAURE v. ARIALATTEA


GALENE v. BONACCIA


GERA v. VECCHIAIA


GERIONE v. URLANTE


GIAPETO dio titano. Celebrato dalle Muse, 31; figlio di Terra e Cielo, 222; genera con Clara Atlante, Menezio, Prometeo ed Epimeteo, 808; padre di Prometeo, 842, 866, 894, 981.

            È ricordato anche come Japhet.


GIASONE eroe. Esonide, essere umano, eroe. figlio di Esone. Congiunto alla dea Demetra genera il dio delle ricchezze, Pluto, 1529; figlio di Esone, dopo aver superato le prove rapisce Medea e la conduce a Iolco 1278.

Condottiero della spedizione degli Argonauti, andò a conquistare il vello d'oro, simbolo di regalità, e superò le prove con l'aiuto di Medea, principessa e maga potentissima. Il padre Esone, re di Jolcos, affidò la tutela di Giasone al cognato Pelias, perché gli cedesse la corona appena avesse raggiunto l'età adulta. Ma Pelias temeva il bambino e lo fece allontanare dal palazzo chiuso in una specie di bara. Il piccolo Giasone giunse dal centauro Chirone, educatore di eroi, e crebbe con lui, fino a quando, divenuto adulto, si presentò al re Pelias.
Indossando una pelle di pantera come mantello, con capelli linghi e ondeggianti, somigliava a un dio, e chiese allo zio di rendergli il regno del padre. Pelias non disse di no, ma chiese a Giasone di andare prima nella Colchide a conquistare il vello d'oro, sperando che morisse nell‘impresa. Giasone in compagnia degli eroici Argonauti salì sulla nave Argo e andò nella Colchide, regno di Aeta, dove con l'aiuto di Medea portò a termine l'impresa.
Innamorata di lui Medea lo seguì a Iolco, dove ringiovanì con la magia il suo vecchio padre Esone. Quando le figlie di Pelias le chiesero di fare la stessa cosa col loro padre, Medea ordinò loro di farlo a pezzi, facendo credere che l'avrebbe ricomposto e ringiovanito, e invece lo lasciò morire. Credendo di poter ignorare la terribile potenza di Medea, che aveva tradito il padre e la patria per lui, Giasone successivamente decise di prendere in sposa la figlia di Acasto, figlio di Pelias, che aveva il trono di Jolco, per ascendere al trono senza violenza. Secondo un mito Medea allora lasciò il regno di Jolco sul suo carro portato da draghi volanti insieme ai figli avuti da Giasone, mentre la tragedia narra che Medea uccise i figli e se stessa, dopo aver provocato la morte di Acasto e della futura moglie di Giasone: allora anche Giasone si uccise. Nella storia di Giasone possiamo comprendere come l'eroe venga distrutto dalla potenza femminile, se, dopo averne tratto il massimo vantaggio, crede di poterla mettere da parte. 


GIGANTI divinità. Le Muse cantano le loro storie, 96. Nascono dal sangue del Cielo che dal suo fallo tagliato cade sulla Terra, immensi e armati di lunghe lance 302.

Venivano rappresentati come serpenti nella parte inferiore del corpo, e per vendicare i Titani che Zeus aveva rinchiuso nel Tartaro dopo averli sconfitti uscirono dalla Terra nei Campi Flegrei, tanto spaventosi che gli Astri impallidirono, il Sole si ritrasse, e l'Orsa Maggiore si nascose nel Mare. La battaglia dei Giganti contro Zeus e gli Olimpici somiglia all'ultima battaglia fra Olimpici e Titani, o fra gli dei Olimpici e Tifeo, il figlio di Terra e Inferno che a volte ha come loro la parte inferiore del corpo di serpente. Una particolarità della battaglia contro i Giganti è che gli Olimpici ebbero bisogno, per vincere, dell'aiuto di un mortale, che fu Heracles. Tutti i Cronidi e i loro alleati parteciparono alla battaglia, nella quale l'asino di Sileno ebbe un ruolo particolare: quando li vide si spaventò tanto che cominciò a ragliare a perdifiato, e i Giganti fuggirono, perché non conoscendo questo animale credettero che fosse la voce di un essere terribile. Allora Zeus, per ringraziare l'asino, lo pose fra le costellazioni. Altri miti raccontano che la fuga dei giganti fu causata dagli asini di Dionisos, o di Hefestos, oppure dal suono della conca marina o bucina, nella quale Tritone aveva soffiato con tutta la sua forza. Il sangue dei Giganti precipitati sottoterra dai fulmini di Zeus, insieme al monte che avevano elevato per dare la scalata all'Olimpo, fecondò la Terra, e dai Giganti discese la prima genìa essere umano, come dal sangue del fallo tagliato del Cielo erano venuti i Giganti. Era una genìa essere umano che disprezzava gli dei, dedita di continuo a ogni forma di violenza, e Zeus mandò un diluvio e fece annegare questi uomini feroci. Sulla Terra gli unici sopravvissuti erano Deucalione figlio di Pasifae e Pirra figlia di Epimeteo, che chiesero all'oracolo come potevano ripopolare la Terra. L'oracolo rispose che dovevano gettare alle loro spalle le ossa della madre, e i due sopravvissuti lanciarono dietro di sé dei sassi, le ossa della Terra, madre di tutti. Quelli lanciati da Deucalione si trasformarono in uomini, quelli lanciati da Pirra in donne, e questa fu la genìa essere umano dalla quale noi siamo discesi.

GIGE v. MEMBRUTO

GIOIA (gr. Eufrosyne, Eufrosine) dea, una delle tre Grazie. Figlia di Largalegge e Zeus, 1433.


GIORNO (gr. Emere, Emera) divinità. Nata, col fratello Etere, dalla Notte e dal Buio, 209; si alterna alla Notte, e pur avendo la stessa casa non vi si trova mai insieme a lei, 1184.

In greco la parola emèra, che significa giorno, è femminile, come la divinità [efemeridi, raccolta dei dati relativi al movimento quotidiano degli astri; emeroteca, raccolta di giornali e periodici].


GIOVE v. ZEUS


GIOVINEZZA (gr. Ebe; lat. Juventa, Juventus) dea. Celebrata dalle Muse, 29; figlia di Hera e Zeus, 1454; sposa di Heracles, 1501.

Venerata anche col nome di Ganimeda, Ebe aveva il compito di versare il nettare degli dei in un coppa d'oro. Si narra che un giorno scivolò nella sala dei banchetti sull'Olimpo e mostrò le sue parti intime, mettendo in imbarazzo la vergine Athena. Per questa ragione al suo posto venne assunto in cielo Ganimede, ed Ebe sposò Heracles divenuto immortale. Ganimede era figlio del re di Troia e di Bellafluente, a sua volta figlia del fiume Scamandro, e stava cacciando quando Zeus, assunta la forma di un'aquila maestosa, lo rapì, innamorato dalla sua straordinaria bellezza. La costellazione di Ganimede è il segno dell'Acquario, che versa nettare con un'anfora

* Ebe, nome; ebefrenia, termine psichiatrico; Juventus.


GIURAMENTO v. ORCOS

GIUSTIZIA (gr. Diche) divinità, una delle tre Ore. Generata da Norma e Zeus, 1523.

In molte rappresentazioni ha il capo cinto da una corona, tiene una spada nella destra e una bilancia nella sinistra, per giudicare e punire. Inoltre ha i piedi incatenati, perché se gli uomini non la trattenessero con la forza la dea Giustizia volerebbe via verso il cielo. Un mito racconta che Giustizia, disgustata dalla violenza e dalla prevaricazione che imperversano fra gli uomini, lasciò per sempre la terra. Il mito significa che mantenere la giustizia per il soggetto umano richiede uno sforzo costante, una complessa operazione culturale, di civiltà: la giustizia non è un frutto spontaneo, e non è data una volta per tutte, somigliando piuttosto a un sogno celeste che si cerca di trasformare in realtà.


GLAUCHE v. CILESTRA


GLAUCONOME v. LEGGECHIARA


GORGONI v. TERRIFICHE


GRAIE v. CANUTE

(gr. Carites, Cariti) divinità, tre sorelle. Vivono come Desiderio accanto alle Muse, 117; Splendente, Gioia e Fiorita, figlie di Largalegge e Zeus, 1432; Splendente sposa Hefestos, 1491.

Dal greco càris, che significa piacere, cosa gradita, grazia, seduzione. Le figure delle Grazie, nude o appena velate, erano presenti in tutta la Grecia e tornarono nei dipinti rinascimentali. Secondo altri miti le grazie erano figlie di Zeus ed Hera, o di Sole ed Egle, o di Afrodite e Dionisos. Nella Grecia vi erano statue di Satiri, semiuomini dai piedi di capra, esseri un po' mostruosi, ma dentro a queste statue poteva trovarsi la statua d'oro di una Grazia e il filosofo Socrate paragonava se stesso a queste forme brutte che racchiudevano la bellezza: deformità e bruttezza sono parte dell'umano, e non si trova l'una senza l'altra. Omero assegna come sposi a due delle Grazie il Sonno ed Hefestos. Prima di iniziare una battaglia, gli Spartani offrivano sacrifici alle Grazie, volendo significare che non avevano lasciato nulla di intentato per mantenere la pace, della quale le Grazie sono le signore. 

* Dalla parola greca càris vengono le parole latine carus e caritas, in italiano caro e carità, e la parola carezza.
Vedi le tre Grazie nella Primavera di Sandro Botticelli (https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/f9/Sandro_Botticelli_-_Three_Graces_in_Primavera%2C_1485-1487.jpg; ultimo accesso 16/01/2020). Mentre raffiguravano le tre Grazie della mitologia classica, le tre figure di Botticelli potevano significare le Grazie astrologiche, vale a dire i tre pianeti considerati benevoli, propizi: Mercurio, Venere, Giove. Nel circolo neoplatonico che circondava Lorenzo il Magnifico, del quale facevano parte pittori, filosofi, alchimisti, la Primavera fu pensata e dipinta come talismano che il signore avrebbe portato nella Villa di Poggio a Caiano. Mentre Botticelli dipingeva, musici suonavano, aromi venivano bruciati, versi venivano declamati, per attrarre gli influssi astrali positivi. A noi sembra che in ogni caso, anche per chi ignori tutto del dipinto conservato agli Uffizi, se si siede qualche minuto o anche una buona mezz'ora, seduti davanti al dipinto, arrivi qualcosa che si potrebbe chiamare magico, una specie di quiete indotta dalla bellezza non meno che dalla suggestione mitica. La lettura che preferiamo vede nel dipinto il mito dell'Anima come viene narrato da Er nella Repubblica di Platone.


GRENICO divinità e fiume. Figlio di Ostrica e Oceano, 541 (pr. Grènico).

        * Vedi un'immagine del fiume che scorre in Turchia, col nome Kocabaş, Biga Çayı: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/ab/Granicus_River.jpg, ultimo accesso 16/01/2020.



GROTTA (gr. Speiò, Speio) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 395 .

          * Speleologia, studio delle grotte.






H



HADES (lat. Pluto) dio Cronide, fratello di Zeus e sovrano degli Inferi sotterranei. Figlio di Fluente e di Cronos, 723; con la sposa Persefone domina gli Inferi,1212; trema per la battaglia di Zeus contro Tifeo, 1342; rapisce Persefone per farne la sua sposa, 1441.

Sua dimora sono i sotterranei del Tartaro Inferno, ed è il signore di tutte le anime disincarnate, sia quelle che hanno abbandonato i corpi alla morte, sia le anime che torneranno alla vita scegliendo una forma per reincarnarsi. Si racconta che Hades rapì Persefone, figlia di Demetra e Zeus, mentre raccoglieva fiori. La madre, signora delle messi e di tutti i frutti, infuriata e disperata per la perdita, vietò alla terra di dare frutti, e gli uomini rischiavano di morire di fame. Finalmente fu trovato un accordo: Persefone avrebbe potuto tornare dalla madre, purché nella sua permanenza nel regno di Hades non avesse gustato nessun cibo. Siccome aveva mangiato dei chicchi di melagrana, l'accordo fu che restasse con lo sposo per una parte dell'anno - la cattiva stagione - e tornasse con la madre per l'altra parte - primavera ed estate.

La melagrana simbolizza la fecondità, e la gestazione avviene in segreto, nel corpo della donna, come il seme vegeta sotto la terra: la permanenza di Persefone sottoterra provoca la temporanea perdita dei fiori e dei frutti, ma rende possibile il loro ritorno. Così veniva pregato Hades nella tradizione orfica:

             O tu, dall'animo forte, che abiti la dimora sotterranea,
             il prato del Tartaro dall'ombra profonda e senza luce,
             [...]
             Plutone, che hai le chiavi di tutta la terra,
        
   che arricchisci la stirpe mortale con i frutti dell'anno;
        
   [...]
        
   tu che hai stabilito il trono sotto il luogo tenebroso,
        
   lontano, instancabile, senza vita, indistinto Hades
        
   e cupo Acheronte, che contiene le radici della terra;
        
   tu che in grazia della morte domini i mortali, o Eubulo
        
   molto esperto, che una volta la figlia di Demetra purificatrice
        
   avendo presa in sposa strappata dal prato attraverso il mare
        
   con la quadriga portasti in un antro dell'Attica
        
   nel demo di Eleusi, dove sono le porte dell'Hades.
        
   (Inni orfici, 18 a Plutone)
* Plutone, il pianeta più lontano dal Sole, come gli Inferi erano lontani dalla Terra; plutonio, elemento radioattivo. 


HECATE dea (pr. Hecàte). Figlia di Stella e di Perse, 648; chi la invoca offrendo un sacrificio ottiene da lei grandi benefici, 659; riceve poteri straordinari da Zeus, una parte del dominio di ogni dio, 667, 671, 674, 710; i suoi prediletti vincono nelle gare, 689; è propizia ai cavalieri che assiste, 694; riempie le reti dei pescatori o le svuota secondo il suo desiderio, con Hermes fa prosperare o deperire le greggi, 700; ha ottenuto speciali privilegi da Zeus, 710.

L'immagine di Hecate serviva ad allontanare i malefìci, e questa divinità della Luna e dei sotterranei infernali, signora degli incantesimi, dei fantasmi, degli spiriti notturni, si aggirava fra i sepolcri, e i cani ululavano al suo avvicinarsi. Hecate mantiene una molteplicità di dominii sotto la sovranità di Zeus, come se la complessità del mondo prima dell'ordine olimpico continuasse a esistere in lei, che ha una parte del dominio di tutti gli altri dei. Complessa e potente, capace di dare il bene e il male secondo il suo desiderio, Hecate era associata nel culto ad Artemide, anch'essa dea lunare, e veniva chiamata Polymorfe, dalle molte forme.


Hecate protettrice delle strade celebro, trivia, amabile,
celeste e terrestre e marina, dal manto color croco,
sepolcrale, baccheggiante con le anime dei morti,
figlia di Perse, amante della solitudine, superba dei cervi,
notturna, protettrice dei cani, regina invincibile,
annunciata dal ruggito delle belve, senza cintura, d'aspetto imbattibile,
domatrice di tori, signora che custodisce tutto il cosmo,
guida, ninfa, nutrice dei giovani, frequentatrice dei monti,
supplicando la fanciulla di assistere alle pie celebrazioni
benevola verso il bovaro sempre con animo gioioso.
(Inni orfici, I)

La prerogativa di Hecate è avere una parte di potere in ogni signoria, come se mantenesse un ordine antecedente alla divisione e alla distinzione delle diverse sfere d'influenza nel cosmo e nella vita dell'uomo. Una suggestione: la tiroide esercita un influsso altrettanto potente e insidioso su tutto il corpo, come un regolatore generale che interviene come un regista, come un signore plenipotenizario che pouò non farsi sentire, ma che interviene su una visione dell'insieme, quasi destituendo più o meno temporaneamente i regolatori delle singole parti. La tiroide, come Ecate, fa prosperare e appassire, come intervenendo sulla singola parte per regolarne la potenza, divenuta eccedente o carente.



HEFESTOS ANFIMEMBRO (lat. Vulcanus, Vulcano) dio (pr. Hèfestos). Per ordine di Zeus forma Pandora, e forgia per lei una corona d'oro con animali meravigliosi che sembravano vivi, 914, 926; è l'artefice che fonde e lavora il ferro, 1367; generato da Hera in gara con Zeus, 1463; sposa Splendente, una delle Grazie, 1490.

Figlio della sola Hera, secondo un mito il grande dio Hefestos fu scaraventato dall'Olimpo dalla madre, che lo aveva appena partorito, a gara con Zeus che aveva avuto Athena dalla testa. Forse non le era sembrato abbastanza bello, oppure a gettarlo dall‘Olimpo era stato Zeus, irato perché Hera lo aveva fatto senza di lui. Nella caduta Hefestos si ruppe le gambe e il dio, che zoppicava da entrambi i lati, fu accolto nell'isola di Lemno, in Grecia, o nelle isole della Sicilia, o sull'Etna, dove accanto ai vulcani viveva come signore dei metalli sotterranei e del fuoco col quale operava la fusione. I Ciclopi, suoi compagni o suoi figli, lo aiutavano. A lui si rivolgevano gli dei per ottenere gioelli, armi prodigiosamente belle e forti e catene visibili e invisibili, che nessuno poteva spezzare, come quelle che legavano Prometeo nei sotterranei infernali.

La dea sposa Hera, regina del mondo col re Zeus, come Terra era regina col sovrano Cielo e Fluente con Tempo, bilancia con la generazione di Hefestos il potere maschile, reso saldo dall'incorporazione di Métis, figura dell'intelligenza più potente: da Métis incorporata per sempre da Zeus, che resta attiva dentro di lui per indicargli il bene e il male, è originata Athena.
Zeus quindi assume prerogative femminili, portando a termine la gestazione e il parto dalla propria testa. Hera risponde con Hefestos, che in Atene era associato nel culto ad Athena: coppia di artefici che insegnano all'uomo a domare con la cultura e l'arte della tecnica la condizione primitiva. Se ricordiamo che Hefestos aiuta con la sua ascia il parto di Zeus, innaturale, come un parto reso possibile solo dal chirurgo, possiamo cogliere in Hefestos il significato del maschile espresso dalla regina, come Athena è il femminile espresso dal re. La successione delle nascite degli dei raccontata nella Teogonia è anche storia del succedersi di rappresentazioni della potenza chiusa nell'immenso seno della Terra, di cui ogni sua discendente eredita il senso, assumendone sì un aspetto particolare, ma mantenendone il segreto: dare alla luce le creature e nutrirle. I Centimani e i Ciclopi chiusi nel seno della Terra dal Cielo che non vuole successori, il duro e grigio adamante che, fabbro di se stessa, Terra trae dal suo seno per forgiare la falce con la quale arma Tempo in agguato al fallo paterno, e poi i Ciclopi, Bronte, Sterope e Arge, che uscendo da questo orrido e annodato seno materno portano a Zeus se stessi, Tuono, Folgore e Lampo, e alla fine il terrificante e quasi onnipotente Tifeo, generato dall'unione fra Terra e Tartaro Inferno, del quale restano, dopo che è stato imprigionato nella terra madre, i venti violenti e le eruzioni vulcaniche, fino ad oggi: è una mirabile catena di senso che rappresenta la ripetuta rimozione di questa forza, il continuo ritorno del rimosso, e la formazione di compromesso, quando Zeus ottiene le sue armi invincibili facendo tornare alla luce Tuono, Folgore e Lampo. In questa continua competizione per il potere tra femminile e maschile, che inscena la matrice mitica del patriarcato, e quindi della civiltà occidentale, greca, ebraica, alessandrina, romana, cristiana, islamica, i cui antecedenti sono facilmente riconoscibili nella mitologia che era la religione degli antichi egizi, la nascita di Hefestos significa la possibilità di un'arte. Segna un momento di cultura, di civiltà, essendo un'arte e al tempo stesso una tecnica, per lavorare ciò che la Terra madre tiene in seno, estraendolo, forgiandolo, col fuoco, senza competere con la sua potenza, perché Hefestos come serve Zeus serve la sua sposa Hera, come quando su sua richiesta salva Achille bruciando i fiumi di Troia che stavano annegando l'eroe. Il senso dell'andatura oscillante di Hefestos, la sua doppia zoppìa: andatura incerta, come il procedere dell'essere umano nella scienza e nella vita, diversa dalla perfetta bellezza degli dei celesti, ma altrettanto preziosa, divina. Il dio fabbro Hefestos, ha in sposa Afrodite: nato senza padre dalla dea regina, compagno di civilizzazione per gli uomini, è lo sposo della dea nata senza madre dal fallo del Cielo, principio dell'unione amorosa generativa. Rispetto al tradimento di Afrodite con Ares, bellissimo guerriero, la sua arte conferisce a Hefestos una dignità che rimanda alla potenza misteriosa del legame con la più affascinante delle dee.

Il Sole svelò a Hefestos che Afrodite e Ares si incontravano nel suo letto matrimoniale, e il divino fabbro forgiò catene invincibili e invisibili, le tese coma una ragnatela intorno al talamo, e poi finse di andare a Lemno.

Appena seppe che Hefestos lasciava la casa, Ares corse a visitare Afrodite: 

E nella trappola entrati, si stesero; e intorno ricaddero
l
e ingegnose catene dell'abilissimo Hefestos:
non potevan più muovere né alzare le membra,
ma lo capirono solo quando non c'era più scampo.
E fu loro addosso lo Zoppo glorioso, tornato
subito indietro, prima di raggiungere Lemno,
ché il Sole montava la guardia e gli fece la spia:
e lui corse a casa, afflitto nel cuore,
e si fermò sotto il portico: l'ira lo dominava, selvaggia.
Paurosamente gridò, e tutti i numi raggiunse...
(Odissea 2, VIII, vv. 296-305)

Hefestos irato chiese a Zeus che gli restituisse i doni che aveva pagato per Afrodite, sposa bellissima ma spudorata. Tutti gli dei accorsi nel portico della casa contemplavano ammirati la nudità di Afrodite incatenata ad Ares nell'abbraccio, la loro inutile vergogna, e la geniale trappola di Hefestos. Apollo chiese a Hermes se gli sarebbe piaciuto essere al posto di Ares, e il messaggero degli dei rispose:

Potesse questo avvenire, sovrano lungisaettante Apollo,
catene tre volte più grosse, infinite, mi tenessero avvinto,
e tutti veniste a vedermi, voi dèi, e poi anche le dee:
io dormirei volentieri con la dorata Afrodite!
(Ivi, vv. 339-342)

Solo quando Poseidon dichiara che risarcirà il dio fabbro di tutti i doni di nozze, Hefestos scioglie le catene e i due amanti si dileguano fuggendo in direzioni opposte. La doppia zoppìa di Hefestos riguarda il suo appellativo amfigyèis, composto da amfi-, doppio, e -ghyes, che significa pezzo, membro, da cui il nome di Membruto (Gige, o Ghyghe) uno dei Centimani.
L'aggettivo greco gyos significa storpio, zoppo, dal nome gyon, che significa membro. Pavese traduce l'appellativo di Hefestos prima come ambimembro (vv. 571 e 579) poi come ambozoppo (v. 945).
Il racconto diffuso fra i greci e trasmesso fino a noi, della doppia zoppìa di Hefestos, può rivelare il significato originario dell'appellativo, costituendone una copertura, non meno che un indizio del significato rimosso, disponibile per chi voglia cercarlo fin dalle pagine di un comune dizionario. L'eroe tragico per eccellenza, col quale in psicoanalisi si nomina la pietra angolare della vicenda psichica, porta nel suo nome la stessa zoppìa del divino fabbro: Edipo, Oidipus, significa Piedi gonfi.
Si racconta che i piedi di Edipo neonato furono forati per farci passare un laccio e appenderlo a un albero, oppure che Laio ordinò che a suo figlio fossero feriti i piedi prima di abbandonarlo, perché nessuno avesse voglia di raccoglierlo. Il piede nel simbolismo dei sogni e del feticismo allude al membro maschile, e alla potenza fallica: prima ancora significa la potenza sessuale intatta nel linguaggio comune, quando di qualcuno che si è felicemente legato in una relazione sentimentale, uomo o donna, si dice che ha trovato la scarpa per il suo piede. Il piede gonfio quindi può significare un'erezione quasi illimitata, e di fatto Edipo, senza limite al suo desiderio inconscio, uccide il padre e si unisce alla madre. L'epiteto di Hefestos arriva quasi intatto fino ad oggi: ambiguo, vale a dire oscillante, vuol dire non coerente, imperfettamente significante e quindi zoppo, ma anche doppiamente sensato, dotato di doppio senso. Ciò che ha un doppio senso è incerto: Hefestos amfigyeis può essere contemporaneamente sia superdotato, con un doppio membro, o strumento, sia doppiamente zoppo, oscillante, incerto. Ben comprensibile che tocchi a lui come sposa Afrodite Falloamante. Essendo Hefestos il dio metallurgo e l'inventore di tecniche di civilizzazione, può essere accostato ad altri eroi analoghi, uno fra tutti il trickster, o briccone divino, degli indiani americani: ha un pene che può estendersi illimitatamente, fino a fecondare la figlia del capo al di là di un fiume, e che, se viene tagliato, dà origine a fiori e frutti essenziali alla vita della tribù.
(Radin P., Jung C.G., Kerényi K., Il briccone divino ctrl).
L'oscillazione del membro di Hefestos rimanda all'epiteto di Cronos, che poi sarà di Prometeo e di Ulisse: anchylometis, dotato di una mente angolosa, serpeggiante, sinuosa: il procedere non rettilineo del pensiero è prezioso come l'andatura oscillante del divino fabbro artefice, Hefestos. Nel greco antico ghyes ha il significato di pezzo, attrezzo, membro, e anche in italiano attrezzo vale anche come pene e come strumento tecnico, dell'artefice. Lo strumento, dal martello del falegname al vomere dell'agricoltore alla pinza del fabbro è una proiezione nello spazio dell'arto umano e della sua azione che prende o colpisce o incide: il suo legame con il genitale che aumenta di volume e consistenza, è talmente evidente da essere al tempo stesso misconosciuta e sempre presente. L'efficacia del pensatore - anchylometis - e del fabbro (artefice, demiurgo, artigiano) - amfigyeis - non è in una perfezione, in un movimento retto e armonico, di padroneggiamento, ma in un movimento che torna su se stesso, descrivendo curve e angoli, e in un'andatura zoppicante. Anche quando riconosceva di aver presentato argomentazioni incomplete e lacunose, Freud non rinunciava a procedere nella sua ricerca, e scriveva nel 1920:

Del resto possiamo consolarci per i lenti progressi della nostra conoscenza scientifica con le parole di un poeta: Ciò che non si può raggiungere a volo, occorre raggiungerlo zoppicando ... La Scrittura dice che zoppicare non è una colpa. (Sigmund Freud, Al di là del principio di piacere, OSF IX, p. 248). 


HEPTAPOROS divinità e fiume (pr. Heptapòros). Figlio di Ostrica e Oceano, 541.

HERA (lat. Iuno, Giunone) divinità, cronide. Dai calzari d'oro, celebrata dalle Muse, 19; dalle candide braccia, persecutrice di Heracles, 501; nutrice del terribile leone Nemeo, 521; figlia di Fluente e di Cronos, 721; sposa di Zeus, col quale genera Giovinezza, Ares e Soccorrente, 1453; genitrice unica di Hefestos, in competizione con Zeus, dalla cui testa era nata Athena, 1462; madre di Giovinezza, 1503.

Protettrice dell'unione matrimoniale e delle spose fedeli, gelosa e persecutrice delle rivali, soccorrevole nei parti; la dea era implacabile persecutrici di tutte le amanti di Zeus e dei figli che generavano con lui, anzitutto di Heracles. Quando era innamorato di Io, per nasconderla dalla collera di Hera Zeus la trasformò in una giovenca, ma Hera riuscì a prenderla e la diede da custodire ad Argo, che aveva cento occhi, e ne teneva cinquanta aperti mentre a gli altri cinquanta erano chiusi nel sonno.
Per liberare la sua amante, Zeus inviò Hermes, che si mise a suonare la siringa per Argo, raccontandogli la storia di Dafne e Siringa. A un certo punto Hermes:

		                                           [V]ide che tutti
d'Argo dormivano gli occhi coperti dal velo del sonno.
Subito tace, ne aggrava il sopor con la magica verga
accarezzandogli i lumi che languono profondamente.
Poi con la spada falcata, mentre Argo vacilla, la testa
staccagli dove s'unisce alla nuca, e la gitta cruenta
giù dalla rupe scoscesa, che tinse di gocce sanguigne.
Argo, tu giaci disteso; e la luce, che dentro tant'occhi
ti scintillava una volta, s'è spenta del tutto! La notte,
unica notte perenne ricopre i tuoi occhi infiniti!
Ma li raccoglie Giunone e li colloca sovra le penne
del suo pavone, a cui empie la coda di gemme stellanti.
(Metamorfosi, I, vv. 714-723).

La coppia legittima dei sovrani degli dei e degli uomini anticipa e riassume le contraddizioni del matrimonio nella cultura patriarcale che ha nella antica Grecia la sua sorgente. Tradimenti di Zeus, liti continue e rivalità incessante si rappresentano in questo episodio, nato nei piaceri della loro alcova: un giorno Zeus, inebriato di nettare, disse ad Hera che il piacere delle femmine era maggiore di quello dei maschi. Hera affermava il contrario, e fu chiamato a dirimere la questione Tiresia, un essere umano che aveva sperimentato sia la condizione di femmina che quella di maschio. Quando in un bosco aveva percosso col bastone due serpenti avvinghiati nell'amore, era diventato femmina, e solo sette anni dopo, rivedendo due serpenti accoppiati e percuotendoli nuovamente, si era ritrasformato in uomo. Tiresia disse che Zeus aveva ragione, ed Hera, per vendicarsi del segreto che aveva rivelato, gli tolse la vista. Vi sono segreti riguardo al piacere che devono restare tali: per questo Tiresia, che aveva visto e rivelato troppo, fu condannato a non vedere altro. Ma Zeus concesse a Tiresia, che aveva visto ciò che resta invisibile agli uomini, il dono della profezia, consentendogli di conoscere i segreti celati a tutti gli altri.




HERACLES semidio. Anfitrionide, figlio di Anfitrione. Vincitore di Urlante, 463; perseguitato da Hera, uccide l'Hydra di Lerna, 502, 504; uccide il Leone Nemeo, 527; libera Prometeo e accresce la sua fama, 839, 845; Alcmena lo concepisce con Zeus, 1487; divenuto immortale, sposa Giovinezza, ha compiuto l'opera grande 1500.

E' chiamato Anfitrionide perché Anfitrione era il re sposo di sua madre Alcmena, che aveva concepito l'eroe con Zeus credendolo suo marito, di cui aveva preso le forme. Nacque insieme a Euristeo, vero figlio di Anfitrione, e nella culla strozzò due serpenti mandati da Hera, che, gelosa di Zeus, lo perseguitò per tutta la vita. Heracles è l'eroe della forza essere umano che sconfigge e uccide i mostri, rendendo migliore la vita sulla terra; come i massimi eroi, Heracles visitò anche il regno dei morti; dovette compiere dodici mitiche fatiche.

Heracles d'animo vigoroso, di grande forza, prode Titano,
dalle mani potenti, indomito, ricco di fatiche gagliarde,
[...]
che per i mortali hai dato la caccia e posto fine alle specie feroci,
desiderando la pace che nutre i giovani, splendidamente onorata
[...]
che intorno al capo porti l'aurora e la nera notte,
passando attraverso dodici lotte da oriente a occidente,
immortale, esperto, infinito, incrollabile...
(Inni orfici, 12 profumo di Heracles, incenso).

Heracles è il più grande degli eroi civilizzatori, che bonificano il mondo dai resti ambigui e primitivi, rendendolo abitabile dagli esseri umani. Le dodici fatiche di Heracles sono state associate ai dodici segni dello zodiaco, rappresentando un ciclo concluso di lotte durissime che come i dodici mesi si ripete ogni anno: nella vita dell'uomo è necessario combattere per difendere la civiltà con i suoi frutti preziosi e fragili dai mostri che la minacciano di distruzione. L'opera grande (mèga èrgon) compiuta da Heracles può significare l'opus magnum alchemico, che è rappresentato dal cerchio completo dello Zodiaco, al cui compimento si consegue la trasformazione della materia vile in oro inalterabile, come vittoria sulla morte, sulla malattia e sulla vecchiaia.

* Anfitrione, ospite perché il re aveva ospitato, per quanto senza averlo deciso, Zeus; la parola sosia è legata a questa storia, perché era il servitore del re ed Hermes prese la sua forma per aiutare Zeus nell'impresa amorosa.


HERMES (lat. Mercurius, Mercurio) dio, figlio di Zeus e Maia. Con Hecate fa prosperare o deperire le greggi, 703; figlio di Maia e Zeus, messaggero degli dei, 1481.

La funzione del dio è nel suo nome, che significa interprete e messaggero. Hermes portava agli uomini e agli dei i messaggi divini, e come interprete fra diversi mondi aveva la prerogativa di guidare le anime, sia quelle dei morti, verso i sotterranei infernali, sia dal regno di Hades verso una nuova vita. Dio della comunicazione tra mondi diversi, fra differenti piani di esistenza, Hermes è il signore degli scambi, anzitutto della parola, del linguaggio, quindi del commercio, che spinge gli uomini a incontrarsi e intraprendere viaggi, e anche dei ladri, che operano un passaggio di proprietà al di fuori della legge. Il nome latino Mercurio, secondo un'antica etimologia, sarebbe derivato dalla stessa parola dalla quale viene l'italiano merce. Signore delle trasformazioni, Hermes porta il caduceo, una verga attorno alla quale si intrecciano due serpenti, simbolo di guarigione, che tutt'ora è emblema dell'arte dei medici e dei farmacisti (per il doppio valore del farmakon, vedi Apollo). Il suo copricapo, il petaso, e i suoi calzari, sono alati, come gli angeli, che sono per il cristianesimo messaggeri fra cielo e terra, dal greco anghelos, messaggero. Hermes nacque in una grotta, e la sua irresistibile mobilità si manifestò immediatamente:

Nato all'aurora, a mezzogiorno suonava la lira,
e dopo il tramonto rubò le vacche di Apollo arciere.
(Inno omerico a Hermes, vv. 17-18)


Appena nato dunque se ne andò a vedere il mondo, e la prima creatura che vide fu una tartaruga: siccome gli piacque moltissimo, disse che sarebbe stata per sempre il suo portafortuna, e che da morta avrebbe cantato a meraviglia.

                             ...Così disse, e, sollevatala a due mani,
subito si diresse dentro la casa, portando l'amabile giocattolo.
Poi, spingendo con una lama di grigio ferro,
estrasse la polpa della tartaruga abitatrice dei monti.
Come quando un rapido pensiero attraversa l'animo
di un uomo che travagliano numerosi affanni,
o quando balena dagli occhi la luce dello sguardo,
così il glorioso Hermes pensava insieme le parole e gli atti.
Tagliati nella giusta misura steli di canna, li infisse
nel guscio della tartaruga, perforandone il dorso.
Poi, con la sua accortezza, tese tutt'intorno una pelle di bue;
fissò due bracci, li congiunse con una traversa,
e tese sette corde di minugia di pecora, in armonia fra loro.
E quando l'ebbe costruito, reggendo l'amabile giocattolo,
col plettro ne saggiò le corde, una dopo l'altra: quello sotto la sua mano
diede un suono prodigioso, e il dio lo seguiva col suo dolce canto
cimentandosi nell'improvvisare, così come i giovani,
in festa, durante i banchetti, si sfidano con strofe pungenti:
cantava di Zeus Cronide e di Maia dai bei calzari,
come un tempo s‘incontravano nell'amplesso amoroso,
e così celebrava la propria nobile stirpe
[...]
E mentre cantava, già nella sua mente meditava altre imprese.
(Ivi, pp. 39-63).

Mise la lira nella sua culla e, siccome gli era venuta voglia di mangiare della buona carne, andò a rubare cinquanta capi di bestiame da una mandria affidata al dio Apollo, e per confondere le orme fece camminare le vacche all'indietro, mentre si mise ai piedi dei sandali fatti di rami intrecciati con tutte le foglie, perché nessuno potesse riconoscere le sue tracce. Portò gli animali in una stalla, ne uccise due, li squartò, li scuoiò, distrusse le teste e gli zoccoli, e appese in alto carni e grasso, resistendo alla voglia di mangiarne: alla fine gettò i sandali di rami intrecciati nel fiume Alfeo.

Subito dopo raggiunse le vette divine di Cillene,
all'alba: e non gli si fece incontro nel lungo cammino
nessuno degli dei beati, o degli uomini mortali,
né abbaiarono i cani: il veloce Hermes, figlio di Zeus,
rannicchiandosi, passò attraverso la serratura della sala,
simile alla brezza d'estate, come la nebbia.
Speditamente giunse al pingue penetrale della grotta,
muovendo con passo leggero; né faceva rumore, come accade toccando il suolo.
Senza indugio il glorioso Hermes entrò nella culla:
con le fasce avvolte intorno alle spalle, come un bambino ancora infante,
stringendo fra le mani la coperta che aveva sulle ginocchia e trastullandosi con essa,
giaceva; e a sinistra teneva l'amabile tartaruga.
(Ivi, vv. 142-153)

Quando la madre Maia lo rimproverò, chiedendogli come pensasse di farla franca con Apollo, le rispose che grazie alla sua arte avrebbe conquistato per entrambi un posto accanto agli dei immortali: se poi Apollo gli avesse dato la caccia, lui sarebbe andato al santuario di Pito, e gli avrebbe rubato tutti i suoi tesori. Intanto Apollo, seguendo ammirato dalle tracce confuse, grazie alle informazioni di un viandante arrivò fino alla grotta del nuovo dio:

Hermes, vedendo l'arciere, tentò di nascondersi;
in breve spazio raggomitolò la testa, le mani e i piedi,
come un bambino appena lavato, che chiama il dolce sonno:
in realtà era ben sveglio, e teneva la lira sotto l'ascella.
(Ivi, vv. 239-241)

Ma Apollo gli disse:

- Bambino che giaci nella culla, dimmi dove sono le vacche,
e subito: poiché altrimenti noi due, fra poco, verremo alle brutte.
Io ti acciufferò, e ti getterò nel Tartaro oscuro,
nella tenebra funesta e senza scampo.
(Ivi, vv. 254-257)


Hermes negò di aver mai visteo gli animali di cui parlava, protestando che l'accusa era assurda: quando mai si è visto un neonato rubare delle vacche? Ma Apollo sorridendo lo salutò come re degli imbroglioni e dei ladri, prevedendo che avrebbe lasciato molti uomini privi dei loro beni, e molti pastori disperati per la perdita degli animali. Poi tirò fuori Hermes dalla culla e lo portò con sé perché gli mostrasse dove aveva nascosto il bestiame, ma Hermes non ammetteva il furto. Finalmente giunsero alla presenza del padre Zeus, e tutti gli dei accorsero per vedere quel dio neonato che Apollo non riusciva a far confessare. Hermes protestò:

O padre Zeus, certo io ti dirò la verità:
sincero, infatti, io sono, e non so mentire.
È venuto alla mia casa cercando le vacche dal passo strascicato
[...]
Mi ordinava d'informarlo, con molta prepotenza,
e più volte minacciava di gettarmi nel vasto Tartaro:
perché lui ha già raggiunto il fresco fiore della fulgida giovinezza,
io, invece, sono nato ieri - e questo lo sa anche lui -
e non somiglio a un ladro di buoi, uomo vigoroso.
(Ivi, vv. 368-370 e 373-377)

Giurando che non aveva portato le vacche a casa sua, e stringendosi nelle fasce, chiese protezione al padre Zeus, ma allo stesso tempo disse che si sarebbe vendicato di Apollo, appena fosse cresciuto. Zeus scoppiò a ridere e ordinò che tornassero insieme a cercare le vacche. Quando finalmente le trovarono, Apollo vide che due erano state sgozzate, squartate e scuoiate, e, meravigliato per la straordinaria forza del bambino, decise di legarlo, perché lo trovava troppo pericoloso. Ma i rami di vimini con cui lo stava legando si mossero, crebbero e misero radici, contornando le vacche e fissandole al terreno. Mentre Apollo era stupefatto, Hermes guardava a terra,

                ... ansioso di nascondere;
la fiamma scintillante del suo sguardo.
(Ivi, vv. 415-416)


Allora Hermes prese lo strumento musicale che aveva inventato, il primo del mondo, e cominciò a suonare, rasserenando Apollo, che sorrise, sentendo il suo animo e il suo cuore colmarsi di dolcezza, per l'armonia con la quale Hermes cantava e suonava:

[C]elebrando gli dei immortali e la terra tenebrosa:
come, al principio dei tempi, ebbero origine,
e come ciascuno ottenne la sua parte.
Al primo posto fra tutti gli dei esaltava col canto Mnemosine,
la madre delle Muse: a lei infatti apparteneva il figlio di Maia.
(Ivi, vv. 427-430)

Apollo, innamorato dello strumento che Hermes aveva inventato, disse che né lui né le Muse avevano mai avuto un oggetto così bello, capace di dare contemporaneamente

... la gioia, l'amore, e il dolce sonno.
(Ivi, v. 449).

Se Hermes glielo avesse dato, propose Apollo, non solo avrebbe potuto tenere le cinquanta vacche, ma avrebbe ottenuto grazie alla sua intercessione un posto per sé e uno per la madre Maia accanto agli immortali, e molti ricchissimi doni. Hermes accettò, e concluso questo patto fu per sempre amico e alleato di Apollo.
Il dio Hermes ebbe grande importanza nel Rinascimento, quando fu collegato al mitico saggio dell'antico Egitto Ermete Trimegisto, figura di massima sapienza e saggezza, capace di creare un collegamento fra gli uomini e Dio.

Anche Hermes abita nelle case dei mortali, anzi, come gli dice Zeus nell'Iliade «più di tutti gli dèi tu ami far da compagno a un mortale.» Ma vi abita come angelos, il messaggero, come chi è pronto a ripartire. «Non c'è niente, in lui, di fisso, di stabile, di permanente, di circoscritto, né di chiuso. Egli rappresenta, nello spazio e nel mondo umano, il movimento, il passaggio, il mutamento di stato, le transizioni, i contatti tra elementi estranei. Nella casa, ... , protegge la soglia, respinge i ladri perché è lui stesso il Ladro [...], per il quale non esistono né serrature, né recinto, né confine.» Presente alle porte delle città, ai confini degli stati, agli incroci delle vie, sulle tombe, che sono le porte del mondo infernale. Egli è presente ovunque gli uomini, fuori della loro casa privata, entrano in contatto per lo scambio -- nelle discussioni e nel commercio --, o per la competizione, come nello stadio. Banditore, dio errante, padrone delle strade, sulla terra e verso la terra; introduce una dopo l'altra le stagioni, fa passare dalla veglia al sonno, dal sonno alla veglia, dalla vita alla morte. Hermes è quindi inafferrabile, ubiquitario. Quando una conversazione cade subitamente e subentra il silenzio, il Greco dice: «Passa Hermes». (Questa espressione del resto sopravvive anche oggi; nei paesi anglofoni quando la conversazione cade si dice «an angel passes».) Hermes porta una bacchetta magica che cambia tutto ciò che egli tocca. È anche ciò che non si può prevedere né trattenere, il fortuito, la buona o la cattiva sorte, l'incontro imprevisto, e anche il felice ritrovamento casuale. (Sergio Benvenuto, Hestia-Hermes)

* Ermeneutica, arte dell'interpretazione; ermetica, la perfetta chiusura di un vaso che ne isola il contenuto dalla distruzione: questo nome viene dal vas hermeticum nel quale gli alchimisti tentavano la trasformazione in oro di tutti i metalli; ermetico, stile espressivo, in particolare in poesia, nel quale il significato è come chiuso dentro ai versi, non facile da comprendere. 



HESPERIDI divinità. Figlie della sola Notte, custodi delle mele d'oro e degli alberi sempre carichi di frutti, hanno voci che risuonano altissime, 353, 442, 823.

Significa Occidentali il nome delle figlie della Notte che custodivano le mele d'oro ai confini dell'Oceano, dove il sole tramonta, frutti magici che tanti eroi del mito e tanti principi delle fiabe cercano di ottenere: crescono in sotterranei o in reami lontanissimi, comunque difficili da raggiungere, ottenibili solo a costo di grandi rischi e non senza un aiuto magico. Nella mitologia greca la mela d'oro più ricordata è quella che Discordia gettò sul tavolo dove gli dei, che non l'avevano invitata, banchettavano per le nozze di Thetis e Peleos. Sulla mela era incisa una dedica, alla più bella, e la contesa per averla, fra Athena, Hera e Afrodite, provocò la guerra di Troia.

Fra i giardini magici del mito e della fiaba, ricordiamo quello visitato da Aladino, che vi scende per ordine del mago, il quale conta di sfruttarlo per ottenere la lampada meravigliosa: prima di arrivare alla lampada Aladino vede alberi dai quali pendono frutti che sono pietre preziose scintillanti di luci multicolori. Nel giardino dai frutti meravigliosi dove l'uomo sta prima della nascita, come Adamo ed Eva nell'Eden, tutti i bisogni e i desideri sono appagati, senza fatica, senza dolore, senza vecchiaia e senza morte. In tutte le storie l'essere umano infrange il tabù che la divinità, o il maître, gli ha posto come condizione per godere del giardino, e venendone cacciato diventa mortale e conosce la fatica, ma anche l'avvicendarsi delle generazioni che formano la sua storia. Il giardino dove il piacere dell'essere è totale resta il suo sogno, e viene rappresentato come Paradiso, dono divino per chi lo merita in vita. I frutti d'oro all'estremo Occidente possono rappresentare la mitica traccia di luce lasciata dal Sole prima della notte, significando quindi l'immortalità: non possono essere che un frutto proibito agli uomini. Allo stesso tempo il frutto significa la sessualità, e di fatto i genitali maschili e femminili sono nominati spesso come frutti: fiori e frutti degli esseri umani sono i figli. L'essere umano può abitare il futuro solo immaginando i suoi discendenti, le generazioni che vivranno dopo la sua morte. Dalla parola greca melon, malon, derivano il latino malum e l'italiano mela, melone, e, come il latino pomum, malon significa frutto.
Alla forma dorata del mitico frutto del pomario delle Hesperidi somiglia l'arancia, come un piccolo sole, e per questo è raffigurato un aranceto dietro a Venere nella Primavera di Botticelli. Il nome del frutto d'oro è stato dato all'ortaggio del Nuovo Mondo, o Indie Occidentali, rosso come il sole al tramonto, che rivoluzionò la nostra cucina: il prezioso pomodoro. Hanno la stessa origine del nome delle guardiane occidentali dalle altissime voci le nostre parole Espero, Vespri, Vespero, vespertino.



HIMEROS v. DESIDERIO


HYDRA (gr. Ydre) divinità mostruosa. Figlia di Vipera e Tifone, nutrice di Hera, vinta e uccisa da Heracles, 499.

L'Hydra viveva nelle paludi di Lerna, e si diceva che avesse sette, nove o anche cento teste di serpente, con le quali divorava uomini e animali, causando morte e desolazione. Accompagnato da Iolao, Heracles andò ad affrontarla, e mentre l'Hydra si attorcigliava intorno alle sue gambe tagliava le sue teste con una falce. Quando si accorse che per ogni testa che tagliava ne ricrescevano due, un granchio gigantesco alleato dell'Hydra gli arrivò alle spalle: Heracles uccise il granchio con la clava, e chiese aiuto a Iolao. Allora l'amico incendiò le foreste circostanti, e portò a Heracles dei tronchi accesi con i quali l'eroe bruciò alla base le teste mano a mano che le tagliava, perché non ricrescessero. Siccome la testa di mezzo era immortale, Heracles la seppellì e vi pose sopra una grossa pietra. Il sangue dell'Hydra era tanto velenoso che ne bastava una goccia per rendere le ferite non rimarginabili. Heracles vi intinse le sue frecce, e con una di queste colpì Nesso. Nesso prima di morire vi intinse la sua camicia e la diede a Deianira dicendole che avrebbe potuto usarla per ottenere la fedeltà di Heracles, ma quando Deianira, temendo di essere tradita, gliela fece indossare, Heracles morì avvelenato. 





HYPERION dio titano. Figlio di Terra e Cielo, 222; congiunto amorosamente con la sorella Divina genera il Sole, la Luna e l'Aurora, 584; padre del Sole, a sua volta padre di Circe, 1596.

Per la splendente bellezza dei suoi figli, Hyperion fu tanto invidiato che i suoi fratelli titani cercarono di annegare nel Po Eridano il Sole suo figlio, quando ancora era bambino.

*Il nome del padre del Sole viene da iper, sopra, e iòn, andante: colui che va al di sopra. Iperico, pianta officinale di color giallo intenso.



HYPERIONIDE v. SOLE

HYPNOS v. SONNO



I



IANEIRA divinità, oceanina (pr. Ianèira). Figlia di Ostrica e Oceano, 558.
* Gennaio, Rio de Janeiro.

IANTE v. VIOLA


IDA monte vicino a Troia. Vicino a questo monte Afrodite genera Enea con Anchise, 1596.

IDIA v. SAPIA

ILITIA v. SOCCORRENTE

ILLEGALITÀ (gr. Dysnomie, Disnomia) dea. Figlia della sola Discordia, sorella e compagna della Voracità, 374.


INDOMITA (gr. Admete) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 551.


INFALLIBILE (gr. Nemertes, Nemerte) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, dalla mente perfetta come il padre, 416.


INFERNO v. TARTARO INFERNO


INO essere umano. Figlia di Armonia e Cadmo, 1539.

Sposa del re di Tebe Atamante, dal quale ebbe Learco e Melicerto, Ino odiava i due figli di primo letto del marito, perché avrebbero ereditato il regno invece dei suoi. Decisa a farli morire avvelenò le riserve di grano provocando una terribile carestia nel popolo tebano. I sacerdoti corrotti da Ino dissero che il solo modo di farla cessare era di sacrificare i figli di Atamante. Ma i due principi riuscirono a fuggire, e il re scoprì la crudeltà della sua sposa.
Allora uccise Learco e inseguì la sposa e l'altro figlio fino al mare, dove Ino e Melicerto si gettarono morendo. Secondo un altro racconto il crimine di Atamante sarebbe dipeso da una follia indotta da Hera, che, non contenta di aver provocato la morte di Semele, con la quale Zeus aveva avuto Dionisos, volle vendicarsi anche di Ino che aveva cresciuto il dio. Così fece impazzire Atamante, che, credendo che il suo palazzo fosse una foresta, e i suoi figli e la sposa bestie feroci, schiacciò Learco, e inseguì la sposa con l'altro figlio. Anche in questo mito Ino atterrita si gettò in mare col bambino, ma si racconta che Tuttovedente con le sorelle Nereidi prese la madre e il figlio fra le braccia e li portò in Italia senza mai emergere dal mare. Finalmente Ino e Melicerto divennero per volontà di Poseidon divinità marine.


INQUIETUDINE (gr. Oizis, lat. Ærumna) dea. Figlia della sola Notte e sorella di Sarcasmo, 352

Veniva rappresentata come una donna dal passo incerto, vestita di una stoffa cangiante, e portava in una mano la clessidra, a significare la regola, e nell'altra mano una banderuola, come segno della variabilità. Si racconta che Inquietudine in riva a un fiume trovò dell'argilla, e plasmò una figura con due piedi, due braccia e una testa. Zeus capitò da quelle parti, e quando la figlia della Notte gli chiese di dare vita alla sua creatura, la esaudì. Quando Inquietudine volle dare il suo nome al nuovo essere, Zeus si oppose, vantando il diritto a dargli il proprio, e anche la Terra entrò in gara per dare il suo nome. Cronos, chiamato a dirimere la contesa, assegnò alla Terra, che aveva fornito la materia, questo diritto, e il nuovo essere si chiamò uomo, homo in latino, da humus, fango. Siccome Zeus, sovrano degli esseri mortali e immortali, gli aveva infuso lo spirito, Cronos diede allo spirito dell'uomo la prerogativa di regnare sul corpo, e all'Inquietudine, che lo aveva formato, diede il diritto di impadronirsi in qualunque momento dello spirito dell'uomo.


INSAZIABILITÀ v. VORACITÀ

INSULARE (gr. Nesaie, Neseia) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 399.


IOLAO essere umano. Guerriero fortissimo, compagno di Heracles nell'uccisione dell'Hydra di Lerna, 506

Era amico fedele di Heracles, e combattè al suo fianco in diverse fatiche: gli veniva tributato un culto per la purezza e la costanza dell' amicizia. Quando Heracles morì, gli toccò l'onore di preparare il rogo per i suoi resti, ma non volle accenderlo. Ormai vecchissimo, Iolao si mise alla testa degli Eraclidi e si recò ad Atene, dove chiese il comando dell'esercito ateniese per combattere Euristeo, il fratellastro di Heracles che gli aveva ordinato le dodici fatiche. Ma indossando l'armatura Iolao, troppo vecchio, si piegò sotto il peso, e dovettero sorreggerlo fino al campo di battaglia. Allora Iolao chiese agli dei che gli concedessero, solo per quel giorno, la forza che aveva da giovane: in un istante si videro due stelle fermarsi sul carro di Iolao, che subito fu avvolto da una nube densa. Quando la nube si dissipò, Iolao era diritto e forte come da giovane: così condusse l'esercito alla vittoria, uccidendo di sua mano Euristeo. Le due stelle non erano altri che Heracles e la sua sposa Ebe.



IOLCO città greca. In Tessaglia, patria di Giasone, 1575. Iolco, Grecia.


IPPO v. CAVALLA


IPPONOE v. PENSIEROCAVALCANTE


IPPOTHOE v. VELOCECAVALCANTE


IRENE v. PACE


IRIDE v. ARCOBALENO


ISMINE v. RISSE


ISOLA (gr. Neso) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 415.

          *Dodecaneso, gruppo di dodici e più isole.


ISPIRAZIONE (gr. Foibe, Febe) dea, Titanide. Figlia di Terra e Cielo, 224; congiunta amorosamente col fratello Coios genera Occulta e Stella, 638.


ISTRO v. DANUBIO ISTRO




J






K





L




LACHESIS dea, una delle tre Fate Nere (pr. Làchesis). Figlia della sola Notte 356; figlia di Norma e Zeus, 1428.

Con le sorelle Atropos e Clothos decide il destino degli esseri umani, avvolgendo sul fuso il filo della vita.

Quando Lachesis non ha più del lino,
solvesi da la carne...
(Divina Commedia, II, XXV, 79-80)

Il fuso di Lachesis rimanda al fatale fuso della fiaba della Bella Addormentata nel bosco, che, per la maledizione di una fata, cade in un sonno simile alla morte, analogo a quello degli dei spergiuri, proprio pungendosi con un fuso. Nella Repubblica di Platone Lachesis si trova agli Inferi, e ammonisce le anime:

Parole della vergine Lachesi sorella di AnankeAnime dall'effimera esistenza corporea, incomincia per voi un altro periodo di generazione mortale, preludio a una nuova morte. Non sarà un dèmone a scegliere voi, ma sarete voi a scegliervi il dèmone. Il primo che la sorte designi scelga per primo la vita cui sarà poi indissolubilmente legato. La virtù non ha padrone; secondo che la si onori o la si spregi, ciascuno ne avrà più o meno. La responsabilità è di chi sceglie, il dio non è responsabile. (Platone, Repubblica, 617d).





            
LADONE divinità e fiume. Figlio di Ostrica e Oceano, 544 (pr. Ladòne).

Si racconta che questo fiume dell'Arcadia era padre delle bellissime ninfe Dafne e Siringa. Dafne era inseguita dal dio Apollo, quando giunse correndo sulle rive del Ladone, e si rivolse a lui:

- Padre, m'aiuta -, esclamando; - e i fiumi han potere divino!
Mutami e toglimi questa figura, onde fui troppo cara.
Come finì di pregare, sentì nelle membra torpore
grave: si cinsero i molli precordi di scorza sottile,
fronde divenner le chiome, le braccia si fecero rami,
ed alle pigre radici aderirono i piè tanto svelti;
vetta divenne la faccia e rimasele solo il nitore.
Febo anche l'albero adora e, poggiando la destra sul tronco,
sente che palpita il petto pur sotto la nuova corteccia.
Come se fossero membra, ne stringe le rame, le abbraccia,
l'albero bacia, ma l'albero i baci disdegna tutt'ora.
Quindi così le favella: - Poiché non puoi essermi sposa,
sarai almen la mia pianta. O alloro, di te s'orneranno
i miei capelli per sempre, per sempre il turcasso e la cetra.
[...]
Tu, come il mio giovane capo
sempre biondeggia d'intonsi capelli, tu pure per sempre
ti fregerai dell'onore di verdi freschissime fronde.
Disse; e l'alloro assentì con le foglie novelle, e la cima,
come se fosse la testa sembrò ch'ondeggiando accennasse.
(Metamorfosi, I, vv. 545-559 e 564-567)

La stessa cosa accadde con Siringa, che giunse sulle rive del padre quando il dio Pan innamorato stava per prenderla, e chiese e ottenne che la trasformasse in un canneto. Si racconta che il dio Pan:

... ormai credendo ghermire Siringa, stringeva le canne
della palude pel corpo di lei e che, qui sospirando,
l'aria soffiò nelle canne cavandone flebile suono;
che Pan sorpreso dall'arte novella e dal canto soave
disse: - Sarò tuo compagno per sempre! - che sì tra di loro
giunte le dispari canne con cera, di lei serbò il nome.
(Ivi, vv. 705-712)

* Ancora oggi questo strumento si chiama siringa, o flauto di Pan. Vedi un'immagine del fiume che scorre in Grecia: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/df/Ladonas_river.jpg, ultimo accesso 16/01/2020



LAMPO (gr. Arghes, Arge) divinità. Uno dei Ciclopi, figlio di Terra e Cielo, fratello di Tuono e Folgore, 231.


LAOMEDEA v. SIGNORADELLEGENTI

LATINO essere umano, antico re. Figlio di Circe e Ulisse, 1599.

Fratello di Agrio, progenitore dei popoli del Lazio, diede sua figlia Lavinia in sposa all'eroe troiano Enea. Da lui presero nome gli abitanti del Lazio e la lingua dei romani. Dante lo incontra nel Limbo:


Vidi Cammilla e la Pantasilea;
da l'altra parte vidi 'l re Latino
che con Lavinia sua figlia sedea.
(Divina Commedia, I, IV, 124-126)

* Lazio, latino.


LEAGORA v. DISTESA

LEGALITÀ (gr. Themistò, Temisto) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 417.


LEGGECHIARA (gr. Glauconome) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 410.


LEONE NEMEO mostro grande e feroce, figlio di Vipera e Orto, allevato da Hera, 520; seminava distruzione e morte in Nemea, Treto e Apesanto, fino a che Heracles lo uccise, 526.

La pelle del leone divenne da allora il mantello dell'eroe.

Il motivo di un animale feroce che distrugge i campi coltivati dall'essere umano e devasta tutto il suo ambiente, finché un eroe non lo sconfigge, è in molti motivi popolari e racconti fiabeschi di tutto il mondo, come la fiaba cinquecentesca de L'Uomo selvatico. (Straparola)


LERNA paludi della Grecia in cui viveva la mostruosa Hydra, 499. Lerna, Grecia.


LETE v. OBLIO LETE


LETO, vedi OCCULTA


LIMOS v. FAME


LISIANASSA v. SCIOGLIREGINA


LITTO città greca. Nell'isola di Creta, dove fu mandato Zeus appena nato, 760, 766.


LUCIFERO (gr. Eosforos) divinità. Stella del mattino, figlio di Aurora e di Astreo, 600.

In greco significa: portatore dell'aurora. Il suo nome venne a volte confuso con quello di Lucina. Lucifero nella mitologia cattolica è il nome del principe delle tenebre, il diavolo, che prima di ribellarsi a Dio era il più bello degli angeli.


LUNA (gr. Selene) dea dell'astro notturno. Celebrata dalle Muse, 33; figlia di Divina e Hyperion, 586.

La Luna simbolizza la luce che non brucia, e che consente di esplorare l'oscurità; principio femminile per eccellenza, cala e cresce come il corpo della donna con la gravidanza e il parto. Moltissime dee significano la luna, che in Esiodo ha questa sua specifica personificazione. La Luna comanda sulle acque del mare, sollevandole e abbassandole con le maree, e sui liquidi in genere, in particolare sul flusso mestruale della donna, che torna con un ritmo di ventotto giorni, corrispondente al mese lunare. Dal ritmo lunare vengono le settimane, ciascuna pari a un quarto del mese lunare. L'influsso della luna è determinante per la riuscita del vino e delle conserve, e agisce sulla linfa delle piante, tanto che ancora si semina e si mettono a dimora le piantine scegliendo la fase lunare più adatta.

Ascolta dea regina, portatrice di luce, Luna divina,
Mene dalle corna di toro, che corri di notte, ti aggiri nell'aria,
notturna, portatrice di fiaccole, fanciulla, Mene dai begli astri,
crescente e calante, femmina e maschio,
splendente, ami i cavalli, madre del tempo, portatrice di frutti,
luminosa, triste, che rischiari, ti accendi di notte,
che tutto vedi, ami la veglia, ti circondi di begli astri,
godi della tranquillità e della notte felice ...
(Inni orfici, 9, profumo a Luna, aromi)

* Selenio, elemento chimico usato nei dispositivi elettronici; selenografia (come geografia) disciplina che studia il suolo lunare.




M



MACAI v. BATTAGLIE


MAIA divinità. Figlia di Atlante, congiunta amorosamente a Zeus genera Hermes, 1479.

Quando suo figlio Hermes, appena nato, torna a nascondersi nella culla dopo aver rubato cinquanta capi di bestiame ad Apollo, lo ammonisce che non riuscirà a sfuggire alla collera del dio, ma Hermes le risponde che lui in questo modo le procurerà un posto fra gli dei dell'Olimpo. Un antico etimo collegava il nome di Maia col mese di maggio.


MARE (gr. Pontos) divinità. Esiodo chiede alle Muse di cantare la Notte che nutrì il Mare salato, 180; fra le divinità più antiche, 182; generato dalla Terra da sola, 217; quando cade il fallo del Cielo, lo culla per tanto tempo, 308, 310; porta Afrodite appena nata a Citera, 314; genera da solo il primogenito Nereo, 379; congiunto amorosamente alla madre Terra, genera Prodigio, Bianco, Balena e Ampiaforza, 384; nelle sue acque nascono le Nereidi, 389; una parte del suo dominio appartiene ad Hecate, 652, 672; mugghia per la violenza della battaglia contro i Titani, 1075; le sue radici con quella della Terra e del Cielo sono in fondo al Tartaro Inferno, 1152, 1165, 1272; sulle sue ampie curve viene quieta Giorno, 1204; sulle sue ampie curve corre Arcobaleno, 1234; gli scorre intorno Oceano, 1247; rimbomba per i colpi che Zeus scaglia contro Tifeo, 1324; ribolle quando Tifeo viene precipitato sotto terra, 1336; sulla sua superficie può giungere dappertutto il benefico Pluto, 1534.

Il Mare mai stanco, che si agita e ribolle, che culla con le sue onde il fallo di Cielo, dal quale sgorga la spuma, che porta Afrodite alla terra di Citera, che le onde marine lambiscono tutto intorno, è opposto alla Terra perché aporos, senza passaggi segnati, mentre la terra, madre di tutti, è solcata dalle belle vie. Sulla terra si possono tracciare sentieri, confini, sul mare il percorso individuato dal nocchiero con l'aiuto di qualche stella è incerto, e le onde lo cancellano mano a mano che viene tracciato.


Questo è il fascino del mare, che corrisponde a tutto ciò che nella vita l'essere umano non può prevedere, predeterminare, controllare. Il motto della Lega Anseatica, Navigare necesse est, vivere non necesse, ricorda che la dimensione essere umano è in un costante misurarsi con l'incerto, visitando isole meravigliose e piene di tesori, ascoltando sirene dal canto ammaliatore e mortifero, incontrando ciclopi, ninfe, maghe, popoli strani e mai immaginati. Il viaggio per mare è di Ulisse nella nostra tradizione mitica, di Sindibad nelle Mille e una notte, e di tanti attanti fiabeschi, che vanno per mare solo dopo che hanno cercato in ogni parte del mondo la loro amata, o il tesoro che devono conquistare. Mettendosi in mare il personaggio inizia la parte più misteriosa del suo viaggio, e capita che faccia naufragio, e che dopo il naufragio, approdando a un'isola nudo, privo di tutto tranne che della sua consistenza essere umano, trovi proprio là, perdendosi, quello che cercava. I greci chiamavano il mare con due diverse parole: pòntos e thalassa. Col nome pontos intendevano il mare aperto, insolcabile, immenso; con la parola thalassa designavano il mare vicino alla costa, nel quale sapevano navigare.

* Talassobiologia, studio degli organismi marini; talassofobia, paura ossessiva del mare; talassoterapia, cura effettuata in ambiente marino.


MARINA (gr. Alie) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 396.


MARTE v. ARES


MEANDRO divinità e fiume. Figlio di Ostrica e Oceano, 536.

Dal nome di questo fiume dell'Asia Minore, che sfociava nel Mar Egeo, dopo aver fluito in un percorso tortuoso e sinuoso, deriva quello delle serpentine formate dai fiumi e di ogni via o passaggio dal movimento intricato o labirintico. Secondo il mito Meandro era un fiume della Frigia, che prima di sfociare nel mare descriveva tanti giri tortuosi, nei quali si potevano scorgere tutte le lettere dell'alfabeto greco.

         * Dal nome del fiume, la parola italiana meandro, inglese meander, francese méandre, tedesco Maander, spagnolo meandro, rumeno meandru, portoghese meandro, russo меандр (meandr).
 Vedi un'immagine del fiume che scorre in Turchia, nome attuale Büyük Menderes:
https://it.wikipedia.org/wiki/Meandro_(fiume)#/media/File:Hancalar_Bridge_BMenderesRiver_Cal_Denizli_Turkey.JPG, ultimo accesso 16/01/2020

MECONE località greca. Prometeo divise il bue da sacrificare e trasse in inganno Zeus, 852.

La spartizione del bue con la quale l'astuto Prometeo inganna Zeus, anche se Esiodo ci dice che era impossibile ingannare la grande mente del sovrano degli dei, assegna agli uomini la parte più ricca degli animali offerti in sacrificio, con la quale potevano banchettare in abbondanza. Gli dei amavano nutrirsi del fumo dei sacrifici loro offerti dagli esseri umani, anche se bruciavano per loro solo le ossa bianche e la dura pelle. Coloro che offrivano il sacrificio prima si lavavano di tutta la sporcizia, e poi pregavano, come racconta Omero:

E dopo che pregarono, gettarono i chicchi d'orzo
trassero indietro le teste, sgozzarono, scuoiarono;
tagliarono poi le cosce, le avvolsero intorno di grasso,
ripiegandolo e sopra le primizie disposero
sulle cataste il vecchio li ardeva e vino lucente
versava sopra; i giovani intorno avevano forche tra mano.
E quando le cosce furono arse, mangiarono i visceri;
fecero il resto a pezzi, li infilarono su spiedi,
li arrostirono con cura, poi tutto ritolsero.
E quando finirono l'opera ed ebbero pronto il banchetto,
mangiarono, e il cuor non sentiva mancanza di parte abbondante.
(Iliade, I, vv. 458-468)



MEDEA maga divina. Discendente del Sole, figlia di Sapia ed Aiete, 1516; viene portata via dalla reggi paterna e sposata da Giasone, 1576.

Quando nella sua terra, la Colchide, arrivò Giasone, alla testa degli Argonauti, sulla nave Argo, per conquistare il vello d'oro, Medea si innamorò di lui, gli svelò la soluzione dei segreti che rendevano impossibile il suo compito, e con i suoi filtri lo rese invincibile in tutti i combattimenti che il re Aiete gli imponeva. Facendolo vincere tradì il re suo padre, e lasciò la patria per seguire Giasone in Grecia. Là usava le sue arti magiche in favore dello sposo, e dato che come Circe poteva trasformare, guarire, uccidere e resuscitare, per far felice Giasone decise di far ringiovanire il suo vecchissimo padre Esone.

Dopo aver preparato altari ornati di molti fiori, Medea aveva sgozzato due agnelle nere, versando vino e latte sul loro sangue, e aveva invocato gli dei infernali.

Dopo che li propiziò col sussurro di lunghe preghiere,
fece portare alla luce la debole salma d'Esone,
poi l'assopì con l'incanto nel sonno profondo e lo stese
simile a un morto sull'erbe, che stavano sopra gli altari.
(Metamorfosi, VII, vv. 251-254)

Poi, allontanati Giasone e i suoi ministri, coi capelli sciolti danza intorno agli altari come invasata da Dionisos, immerge le torce nel fango, gira intorno al cadavere con il fuoco, l'acqua e lo zolfo, e intanto prepara un filtro potentissimo che bolle in un vaso di bronzo, con erbe e radici e pietre che ha raccolto percorrendo tutta la terra col suo carro portato da draghi volanti, mescolate all'acqua del mare, e alle brine raccolte nella notte con la luna piena.

Ali infamate di strige mischiò con la carne e i budelli
anche di lupo mannaro che suole mutare l'aspetto,
d'uomo prendendo la forma. Né pure mancar nel miscuglio
squame sottili di libico serpe, e di cervo longevo
fegato, e d'una cornacchia vissuta per novecent'anni
anche v‘aggiunse la testa col becco.
(Ivi, vv. 275-274)


Altri ingredienti misteriosi bollivano nel filtro, che Medea mescolava con un ramo secco d'ulivo: ed ecco che il ramo mette foglie e rametti, e in pochi istanti si carica di frutti maturi. Medea versa a terra qualche goccia di filtro, che fa immediatamente crescere erbe e fiori:

Come ciò vide Medea, brandita la spada, la gola
squarcia del vecchio e lasciando che fuori ne venga il senile
sangue riempie le vene di succhi. Poiché per la bocca
o per la gola li bevve il vegliardo, la barba e i capelli,
non più canuti, divennero neri: sparì d'improvviso
la macilenza, sparì lo squallore, sparì della pelle
l'avvizzimento, s‘empiron le rughe di carne e le membra
lussureggiarono. Esone rimane stupito e ricorda
d'essere stato così nel passato quarant'anni prima.
(Ivi, 285-293)

Dionisos, vedendo il prodigio dal cielo, chiese a Medea un po' del suo filtro per far ringiovanire le proprie nutrici.
Così il vecchio Esone tornò nel pieno del vigore, ma nonostante la sua dedizione Giasone decise di lasciarla per sposare la nipote di Pelias e salire così al trono che era comunque suo.
Distrutta dal tradimento Medea si uccise, e uccise anche i due figli che aveva avuto da Giasone, dopo aver mandato al re e alla principessa, futura sposa dell'eroe, doni che provocarono la loro morte. Giasone impazzì di dolore.

Medea simbolizza una potenza femminile immensa, che usa solo a vantaggio dello sposo, senza limiti, ma quando il marito vuole metterla da parte, la sua passione amorosa si trasforma in un odio che non risparmia nessuno. Questo narra la tragedia greca che porta il suo nome, ma si racconta anche che dopo il tradimento di Giasone Medea volò via con i figli sul suo carro portato da draghi volanti.


* Colchico, pianta erbacea della famiglia delle liliacee, e nome di un bulbo velenoso, perché la Colchide era considerata la terra di veleni, dei quali Medea era espertissima. 



MEDEO essere umano. Figlio di Medea e Giasone, 1580.

Questo figlio non sarebbe esistito secondo la tragedia greca "Medea".


MEDUSA mortale, una delle Terrifiche. Figlia di Balena e Bianco, 438; la sola mortale, mentre le altre due sorelle erano immortali, ma con lei giace Poseidon Chiomaturchina, 444.

Si narra che la sua chioma fosse formata da serpenti vivi tanto terribili che pietrificavano chi la guardava. Dopo che aveva avuto l'amore del dio Poseidon, fu uccisa dall'eroe Perseo, aiutato dagli dèi.
Perseo rubò l'unico occhio alle Canute, per costringerle a rivelare dove si trovavano le Terrifiche, di cui erano le guardiane.
Perseo si avvicinò a Medusa reggendo uno Perseo si avvicinò a Medusa reggendo lo scudo di bronzo levigato come uno specchio e camminando a ritroso si avvicinò a lei abbastanza per ucciderla senza mai guardarla direttamente. Dal suo sangue vennero alla luce il cavallo Pegaso e Spadadoro. La testa mozzata di Medusa fu posta da Athena sul suo scudo o sulla sua corazza, e da allora la dea dagli occhi di cielo ebbe il potere di pietrificare coloro a cui mostrava lo scudo.

Il motivo della pietrificazione oltre che nel mito è presente in tante fiabe popolari: chi viene pietrificato è un personaggio maschile, e per liberarlo occorre l'azione di un personaggio femminile. Guardare Medusa significa guardare ciò che non è visibile, tutto ciò che della propria origine materna resta e deve restare oscuro. Per affrontarla occorre uno specchio, uno strumento artificiale, un artificio prodotto dall'arte dell'uomo: solo la cultura e la civiltà consentono di affrontare le origini oscure. L'immagine della testa mozzata e anguicrinita (coi capelli a forma di serpenti) di Medusa è una delle più diffuse nelle arti figurative.

* Medusa, animale marino che ha tentacoli serpentiformi come la chioma della Gorgona, e avvelena col suo tocco. 


MELIE v. NINFE


MELLITA divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 397.

* Il nome in greco come in italiano significa dolce come il miele.


MELOBOSIS v. PASTORADAGNELLI


MELPOMENE dea, una delle nove muse. Figlia di Zeus e Memoria, 137.

Signora e ispiratrice della tragedia, viene rappresentata con la maschera tragica nella mano sinistra, mentre con la si appoggia a una clava simile a quella di Heracles. Come Dionisos porta una corona di pampini e può essere accompagnata da un capro. Il capro espiatorio era l'animale che veniva sacrificato dopo che i partecipanti al rito lo avevano caricato immaginariamente delle loro colpe. Il suo nesso con la tragedia riguarda l'effetto liberatorio, catartico, che si prova alla fine di una rappresentazione, come se l'angoscia della colpa si fosse sciolta riconoscendola nella forma teatrale.

* Il nome di Melpomene significa canto e danza, dal greco molpè, canto, o mèlos, canto accompagnato dalla danza (da melos viene melodia) e mènos, che significa spirito, ardore, slancio.



MEMBRUTO (gr. Gie, Ghies) divinità, gigante, uno dei tre Centimani. Figlio di Terra e Cielo, come i fratelli Forzoso e Cottos dotato di cinquanta teste e cento braccia, 243; odiati per l'immane forza dal padre Cielo lui e i fratelli vengono imprigionati nel sotterraneo infernale, 250, 988; dopo che Zeus li ha liberati e ristorati combatte con i fratelli contro i Titani, scagliando insieme a loro trecento pietre, 1130; Zeus pone lui e i suoi fratelli come guardiani della terrificante prigione dei Titani ribelli, dove ha dimora, ai confini di tutte le parti del mondo, 1161.


MEMNONE semidio. Figlio di Aurora e Titone, re africano, 1553.

Partecipò alla guerra di Troia contro i Greci, alla testa di una grande armata di Indi e di Etiopi, e grazie a lui l'esercito troiano stava vincendo, quando Achille lo uccise e mise in fuga l'esercito troiano. Alla sua morte la madre Aurora si inginocchiò davanti a Zeus per chiedergli di onorare la memoria del figlio, e il sovrano olimpico fece nascere dalle sue ceneri uno stormo di grandi uccelli neri, che ogni anno tornavano a volare intorno alle rovine di Troia, si bagnavano le ali nel fiume Esepo, e ne portavano le acque sulla tomba di Memnone.

MEMORIA (gr. Mnemosyne, Mnemosine) divinità titanide. Regina di Eleutero, congiunta a Zeus concepisce le Muse e le partorisce dopo una gravidanza che dura un intero anno, 100, 108; figlia di Terra e Cielo, 223; quinta sposa di Zeus, genera con lui le Muse, 1444.

Simbolizza la capacità di ricordare, di conservare figure e parole nella mente, e solo da questa capacità di far tesoro dell'esperienza nascono le Muse, le arti meravigliose, attraverso l'incontro appassionato, lungo nove notti, con il signore dell'ordine sereno dell'Olimpo. Per far nascere le Muse occorre un anno di gestazione, un ciclo completo del tempo, superiore ai nove mesi di una normale gravidanza. Invocata dai poeti, Memoria è raffigurata con una corona e molti ornamenti fra i capelli, perché la testa è la parte più importante per questa dea, memtre la sua mano destra tocca l'occhio e l'orecchio, perché l'atto di ascoltare e vedere costituisce la base della memoria.

Invoco Memoria, sposa di Zeus, sovrana,
che ha generato le sacre, sante Muse dalla voce sonora,
esente dal cattivo oblio che sempre turba la ragione,
sostiene ogni intelligenza che vive con le anime degli uomini,
accresce la potente forte ragione dei mortali,
dolcissima, ama la veglia e tutto fa ricordare,
ciò di cui ciascuno sempre depone il pensiero nel petto,
per nulla devia, risvegliando la mente a tutti.
(Inni orfici, 77 profumo di Memoria, incenso)

* Mnestico, che riguarda la memoria: amnesia, mancanza di memoria; mnemotecnica, insieme di tecniche per aumentare la memoria.


MENESTO v. STABILE


MENEZIO divinità. Figlio di Clara e Giapeto, 811; Zeus lo punisce per la sua superbia spingendolo nel Buio sotterraneo, 818.

Zeus condannò Menezio alla prigione infera perché si era schierato con i Titani nella guerra contro gli dei olimpici.


MENIPPE v. FERMACAVALLI


METIS divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 566; prima sposa di Zeus, concepì Athena, 1398; era destino che generasse un figlio superiore al padre, 1413; fu incorporata da Zeus, che voleva evitare di generare un figlio con Metis, e restò dentro di lui per sempre come consigliera, 1419.

Metis è la divinità delle acque che può significare l'intelligenza mobile, la flessibilità e l'agilità della mente, che permettono di trovare soluzioni a problemi a prima vista impossibili. Col suo nome sono formati gli appellativi che spettano agli esseri mortali e immortali dal pensiero mobile ed efficace: Cronos è anchylomètis, dalla mente sinuosa, che sa procedere aggirando gli ostacoli, Prometeo ha questo epiteto, e anche quello di poichilomètis, dalla mente variopinta, e polumètis, dalla molta, mente, intelligenza abbondante, molteplice.

Metis può significare astuzia, in un'accezione alta, ampia. Fra gli esseri umani tutti gli appellativi della mètis spettano a Ulisse. Fu Metis a suggerire a Zeus di dare una bevanda emetica a Cronos, per fargli vomitare i figli che aveva divorato, e dopo questo aiuto determinante Zeus volle unirsi a lei, e poi incorporarla, quando Cielo e Terra gli rivelarono che il figlio di Metis avrebbe spodestare suo padre.
L'incorporazione di Zeus è la sua azione volta a mantenere il dominio, e corrisponde alle azioni contro i propri discendenti compiute da Cielo e da Cronos: ma Zeus incorpora Metis e fa proprie le sue prerogative, senza distruggerla, e la tiene come consigliera. Pur incorporata, Metis porta a termine la gravidanza di Athena, che al giusto tempo nasce dalla testa di Zeus. Mentre l'azione violenta di Cielo e di Crono avevano suscitato l'azione di rivolta della Terra e di Fluente, i cui figli non potevano venire alla luce, quella di Zeus permette la nascita di Athena, frutto dell'unione. Il diverso rapporto di Zeus con il femminile trova una conferma nella sua capacità di portare a termine nella coscia la gestazione di Dionisos, quando la mortale Semele viene incenerita durante la gravidanza del dio concepito con Zeus. Anche la cura che Zeus dedica ai propri figli può significare che il sovrano degli dei non rigetta la parte femminile: ha incorporato Metis tenendola viva in se stesso. Nel Simposio di Platone si racconta che Metis era nonna di Eros, generato da suo figlio Poros, Soluzione, Ricchezza, unito a Penia, Povertà.


MINOSSE re divino. Padre di Arianna, 1494.

Figlio di Zeus e di Europa, Minosse, che regnava a Creta, era considerato il re per eccellenza, conoscitore delle leggi e giudice imparziale. Ogni nove anni si ritirava in un antro per un certo tempo, e attendeva che il padre Zeus gli trasmettesse nuove leggi. Con i fratelli Radamanto e Sarpedonte, o con Eaco, si trova nella letteratura antica a giudicare le anime negli Inferi. Nel secondo cerchio dell'Inferno dantesco il grande re pagano, giudice e legislatore, ha voce e forma animale, ma mantiene le sue prerogative di giudice. Avvolgendo su se stesso la lunga coda indica quanto deve scendere nell'Inferno l'anima dannata:

Stavvi Minòs orribilmente e ringhia:
essamina le colpe ne l'intrata;
giudica e manda secondo ch'avvinghia.
Dico che quando l'anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata
vede qual loco d'inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa.
Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
vanno a vicenda ciascuna al giudizio,
dicono e odono e poi son giù volte.
- O tu che vieni al doloroso ospizio -,
disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l'atto di cotanto offizio,
- guarda com'entri e di cui tu ti fide;
non t'inganni l'ampiezza de l'intrare!
(Divina Commedia, 1, V, 4-20)


MNEMOSINE v. MEMORIA


MOIRE v. FATE NERE


MOLTARIFLESSIONE (gr. Polynoe, Polinoe) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 412.



MONTAGNE (gr. Urea, Orea) divinità. Generate dalla Terra da sola, come grandi dimore per gli dei e per le Ninfe, 214.

Le montagne, come i fiumi e le fonti, potevano essere rappresentate e venerate come divinità.

* Orografia, disciplina che studia e descrive i monti.


MOMO v. SARCASMO


MOROS v. FATO


MORTE (gr. Thanatos) dio. Gli dei non ne sono toccati, 39; Figlio della sola Notte, 348; afferra gli esseri umani, 475; fratello del Sonno, 1196; abita con la Notte, 1200.

Nessun tempio, nessuna statua nella antica Grecia raffigurava il dio della morte, che non ha rappresentazione nella realtà psichica, anche se l'orrore suscitato dal pensiero di questa realtà essere umano ha generato tante figure, come lo scheletro armato di falce, a volte vestito di broccato, o la donna dagli occhi chiusi, pallida, emaciata, che tiene nelle mani due torce rivolte verso il basso, come sua madre, la Notte.

La Notte volava con due bambini fra le braccia, uno dei quali, bianco, era il Sonno, l'altro, nero e con i piedi incrociati, la Morte. Freud diede il nome di questo figlio della Notte alla coazione a ripetere, che è pensabile come un odio rivolto contro la realtà o contro il soggetto stesso, tanto forte da svuotare di senso qualunque esperienza, fino a portare in certi casi all'omicidio - nell'odio rivolto contro il mondo della psicosi paranoica - o al suicidio - nell'odio rivolto contro il soggetto stesso, che è della depressione melanconica. All'opposto di Thanatos, nella concezione freudiana, c'è Eros, principio che rigenera la vita, passione, investimento sulla realtà, sugli altri come sulla propria esistenza.



MUSE divinità, nove sorelle. Eliconie, abitanti del monte Elicona, Olimpie, frequentatrici del monte Olimpo. Figlie di Zeus e Memoria. A loro per prime fra tutti gli dei va il canto del poeta, 1; insegnano a Esiodo il canto della Teogonia, 40; celebrano il padre Zeus, 65; lodano la stirpe dei discendenti di Cielo e Terra, 81; figlie di Zeus, 97, 118; con dolci voci cantano le tradizioni dei beati, 118; vanno cantando e danzando dal padre Zeus, 124; cantano le storie della vittora di Zeus, 133; i loro nomi, 135 sgg.; nutrono i re donando loro scioltezza e bellezza del linguaggio, 158; il dono delle Muse rende gli uomini poeti, cantori e musicisti, capaci di consolare e rallegrare, sciogliendo l'angoscia e la preoccupazione, 168, 173; Esiodo le invoca perché gli insegnino a cantare la nascita degli dei, 174, 192; amano i banchetti e i bei canti, 1446; Esiodo rende grazie alle Muse dalla lingua dolcissima, chiedendo loro di raccontare la storia delle dee che si congiunsero amorosamente con gli esseri umani, 1518; Esiodo chiede alle Muse di raccontare della nascita dei figli delle donne, 1612.

A volte Omero invoca un'unica Musa, altre parla delle nove fanciulle. Un mito narra che prima di Esiodo esistevano solo tre Muse: Memoria, Meditazione e Canto, rappresentanti di ciò che favorisce e protegge la cultura e la civiltà dell'uomo. Tre scultori ebbero l'incarico di scolpirle a gara, e le nove statue che produssero risultarono così belle che Esiodo trovò per loro nove nomi, elevando così il loro numero al quadrato. Clio è la musa della storia, Euterpe della musica, Tàlia della commedia, Melpomene della tragedia, Tersicore della danza, Eratò della poesia d'amore, Polimnia del canto, Urania della poesia degli astri, Calliope della poesia sublime, la più alta.
Il numero tre indica la perfezione, e il suo quadrato ne incrementa il senso, significando la compiuta bellezza delle arti legate alla parola.
La parola greca musa significa tutto ciò che da sempre, e per sempre, riguarda l'arte: canto, poesia, eloquenza, persuasione, arte, scienza, cultura, gusto, finezza. Ciascuno dei loro nomi rimanda al piacere e alla virtù della loro arte, e il poeta al principio del canto le invoca, cercando ispirazione e sostegno profondo per la sua opera: l'essenziale nel canto è al di là della volontà e del desiderio cosciente del soggetto, dell'artista stesso.

Muse della Pieria, di gran nome, di splendida fama,
desideratissime dai mortali che assistete, multiformi,
che generate irreprensibile virtù di ogni disciplina,
nutrici dell'anima, donatrici di retto sentire
e sovrane che guidate l'intelligenza potente...
(Inni orfici, 76 profumo delle Muse, incenso)



N




NATANTE (gr. Ploto, pronuncia Plotò) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 393.


NAUSINOOS figlio di Calipso e Ulisse, 1606.


NAUSITOOS figlio di Calipso e Ulisse, 1606.


NECHIE v. DISCORDANZE


NEMEA regione greca. Vi imperversava il Leone Nemeo, 522, 526.


NEMEO v. LEONE NEMEO


NEMERTE v. INFALLIBILE


NEMESIS divinità. Figlia della sola Notte, 365.

Molto rispettata dai Greci antichi, rappresenta la repulsione per i misfatti compiuti, che punisce, anche quando non sono stati scoperti.

Nella realtà psichica, come le Erinni persecutrici, rappresenta l'impossibilità di evitare l'elaborazione della colpa e il lutto: non riconoscendo la propria colpa, anche immaginaria, inconscia, il soggetto è condannato allo scacco della coazione a ripetere.
Secondo una tradizione Nemesis porta una corona di narcisi, i fiori nati dalla morte di Narciso, amante fisso all'immagine di sé: l'incapacità di andare incontro agli altri forma la base di ogni misfatto per il quale non si prova senso di colpa, e il fiore segna la fine di questa condizione. A volte la figura di Nemesi corrisponde a quella della Fortuna.

* La parola greca nèmesis significa sdegno, riprovazione, biasimo, repulsione derivante dallo sdegno. Nemesi storica, espressione che indica una punizione che sopraggiunge quando ci si sente al sicuro.


NEREIDI divinità. Cinquanta divinità marine nate da Doris e Nereo, 392; la nereide Sabbia si unisce a Eaco, 1583.

Le nereidi nominate da Esiodo sono cinquanta, pari al numero delle Nereidi secondo l'inno orfico loro dedicato, mentre altri autori variano il numero e i nomi, tanto che, formando un elenco con tutti i nomi diversi che sono stati tramandati, se ne possono contare cento.

Molti dei loro nomi nella Teogonia significano ciò che nel mare favorisce la navigazione, che rimanda a quanto nell'anima essere umano permette di superare le difficoltà simbolizzate dal mare, luogo del mistero e del rischio mortale. Oggi che il mare è solcato da rotte come la Terra di Esiodo era solcata dalle belle vie, possiamo pensare all'inconscio della psicoanalisi, per il quale non disponiamo di vie tracciate in maniera definitiva, ma di un'arte della navigazione, la psicoanalisi, che traccia rotte di cui si può dire o narrare delle cose nella teoria e nella clinica, mai definitive o certe. I cinquanta nomi sono: Abilità (Dynamene) Splendida (Agave) Autoriflessione (Autonoe) Beldono (Eudore) Belporto (Eulimene) Bellavittoria (Euniche) Belrifiuto (Evarne) Bendistesa (Evagora) Bonaccia (Galene) Buonascorta (Eupompe) Pensierocavalcante (Ipponoe) Velocecavalcante (Ippothoe) Cilestra (Glauche) Signoradellegenti (Laomedea) Curamarina (Alimede) Distesa (Leagora) Dora (Doto) Donata (Doride) Fermacavalli (Menippe) Grotta (Speio) Infallibile (Nemerte) Insulare (Neseia) Isola (Neso) Galatea, Legalità (Temisto) Leggechiara (Glauconome) Marina (Alie) Mellita, Moltariflessione (Polinoe) Natante (Ploto) Onda (Cimo) Ondacalma (Cimatoleghe) Ondaraccolta (Cimodoce) Ondasvelta (Cimothoe) Amabile (Eratò) Previdenza (Pronoe) Prima (Proto) Primacura (Protomedea) Preminente (Actea) Recante (Ferusa) Rifrangente (Anfitrite) Sabbia (Psamate) Salute (Sao) Sciogliregina (Lisianassa) Spiaggia (Eione) Temperata (Eucrante) Thetis, Traversata (Pontoporea) Tuttadivina (Pasitea) Tuttovedente (Panope).

Ninfe del marino Nereo dal volto di corolla, pure,
[...]
in fondo al mare, che danzate insieme, dagli umidi sentieri,
cinquanta fanciulle folleggianti fra le onde,
cavalcando il dorso dei Tritoni esultate insieme
della forma in figura di mostri, i cui corpi il mare nutre,
e di altri che abitano l'abisso, flutto Trittonio,
dimoranti nell'acqua, danzanti, volteggianti nell'onda,
delfini vaganti nel mare, risonanti nei flutti, splendenti d'azzurro.
(Inni orfici, 24 profumo delle Nereidi, aromi)

* Nereidi, invertebrati marini che migrano durante la riproduzione.


NEREO il Vecchio, o il Vecchio del Mare, divinità marina. Figlio primogenito del solo Mare, giusto e infallibile, 380; congiunto amorosamente con Doris genera le cinquanta Nereidi, 390, 419; padre delle Nereidi Sabbia e Thetis, 1584.

Nereo era indovino e dava responsi sempre veritieri, aveva il potere di trattenere e lasciar correre i venti, che custodiva negli antri sottomarini. Perché gli rivelasse dov'era il giardino delle Hesperidi, Heracles lo legò mentre dormiva. In un inno orfico gli vengono attribuiti gli stessi poteri di Poseidon, dio del mare:

O tu che contieni le radici del mare, sede di ceruleo splendore,
che ti compiaci delle cinquanta fanciulle sull'onda
in cori di belle figlie, Nereo, demone di gran nome,
fondo del mare, confine della terra, principio di tutto,
che agiti il sacro seggio di Deo, quando i soffi
spinti in recessi notturni rinchiudi; ma, beato, impedisci i terremoti ...
(Inni orfici, 23 profumo di Nereo, mirra)
NESEIA v. INSULARE


NESO v. ISOLA


NESSO divinità e fiume. Figlio di Ostrica e Oceano, 541.

Nasce dal monte Rodope e sfocia nell'Egeo. Il centaturo Nesso offrì il suo aiuto a Heracles quando con la sposa Deianira doveva attraversare un fiume.
Ma appena ebbe sul suo dorso Deianira, Nesso se ne innamorò, e l'avrebbe portata lontano se Heracles non lo avesse ferito a morte con una freccia intinta nel sangue velenoso dell'Hydra di Lerna. Prima di morire Nesso bagnò la camicia nel proprio sangue avvelenato, e la offrì a Deianira, dicendole che quando avesse temuto di perdere l'amore di Heracles, se gliela avesse fatta indossare lo avrebbe riportato a sé. Dopo un certo tempo, quando Deianira sospettò che Heracles la tradisse, gli fece indossare la camicia di Nesso. Allora Heracles morì come se un fuoco lo divorasse dall'interno del corpo, consumandolo e lasciando solo la sua parte divina e immortale:

Non più di lui la figura si può riconoscere, perde
la somiglianza materna e gli resta sol l'orma del padre.
Come rinnovasi il serpe, poiché si spogliò con le squame
della vecchiezza e grandeggia splendendo di pelle recente:
così il Tirintio, lasciate le spoglie mortali materne,
vige di sé nella parte migliore, più grande a vedersi,
e venerando diventa per la maestà dell'aspetto.
L'onnipotente suo padre lo chiuse entro una nuvola cava
e lo rapì tra le stelle raggianti di su la quadriga.
(Metamorfosi, IX, vv. 271-272)


NETTUNO v. POSEIDON


NICHE v. VITTORIA


NILO divinità e fiume. Figlio di Ostrica e Oceano, 535.

Veniva chiamato anche Egitto, perché le sue piene rappresentavano la vita per la civiltà millenaria che fiorì sulle sue coste, e l'Egitto era detto dono del Nilo. Era paragonato a Zeus, perché le sue piene bagnavano e fecondavano, come le piogge inviate dal sovrano dell'Olimpo. All'inizio del XIX secolo si descriveva così una statua del divinità e fiume, il cui originale si trovava al Museo Pio Clementino, e in copia a Versailles:

Questa statua è ammirabile, e piena di grazia, quantunque colossale, il che è di una estrema difficoltà. Il Nilo è coricato, coronato di piante nilotiche; sedici fanciulli, alti ciascuno un cubito, e simbolo dei sedici cubiti, ai quali dee sollevarsi per procurare l'abbondanza all'Egitto, scherzano sulle di lui grandi membra; uno di essi si arrampica sino alla di lui spalla; un altro, sul corno dell'abbondanza; altri nascondono col di lui manto le sorgenti del Nilo, allegoria dell'ignoranza, che regnava su questo punto; altri fanno combattere un coccodrillo con un icneumone. La base rappresenta battaglie d'ippopotami e di coccodrilli, d'incneumoni e di coccodrilli; e i Tentiriti nei loro battelli, che attaccano quelli animali. Vi si vedono ancora varie piante particolari a quel fiume. (Dizionario portatile delle favole, Nilo)

            * Vedi un'immagine del fiume che scorre in Egitto: https://it.wikipedia.org/wiki/Nilo#/media/File:NileDelta-EO.JPG, ultimo accesso 16/01/2020.


NINFE Melie, divinità della natura.. Amano vivere sugli alti monti, 215; si generano nella Terra quando si impregna del sangue del padre Cielo, 305.

Amanti dei balzi e dei boschi montani, secondo i miti dimorano ovunque nel mondo, e hanno una natura intermedia tra quella divina e quella essere umano; sono legate agli alberi e aiutano gli uomini nella crescita. Melie o Meliadi sono le ninfe, in particolare quelle che proteggono le greggi. Il loro numero è immenso e indefinito, ogni albero ne contiene una, e una è presente in ogni corso d'acqua, in ogni balzo montano, significando la divinità che si manifesta nella natura, la più vicina agli esseri umani. La funzione delle ninfe è simile a quella del genius loci latino, genio o spirito del luogo.

Ninfe, figlie di Oceano dal grande cuore,
che avete le case sotto i recessi della terra posati sull'acqua,
correte nascoste, nutrici di Bacco, ctonie, date grande gioia,
nutrite frutti, siete nei prati, correte sinuosamente, sante,
vi rallegrate degli antri, gioite delle grotte, vaganti nell'aria,
siete nelle sorgenti, veloci, vestite di rugiada, dall'orma leggera,
visibili, invisibili, ricche di fiori, siete nelle valli,
con Pan saltate sui monti, gridate evoè,
scorrete dalle rocce, melodiose, ronzanti, errate sulle montagne,
fanciulle agresti, delle sorgenti e che vivete nei boschi,
vergini odorose, vestite di bianco, profumate alle brezze...
(Inni orfici, 51 profumo delle Ninfe, aromi)


NORMA (gr. Themis) dea Titanide. Celebrata dalle Muse, 26; figlia di Terra e Cielo, 223; seconda sposa di Zeus, genera con lui le Ore e le Fate Nere, 1421.

Il nome greco significa legge, costume, giustizia, diritto: Norma rappresenta la legge applicata. Dalla sua unione con Zeus, supremo ordinatore, nascono le Ore, gli elementi del tempo che dividendo la giornata ritmano le attività degli uomini, e le Fate Nere, che decidono la durata e la qualità della loro vita: su loro non domina neppure il grande Zeus.
I nomi delle Ore sono Buonalegge, Giustizia e Pace, come significanti che vengono per filiazione dall'elemento maschile fecondatore e ordinatore, Zeus, e dal senso applicato della legge. Così la pregavano gli orfici:

Invoco la santa sovrana degli immortali e dei mortali,
legge celeste, che determina la posizione degli astri, giusto sigillo
del pelago marino e delle terra, che stabile, sempre estranea alle fazioni
custodisce la sicurezza della natura con le leggi,
con le quali in alto guidando il grande cielo essa stessa procede,
e l'invidia non giusta a mo' di sibilo spinge fuori;
che anche per i mortali risveglia un buon fine di vita:
essa sola infatti possiede il timone dei viventi
accompagnandosi a pensieri rettissimi, sempre sicura,
antica, molto esperta, che senza danno abita con tutto
ciò che è legale, ma porta la pesante sventura a ciò che è illegale.
(Inni orfici, 64, inno della Legge)


NOTOS (lat. Notus, it. Noto, Austro) dio vento. Figlio di Aurora e Astreo, 597; diverso, come i suoi fratelli, dai venti generati da Tifeo, che portano distruzione insensata, 1373.

Soffia dal meridione, la sua stagione è l'autunno, e porta pioggia e tempeste.

Palpito rapido che vai umido attraverso l'aria,
scosso qua e là da ali veloci,
vieni con le nubi australi, patriarca della pioggia;
perché questo, dato da Zeus, è tuo privilegio vagante per l'aria:
mandare dall'aria sulla terra nubi generatrici di pioggia...
(Inni orfici, 82 profumo di Noto, incenso)


NOTTE dea figlia del Caos. Celebrata dalle Muse, 37, nutrice del Mare, 179; nasce insieme al Buio dal solo Caos, 207; unendosi al fratello Buio genera il figlio Etere e la figlia Giorno, 208; da sola genera Fato, Annientatrice nera, Morte, Sonno e tutta la variegata stirpe dei Sogni, Inquietudine, Sarcasmo, le Espèridi, le Annientatrici, le Fate Nere Atropos, Lachesis e Clothos, Nemesis, Frode, Bramosia, Vecchiaia, Discordia, 347, 351, 356, 364; le voci delle Hesperidi risuonano vicine alla Notte, all'estremo occidente, 441; si avvolge in triplice cerchio intorno alle mura di pronzo do ve sono imprigionati i Titani, 1148; la sua terribile casa, 1178; si dà il cambio con la figlia Giorno, non dimorando mai con lei nella stessa casa, 1184; tiene fra le braccia i suoi figli Sonno e Morte, che vivono nella sua stessa casa, 1195, 1198; il suo cuore è di bronzo, e si stringe chi ghermisce tra gli uomini, 1207.

Genera da sola divinità che dall'oscurità dell'animo tormentano l'essere umano, contenitore immaginario di tutti i mali che si sprigionano dall'assenza di ragione e di riflessione, in una parola di intelligenza, che si rappresenta come luce. Ma quando si unisce al fratello Buio, oscurità sotterranea e luogo del terrore, nascono due divinità della luce: Etere e Giorno. La separazione fra Notte e Giorno, tra Vita e Morte, è allo stesso tempo una contiguità, un avvicendarsi dei due elementi, opposti e complementari. Dopo il buio della Notte, la luce del giorno. Un mito orfico immagina la Notte come divinità primigenia, insieme al Vento: in principio c'erano solo Notte e Vento, e il Vento correva nella Notte, e la fecondò: la Notte depose un uovo d'oro. Al giusto tempo l'uovo si schiuse e ne uscì il primo dio, Eros tutto d'oro, che per la sua n

atura diede origine a tutti gli esseri:

Notte canterò, genitrice degli dèi e degli uomini.
[...]
Ascolta, dea beata, dal cupo splendore,
scintillante di stelle, che ti rallegri della quiete e della calma dal molto sonno,
Letizia, gradita, che ami la veglia notturna, madre dei sogni,
che fai dimenticare gli affanni e possiedi il buon riposo delle fatiche,
datrice del sonno, amica di tutti che guidi i cavalli, ti accendi di notte,
incompiuta, terrestre e ancora celeste,
periodica, danzatrice negli inseguimenti attraverso l'aria,
tu che invii sotto terra la luce e a tua volta fuggi
nell'Hades; perché la terribile Necessità domina tutto.
(Inni orfici, 3 profumo di Notte, torce)





O



OBLIO LETE (gr. Lethes, Lete) divinità. Figlio della sola Discordia, 370.

L'acqua del fiume Oblio lavava la memoria, cancellando ogni ricordo: la bevevano le anime prima di risalire sulla terra per rinascere in un nuovo essere umano. Dante pone il Lete alla fine del Purgatorio, nel sacro giardino dell'Eden, e le anime che hanno espiato i loro peccati ne perdono anche la memoria bevendo dalle sue acque.


OBRIAREO (BRIAREO), v. FORZOSO


OCCHIGRANDI v. EUROPA


OCCULTA (gr. Latò, Latona; lat. Lato) dea titanide. Celebrata dalle Muse, 30; figlia dei Titani Ispirazione e Coios, 640; congiunta amorosamente con Zeus genera Apollo e Artemide, 1450.

Esiodo la nomina come la più dolce dell'Olimpo, cara ai mortali e agli immortali, dal manto turchino. Quando era incinta dei gemelli di Zeus, Hera, gelosa di lei come di tutte le amanti dello sposo Zeus, fece giurare alla Terra di non darle alcun posto in cui partorire, e creò il serpente Pitone che la inseguisse. Vedendo la dea Occulta che vagava senza trovare un posto in cui fermarsi, il dio del mare Poseidon ebbe pietà di lei e fece emergere dal suo regno abissale l'isola fluttuante di Delo, dove Occulta diede alla luce Apollo e Artemide. Le ninfe lavarono il neonato Apollo nelle loro acque e Ostrica lo nutrì di ambrosia e nettare. Apollo poi fermò l'isola della sua nascita fra le Cicladi, e uccise il serpente Pitone.

Latona può significare un aspetto femminile non legittimato dall'unione legale, che non trova uno spazio proprio, e la sua dolcezza sembra legata al suo essere in disparte, o nascosta, come vuole il suo nome.
Da lei e da Zeus nascono Apollo e Artemide, che rappresentano la luce solare e la luce lunare.

* Latente.


OCEANINE divinità. Figlie di Ostrica e Oceano, 550.

I loro nomi, come quelli delle Nereidi, sono significativi dei fenomeni delle acque e delle terre raggiungibili solo per mare, con i pericoli e gli approdi che sperimentano i marinai: rappresentano qualcosa della realtà psichica mobile, della sensibilità, di cui l'acqua è elemento analogico. Da Oceano e Ostrica nascono come figlie anche Europa e Asia. Insieme ai Fiumi, loro fratelli, e al dio Apollo, nutr ono gli esseri umani nella crescita e nella giovinezza. Esiodo ne nomina quarantuno: Suadente (Peito) Ambra (Elettra) Indomita (Admete) Viola (Iante) Poppa (Primno) Celeste (Uranide) Cavalla (Ippo) Clara (Climene) Rosea (Rodeia) Sapia (Idìa) Bellafluente (Calliroe) Clizia (Clitie) Doris, Battitodaria (Plexaure) Arialattea (Galaxaure) Congiunta (Zeuxo) Tuttasnella (Pasithoe) Dione, Rapida (Thoe) Persiana (Perseide) Pastoradagnelli (Melobosis) Tantidoni (Polidora) Ianèira, Bionda (Xante) Pungente (Acaste) Spola (Cerceide) Stabile (Menesto) Ricchezza (Plutò) Petria, Europa Occhigrandi, Metis, Definitiva (Telesto) Ampialegge (Eurinome) Fortuna (Tiche) Aurea (Criseide) Asia, Calipso, Eudora, Velocecorrente (Ociroe) Doppiacorrente (Anfiroe) Brivido (Styx, Stige).


OCEANO dio titano. Celebrato dalle Muse, 36; figlio di Terra e Cielo, 221; oltre il suo confine occidentale vivono le Hesperidi, 354; padre di Doris, 391; padre di Ambra, 423; oltre il suo confine occidentale vivono le Terrifiche, 437; presso le sue fonti nacque il cavallo alato Pegaso, 454; padre di Bellafluente, 460; solcando le sue vie, navigando, Heracles porta i buoi di Euritione a Tirinto, 468; oltre i suoi confini, Bellafluente genera Vipera 471; congiunto amorosamente con la sorella Ostrica genera i tremila fiumi, 534, 579; congiunto amorosamente con la sorella Ostrica genera le tremila Oceanine, 570; padre di Brivido, 695, 1524; divampano le sue correnti e i suoi abissi nella battaglia contro i Titani, 1101; le sue correnti si accendono durante l'ultima battaglia tra i Titani e gli dei olimpici, 695; ai suoi confini scorre Brivido, 1244; al suo fondo hanno dimora i Centimani, e Forzoso è suo genero, 1287; rimbombano le sue correnti per lo scontro terrificante tra Tifeo e Zeus, 1325; padre di Largalegge, 1431; padre di Sapia, 1513; padre di Bellafluente, 979.

Rappresenta le acque profonde che circondano tutta la terra, dalle quali, attraverso l'unione col principio ricettivo femminile, simbolizzato da Ostrica, discendono tutti i fiumi, le sorgenti e le innumerevoli divinità dell'acqua, che significano movimenti trasformativi della realtà psichica, e anche isole e continenti.
L'Oceano, fiume perfetto concluso in se stesso, indica la completezza del flusso perenne delle acque, come movimento incessante della vita.
Così lo pregavano gli orfici:

Invoco Oceano, padre immortale, che sempre è,
origine degli dèi immortali e degli uomini mortali,
che ondeggia intorno al cerchio che delimita la terra;
dal quale derivano tutti i fiumi e tutto il mare
e i santi umori ctoni della terra che scorrono dalle sorgenti.
(Inni orfici, 83 profumo di Oceano, aromi)
OCIPETE v. FOLATA


OCIROE v. VELOCECORRENTE



ODISSEO v. ULISSE



OFIS v. SERPE

OIZIS v. INQUIETUDINE


OLIMPIO v. ZEUS


OLIMPO monte della Grecia. Vi giungono le voci delle Muse 67; riecheggia al canto delle Muse, 77; la casa delle Muse non è lontana dalla sua cima, 112; le Muse camminano verso l'Olimpo, 122; le Muse vi dimorano, 134, 192, 1519, 1610; è la dimora di Zeus e degli dei immortali che partecipano al suo ordine, 170, 190, 198, 844, 1055, 1236, 1253, 1267; Zeus vi riunisce gli dei per trovare alleati nella guerra contro i Titani, 617; vi giunge Brivido con i figli, 628; Occulta è la più dolce degli dei olimpici, 642; dalla sua cima combattono gli dei guidati da Zeus, 1006; trema per la battaglia tra Titani e dei olimpici, 1078; Zeus combatte correndo dal Cielo all'Olimpo, 1092; trema sotto i passi di Zeus che combatte Tifeo, 1328; dall'Olimpo Zeus scaglia i fulmini su Tifeo, 1348; Heracles vi sposa Giovinezza, 1504.

Mitica sede degli dei governati da Zeus, per la sua cima sempre avvolta dalle nuvole, pareti della loro reggia invisibile. Monte Olimpo, Grecia

* Olimpico, sereno, che mostra una calma imperturbabile, come quella degli dei beati.


OLMEO divinità e fiume della Grecia. Nelle sue acque purissime si bagnano le Muse, 10.


OMICIDI (gr. Fonoi) figli della Discordia, 372.


ONDA (gr. Chymò, Cimo) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 408.

* In greco antico il verbo chyèo significa sono grossa, gravida, incinta, e la parola chyèma vuol dire feto, embrione; chyma è l'onda come rigonfiamento del mare. Dal greco la parola cima, germoglio, estremità delle piante, delle funi, dei monti, come risultato di un onda di crescita, di espansione.


ONDACALMA (gr. Chymatoleghe, Cimatoleghe) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 404.


ONDARACCOLTA (gr. Chymodoche, Cimodoce) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 402.


ONDASVELTA (gr. Chymothoe, Cimothoe) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 395.


ONIROI v. SOGNI


ORCOS (gr. Òrcos) Giuramento sacro, figlio della Discordia, 376; gli dei lo vollero in nome di Brivido e delle sue acque, 632, 1269.

Il motivo dell'Orcos che Esiodo presenta al suo tempo arriva fino a noi con una complessità di senso non facile da comprendere. Significa il patto col quale le divinità olimpiche, belle, serene, luminose, mantengono il potere concedendo qualcosa a una divinità sotterranea come Styx Brivido: dimenticare il patto secondo il quale il giuramento Orcos sulle sue acque è sacro, significa ignorare la componente misteriosa, pericolosa, della realtà psichica, dell'inconscio. Illusione pericolosa, che rovina chi giura in una contesa, un litigio, in tribunale, con leggerezza: per il potere che Zeus, limite sereno, ha riconosciuto alla sua prima alleata Brivido, spergiurare significa infrangere questo patto, necessario all'equilibrio che consente la spartizione del potere e quindi l'ordine legale. L'Orcos Giuramento è come la sorgente sotterranea dell'ordine e della legge, limite oscuro tra dominio della coscienza, rappresentata dagli dei olimpici e da Zeus, e dominio dell'inconscio, sotterraneo in cui vivono incatenate le potenze primitive che sovvertirebbero questo potere, insieme alle altre potenze primitive, libere, sempre sotterranee, che hanno trovato uno spazio alleandosi con gli dei olimpici. L'importanza dell'Orcos può essere accennata ricordando che dalla parola greca orcos, che significa giuramento, deriva il latino Orcus, che è il nome del dio degli Inferi e designa gli Inferi stessi, come se l'Orcos fosse il nucleo di senso del mondo sotterraneo. La punizione che subiscono gli dei immortali quando tradiscono il Giuramento Orcos sembra la matrice del sonno magico delle fiabe, in cui chi subisce l'incantesimo, come la Bella addormentata nel bosco dei Grimm o Talia in Sole, Luna e Talia di Basile, non è morto, ma la sua vita è sospesa. Allo stato di morte apparente, senza respiro e senza cibo, nel quale giace il dio spergiuro, seguono nove anni di esclusione dalla comunità degli dei: chi infrange il nucleo sotterraneo della legge, resta escluso dalla vita sociale che la legge rende possibile, cioè dai consigli degli dei e dai loro banchetti. Dalla parola latina Orcus prende in seguito nome il mostro delle fiabe, l'orco divorante, che incorpora l'eroe come fa la terra col cadavere, e come il cannibale dell'inferno, il cane Cerbero. Come si incontra Cerbero passando la soglia tra due mondi separati, quello dei vivi e quello dei morti, così si incontra l'orco delle fiabe uscendo dalla dimensione comune a tutti gli esseri umani, entrando nel mondo della magia, alla ricerca di un tesoro o in fuga da un pericolo mortale. L'orco delle fiabe ha varie forme, e può persino essere un aiutante benefico, in ogni caso ha i segni della voracità incontrollabile: bocca immensa e lunghe zanne di cinghiale. La più recente grande rappresentazione degli orchi è nella trilogia del Signore degli anelli tratta da Tolkien, dove gli Orchi vivono in seno alle montagne, sotterranei quindi, inferi, hanno grandi zanne, e combattono per il regno delle tenebre e del male.


ORE (gr. Òrai) tre dee. Splendide figlie di Norma e Zeus, Buonalegge, Giustizia e Pace, 1422.

Significano la regolarità del tempo, le stagioni che si avvicendano:

Stagioni, figlie di Temi e Zeus sovrano,
Legalità e Giustizia e Pace molto felice,
primaverili, siete nei prati, ricche di fiori, sante,
di ogni colore, molto profumate nelle brezze fiorite,
Stagioni sempre verdi, che vi muovete in cerchio, d'aspetto soave,
vestite di pepli rugiadosi di tanti fiori che crescono,
compagne di giochi di Persefone, quando le Moire
e le Grazie la fanno risalire alla luce con danze circolari
compiacendo Zeus e la madre datrice di frutti:
venite alle pie sacre cerimonie tra i nuovi iniziati
portando generosamente nascite feconde di frutti di stagione.
(Inni orfici, 43 profumo delle Stagioni, aromi)

Nella Nascita di Venere di Botticelli le Ore porgono alla dea il manto fiorito. Nella Primavera di Botticelli la figura che alla sinistra di Venere sparge fiori, può essere interpretata come l'Ora della Primavera. Così Ovidio:

* Ore, dal greco òrai.


OREA v. MONTAGNE


ORTO cane a due teste. Ucciso da Heracles quando rapisce i buoi di Urlante, 469; generato da Vipera e Tifone, cane di Urlante, 494; congiunto con Balena, genera la Sfinge e il Leone Nemeo, 325.

Secondo un altro racconto questi figli sarebbero nati dall'unione incestuosa tra Orto e sua madre Vipera. 



OSTRICA (gr. Tethys) dea Titanide. Figlia di Terra e Cielo, 136; nell'unione amorosa con Oceano genera i Fiumi e le Oceanine, 336.

Ostrica rappresenta il principio ricettivo complementare all'Oceano, come il mollusco marino di cui ha il nome, nella cui valva si forma la perla.

Invoco la sposa di Oceano, Tethys dagli occhi glauchi,
sovana dal peplo scuro, che fluttua scorrevolmente,
spinta intorno alla terra da brezze profumate.
Con coste e scogli frange gli alti flutti,
serena con quiete corse delicate ...
[...]
soccorri benevola,
mandando, beata, un vento favorevole alle navi che corrono veloci.
(Inni orfici, 22 profumo del Mare, grano d'incenso)


OTRI monte. Dalla sua cima combattono i Titani contro gli Olimpici, 1005.





P




PACE (gr. Eirene, Irene) una delle tre Ore, figlia di Norma e Zeus, 1424.

          * Irene., nome femminile; ireneo, relativo a un ideale di pace.

PADUS v. PO ERIDANO


PALLADE v. ATHENA


PALLANTE figlio di Ampiaforza e Freddo, 592; con Brivido genera Zelo, Vittoria, Potere e Forza, 603.


PANOPE v. TUTTOVEDENTE



PARCHE v. FATE NERE

PARNASO monte della Focide. Nelle sue valli Zeus pone la pietra ingoiata dal padre Cronos al posto suo, 794.

Sul più alto monte della Grecia, sacro alle Muse, si sarebbe successivamente posata l'arca con la quale si erano salvati dal diluvio Deucalione e Pirra. Il monte aveva due cime, una sacra ad Apollo e alle Muse, l'altra a Dionisos, e fra le due cime sgorgavano tre fonti: chi beveva queste acque, cantava e poetava con una travolgente ispirazione. Nella tradizione greca questo era il centro della terra, significando la centralità per l'uomo della lingua e della poesia. Monte Parnaso, Grecia.





PARTENIO (gr Partènio). divinità e fiume. Figlio di Ostrica e Oceano, 543.
        Sulle sue rive cacciava Artemide.

        * Il nome deriva dalla parola greca parthenos, vergine, inviolata, lo stesso dal quale deriva il nome della dea Artemide.
Vedi un'immagine del fiume che scorre in Turchia, nome attuale Bartin: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/5/57/Bart%C4%B1n_River.jpg, ultimo accesso 16/01/2020




PASITEA
v. TUTTADIVINA

PASITHOE v. TUTTASNELLA

PASTORADAGNELLI (gr. Melobosis) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 557.


PEGASO divino cavallo alato. Nella fonte che ha il suo nome si bagnano le Muse, 10; nasce dalla testa di Medusa, fecondata da Poseidon, quando Perseo le taglia la testa, e vola fino all'Olimpo, dove porta a Zeus il tuono e la folgore, 450, 453; con Perseo uccide il mostro Vipera, 516.

Dopo essere stato cavalcato da Perseo nella liberazione di Andromeda, Pegaso fu il cavallo di Bellerofonte che doveva combattere la Chimera. Athena insegnò a Bellerofonte a usare il freno per domare Pegaso, ma Bellerofonte osò salire col cavallo alato fino all'Olimpo, e Zeus mandò un tafano a pungere il cavallo, che disarcionò il suo cavaliere facendolo precipitare. Da quel momento Pegaso ebbe una costellazione col suo nome e visse accanto a Zeus, al quale portava i fulmini.
Ricordando Pegaso nel Cielo di Giove, Dante invoca la Musa perché lo aiuti nel difficile compito di descrivere la danza dei beati, e la nomina riferendosi alla fonte Ippocrene, o Pegasea, che il cavallo alato fece sgorgare ai piedi dell'Elicona, le cui acque erano sacre ad Apollo e alle Muse:
O diva Pegasëa che li 'ngegni
fai glorïosi e rendili longevi,
ed essi teco le cittadi e 'regni,
illustrami di te, sì ch'io rilevi
le lor figure com'io l'ho concette:
paia tua possa in questi versi brevi!
(Divina Commedia, 3, XVIII, 82-87)

Figura tra le più ricorrenti della mitologia greca, Pegaso significa la potenza maschile sublimata, candida e alata, capace di salire alle stelle. 



PEITO
v. SUADENTE


PELEOS essere umano. Per volontà degli dei prese l'oceanina Thetis, con la quale generò l'eroe Achille, 1589.

Figlio di Eaco e di Endeide, a sua volta figlia del centauro Chirone, uccise Foco e dovette lasciare Egina, la sua patria. Si rifugiò presso il re Euritione, in Ftia, fu purificato dall'omicidio, e sposò la figlia del re, Antigone, che gli portò in dote un terzo del regno. Durante la caccia al cinghiale Calidonio, che devastava le loro terre, scagliò la sua asta e per errore uccise il suocero Euritione: allorà si rifugiò a Iolcos, dove Acasto lo purificò di questa colpa. La regina di Iolcos, Astidamia, si innamorò di lui, e siccome non riuscì a sedurlo lo accusò di averla violata, e scrisse ad Antigone, moglie di Peleos, che suo marito stava per sposare la figlia di Acasto. Antigone alla notizia si impiccò, e il re Acasto, credendo che Peleos avesse preso con la forza la sua regina Astidamia, violando gravemente le leggi dell'ospitalità, ordinò che durante una battuta di caccia fosse disarmato e legato sul monte Pelion, perché lo divorassero le bestie feroci. Così venne fatto, ma Zeus ordinò a suo fratello Hades di scioglierlo dalle catene, e di dargli una spada per vendicarsi della crudeltà della regina, vendetta nella quale gli furono compagni l'eroe Giasone e i gemelli Castore e Polluce. Dopo questa storia Peleos fu scelto fra i mortali come sposo della divina Thetis, che era destinata a generare un figlio più forte del padre. La dea non voleva essere umiliata con nozze mortali, e cercò di sfuggirgli trasformandosi in animali, uno dopo l‘altro, ma quando prese la forma di una seppia Peleos riuscì a prenderla. Quando il loro figlio Achille era piccolissimo, Peleos sorprese Thetis a temprarlo nel fuoco, e pensando che che volesse ucciderlo glielo portò via, e lo affidò il figlio al centauro Chirone, perché lo allevasse. Sul monte Pelion cresceva un frassino che Chirone aveva donato a Peleo, al quale Athena aveva dato forma, e che Hefestos aveva fornito di una meravigliosa punta di rame: questo albero divenne una lancia, che si chiamava Pelias, e che solo Achille era in grado di maneggiare.


PELIAS il re che impose prove durissime all'eroe Giasone, 1572.

Suo fratello Esone, re legittimo e padre di Giasone, gli aveva affidato temporaneamente il regno, ma Pelias, per non cederlo a Giasone, gli ordinò di andare a conquistare il Vello d'oro nella Colchide, in Asia Minore, sperando che sarebbe morto nell'impresa.


PENEO divinità e fiume. Figlio di Ostrica e Oceano, 542.

Nelle sue acque si gettava il fiume Titaresio:

Ma non si mischia col Peneo flutto d'argento,
gli scorre di sopra, a fior d'acqua, come olio,
perché è un braccio di Stige, l'acqua tremenda del giuramento.
(Iliade, I, vv. 753-754)

            * Vedi un'immagine del fiume che scorre in Grecia, con lo stesso nome: https://it.wikipedia.org/wiki/Peneo_(fiume_della_Tessaglia)#/media/File:Thessaly_Plain.jpg, ultimo accesso 16/01/2020


PENFREDO divinità, una delle due Canute (pr. Penfrèdo). Sorella di Enio, figlia di Balena e Bianco, dal bel manto, 435.




PENSIERISINUOSI
(gr. ankylomètis) v. CRONOS e PROMETEO


PENSIEROCAVALCANTE (gr. Ipponoe) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 407.


PERMESSO fiume. In esso si bagnano le Muse, 9. La sua sorgente era ai piedi del monte Elicona, e le sue acque erano sacre alle Muse e ad Apollo.


PERSE divinità. Figlio di Ampiaforza e Freddo, molto sapiente, 592; conduce come sposa nella sua casa Stella, con la quale genera Hecate, 644.


PERSEFONE (anche Core, lat. Proserpina) divinità. Sposa di Hades e venerata signora del sotterraneo infernale, 1213; figlia di Demetra e Zeus, rapita da Hades, 1440.

Figlia di Demetra e Zeus, chiamata dai greci anche Core, la Fanciulla, la figlia per eccellenza, costituiva con la madre, grande nutrice, una coppia perfetta e completa. Questa unità perfetta fu spezzata da Hades, dio degli Inferi, che con il consenso del fratello Zeus rapì Persefone mentre coglieva fiori. Demetra percorse piena di collera e di dolore tutta la terra alla ricerca della figlia, distruggendo le messi e i frutti, che fino ad allora crescevano senza fatica, spontaneamente, e provocando una carestia che rischiava di distruggere il generre umano. Per porre rimedio a questa catastrofe Zeus, padre di Persefone, fece un patto con Demetra: avrebbe potuto tornare dal regno dei morti, purché non avesse assaggiato alcun cibo durante la sua permanenza nel regno infero. Ma Persefone aveva gustato alcuni chicchi di melagrana, frutto che simbolizza la fecondità: l‘accordo allora fu che tornasse dalla madre una parte dell'anno, corrispondente alla bella stagione, nella quale la natura fiorisce e dà frutti, e restasse con lo sposo nel resto dell'anno, corrispondente all'autunno e all'inverno. Dopo questa separazione Demetra insegnò agli uomini l'arte dell'agricoltura, e il nutrimento non fu più un dono spontaneo della terra. La condizione perché Persefone tornasse per sempre con la madre, nutrice per eccellenza, era che non ci fosse stato per lei nessun altro cibo che quello materno: ma la madre non può dare alla figlia la fecondità, simbolizzata dalla melagrana che si trova nel regno dello sposo.

Il mito racconta di un tempo in cui la madre dà tutto, e il legame con lei è perfetto, come quello del neonato che succhia tutto ciò di cui ha bisogno dal seno della madre, e di come questa unità col genitore si spezzi nel tempo in cui l'altro, lo sposo per Core, rapisce e nutre con un cibo fino ad allora ignoto. La condizione adulta è la perdita del senso di perfezione dell'infanzia in rapporto all'unione con la madre, ed è l'inizio dell'agricoltura, che è l'arte di conoscere e far tesoro del ritmo alterno e costante delle stagioni, con la quale l'essere umano lavora per ottenere cibo per sé e per coloro di cui si prende cura. Il mito racconta con la rottura della coppia perfetta costituita da madre e figlia l'alternanza tra vita e morte, tra visibile e invisibile, tra abbondanza e privazione: il vivente è tale perché trascorre un tempo, prima della nascita, e dopo la morte, nel seno della madre terra, o nel grembo materno durante la gestazione. Così un lavoro creativo, sia un'opera d'arte o un'innovazione scientifica, sia un'opera attraverso la quale il soggetto, nella sua vita comune, introduce una trasformazione nella propria esistenza, hanno bisogno di una fase di silenzio, di mancanza, corrispondente alla permanenza nel regno infero. Nella necessità che la figlia, la parte più giovane, viva una parte dell'anno nel buio sotterraneo possiamo riconoscere una rappresentazione della depressione e del lutto che si alternano normalmente al tempo dello slancio e della produzione.

Così veniva pregata la dea figlia nella tradizione orfica:

Persefone, figlia del grande Zeus, vieni, beata,
[...]
compagna delle Stagioni, portatrice di luce, dalla forma splendente,
santa che tutto domini, fanciulla ricca di frutti,
dalla bella luce, dotata di corna, tu sola desiderabile per i mortali,
primaverile, ti rallegri delle brezze sui prati,
riveli la sacra persona con i germogli dai frutti verdeggianti,
rapita per essere sposata con nozze autunnali,
sola vita e morte per i mortali dai molti affanni,
Persefone: perché sempre tutto nutri e uccidi.
(Inni orfici, 29 inno di Persefone)
 

PERSEIDE
v. PERSIANA


PERSEO semidio, eroe. Uccide Medusa tagliandole la testa, e da quel taglio vengono al mondo il cavallo Pegaso e Spadadoro, 448.

La madre di Perseo era Danae, figlia del re di Argo, al quale un oracolo aveva predetto che un suo nipote lo avrebbe ucciso. Il re allora chiuse Danae in una camera di bronzo su un'alta torre, perché nessuno potesse vederla e chiederla in sposa, ma non bastò a fermare lo sguardo e il desiderio di Zeus: il sovrano degli dei se ne innamorò e la fecondò trasformandosi in una pioggia d'oro. Quando nacque Perseo, il re di Argo abbandonò alle acque del mare sua figlia col bambino appena nato, pensando che sarebbero annegati. Invece la principessa giunse all'isola di Serifo, e il re dell'isola volle sposarla. Quanto al bambino, lo mandò nel tempio di Athena dove fu allevato. Toccò a lui il compito eroico di uccidere Medusa, che pietrificava coloro su cui posava lo sguardo: camminando a ritroso con lo scudo che ne rispecchiava la figura, Perseo si avvicinò a Medusa senza subire il suo sguardo fatale, e così poté tagliarle la testa. Dal taglio nacquero Spadadoro e il cavallo Pegaso, sul quale montò Perseo per salire in cielo, dove vagò portato dai venti fino alle costellazioni dei Cancro e delle Orse. Al calare della notte si fermò all'estremo occidente, dove chiese ospitalità ad Atlante. Ma il titano sapeva che il suo giardino dalle mele d'oro sarebbe stato spogliato da un figlio di Zeus:

Questo temendo, rinchiuse il pomario con solide mura
e n'affidò la custodia a un dragone d'immane grandezza,
lungi tenendo dall'orto la gente venuta da fuori.
- Scostati, Atlante gli disse, perché non ti giovi la gloria
delle tue geste che mènti né Giove ti rechi soccorso!
Alle minacce congiunse la forza tentando scacciare
lui ch'indugiava e mischiava parole violente alle miti.
Pèrseo, di forze inferiore (di forze chi mai con Atlante,
chi pareggiar si potrebbe?): - Poiché l'amicizia disdegni,
prendi, gli disse, un regalo! - e scoprì dalla parte sinistra
della Medusa l'orribile teschio, voltandosi indietro.
Monte divenne quant'esso era grande: la barba e i capelli
gli si mutarono in selve, e in giogaie le spalle e le mani:
quello che prima era il capo si fece la vetta del monte,
l'ossa cambiaronsi in pietre. Cresciuto da tutte le parti
si sollevò smisurato (così voi, o numi, voleste!)
e su di lui si posò tutto il cielo con tutte le stelle.
(
Metamorfosi, vv. 646-662)
Continuando il suo viaggio, Perseo vide incatenata su uno scoglio la bellissima principessa Andromeda, offerta in sacrificio a un terribile drago, e la salvò uccidendo il mostro. Così la ebbe in sposa, ma durante il banchetto di nozze un gruppo di giovani nobili, gelosi del suo trionfo, lo assalirono per ucciderlo: Perseo trasformò tutti in pietre sollevando contro di loro la testa di Medusa. Il suo nonno Acrisio cercò di evitarlo fuggendo in Tessaglia, ma proprio là morì per un disco lanciato da Perseo durante dei giochi funebri. Perseo divenne quindi re di Argo, ma non volendo tenere un regno che aveva ottenuto uccidendo il padre di sua madre, anche se involontariamente, lo cambiò con quello di Tirinto, e fondò la città di Micene, che fu la sua capitale. Una tradizione narra che in Etiopia ebbe da Andromeda un figlio di nome Perse, dal quale discesero tutti i sovrani della Persia.

Molte fiabe sembrano apparentate al mito di Perseo, che è uno dei più ricordati dagli autori antichi: ricordiamo solo le più antiche: Pietropazzo, narrata nel Cinquecento da Straparola nelle Piacevoli notti, e Penta mano-mozza, narrata nel Seicento da Basile nel Cunto de li cunti. 


PERSIANA (gr. Perseis, Perseide) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 557; congiunta amorosamente col Sole, genera Circe ed Aiete, 1508.

Un'altra figlia della stessa coppia era Pasifae, sposa di Minosse re di Creta, madre di Arianna. Per vendicarsi del Sole suo padre, che aveva scoperto al marito Hefestos il suo tradimento con Ares, Afrodite fece innamorare Pasifae di un toro bianco che Poseidon aveva fatto uscire dal mare. Pasifae chiese all'architetto Dedalo di aiutarla, e il grande artefice fabbricò una giovenca di bronzo, nella quale entrò la regina, unendosi col toro. Da questa unione nacque il Minotauro, mostro metà uomo e metà toro, che venne imprigionato nel labirinto, costruito da Dedalo su ordine del re Minosse. Per evitare che Dedalo svelasse il segreto del labirinto, il re ve lo rinchiuse con suo figlio Icaro, ma dal labirinto Dedalo fuggì costruendo ali di piume tenute insieme dalla cera. Mentre l'artefice giunse sano e salvo in Grecia, Icaro, avendo voluto salire troppo in alto, precipitò in mare quando il calore del sole sciolse la cera.



PETRIA
divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 562.

* Dal greco pètra, it. pietra.


PIERIA città della Macedonia. Memoria vi concepì le Muse con Zeus, 100.

Le Muse erano dette anche Pieridi, dal nome della città, o perché avevano vinto le nove sorelle figlie di Piero, quando queste avevano osato sfidarle nel canto.



PITO città greca, nella Focide. Zeus vi pose la pietra che Cronos vomitò prima dei suoi fratelli, 795.

Pito è il nome antico della città di Delfo, vicina al monte Parnaso, dove Apollo uccise e lasciò imputridire il serpente Pitone, che Hera aveva mandato a inseguire sua madre Occulta quando era incinta di lui e di Artemide. Dal serpente prese il nome la Pizia, la sacerdotessa di Apollo attraverso la quale il dio pronunciava i suoi oracoli. La pietra deposta da Zeus, quella che sua madre Fluente aveva fatto ingoiare al padre Cronos per salvarlo, e che aveva vomitato prima di tutti i fratelli, si può ancora vedere a Delfi. Pito (Delfi)



PLEXAURE v. BATTITODARIA



PLOTO
v. NATANTE


PLUTO (gr. Pluto) dio. Benefico per chi lo incontra, che riceve in dono ricchezza e benessere, generato a Creta, in un maggese arato, dall'unione fra Demetra e Giasone, 1532.

Camminando verso il quarto cerchio dell'Inferno, Dante incontra Pluto, che chiama gran nemico, perché la ricchezza corrompe gli uomini. Il dio greco, che come Minosse ha tratti animaleschi, pronuncia parole il cui senso pare tuttora incomprensibile:

- Pape Satàn, pape Satàn aleppe!
cominciò Pluto con la voce chioccia.
(Divina Commedia, 1, VII, 1-2)

Per i Greci Pluto non aveva la voce chioccia, e incontrarlo era solo una fortuna, vista l'abbondanza di mezzi di cui permetteva agli uomini di godere. Pluto spesso è raffigurato fra le braccia della Fortuna. La ricerca della ricchezza può rappresentare tendenze sadico-anali, e i beni, se acquisiti con avidità e conservati con avarizia, significano per il soggetto un controllo sulla radicale incertezza della condizione essere umano. Se è dominato dal bisogno di controllare la vita, l'essere umano finisce con l'asservirsi proprio a ciò che vuole eliminare: la morte. L'oro e i tesori sono custoditi sottoterra, nell'oscurità, e il nome stesso di Pluto a volte coincide con quello di Plutone, dio degli inferi. Ma l'abbondanza di mezzi come disposizione al peccato è assente nel mito greco. 

* Plutocrazia, dominio dei ricchi.



PLUTÒ
v. RICCHEZZA

PO v PO ERIDANO


PO ERIDANO (lat. Padus, it. Po) divinità e fiume (pr. Eridàno). Figlio di Ostrica e Oceano, 537.

Si racconta che Eridano era uno dei nomi di Fetonte, e il fiume Eridano si chiamava così da quando il giovane era annegato nelle sue acque dopo la folle corsa sul carro del padre Sole. Per i latini lo stesso fiume è Padus, il re dei fiumi, che rappresentavano con corna dorate, perché trasportava sabbia d'oro, raccolta in segreto da chi abitava lungo le sue rive, e aveva la sua sorgente negli Inferi. Quando Enea scende nel regno dei poveri morti, e si trova nei Campi Elisi, vede la sorgente del fiume Po Eridano:

Scorge altri a destra e a sinistra per banchettare
e cantare in coro un lieto peana

tra un odoroso bosco d'alloro, da dove nel mondo
di sopra fluisce rigoglioso per la selva il fiume Eridano
(Eneide, VI, vv. 656-659

* Pianura padana, Po, dal latino Padus.
Vedi un'immagine del fiume che scorre in Italia: https://it.wikipedia.org/wiki/Po#/media/File:Torino_-_vista_ponte_Isabella_-_Castello_del_Valentino_e_Mole_Antonelliana.jpg, ultimo accesso 16/01/2020


POLIDORA v. TANTIDONI


POLIDORO essere umano. Figlio di Cadmo e Armonia, 1542.


POLIMNIA divinità, una delle nove Muse. Figlia di Memoria e Zeus, 137.

Fu attribuita l'invenzione della lira a lei, signora e ispiratrice dei canti inneggianti, e si narra che Orfeo nacque dalla sua unione con Oeagro, re della Tracia. Dal greco polys, molto, e ymnos, inno, o mnèsis: il nome significa quindi molti inni, o molta memoria.



POLINOE
v. MOLTARIFLESSIONE



PONOS
v. TRAVAGLIO



PONTO
v. MARE



PONTOPOREA
v. TRAVERSATA


POPPA (gr. Prymnò, Primno) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 552.


POSEIDON (lat. Neptunus, Nettuno) Scuotiterra (gr. Ennosigheos); Chiomaturchina (gr. Chyanocaites) [G. Bemporad traduce con Chiomazzurro, R. Calzecchi Onesti con chioma azzurra, invocato dal Ciclope, Odissea, Libro IX, v. 528 (pr. Posèidon). Abbiamo preferito turchino per l‘associazione fiabesca con la fata di Pinocchio. La dimensione fiabesca dei testi greci potrebbe essere tenuta in maggior considerazione nelle traduzioni]. Celebrato dalle Muse, 24; giace con la terrifica Medusa su un prato fiorito a primavera, 447; scuotitore della terra dagli abissi marini, a lui si affidano i pescatori, 697; figlio di Fluente e Cronos, 725; chiude con porte di bronzo i Titani nella prigione infernale, 1159; dà sua figlia Flottante in sposa al centimane Forzoso, 1289.

Fratello di Zeus, ha la sua signoria sulle acque, ma il nome del dio significherebbe signore della terra, e secondo un mito Poseidon è lo sposo della Terra madre: a questo sembra collegata la sua prerogativa di provocare i terremoti, cioè di rendere la terra oscillante come le acque, che sono il suo dominio. Il colore della sua chioma ci ricorda la fata turchina di Pinocchio, la cui funzione di madrina è la stessa delle Oceanine. In un mito si racconta che Fluente salvò anche Poseidon dalle fauci del padre Cronos, dandogli da mangiare al suo posto un puledro, e Poseidon aiutò Zeus a liberare i fratelli. Mentre una tradizione lo considera il padre dei ciclopi, che per vendicare l'accecamento di Polifemo perseguita Ulisse, un'altra narra che i Ciclopi, grati per la liberazione dalla prigione sotterranea, gli donarono il suo scettro, il tridente. Il tridente simbolizza il suo triplice potere sulle acque: di agitarle, calmarle, e conservarle. Altrimenti può significare la sovranità sui tre tipi di acque: quelle aperte del mare e dell'oceano, quelle chiuse dei laghi, e quelle che sgorgano dalle fonti e scorrono nei fiumi.
Quando Atene, la città greca per eccellenza promise l'onore di darle il nome al dio che avesse offerto agli esseri umani il dono più utile, Poseidon presentò il cavallo, ma fu battuto da Athena, che portò l'ulivo. Il cavallo ricorda le onde possenti, i cavalloni, ed è legato per la sua potenza alle fonti che sgorgano dalla terra, molte delle quali hanno un nome che contiene la parola ippos, che in greco significa cavallo. In una storia delle Mille e una notte si racconta di alcuni cavalli marini che potevano fecondare in certe notti le cavalle della terra, generando puledri di meraviglisoa bellezza, ma i guardiani dovevano essere molto abili per evitare che portassero le cavalle tra le onde.

Così veniva pregato il dio delle acque nella tradizione orfica:

Ascolta, Posidone signore della  terra, dalla chioma turchina,
equestre, che tieni nelle mani il tridente lavorato in bronzo,
che abiti le fondamenta del mare dal seno profondo,
protettore del mare che fai risuonare, dal cupo fragore, scuotitore della terra,
ricco di flutti, datore di gioia, che lanci la quadriga,
che agiti l'acqua salmastra con sibili marini,
che hai ricevuto in sorte come terza parte la corrente profonda del mare,
che ti diletti dei flutti insieme agli animali, demone marino;
salva le dimore della terra e lo slancio veloce delle navi,
portando Pace, Salute e prosperità irreprensibile.
(Inni orfici, 17 profumo di Posidone, mirra)




POTAMOI
v. FIUMI


POTERE (gr. Cratos) uno dei Gelidi. Generato da Brivido e Pallante, 607.

* Cratos in greco significa forza potente, dominante; democrazia, potere del popolo (da demos), aristocrazia, potere dei migliori, dei nobili (da aristos); plutocrazia, potere dei ricchi (da plutos)


PREVIDENZA (gr. Pronoe) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 417.

Dalla parola greca, pronostico, previsione.

PRIMA (gr. Protò, Proto) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 399.

Dalla parola greca, prototipo, primo esemplare.


PRIMACURA (gr. Protomedeia, Protomedea) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 401.



PRIMNO v. POPPA


PRODIGIO (gr. Thaumas, Taumante) divinità. figlio di Terra e Mare, 385; si congiunge amorosamente alla sposa Ambra e genera Iride Arcobaleno, e le Arpie, 422; padre di Arcobaleno, 1231.
*Dal greco thaumas, taumaturgo, che opera guarigioni prodigiose, miracolose.

PROMETEO (gr. Prometheus) dio. Pensierisinuosi, 871 ; figlio di Clara e Giapeto, fratello di Epimeteo, 812; incatenato da Zeus nell'Inferno, con un'aquila che gli mangiava il fegato, 831; liberato da Heracles, 849; Prometeo gioca d'astuzia Zeus facendo in modo che agli uomini tocchi la parte migliore degli animali offerti in sacrificio, 854, 871; Prometeo ruba il fuoco a Zeus, 905; neppure lui può ingannare Zeus, che lo punisce incatenandolo, 981.

I pensieri di Prometeo sono sinuosi, o angolosi, contorti, capaci cioè di comprendere la complessità e le ragioni segrete delle cose, come i pensieri di Cronos. Prometeo significa il pensiero che precede, prevedendoli, gli avvenimenti, mentre il nome del fratello Epimeteo significa il pensiero che segue gli eventi. La sua mente è definita anche molteplice, sinuosa, variopinta, cangiante. Prometeo è il dio che col pensiero soccorre gli uomini, come il pensiero stesso permette di non essere totalmente soggetti alla natura e sopraffatti dagli dei. Quando Zeus gli chiese di spartire la ricchezza degli animali sacrificati sugli altari tra dei e uomini, Prometeo compose una parte con le sole ossa avvolgendole nell'appetitoso grasso dell'animale, mentre nascose la buona carne nella pelle immangiabile, poi disse a Zeus di scegliere. Il padre degli dei scelse la parte che appariva più ricca e quando si vide ingannato, sfogò la sua collera contro gli uomini privandoli del fuoco, perché avevano ottenuto grazie all'astuzia di Prometeo il diritto di nutrirsi di tutte le parti buone degli animali che sacrificavano agli dei. Avendo pietà degli uomini Prometeo si recò sull'Olimpo con una canna cava, vi nascose una scintilla di fuoco e la portò agli uomini. Allora fu ancora più grande la collera di Zeus che imprigionò il disobbediente Prometeo nei sotterranei infernali, e lo legò con catene indistruttibili forgiate da Hefestos: un'aquila, simbolo del potere di Zeus, ogni giorno gli mangiava una parte del fegato, e la stessa parte gli ricresceva ogni notte.

La forza del pensiero si intreccia al coraggio di liberarsi dalla soggezione degli dei, e gli dei puniscono chi si ribella, tormentando il loro coraggio immortale, simbolizzato dal fegato di Prometeo. Il coraggio, come il fegato, per quanto divorato, ricresce ogni notte, indistruttibile, come la forza del pensiero che gioca il potere divino. Si narra che Prometeo fu liberato da Heracles, la forza eroica degli esseri umani che libera la forza del pensiero. Un‘altra storia dice che Zeus restituì la libertà a Prometeo in cambio del segreto, che solo lui conosceva, che gli avrebbe consentito di mantenere nelle sue mani il regno degli dei e degli uomini: solo Prometeo avrebbe saputo che l'oceanina Thetis doveva generare un figlio più forte del padre.
Zeus, per bilanciare il possesso del fuoco, formò per gli uomini un dono negativo, Pandora, la donna tanto seducente che non si può resisterle. Una storia racconta che quando furono creati gli animali e l'uomo, gli dei assegnarono a Prometeo ed Epimeteo il compito di distribuire fra loro tutte le virtù. Epimeteo, mentre Prometeo si era allontanato, le distribuì generosamente fra tutti gli animali, e quando finalmente gli si presentò l'uomo non aveva più nulla da dargli. Allora fece ritorno Prometeo, e vide che l'uomo era rimasto nudo, senza pelliccia, non avendo denti aguzzi e potenti, che erano toccati ai lupi e ai leoni, né la forza del corpo e la folta pelliccia che avevano gli orsi, né la velocità nella corsa, che era dei cervi e delle gazzelle, non aveva le ali, che si erano prese gli uccelli, né le pinne che consentivano ai pesci di nuotare negli abissi. Per rimediare all'ingiustizia dovuta all'imprevidenza di Epimeteo, Prometeo salì sull'Olimpo e in una canna cava nascose una scintilla del divino fuoco, che solo l'uomo usa sulla terra, col quale tiene lontani gli animali, e illumina le tenebre, cuoce e conserva i cibi, forgia i metalli per disporre di armi e recipienti. Il fuoco simbolizza il pensiero stesso in quanto capacità di trasformare la natura creando col lavoro nuove forme e condizioni di vita migliori. Figlio dei titani Giapeto e Clara, discendente del Cielo e della Terra come Zeus, Prometeo riconosce solo in parte il suo potere: la sua simpatia per gli esseri umani costituisce una continua sfida al dominio del Cronide Zeus.
Sant'Antonio eredita le prerogative di Prometeo sia per il suo bastone, la ferula, canna cava nella quale Prometeo nascose il fuoco per portarlo agli uomini, sia per la sua natura soccorrevole. I
suoi miracoli, sia straordinari, sia relativi alla vita quotidiana - come far ritrovare un oggetto perduto recitando una preghiera dedicata a lui. Il rapporto con il fuoco non si limita alla ferula: la malattia cutanea virale, Herpes Zoster, o Fuoco di sant'Antonio prende da lui il nome, e in nome suo veniva guarito dai guaritori popolari. Tutt'ora la medicina ufficiale dispone di farmaci lenitivi della malattia, che invece può essere guarita con successo da pranoterapeuti o altri guaritori estranei al campo scientifico. Anche il suo rapporto col maiale attesta il dominio del santo sul piacere della tavola, rendendolo quindi accessibile. Nella Val Padana, almeno fino alla seconda guerra mondiale, il prete era chiamato a benedire le stalle il 17 gennaio, festa di Sant'Antonio abate. Era il solo giorno dell'anno nel quale anche i contadini anarchici e socialisti invitavano il prete, riconoscendo il potere del santo comeerede di un protettore degli animali.

* Prometeico, ciò che di umano si spinge a forzare i limiti, tendendo verso una maggiore conoscenza. 


PREMINENTE (gr. Actaie, Actea) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 400.



PRONOE
v. PREVIDENZA



PROTO
v. PRIMA



PROTOMEDEA v. PRIMACURA


PSAMATE v. SABBIA


PSEUDOI LOGOI, v. DISCORSIFALSI


PUNGENTE (gr. Acaste) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 559.




Q





R




RAPIDA (gr. Thoe, Thoe) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 557.


REA v. FLUENTE


RECANTE (gr. Ferusa) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 400.


RESO divinità e fiume. Figlio di Ostrica e Oceano, 539.

Reso, re di Tracia, figlio del divinità e fiume Strimone e della musa Tersicore, aveva splendidi cavalli, grandissimi, più bianchi della neve e più veloci del vento. Un oracolo aveva predetto che Troia non sarebbe mai stata presa se i cavalli di Reso avessero potuto bere l'acqua del fiume Xanto e brucare l'erba delle sue rive. Avendolo saputo, Ulisse e Diomede andarono contro di lui prima che arrivasse al fiume, dove i suoi erano accampati sotto tende bianchissime, e lo uccisero. Poi presero i cavalli meravigliosi e li portarono nell'accampamento greco.


RICCHEZZA (gr. Plutò) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 561.


RIFRANGENTE (gr. Amfitrite) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 393; insieme alle sorelle Ondaraccolta e Ondacalma placa il mare, 405; dalla sua congiunzione amorosa con Poseidon nasce Tritone, 1466.

Il mito racconta che per sfuggire a Poseidon, che si era innamorato di lei, si nascose vicino ad Atlante, all'estremo confine occidentale. Ma il dio del mare era tanto innamorato che mandò i suoi messaggeri in tutte le parti del mondo: dopo tanto tempo un delfino trovò Rifrangente e le chiese di sposare il suo signore. L'oceanina finalmente acconsentì, Poseidon ne fece la regina del mare, e ricompensò il delfino mettendolo fra le costellazioni.


RISSE (gr. Isminai) figlie della Discordia, 372.


RODEIA v. ROSEA


RODIO divinità e fiume. Figlio di Ostrica e Oceano, 539.


ROSEA (gr. Rodeia) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 553.
Rodi, isola greca; rododendro, arbusto che ha il fiore simile alla rosa, che in epoca antica fu portata nella Macedonia dall'Asia Minore.




S





SABBIA (gr. Psamathe, Psamate) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 415; congiunta amorosamente con Eaco genera Foco, 1585.

Quando Eaco, innamorato di lei, la inseguiva, Sabbia per sfuggirgli si trasformò in una fonte e in un pesce, ma Eaco riuscì a prenderla. Per la rabbia e il dolore che provò all'incidentale morte di Foco, nella quale ebbe parte anche Peleo, padre di Achille, Sabbia suscitò contro di loro un lupo ferocissimo. Consigliato dalla nereide Thetis, sorella di Sabbia e sua sposa, Peleos chiese pietà a Sabbia:

Le mani Pelèo tendendo di là verso il lido del libero mare
Psàmate azzurra scongiura che cessi dall'ira e li aiuti.
Quella non cede alle preci. La supplica Teti, che ottiene
per il marito perdono. Ma il lupo, benché richiamato
da quell'orribile strage, persiste con grande ingordigia
per la dolcezza del sangue, finché fu mutato in un sasso,
mentre una lacera vacca azzannava di su la cervice.
(Metamorfosi, XI, vv. 397-404)

 
SAPIA (gr. Idìa) divinità, oceanina (pr. Sapìa). Figlia di Ostrica e Oceano, 553; sposa di Aiete e madre di Medea, 1512.

Nelle fiabe popolari si chiamano Sapia attanti di umili origini che grazie alla loro astuzia diventano regine. Idùia in greco significa vedente, percipiente, sapiente.
Ida, nome femminile, con significato simile a Sofia.


SALUTE (gr. Saò, Sao) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 394.

SANGARIO divinità e fiume della Frigia (Turchia). Figlio di Ostrica e Oceano, 544.

* Sangario era uno dei nomi di Ganimede, che viveva sulle sue rive.
Vedi un'immagine del fiume che scorre in Turchia, col nome Sakarya: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/c/c5/Sakaryariver.JPG, ultimo accesso 16/01/2020


SAO v. SALUTE


SARCASMO (gr. Momos, Momo) divinità. Figlio della Notte, fratello di Inquietudine, 352.

Dio del biasimo, della critica, della beffa, dell'arguzia, del cinismo, della satira, dell'arringa accusatoria in tribunale, di tutto ciò che mette in ridicolo e toglie senso a qualunque persona o cosa, essere umano o divina.


SATURNO v. CRONOS

SCAMANDRO divinità e fiume. Figlio di Ostrica e Oceano, 545.

Le sue acque scorrevano intorno a Troia, e siccome il fortissimo Achille correva dentro di lui contro corrente, riempiendo il suo letto cadaveri, il fiume disse al Simoènta:

Caro fratello, cerchiamo insieme di trattenere
la forza di quest‘eroe, che presto del sire Priamo la rocca
distruggerà, non resistono i Teucri al suo ardore.
Corri presto in aiuto, riempi il tuo corso
d'acqua dalle sorgenti, spingi i torrenti tutti,
alza un'ondata immensa, suscita gran fracasso
di piante e sassi; fermiamo l'uomo selvaggio,
che adesso trionfa e infuria pari agli dei.
Io te lo dico, né forza gli gioverà, né prestanza,
né l'armi belle, che giù nel fondo della palude
giaceranno, fasciate di fango; e lui stesso
rotolerò nella sabbia alta, versandogli intorno
ghiaia infinita, così che l'ossa non potran più gli Achei
raccogliere, tanta melma gli verserò sopra. 
(Iliade, XXI, vv. 308-321)

Achille sarebbe annegato, se Hera non avesse ordinato a Hefestos di bruciare tutti gli alberi lungo le rive, con tanto calore che i pesci ne soffrivano, e il fiume, sul punto di bollire, lo supplicò di smettere, promettendo che non avrebbe mai più tentato di fermare Achille e l'esercito greco. 
* Vedi un'immagine dello Scamandro che scorre in Turchia, nome attuale Karamenderes: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/9/98/Troy_scamander.JPG, ultimo accesso 16/01/2020

SCIOGLIMEMBRA v. EROS

SCIOGLIREGINA (gr. Lysianassa, Lisianassa) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 412.

SCUOTITERRA v. POSEIDON

SELENE v. LUNA


SEMELE essere umano. Amata da Zeus e madre di Dionisos, viene assunta in cielo, 1482; figlia di Armonia e Cadmo, 1539.

Semele morì incenerita per aver chiesto e ottenuto di vedere il suo amante Zeus in tutto lo splendore abbagliante della sua divinità. Glielo aveva suggerito, fingendosi la sua nutrice, Hera, come sempre gelosissima delle amanti di Zeus, dicendole che per sapere se davvero si trattava del sovrano degli dei doveva porgli questa richiesta. Semele chiese a Zeus di giurare sulle acque di Brivido che avrebbe esaudito un suo desiderio, e anche se sapeva di causarne la morte, Zeus non poté evitare di mostrarsi armato dei fulmini incendiari. Non potè evitare la morte dell'amante, ma riuscì a salvare il bambino che aveva in seno, cucendoselo in una coscia, finché la gestazione non fu compiuta. Così nacque il grande dio Dionisos, che essendo uscito sia dal ventre materno che dal corpo del padre, si chiamava anche Binato. Appena nato il dio scese agli Inferi per riprendere la madre Semele, e la portò in cielo, dove Zeus la rese immortale.


SERPE (gr. Ofis) mostro divino. Generato da Balena e Bianco, si avvolge in spire gigantesche ed è guardiano delle mele d'oro nei giardini occidentali delle Hesperidi, 529

Secondo una tradizione mitica fu posto a guardiano delle mele d'oro da Hera, perché le Hesperidi avevano l'abitudine di mangiarle. La voce greca òfis, latino anguis, va collegata a èchis, vipera, che forma la parola Echidna. Voce accadica corrispondente è abbu, che significa acquitrino, pantano, da cui abbû, appû, creatura vermiforme. Nelle favole come nei miti il serpente e il drago sono intercambiabili, e sono talora rappresentati anche come dragoserpente, essere immaginario che unisce le prerogative di entrambi.

* Ofidi, serpenti; ofiuroidi, stelle marine dalle lunghe braccia squamate, serpentine; ofiolatria, culto dei serpenti.


SFINGE (gr. Fix, Sfinx) mostro divino. Figlia di Balena e Orto, fatale alla stirpe di Cadmo, 518.

La Sfinge greca aveva testa e seno di donna, corpo di leone, ali di uccello, coda di serpente, mentre la sfinge egiziana era maschile, barbuta, e senza ali. La Sfinge dimorava a Tebe, fondata da Cadmo, nel cuore della città, o su una sua via di accesso: poneva a chiunque passava accanto a lei questo enigma: “Qual è l'animale che al mattino cammina con quattro gambe, a mezzogiorno con due, la sera con tre, ed è più svelto quando cammina con meno gambe?” Chi non conosceva la risposta veniva ucciso, precipitato in un burrone. A Edipo, abbandonato in fasce dal padre Laio, l'oracolo aveva predetto che avrebbe ucciso suo padre e sposato sua madre, e l'eroe tragico fuggì da Corinto, perché questo non accadesse, credendo che il re e la regina di Corinto, che l'avevano cresciuto come loro figlio, fossero i suoi genitori. Nel suo viaggio Edipo uccise Laio senza riconoscerlo, e diede la soluzione all'enigma della Sfinge: “l'uomo, che comincia a muoversi con quattro punti di appoggio, le ginocchia e le mani, che da adulto cammina sulle due gambe, e da vecchio si appoggia al bastone”.
La Sfinge allora si precipitò in un burrone, mentre Edipo giunse a Tebe e ne divenne il re, sposando Giocasta, con la quale generò quattro figli. Edipo, dopo aver avuto da Giocasta quattro figli, scoprì che il re e la regina di Corinto non erano i suoi veri genitori, e che senza saperlo aveva fatto ciò che si era illuso di evitare. Un altro mito racconta che la Sfinge era figlia di Laio re di Tebe, e quando alla sua morte si presentarono i pretendenti al trono essa poneva loro il suo enigma: della soluzione erano a conoscenza solo gli eredi legittimi della corona di Tebe.

*La parola sfinx per i greci significava una specie di scimmia, immagine dell'essere umano, e deriverebbe dalla voce egiziana šsp, che significava immagine, statua del faraone. Sarebbe connessa con la parola accadica apsasû, che indica un animale esotico, come la scimmia, o mitologico, come la sfinge. Collegato a sfinx è il verbo greco sfingo, che significa stringo, in una contrazione che impedisce l'uscita. La contrazione che impedisce il passaggio richiama fantasie infantili, e sembra articolarsi a partire da uno spasmo mortifero: dell'ano o della vagina, che possono sostituirsi uno all'altra nelle fantasie infantili e nella sessualità: Edipo alla strettoia controllata da Sfynx può procedere solo con la forza polymetis e ankylometis, col pensiero incorporeo che proprio per questo permette l'uscita dal dominio protettivo e soffocante della madre. Dal verbo greco sfingo vengono l'italiano sfintere, muscolo circolare che può contrarsi e rilassarsi, e asfissia, compressione che impedisce il respiro


SIGNORADELLEGENTI (gr. Laomedeia, Laomedea) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 411.


SIMOENTA divinità e fiume (pr. Simoènta). Figlio di Ostrica e Oceano, 542

Scorreva nella Frigia (Turchia) vicino a Troia, e con un'inondazione cercò di contrastare l'invasione dei greci, ma la dea Hera scese dal cielo col suo carro per sostenere l'esercito greco:

Quanta distesa d'aria abbraccia un uomo con gli occhi,
assiso sopra una cima, guardando al livido mare,
tanto divoran di slancio gli altonitrenti cavalli.
Ma quando giunsero a Troia, sulle correnti dei fiumi,
dove l'acque confondono Simòenta e Scàmandro,
qui frenò i cavalli la dea braccio bianco Hera,
sciogliendoli dal carro, e intorno versò molta nebbia.
E il Simòenta produsse per essi erba ambrosia, perché pascessero.
(Iliade, V, vv. 770-777)


SOCCORRENTE (gr. Eileithyia, Eilitìa) dea. Figlia di Hera e Zeus e sorella di Ares e Giovinezza, 1455

Il nome della dea significa veniente: chiamandola tre volte per nome, Soccorrente veniva ad aiutare le donne durante il travaglio e il parto. Lei aveva aiutato Occulta nel momento del parto di Apollo, mentre la sua gemella, Artemide neonata assisteva al parto del gemello Apollo. Lo stesso culto poteva essere dedicato a Soccorrente e ad Artemide, che aveva, come la Luna, una parte delle prerogative della grande dea madre, onorata con mille nomi fin dal Paleolitico.


SOGNI (gr. Oniroi) figli della Notte, 349.

Ovidio li rappresenta nella casa del Sonno, che giace su un letto coperto di veli neri:

Stannogli intorno disperse da tutte le parti le forme
vane dei Sogni con vari gli aspetti sì come nel campo
varie le spighe o le fronde del bosco o del lido le sabbie.
(Metamorfosi, XI, vv. 613-615)


La dea Arcobaleno dalla veste rifulgente li scosta al suo passare come ragnatele, mentre va a chiedere che venga inviato un sogno alla regina Alcione, che attende vanamente il ritorno del suo amato sposo Ceice. Gli dei intendono farle sapere che Ceice è morto annegato:

Di tra la folla dei mille suoi figli chiamò il Sonno allora
a sé Morfeo, maestro nel rappresentar le figure.
Non è di lui alcun altro ch'imiti con più somiglianza
passo che gli si comandi e l'aspetto ed il suon della voce;
anche le vesti e gli accenti che sono più usati da ognuno.
Ma solo gli uomini imita. C'è altro che mutasi in fiera,
che si trasforma in uccello ed in lungo serprente: dai numi
Icelo è detto ed il volgo mortale Fobetor lo noma.
E ve n'è un terzo, dissimile all'arte, che Fantaso è detto:
prende ingannevoli forme di terra, di sasso, di flutto,
d'alberi, e tutte le cose diventa che son senza spirto.
Ai condottieri ed ai prenci costui si presenta di notte;
vagano gli altri dispersi tra mezzo alla gente volgare.
(Ivi, vv. 633-645)

Nel racconto di Ovidio emerge l'illimitata possibilità di comporre e scomporre figure durante il sonno, della quale si servono gli dei quando vogliono comunicare qualcosa agli uomini. Per gli antichi, come per Freud, i sogni hanno un senso complesso che può essere colto, anche se con difficoltà. Ma non tutti i sogni avevano senso per gli antichi: se uscendo dalla loro dimora oscura passavano dalla porta di avorio erano ingannevoli e vani, mentre se passavano dalla porta di corno erano veritieri, inviati dagli dei perché gli esseri umani conoscessero qualcosa del loro destino.

Secondo l'antica oniromanzia, l'arte di comprendere il destino attraverso i sogni, i sogni erano ingannevoli nella stagione in cui le foglie cadono dagli alberi, e fra tutti i sogni notturni solo quelli del mattino, prima del risveglio, erano veritieri.

* Onirico, relativo ai sogni; oniromanzia, arte di indovinare attraverso i sogni.


SOLE (gr. Elios) dio e stella della terra, luce calda del giorno. Iperionide, figlio del Sole (gr. Yperion). Celebrato dalle Muse, 33; figlio di Divina e Hyperion, fratello della Luna e dell'Aurora, 585; non guarda mai con i suoi raggi il Sonno e la Morte, 1201; congiunto amorosamente con Persiana genera Circe ed Aiete, 1509, sgg.; padre di Circe, 1597.

Nella gerarchia olimpica narrata da Esiodo il generoso Sole, che splende e diffonde calore su tutti gli esseri, giusti e ingiusti, è meno potente del dio possessore del tuono e della folgore, Zeus, mentre in un inno orfico il Sole viene invocato col nome di Hyperion, e coincide con Zeus stesso e col padre del tempo, come un dio primigenio, increato.

Beato, tu che hai l'eterno occhio che tutto vede,
Titano di luce d'oro, Hyperion, luce del cielo,
da te stesso generato, instancabile, dolce vista dei viventi,
a destra genitore dell'aurora, a sinistra della notte,
che temperi le stagioni, danzando con piedi di quadrupede,
buon corridore, sibilante, fiammeggiante, splendente, auriga,
che dirigi il cammino con i giri del rombo infinito,
per i pii guida di cose belle, violento con gli empi,
dalla lira d'oro, che trascini la corsa armoniosa del cosmo,
che indichi le cose buone, fanciullo che nutri le stagioni,
signore del cosmo, suonatore di siringa, dalla corsa di fuoco, ti volgi in cerchio,
portatore di luce, dalle forme cangianti, portatore di vita, fecondo Paian,
sempre giovane, incontaminato, padre del tempo, Zeus immortale,
sereno, luminoso per tutti, del cosmo l'occhio che per tutto circola,
che ti spegni e t'accendi di bei raggi splendenti,
indicatore di rettitudine, che ami i rivi, padrone del cosmo,
custode della lealtà, sempre supremo, per tutti d'aiuto,
occhio di rettitudine, luce di vita; o tu che spingi i cavalli,
che con la sferza sonora guidi la quadriga: ascolta le parole,
e agli iniziati mostra la vita soave.
(Inni orfici, 8 profumo a Sole, grano d'incenso)

          * Dal greco Elios, sistema eliocentrico



SONNO (gr. Ypnos) dio. Figlio della sola Notte, 348; col dio Morte viaggia fra le braccia della madre, 1196; dimora con Morte nella casa materna, 1200.

Quando Arcobaleno va a portare un messaggio degli dei al Sonno, lo trova nella sua casa quieta e silenziosa, dove mormora fra i sassi il ruscello dell'oblio, invitando a dormire, e dove fiorisce il papavero, che la Notte raccoglie per addormentare gli esseri umani. Le porta della sua casa aprendosi non cigolano, e dentro:

                  ... Soltanto nel mezzo dell'antro
un letto d'ebano s'alza di piume e d'un solo colore,
e ricoperto d'un velo nerastro sul quale sopito
giacesi il Sonno con sciolte le membra nel languido oblio.
(Metamorfosi, XI, vv. 610-612)


Intorno a lui stanno i sogni dalle innumerevoli forme, e quando Arcobaleno entra li scosta con le mani e la casa rifulge dei suoi colori luminosi:

                 ... Ed il Sonno levando con stento
pigre le palpebre gravi e più volte cadendo sul letto
e percotendosi il seno col mento che gli tremolava,
sé finalmente scotendo da sé, sopra il gomito ritto,
poiché riconobbe la dea, le chiese a che fine veniva.
"Sonno, rispose, quiete del mondo, dolcissimo nume,
pace dei cuori, cui fuggon le cure, tu molci i mortali
stanchi dei duri travagli e li restituisci al lavoro.
(Ivi, vv. 618-625) 

* Ipnosi, tecnica di cura attraverso l'induzione del sonno nel paziente.


SPADADORO (gr. Crysaor, Crisaore) divinità. Nasce dal taglio della testa di Medusa, fecondata da Poseidon, 449; congiunto amorosamente a Bellafluente, genera Urlante e Vipera, 460, 1544.
Nasce insieme al cavallo alato, Pegaso, quando Perseo uccide Medusa.


SPAVENTO (gr. Fobos, Fobo) figlio di Afrodite e Ares, fratello di Terrore e Armonia, accompagna con Terrore il padre nella guerra, 1473.
* Fobia, paura angosciosa, non razionale.


SPEIO v. GROTTA


SPIAGGIA (gr. Eion, Eione) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 408.


SPLENDIDA (gr. Agauè, Agave) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 399.


SPLENDENTE (gr. Aglaie, Aglaia) una delle tre Grazie. Figlia di Largalegge e Zeus, 1433; sposa di Hefestos, il divino fabbro fornito di due attrezzi, Hefestos, 1491.

SPLENDORE (gr. Agave) figlia di Cadmo e Armonia, 1540.

Sposò Echione, re di Tebe, nato dai denti del dragone ucciso da Cadmo, e con lui generò Penteo. Divenuto re di Tebe, suo figlio non volle ricononoscere la divinità di Dionisos, e il dio, per vendicarsi, ispirò, durante i riti a lui dedicati, un'estasi violenta in Armonia e nelle sue sorelle Ino e Autonoe. Quando Penteo volle spiare la madre e le sue sorelle, Agave lo scambiò per un cinghiale e insieme alle altre donne lo fece a pezzi.
Il nome greco, come quello dell'omonima oceanina, significa splendida. Da Agave, pianta.



SPOLA (gr. Chercheis, Cerceide) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 560.


STABILE (gr. Menestò, Menesto) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 559.


STELLA (gr. Asterie, Asteria) dea. Figlia dei Titani Ispirazione e Coios, sposa di Perse e madre di Hecate, 644.

Un mito narra che si trasformò in quaglia, e tentò di attraversare a volo il mare, ma siccome le mancarono le forze precipitò, e allora Zeus la trasformò in pietra. Stella era una pietra in fondo al mare quando la dea Occulta peregrinava alla ricerca di un luogo in cui partorire, e nessuna terra voleva accoglierla. Allora emerse come isola, e sulla sua terra nacquero Apollo e Artemide. Il nome dell'isola, dalla parola greca che significava quaglia, fu Ortigia.


STELLE (gr. Astra, Astri) divinità. Che rilucono nella notte, antiche divinità, 184; incoronano il Cielo e punteggiano il suo manto, 211, 1166, 1273; figlie di Aurora e Astreo, 601.

L'essere umano potrebbe aver formulato le prime osservazioni scientifiche, centinaia di migliaia di anni prima di inventare la scrittura, osservando il cielo notturno e distinguendo tra le stelle mobili, i pianeti, e stelle fisse. Proiettando sui punti luminosi nel cielo notturno la propria realtà psichica, gli esseri umani hanno immaginato le costellazioni come figure di senso dotate di grande astrazione: vi sono disegni delle costellazioni sulle rocce preistoriche che precedono di molte migliaia di anni la scrittura.
L'astrologia è stata la prima scienza, come primo sapere tramandabile intorno alla natura, grazie alla quale gli Assiri e i Babilonesi erano in grado di prevedere le eclissi, che per tutti i popoli antichi avevano un significato funesto, rappresentando la possibile fine della luce che consente la vita. I sacerdoti astronomi salivano sulle torri babilonesi, le zigurrath ctrl, per osservare il cielo quando stava nascendo l'erede al trono e tracciarne l'oroscopo. Ciò che per noi è superstizione, l'astrologia, includeva l'osservazione astronomica, in una sorprendente mescolanza di magia e miracolosa capacità di calcolo del movimento dei pianeti, dalla quale poco più di cinquecento anni fa, con Galileo e Newton, si è staccata l‘astronomia come scienza. Le stelle regolano il destino degli esseri umani perché sono le guide, le figure che gli esseri umani scelgono per orientarsi. La superstizione anticamente si intrecciava alla conoscenza: il grande poeta latino Manilio chiamava le costellazioni ‘Aurea signa', figure d'oro, attraverso le quali l'uomo poteva comprendere se stesso e il proprio destino.

Astri celesti, cari figli della Notte nera,
che vi muovete in giro con vortici circolari correndo intorno.
Scintillanti, di fuoco, genitori di tutto sempre,
determinate il destino essendo guide di ogni destino,
regolate il sentiero divino degli uomini mortali ...
(Inni orfici, 7 profumo degli Astri, aromi)

 

STENNO divinità. Una delle tre Terrifiche. Figlia di Balena e Bianco, 438.

Il suo nome viene da sthenos, che significa forza. Astenia, debolezza fisica o mentale (da a- privativo e sthenos).


STEROPE v. FOLGORE


STIGE v. BRIVIDO


STRAGI (gr. Androstasiai, Androstasie) divinità. Figlie della sola Discordia, 372.


STRIMONE divinità e fiume (pr. Strimòne). Figlio di Ostrica e Oceano, 536.

Si racconta che era tanto ricco di acque da essere navigabile, fino al giorno in cui Heracles, volendo attraversarlo e non trovando un guado, lo riempì di massi. Strimone generò un figlio, Reso, divinità e fiume e re della Tracia, con Tersicore, musa della danza, o con Euterpe, signora della musica. Sulle sue rive Orfeo pianse la perdita di Euridice fino a morirne.

* Vedi un'immagine del fiume che scorre in Bulgaria, nome attuale Struma: https://en.wikipedia.org/wiki/Struma_(river)#/media/File:Struma_Winter.jpg, ultimo accesso 16/01/2020.


STYX v. BRIVIDO


SUADENTE (gr. Peithò, Peito) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 551.




T




TALIA 1 (gr. Thaleia) divinità, una delle nove Muse (pr. Talìa). Figlia di Memoria e Zeus, 136.

Signora e ispiratrice della commedia, protegge anche l'arte dell'agricoltura e lo studio dei campi, al quale venne associata la geometria, come arte di misurare la terra. Viene rappresentata coronata di edera, i cui serti ornano anche il capo di Dionisos, e tiene in mano una maschera comica. A volte le sta accanto una scimmia, che rappresenta l'imitazione comica, che suscita il riso, fecondo di vita come la terra coltivata.

* In greco thàllos significa germoglio, da cui talea, parte della pianta che, staccata, può emettere radici; tallo, germoglio; tallire, germogliare.


TALIE, una delle tre grazie, v. FIORITA


TANTIDONI (gr. Polydore, Polidora) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 558.


TARTARO INFERNO (gr. Tartaros, Tartara, Tartaro, lat. Inferi) terza divinità primigenia. Nasce insieme a Caos, Terra ed Eros, 201; il suo cane è Cerbero, 495; la sua distanza dalla superficie della terra è pari alla distanza dal cielo alla terra, 72, 1271; rimbomba con Terra, Cielo e Mare per l'ultima battaglia contro i Titani, 1081; è lontano dalla Terra quanto questa è lontana dal Cielo, 1140; i Centimani vivono ai confini dell'Inferno, dove sono le radici e i confini di tutte le parti del mondo, come guardiani della eterna e terrificante prigione dei Titani ribelli, 1164; congiunto amorosamente con Terra, dopo la vittoria di Zeus sui Titani, genera il mostro più smisurato e potente, Tifeo, 1294; rimbomba per i colpi scagliati da Zeus contro Tifeo, 1326; dentro i suoi sotterranei più profondi Zeus imprigiona per sempre Tifeo, 1370.

Nato dopo il Caos e dopo la Terra, rappresenta l'angoscia spaventosa del buio sotterraneo, dimensione opposta e complementare a quella della Terra, illuminata e scaldata dal sole. Rappresenta il seno della terra nella sua funzione orrida, smisurata, il luogo della morte come regressione e reinfetazione: prigione di tutti i nati di Terra e Cielo, dei Centimani e dei Ciclopi, e poi dei Titani che hanno combattuto contro gli dei olimpici, e infine di Tifeo, terrificante gigante sepolto nell'Etna. Può significare la mancanza assoluta di luce come condizione in cui l'essere umano è abbandonato senza appello, privo, nel buio, della vista, come percezione e intelligenza. Tartaro Inferno coincide con la morte: anche nella concezione cristiana l'Inferno è la vera morte, terrifica, come privazione di Dio, ed eterno tormento. Gli antichi greci non avevano un Aldilà felice, come il paradiso cristiano o musulmano, e l'oltretomba infernale era fonte di un'angoscia senza speranza.

Ulisse racconta di quando Circe gli rivelò che avrebbe dovuto recarsi presso il regno dei poveri morti a interrogare Tiresia:

A me si spezzò il caro cuore;
piangevo caduto sul letto e il mio cuore
non voleva più vivere, veder luce di sole.
Ma quando fui sazio di rotolarmi e di piangere,
allora le risposi parole e le dissi:
- O Circe, chi dunque m'insegnerà questa via?
All'Hades nessuno mai giunse con nave nera.
(Odissea 2, X, vv. 496-502)

* Tartari, gli invasori orientali, perché ispiravano un terrore che ricordava quello del Tartaro o Inferno.


TAUMANTE v. PRODIGIO


TEBE città greca. La città di Cadmo, dove sposa Armonia e genera figli con lei, 1477, 1542

Cadmo costruì la città con l'aiuto di magici guerrieri scaturiti dalla terra. Si racconta anche che Tebe fu eretta da Anfione: cantando e suonando la lira commosse i sassi, che spontaneamente formarono le mura. A Tebe giunse l'eroe Edipo, che risolvendo l'enigma della Sfinge liberò la città dalla sua oppressione e ne diventò re. Ma durante il suo regno scoppiò una terribile pestilenza di cui Edipo era causa involontaria, avendo, senza saperlo, ucciso il padre Laio, e sposato la regina, che era sua madre. Quando furono scoperte le nozze incestuose, la madre Giocasta si suicidò, e il re Edipo si accecò, perché nessuno fosse contaminato dal suo sguardo.
Accompagnato dalle figlie, mentre i due figli gemelli si dividevano il potere nella città, Edipo giunse a Colono, demo di Atene, ormai vicino alla morte. Tebe intanto era sconvolta dalla lotta fratricida di Eteocle e Polinice, e Creonte, fratello di Giocasta, si presentò a lui chiedendogli di tornare a Tebe. L'oracolo aveva rivelato che la città dove fosse stata la tomba di Edipo sarebbe stata vittoriosa: Edipo scelse di restare ad Atene, governata dal giusto Teseo, rifiutando la fedeltà alla città con la quale aveva legami di sangue, e morì a Colono. Sua figlia Antigone, che lo aveva accompagnato nell'esilio, tornò a Tebe, dove i fratelli si erano uccisi a vicenda, e Creonte, salito al trono, aveva ordinato che il corpo di Polinice fosse lasciato in pasto ai cani. Ma Antigone diede sepoltura al fratello, e sostenne di fronte al re Creonte, che l'accusava di aver infranto la legge, di aver agito secondo una legge superiore, presente nell'anima dell'uomo prima delle leggi scritte: quella della pietà.

Nella storia di Edipo, che per i greci era l'eroe tragico per eccellenza, Freud riconosce il dramma dell'essere umano, che desidera subentrare al padre, detronizzandolo, e far propria la madre. Da Cielo a Cronos a Zeus, la ferocia nell'avvicendarsi delle generazioni, che è la tragedia essere umano del potere, forma e distrugge esseri umani e dei immortali. Edipo scopre la fragilità dell'uomo, che opponendosi al destino diventa un burattino fra le sue mani: l'oracolo di Delfi infatti gli aveva predetto che avrebbe sposato la madre e ucciso il padre, e per evitare che si realizzasse Edipo era fuggito da Corinto, dove regnavano quelli che credeva i suoi genitori. Ma durante la fuga aveva incontrato il suo vero padre e lo aveva ucciso senza riconoscerlo, per poi sposare sua madre divenendo re di Tebe. La tragedia di Edipo e di Antigone racconta della incolmabile distanza tra la legge del sentimento e la legge come regola che garantisce la vita comune degli esseri umani.


TELEGONO essere umano. Figlio di Circe e di Ulisse, 1600.

Come l'Odissea racconta che Penelope mandò il figlio Telemaco alla ricerca di Ulisse, un mito racconta che Circe mandò Telegono a cercarlo. Telegono fece naufragio, e trovandosi solo sull'isola di Itaca viveva di furti. Telemaco e Ulisse lo affrontarono e Telegono uccise Ulisse. Athena ordinò che il corpo di Ulisse fosse portato da Circe, e la figlia del Sole in seguito sposò Telemaco, mentre Telegono sposò Penelope. A Telegono si attribuiva la fondazione di Tusculo (Frascati) e di Preneste (Palestrina). Il suo nome significa generato lontano, mentre il nome Telemaco significa combattente lontano.


TELESTO v. DEFINITIVA

TEMISTO v. LEGALITÀ


TEMPERATA (gr. Eucrante) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 393.


TEMPO v. CRONOS


TEOGONIA il poema di ESIODO, che significa la nascita, l'origine degli dei. Le Cosmogonie narrano di come sono cominciati il mondo, la vita, gli esseri divini e umani, e la Teogonia di Esiodo lo fa senza bisogno di stabilire se prima c'era o non c'era qualcosa, e cosa, come nelle religioni monoteistiche e nelle visioni scientifiche dell'Universo.

La Teogonia è regno della parola, lògos, mythos, verbum, perché con una sola battuta nascono i nomi, gli dei, le cose, che la parola chiama alla vita, all'esistenza: Urano Cielo è il dio figlio e sposo della Terra, che ogni notte scende su lei per avvolgerla e amarla dappertutto, ed è anche la volta celeste stellata, stellata come il manto del dio, ed è anche la parola Urano, che ancora risuona nominando il pianeta che, scoperto nel secolo scorso, porta il suo nome, Urano, o l'elemento radioattivo. E così è di Terra e di tanti esseri divini nominati nella Teogonia, incluse le quaranta Oceanine e le cinquanta Nereidi che suggeriscono molteplici percorsi e guadi all'essere umano che si mette in mare. Per i greci le acque del mare aperto erano opposte alla terra: questa solcata da belle o molteplici vie, quello aporos senza guadi, senza vie tracciate, stabili, elemento analogo a ogni mistero, alla realtà psichica, all'inconscio, nel quale il desiderio spinge l'essere umano, che supplisce con artifici alla mancanza di pinne e di organi natatori delle creature acquatiche, che trasforma i tronchi in navi, come la zattera che Ulisse costruisce per partire dall'isola di Calipso. Il mare, o l'inconscio, non hanno sentieri tracciati, e allora valgono l'intelligenza e l'arte del nocchiero che intuisce, o inventa, percorsi per arrivare a destinazione, per non essere inghiottito, ora come allora, e non solo metaforicamente, dall'impadroneggiabile mistero che si porta dentro e che vede fuori di sé... sentieri e guadi, passaggi, pòroi, di cui può raccontare, ma che non può segnare con picchetti né asfaltare. E se il mare e il cielo oggi sono solcati da rotte certe, grazie alla tecnica - technè in greco significava anche arte - ciò che il mare significava per i greci antichi è ancora vivo nell'incertezza della nostra realtà psichica, e dei percorsi necessari ad aprirci a orizzonti nuovi, che ci sfidano e ci atterriscono e ci attraggono, ora come allora, immaginando una convivenza più essere umano, una sapienza più utile, una pace più vera. Il motto della Lega Anseatica amato da Freud, Navigare necesse est, vivere non necesse, significa che la vita come esistenza è data, mentre la navigazione è oggetto di un desiderio che è allo stesso tempo necessità alla quale piegarsi: la stessa che costrinse Ulisse a navigare per il Mediterraneo, e a sostare nelle sue isole, fra ciclopi e sirene, fra Circe e Calipso e l'imboccatura del Tartaro Inferno, per dieci anni, prima di arrivare dove lo spinge la sua nostalgia, a Itaca, a casa. La Teogonia è la storia di come sorge il nostro mondo, che ha come matrice e antecedente il mondo degli dei, e la sua esistenza, la sua stabilità e le sue trasformazioni, hanno come filo conduttore la lotta per il governo supremo e le leggi.


TERRA (gr. Gaia, Gea; lat. Tellus) seconda divinità originaria, dopo Caos. Poseidon la scuote, 25, 698; celebrata dalle Muse, 35; le Muse la cantano come madre degli dei beati, generati da lei e dal Cielo, 84,178; risuona ai passi di danza delle Muse, 125; è fra gli dei antichi, 182; nasce ingenerata dopo il Caos, come stabile base per tutti gli esseri, 195; sotto di lei è Tartaro Inferno, 202; dà vita da sola al Cielo, suo simile, figlio e sposo, perché l'avvolga ogni notte in un abbraccio, poi genera le belle Montagne, e il Mare e i Titani, fino a Cronos, 210; sempre col Cielo, genera i Ciclopi e i Centimani, 241; Cielo imprigiona nel suo seno i terribili figli che genera con lei, 251; soffre per il peso dei figli ai quali il Cielo impedisce di venire alla luce e crea il ferro adamante per armare i Titani contro il padre Cielo, 258, 261; gioisce per la risposta di Cronos, 283; mette nelle mani del figlio Cronos, il solo disposto ad aiutarla, la falce affilatissima, 284; il Cielo viene ad abbracciarla, e Cronos lo evira, 289; raccoglie ogni goccia di sangue che sprizza dal fallo tagliato del Cielo e genera le Erinni, i Giganti e le Ninfe, 299, 306; il fallo del Cielo cade nel Mare passando su di lei, 308; vi abitano gli esseri umani, nutriti da lei, 377, 485, 656, 687, 904, 1194, 1386, 1348; congiunta amorosamente al Mare, suo figlio, genera Prodigio, Bianco, Balena e Ampiaforza, 384; Pegaso lascia la sua superficie e si alza in volo, 455; nelle sue profondità vive Vipera, 481; nelle sue profondità si avvolge il Serpe, 531; una parte del suo dominio è di Hecate, 651, 672; tutti gli dei olimpici sono discendenti della Terra, 666, 1022; nelle sue profondità è il regno di Hades, 723; Zeus fa tremare la Terra, 729; insieme a Cielo svela a Cronos che uno dei suoi figli lo spodesterà, 736; si rivolge a lei e al Cielo la loro figlia Fluente, e ottiene consiglio per salvare Zeus dal famelico Cronos, 749; accoglie Zeus neonato nell'isola di Creta, 763, 769; col suo aiuto Zeus fa vomitare al padre Cronos tutti i suoi fratelli, 787; su di lei Zeus poggia la pietra che Cronos aveva ingoiato al suo posto, 792; finché Zeus non li libera, ha nel suo seno i tre Centimani, imprigionati dal Cielo, 805, 990; ai suoi confini Atlante regge la volta celeste, 824; cresce su lei la fama di Heracles, 846; svela a Zeus che vincerà i Titani solo se libererà i suoi potentissimi figli Centimani perché combattano al suo fianco, 999, 1208; rimbomba e brucia per lo strepito della battaglia contro i Titani, 1076, 1097; madre dei Titani, 1104; sembra che il Cielo la comprima crollando su di lei durante l'ultima battaglia fra i Titani e gli dei Olimpici, 1113; i Titani sconfitti sono spinti nei suoi sotterranei, 1133, 1137, 1155; le profondità sotterranee del Tartaro sono lontane dalla sua superficie quanto questa è lontana dalla volta del Cielo, 1139, 1143, 1145; Nelle profondità del Tartaro mette le sue radici accanto a quelle del Mare e del Cielo, 1150, 1164, 1271; volano a turno verso di lei Notte e Giorno,1190,1203; sotto di lei scorre Brivido, 1241; intorno a lei e al Mare scorre l'Oceano in nove bracci, 1247; per volere di Afrodite si congiunge amorosamente con Tartaro Inferno e dopo la vittoria di Zeus sui Titani genera il figlio più mostruoso e terribile, Tifeo, 1292; geme, grida e ribolle per i colpi scagliati da Zeus contro Tifeo, 1330, 1336, 1358, 1368; ; su di lei può giungere dappertutto il benefico Pluto, 1333; è scossa quando Tifeo viene sepolto dentro di lei, 1354; nel suo seno si fondono i metalli per l'arte di Hefestos, 1366; i venti cattivi che vengono da Tifeo portano distruzione imperversando sul suo suolo, 1385; per suo consiglio gli dei spingono Zeus a regnare, 1392; seguendo il consiglio di Terra e Cielo, Zeus mangia Metis per incorporarla e impedirle di generare il figlio che lo spodesterebbe, 1406.

La Terra, seconda divinità primitiva o primigenia, dopo il Caos, è l'elemento stabile, la nutrice, è solcata dalle belle, o larghe, o ampie, strade, in opposizione al Mare, privo di sentieri tracciati.
Base per gli esseri umani, significa la madre, elemento originario di ogni vivente: madre di tutti, che tutti nutre. La sua prima azione è dare vita al Cielo, per appagare il proprio desiderio di essere avvolta dall'abbraccio amoroso, ma quando il Cielo, come funzione fallica illimitatamente fecondante, limita la sua facoltà di mettere al mondo i
figli più forti e tracotanti chiudendoglieli in seno, ne progetta l'evirazione, che il figlio Cronos esegue. La Terra definisce l'azione del Cielo, suo figlio amante sposo, come la prima azione cattiva. Il significato dell'alleanza di Terra con i figli, Cronos in particolare, per limitare il potere del Cielo, richiede una riflessione, visto che questa alleanza rompe un ordine primordiale facendo emergere un ordine legato a Cronos Tempo, alla misura che scorre e include quindi la fine delle cose come il loro principio. Cronos, su consiglio della madre Terra, pone fine al potere paterno e inaugura il proprio. A sua volta Cronos ripeterà l'azione violenta del padre Cielo sulla madre Terra, incorporando i figli che ha generato appena Fluente, che è sua sorella e sposa, non madre e sposa, li dà alla luce. L'incorporazione dei figli è il modo di Cronos di evitare che la fine che lui ha segnato per il proprio padre Cielo sia segnata per lui da uno dei suoi figli. Ma Fluente, come la madre Terra, si ribella: per amore dei figli, certo, ma anche perché questa azione maschile agisce contro il suo potere, il potere femminile di dare vita e far crescere le creature. L'ostilità di Terra verso Cielo significa la ribellione della parte femminile al potere di controllo maschile, che per durare senza limiti le impedisce di generare e dare alla luce. Non per questo finisce l'alleanza con il primo figlio amante, Cielo: quando il fallo tagliato di Cielo, prima di cadere nel Mare mai stanco, passa su di lei, Terra assorbe tutte le gocce di sangue, e nel tempo prendono vita, come da un estremo amplesso, i giganti armati di lunghe lance e le ninfe Melie. Terra e Cielo, non più amanti e generanti, restano uniti nel dare consigli e svelare il destino ai loro discendenti. Terra e Cielo fanno in modo che il potere del loro figlio Cronos, prima favorito dalla Terra stessa, venga limitato da quello del figlio di lui, e per questo aiutano Fluente a salvare l'ultimo bambino, Zeus, sia per vendicarsi del potere eccessivo che Tempo esercita su lei, sia per vendicare l'evirazione del padre Cielo. La Terra continua a sostenere gli dei olimpici quando indica a Zeus come vincere i Titani, liberando dalle tenebre sotterranee i Centimani, che non erano mai usciti dal seno materno dove Cielo li aveva imprigionati. Con lo sposo Cielo, Terra svela poi a Zeus che il figlio che potrebbe concepire con Métis gli toglierebbe il potere, e così Zeus incorpora Métis già incinta di Athena.
Ma quando l'ordine di Zeus sembra stabilito, scaturisce una nuova manifestazione di potenza della Terra, che accoppiandosi con la terza divinità primigenia, Tartaro Inferno, genera la creatura più gigantesca e terrificante, Tifeo, capace di spazzar via il nuovo ordine e di prendere il controllo del mondo, se Zeus non lo scorgesse subito col suo ampio sguardo. Il sovrano olimpio si scaglia con le sue armi contro di lui finché non lo precipita e lo imprigiona in seno alla Terra. Come in seno alla Terra Cielo aveva chiuso i figli, Zeus vi imprigiona Tifeo, la cui incursione minacciosa continua a farsi sentire nelle eruzioni vulcaniche e nei tifoni, le manifestazioni tuttora più violente e incontrollabili della natura. Come rassegnata alla potenza di Zeus, è ancora Terra, che aveva
partorito il minaccioso Tifeo, a consigliare gli Olimpici a dare a lui il potere. Zeus ha la prerogativa di far tremare la grande madre Terra, grazie alle armi del tuono e del fulmine che vengono dalla sua alleanza con i fratelli dei Titani. Significando quindi il femminile fecondo, che genera e nutre, l'unione di Terra col maschile si trasforma in ostilità quando il maschile impedisce l'espressione della sua potenza femminile, di dare vita. Il suo favore per Zeus, dopo la prova di forza che vince con Tifeo, potrebbe spiegarsi con le prerogative fecondanti di Zeus, che si prende cura degli innumerevoli figli che genera, al punto di far assolvere al suo corpo la funzione di completare la gestazione di Athena e di Dionisos. In questo modo Zeus, divinità maschile, ha in sé caratteri che non appartenevano né a Cielo né a Cronos, come l'amore e la sollecitudine per i figli e la capacità di gestazione e parto. Forse per questo Terra tollera che Zeus possa farla tremare con il fulmine e il tuono, doni che i Ciclopi hanno tratto dal suo stesso seno. Nelle invocazioni antiche delle dee femminili, ciascuna delle quali ha prerogative che si possono ricondurre alla Terra, la prerogativa di dare vita non è separata da quella di dare morte: come la terra dà nutrimento a tutti gli esseri, ne dissolve i corpi, e li riprende nel suo seno. Come il seme del grano marcisce e rigermoglia nella terra, così gli esseri umani tornando alla terra con la morte attendono il tempo della reincarnazione o della resurrezione.

Così la pregavano gli orfici, che prima del cristianesimo avevano fede nell'immortalità dell'anima:
Dea Terra, madre dei beati e degli uomini mortali,
che tutto nutri, tutto doni, che porti a maturazione, tutto distruggi,
che favorisci la vegetazione, porti frutti, ricca di belle stagioni,
sostegno del cosmo immortale, fanciulla variopinta,
che con le doglie del parto produci il frutto di molte specie,
eterna, molto venerata, dal seno profondo, dalla sorte felice,
demone che ti allieti delle erbe profumate ricche di fiori,
che ti rallegri della pioggia...
(Inni orfici, 26 profumo di Terra, tutti i semi tranne fave e aromi)

L' Ipotesi di Gaia, elaborata in campo scientifico alla fine del XX secolo, considera il pianeta Terra, la sua atmosfera, i suoi monti, i mari, la sua vegetazione, gli animali e gli esseri umani come un grande organismo vivente, nel quale ogni parte dipende dalle altre: da materia inerte Terra Gaia torna a rappresentarsi come un organismo vivente, formato da tutti gli esseri che contiene.

La depressione collettiva secondo la quale gli esseri umani dalla fine del XX secolo in poi sono colpevoli di aver offeso la Terra, inquinandola, e per questo potrebbero estinguersi, corrisponde al mito antico secondo il quale Gaia/Terra si ribella contro il figlio/fratello/amante Urano/Cielo che non rispettando le sue prerogative impedisce ai figli di nascere opprimendola col peso che la opprime. Il figlio minore Cronos si mette al suo fianco ma poi lascia nel suo seno giganti e ciclopi, e Gaia/Terra si allea con Rea/Fluente impedendo a Cronos di ingoiare Zeus, che successivamente lo detronizza.
Quando gli olimpici hanno instaurato il loro dominio, Gaia/Terra si unisce con l'altro primigenio, Tartaro, e genera Tifeo, che potrebbe divorare tutto il cosmo se Zeus non lo scorgesse e non chiamasse a combattere tutte le divinità. Solo la legge di Zeus, che istituisce il giuramento sacro e per primo spartisce il potere fra tutte le divinità disposte a sostenerlo, consente di non distruggere un equilibrio che riduce la potenza della Terra/Madre. Ma riducendola non la elimina: Tifeo sepolto sotto l'Etna erutta fuoco dalla bocca del vulcano, fa tremare la terraferma, genera i venti cattivi, irregolari, dai quali i naviganti non sanno come difendersi. I miti greci narrati da Esiodo nella Teogonia ci raccontano che le prerogative della Terra - di Gaia, del femminile - non possono essere domate. L'angoscia di colpa che provoca un consumo spaventoso di psicofarmaci segue un arco di tempo nel quale, dalla fine del Settecento a tutto il Novecento, la potenza fallocentrica dell'essere umano si è dispiegata in maniera indipendente da antichi limiti religiosi o civili.
          * Da Gaia (Gea) derivano i composti come geologia, geografia, geotermico ecc. Dal lat. tellus, tellurico.


TERRIFICHE (gr. Gorgò, Gorgoni) divinità, tre sorelle. Figlie di Balena e Bianco, 437.

Stenno ed Euriale, immortali, e Medusa, mortale, abitano accanto alle Hesperidi dalle altissime voci, dove vive la Notte, e sono raffigurate con ali di pipistrello sulle spalle, serpenti al posto dei capelli, mani di bronzo, denti lunghe come zanne di cinghiale. Sono così terrificanti che guardarle significa morire, diventando statue di pietra. Poche rappresentazioni di divinità femminili sono orride come le Terrifiche, e la pietrificazione esprime questo orrore, che irrigidisce la vita. 






TERRORE (gr. Deimos) divinità. Figlio di Afrodite e Ares, fratello di Paura e Armonia, accompagna in guera il padre insieme a Paura, 1473.


TERSICORE (gr. Terpsicore) dea, una delle nove Muse (pr. Tersìcore). Figlia di Zeus e Memoria, 136.

Ispiratrice e signora della danza, viene raffigurata con l'arpa o il tamburello, con la testa ornata di piume che ondeggiano ai suoi passi di danza. Secondo un mito sarebbe stata lei la madre delle Sirene, nate dall'unione con Acheloo. Il suo nome è composto da coros, danza, e tèrpo, rilasso l'animo, diverto, diletto, ritempro, risano. L'effetto terapeutico della danza, noto agli antichi come quello della musica, è utilizzato ancora oggi in varie forme di danza-terapia.


TETHYS v. OSTRICA


THANATOS v. MORTE


THEIA v. DIVINA


THEMIS v. NORMA


THETIS divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 394; congiunta con Peleos genera l'eroe Achille, 1588.

Come la titanide Metis, era destinata a generare un figlio così forte che avrebbe tolto il potere al padre, come Cronos aveva fatto contro Cielo e Zeus contro Cronos. Zeus e i suoi fratelli olimpici allora si accordarono di farla sposare, contro la sua volontà, a un essere umano, in modo che, per quanto fosse stato forte, questo figlio non potesse minacciare la loro sovranità. Scelsero il re Peleos, che dovette lottare per unirsi con Thetis: la nereide cercò di rendere impossibile l'unione trasformandosi in molti animali diversi, ma quando aveva forma di seppia Peleos riuscì a prenderla. Il motivo della sposa che sfugge all'unione con successive metamorfosi è presente in molte fiabe popolari. Thetis diede alla luce l'eroe guerriero più grande, Achille, e immergendolo nelle acque di Brivido lo rese invulnerabile in tutto il corpo, tranne che nel tallone per il quale lo teneva. Tentò di completare l'opera ponendo il bambino sul fuoco per temprarlo, ma Peleos la sorprese e glielo strappò dalle braccia, credendo che volesse ucciderlo. Inutilmente Thetis cercò di tener lontano Achille dalla guerra. Quando Patroclo, l'amico di Achille, indossando le armi dell'eroe fu ucciso da Ettore, Thetis, sapendo che avrebbe combattuto per vendicarlo, pregò il dio Hefestos di forgiargliene di nuove. Appena ebbe le armi, andò a portarle al figlio che piangeva sul cadavere di Patroclo: Achille gioì per le armi di bellezza mai vista, ma non voleva lasciare il corpo dell'amato Patroclo:

- Madre mia, un nume m'ha dato l'armi, ed è chiaro
che sono opera d'immortali, non l'ha fatte un uomo mortale.
Ora me n'armerò, certo; ma terribilmente
ho paura che intanto nel forte figlio di Menezio
entrino mosche per le piaghe aperte dal bronzo
e facciano nascere vermi, sfigurino il corpo -
la vita è stata uccisa - marcisca tutta la carne ...
E gli rispose allora la dea Teti piedi d'argento:
- Creatura, questo non ti preoccupi in cuore;
cercherò io d'allontanare la razza selvaggia,
le mosche, che gli uomini uccisi in guerra divorano.


THOE v. FORTUNA



TICHE v. FORTUNA

 

TIFEO dio (pr. Tifèo). Immensamente potente, generato da Terra e Tartaro Inferno, che emette tutti i suoni del mondo vibrando cento lingue nere, 1295; potrebbe dominare in brevissimo tempo gli uomini e gli dei, ma Zeus lo vede e gli dà battaglia, con tanta violenza che tutto il mondo è sconvolto e sconquassato dai tuoni e dai fulmini di Zeus e dai venti terrificanti, 1317; Zeus lo incendia e lo imprigiona nelle cavità oscure della Terra, sotto l'Etna, 1355; da lui hanno origine i venti cattivi, 1373.

Un mito racconta che gli dei beati dell'Olimpo fuggirono in Egitto e si trasformarono in animali, quando videro il mostruoso Tifeo, che col capo arrivava alla volta celeste, e con le braccia toccava l'Occidente e l'Oriente.

Ultimo figlio della Terra, che lo ha generato con Inferno, primigenio come lei, rappresenta la ribellione sua e dei suoi abissi terrificanti e oscuri al dominio di Zeus dal limite sereno. Anche dopo che viene imprigionato per sempre da Zeus e dagli olimpici nel seno immenso della madre Terra, Tifeo continua a far sentire qualcosa della formidabile potenza naturale che nessun ordine umano può controllare né contenere completamente. Ancora oggi può manifestarsi indomabile la potenza sotterranea, repentina come Tifeo quando nasce e cresce alzandosi verso l'Olimpo, dei tifoni e del fuoco vulcanico, come dei desideri inconsci e onnipotenti, per quanto la coscienza li rimuova.

* Tifone, violento fenomeno naturale. 


TIFONE (gr. Tyfàona) mostro spaventoso e scellerato. Si congiunge amorosamente con Vipera generando mostri: il cane Orto, il cane Cerbero, l'Hydra di Lerna e la Chimera, destinati ad essere uccsi da Heracles, 490.

Alcuni racconti lo sovrappongono a Tifeo, generato dalla Terra col Tartaro Inferno, ultima minaccia al potere di Zeus. 

 

TIRINTO città, Heracles vi conduce i mitici buoi di Urlante, 466 (pr. Tirìnto).


TIRRENI i popoli italici, che vivono sulle terre bagnate dal Mar Tirreno. I loro re, 1603.


TITANI divinità. Celesti (gr. Uranidi) figli del Cielo. Il Cielo dice che si sono fatti grandi per la malvagia azione contro di lui, e che saranno puniti, 343; Zeus promette ricompense a chi sarà al suo fianco contro di loro, 621; Hecate mantiene per volontà di Zeus tutti i poteri ricevuti da loro, 670; combattono da dieci anni contro gli dei olimpici 1004; combattono dal monte Otri, 1005; Zeus chiede ai Centimani che ha liberato dai sotterranei infernali di combattere contro di loro, 1028, 1031, 1053; i Titani si lanciano nella battaglia decisiva, 1060; i Centimani sono schierati contro di loro armati di trecento pietre, 1069; rinforzano le loro schiere, 1071; sono accerchiati dal soffio ardente, 1104; sono sommersi e oscurati dai colpi dei Centimani, 1132; sono vinti, legati e spinti nelle profondità della terra, 1132, 1155; la prigione sotterranea dei Titani, 1282; dopo che Zeus li ha vinti e scacciati, terra genera Tifeo con Tartaro, 1291; trema la loro dimora sotterranea per la battaglia tra Zeus e Tifeo e si strigono intorno a Cronos, 1343; avendoli vinti, Zeus diviene sovrano degli dei e dei mortali, 1391.

Esiodo ne nomina dodici, sei maschi e sei femmine: Oceano, Coios, Freddo (Crio) Hyperion, Giapeto, Cronos, e Ostrica (Tethys) Fluente (Rea) Norma (Themis) Divina (Teia) Memoria (Mnemosine) Ispirazione (Febe). Alcuni di loro non accettarono l'ordine stabilito da Zeus che aveva preso il potere al padre Cronos dividendolo con i suoi fratelli, e combatterono contro gli dei olimpici una lunghissima guerra che non ebbe vinti né vincitori fino a che gli dei olimpici presero come alleati i Centimani.

Sono la prima generazione che toglie potere al padre, Urano Cielo, e alla quale la generazione successiva, i figli di Cronos e Fluente, tolgono il potere. Nella realtà psichica possono essere considerati figure dell'onnipotenza arcaica e infantile, immortale perché sempre presente nell'essere umano, che non rispetta ordine, limite, né norma collettiva. Vinti dal signore di questo ordine, Zeus, nella loro prigione sotterranea rappresentano un assetto pulsionale arcaico o infantile, controllato nella condizione adulta. I domini e le signorie che avevano sulla terra, vengono assunti dalle divinità olimpiche e dai titani che si sono alleati e sottomessi a loro. Un mito racconta che Titano era il primogenito di Cielo e Terra, e concesse al fratello Cronos, favorito dalla madre, la sovranità, a patto che non la trasmettesse a nessuno dei suoi discendenti: per questo Cronos avrebbe incorporato tutti i figli. Per rovesciare il potere di Cronos, Titano avrebbe stretto alleanza con Zeus, salvo poi ribellarsi contro di lui, nella guerra fra Titani e Olimpici. [Titanico, impresa gigantesca, ai limiti del possibile;  Titanic: singolare che transatlantico considerato invincibile abbia fatto naufragio, sconfitto come i primitivi potentissimi signori del mondo: chi scelse questo nome per il transatlantico sapeva della forza dei Titani, ma forse ignorava la loro sconfitta].


TITONE uomo mortale. Congiunto amorosamente con la dea Aurora, genera Memnone ed Emazione, 1352.

Quando la dea Aurora si innamorò di Titone chiese e ottene per lui l'immortalità, ma avendo dimenticato di chiedere anche l'eterna giovinezza, si trovò uno sposo che continuava ad invecchiare, divenendo decrepito. In una fiaba secentesca il mattino succede così alla notte:

Quando l'Aurora esce a gittare il pitale del vecchio suo, pieno di arenella rossa, alla finestra d'oriente... (Basile, La fiaba dell'orco).

Stanco della vita che trascorreva in una debolezza inimmaginabile, Titone finalmente chiese la grazia di morire, e fu trasformato nell'aria fresca che spira ogni mattina, quando giunge Aurora.


THOE v. RAPIDA


TRAVAGLIO (gr. Ponos) divinità. Figlio della sola Discordia, 369.
Nel greco antico ponos designava sia il dolore dell'eroe in guerra, sia il travaglio del parto. A Sparta il nome sulla tomba spettava agli uomini morti in guerra nella difesa della patria, e alle donne morte di parto

TRAVERSATA (gr. Pontoporeia, Pontoporea) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 411.


TRETO luogo della Grecia. Vi seminava distruzione il Leone di Nemea, 525.


TRITOGENIA v. ATHENA


TRITONE divinità. Figlio di Rifrangente e Poseidon, signore delle fondamenta del mare, vive in un palazzo d'oro, 1467

Raffigurato spesso come uomo fino alla cintola e pesce nella parte inferiore, con una conchiglia in mano, la bucina, era chiamato anche centauro del mare. Presenta delle analogie con Dionisos e Pan per l'elemento inebriante e terrificante: miti diversi raccontano che fu lui, e non il grande dio Pan, a soffiare in una conchiglia emettendo un suono così terrificante che mise in fuga i Giganti che combattevano contro gli dei olimpici. Poseidon chiedeva a Tritone di soffiare nella conchiglia quando voleva che le acque tornassero nella loro sede dopo le tempeste.


TUONO (gr. Brontes, Bronte) uno dei Ciclopi, figlio di Terra e Cielo, fratello di Folgore e Lampo, 231.
         
          * Brontolio, lo stesso del rumore del tuono.


TURBINE (gr. Aellò) divinità. Una delle due Arpie, figlia di Prodigio e Ambra, sorella di Folata, vola in cielo con gli uccelli rapaci, 426.


TUTTADIVINA (gr. Pasithee, Pasitea) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 396.
Dal greco pas, tutto, e thea, dea.


TUTTASNELLA (gr. Pasithoe, Pasithoe) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 556.

Il suo nome è composto da pas, tutto, e thoe, veloce, agile, pronta, snella.


TUTTOVEDENTE (gr. Panopeia, Panope) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 401.

Veniva invocata dai marinai come una delle divinità più soccorrevoli.

* Dal greco pas, tutto, e òpsis, vista. Da qui l'italiano panottico, nome, che significa edificio circolare adibito a carcere, con un vano centrale dal quale si possono sorvegliare tutte le celle, e panottico aggettivo, in ematologia colorazione che mostra al microscopio tutte le componenti delle cellule ematiche.





U





ULISSE (gr. Odyssèos, Odisseo; lat. Ulixes) congiunto amorosamente con Circe genera Agrio, Latino e Telegono, 1598; con Calipso genera Nausitoo e Nausinoo, 1607.

Ulisse è l'eroe dell'Odissea, poema omerico del viaggio e della nostalgia. La sua intelligenza, sempre ricca di risorse ma al tempo stesso attenta ai limiti segnati dagli dei e dal destino, è nominata come sinuosa, complessa, variopinta e cangiante, e la sua protettrice divina è la dea ingegnosa, combattiva, lucidissima: Athena. Nessun personaggio della letteratura di tutto il mondo può vantare come Ulisse una popolarità tanto grande e ininterrotta, dalla diffusione dei poemi omerici a oggi. Ogni tempo ha visto in Ulisse qualcosa di proprio, legato alla ricerca, alla passione essere umano, agli affetti e all'ingegno. Quando tutti i principi greci erano alla sua corte come pretendenti di Elena, la donna più bella, e il re non si decideva a scegliere il genero, temendo la reazione dei pretendenti respinti, Ulisse propose un patto per superare l'impasse: chiunque fosse stato il prescelto, gli altri principi non solo non lo avrebbero attaccato, ma avrebbero combattuto al suo fianco se qualcuno avesse attentato all'onore di Elena. La donna più bella della Grecia scelse Menelao e Ulisse ebbe Penelope, nipote del re. Quando Elena fu rapita dal troiano Paride, Ulisse non aveva nessun desiderio di andare in guerra: quando il messo dei greci, Palamede, andò a cercarlo a Itaca, si finse pazzo, facendosi trovare in riva al mare intento a seminare il sale sulla sabbia. Palamede, conoscendo la sua astuzia, gli mise il suo piccolo figlio davanti all'aratro, certo che se non fosse stato pazzo si sarebbe fermato. Così accadde, e Ulisse dovette lasciare la sposa Penelope e il figlioletto Telemaco. Tentò una mediazione a Troia per evitare la guerra, ma fallì per l'impulsività collerica che dominava gli altri.


Così lo ricorda il re Priamo verso la fine della guerra:

Ma ogni volta che Odisseo abilissimo si levava,
stava in piedi, guardando giù, fissando gli occhi in terra,
e non moveva lo scettro né avanti né indietro,
lo teneva immoto, sembrando un uomo insipiente;
avresti detto che fosse irato o pazzo del tutto.
Quando però voce sonora mandava fuori dal petto,
parole simili ai fiocchi di neve d‘inverno,
allora nessun altro mortale avrebbe sfidato Odisseo,
allora non pensavamo ad ammirare l'aspetto d'Odisseo!
(Iliade, III, vv. 216-224)

Nella guerra non si distingue per forza guerriera, ma solo la sua astuzia, col cavallo di legno, permise ai greci di distruggere Troia e tornare in patria vittoriosi. Il ritorno avvenne dopo dieci anni, lo stesso tempo della guerra, e Itaca dall'Odissea in poi significa patria, porto e luogo degli affetti. Le tempeste, i pericoli del mare e le azioni sconsiderate dei compagni, o l'ostilità dei popoli dove Ulisse si trova ad approdare per rifornire le navi, lo costringono a un lungo viaggio, durante il quale visita tutti i luoghi mitici del Mediterraneo, fino a sfiorare le Colonne d'Ercole, limite del mondo abitato e percorribile per gli antichi.

Nel Medioevo, quando non si leggevano i poemi omerici perché si ignorava la lingua greca, conoscendoli attraverso la tradizione latina, Dante scelse una particolare storia secondo la quale Ulisse, avendo preferito il viaggio al ritorno in patria, volle andare al di là delle Colonne d'Ercole, corrispondenti allo Stretto di Gibilterra, dove il Mediterraneo si apre all'Atlantico. Dante incontra l'eroe dell'intelligenza all'Inferno, punito come consigliere fraudolento per l'inganno del cavallo, e ascolta il racconto della sua ultima avventura. Giunto all'estremo confine, con una orazion picciola Ulisse convince i compagni a tentare la via mai percorsa, nella costante sfida dell'uomo per la conoscenza:

- O frati, - dissi, - che per cento milia
perigli siete giunti a l'occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d'i nostri sensi ch'è del rimanente
non vogliate negar l'esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.
Li miei compagni fec'io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;
e volta nostra poppa nel mattino,
de' remi facemmo ali al folle volo.
(Divina Commedia, 1, XXVI, 112-125)

Il folle volo finisce con la morte, e ora come allora si pensa per lo più a Ulisse come all'eroe che per conoscere rinuncia agli affetti e alla vita stessa. Ma Ulisse nei poemi omerici non sceglie di andare in guerra, anche se trovandosi a Troia dà un contributo decisivo alla vittoria dei suoi, non sceglie di viaggiare, anche se viaggiando si rivela osservatore acutissimo e curioso, non vuole infrangere le regole dettate dagli dei, anche se per salvare la sua vita e quella dei compagni affronta esseri divini e potentissimi come il Ciclope e la maga Circe. Non dimentica mai i suoi limiti umani, anche se cerca di estendere in ogni direzione la sua esperienza per arricchire la sua conoscenza del mondo e di se stesso, come con le sirene. Trovandosi vicino a loro, vuole sentirne il canto, che sa irresistibile: tutti quelli che lo avevano sentito erano annegati per unirsi alle divinità marine. Seguendo le indicazioni di Circe, si fa legare stretto all'albero maestro, e riempie di cera le orecchie di tutti i compagni, ordinando che, se a cenni avesse fatto intendere che voleva essere liberato, lo stringessero più forte. Quando sente le voci bellissime, vorrebbe buttarsi dalla nave per raggiungere le sirene, ma non viene slegato se non quando la nave è lontana dall'incantesimo.

Riguardo alle figure femminili, Ulisse è l'unico eroe del mito ad aver amato molte donne e molte dee senza che nessuna di loro lo abbia maledetto, o si sia uccisa per la sua partenza. Penelope non lo tradisce né vuole risposarsi nei suoi vent'anni di lontananza, al punto che il nome di Penelope è sinonimo di fedeltà. Quando Ulisse, solo, dopo molti naufragi, bello di fama e di sventura (Ugo Foscolo) torna a Itaca, deve sconfiggere i Proci, giovani nobili che hanno occupato la sua reggia per chiedere a Penelope a scegliere uno di loro come nuovo re. Finalmente, sconfitti i Proci, ripresa la sua regalità, rinvigorito grazie all'intervento di Athena, Ulisse si riunisce con Penelope nel letto nuziale, che aveva costruito su un albero d'ulivo, e le rivela che gli resta da intraprendere un ultimo viaggio.
Dovrà partire con un remo sulla spalla, fino a quando qualcuno gli chiederà a che serve quel ventilabro, scambiando lo strumento per navigare con un attrezzo agricolo. Allora Ulisse dovrà insegnerà cosa sia il mare a questo popolo che non ne conosce nemmeno l'esistenza, e poi potrà tornare a Itaca, per vivere in pace e prosperità l'ultima parte della sua vita. Il più grande viaggiatore della storia viaggia senza averlo scelto, come l'essere umano vive senza aver scelto di nascere, né quando, né dove: forse è il più grande e il più umano proprio per questo. L'ultima parte della vita, compiuto il viaggio, verrà solo quando avrà insegnato il senso del mare, dove la rotta si traccia nuova ogni volta sulle onde, a chi conosce solo la terraferma, dove le strade sono tracciate stabilmente. Ulisse rappresenta il soggetto umano che sceglie la terra, la patria, gli affetti, ma è scelto aleatoriamente dagli eventi, e allora ne fa esperienza. Considerando il mare come rappresentazione dell'inconscio, il naufragio ripetuto dell'eroe, che alla fine resta solo e nudo, significa l'esperienza della complessità della vita, comprensibile solo per chi si spogli dell'identità legata all'ideale di sé e alla maschera sociale. Allora, e solo allora, potrà riprenderle, scoprendo che non si perde nulla di ciò che è proprio, né si conserva nulla di ciò che non ci appartiene veramente.

All'Odissea greca si sono ispirate molte opere letterarie nel Novecento, ricordiamo qui solo Ulysses di J. Joyce (Paris 1922) e Orcynus Orca di Stefano D'Arrigo (Milano 1975)

* Odissea, lunga serie di peripezie, avventure e disgrazie, prima del conseguimento della meta.



URANIA (gr. Urania) divinità, una delle nove Muse. Figlia di Memoria e di Zeus, 138.

Ispiratrice e signora dell'astronomia, che fino alla nascita della scienza moderna era anche astrologia, canta del cielo e delle stelle. Il verbo italiano considerare deriva dal latino siderare, relativo all'attenta osservazione degli astri, e cum, unitariamente, nel loro insieme. (Devoto). Si stabilirebbe così una suggestiva parentela tra la riflessione e l'osservazione delle stelle, che trova riscontro nell'ipotesi dei paleostorici secondo la quale la prima scoperta scientifica dell'essere umano sarebbe consistita nella distinzione nel cielo stellato di corpi mobili, i pianeti, e fissi, le stelle. L'immaginazione corre scorgendo forme nell'immenso cielo notturno, e stabilendo una relazione tra lavita umana e i moti delle stelle gli uomini hanno potuto narrare e spiegare a se stessi qualcosa della propria natura e del proprio destino.

* Dal greco urànos, cielo, come il nome del dio e del pianeta Urano.


URANIDE v. CELESTE


URANIDI v. TITANI

URANO v. CIELO


URLANTE (gr. Gheruones, Gerione) mostro. Dotato di tre teste, generato da Bellafluente e Oceano, e vinto da Heracles, 462; con Vipera genera Orto, il suo cane, 494.

Era un mitico sovrano, della Spagna o delle Baleari, o di Eritia, che corrisponde a Cadice, ed era celebre per le sue mandrie di buoi, che faceva custodire dal gigante Euritione, accompagnato da Orto, il cane a due teste. La decima fatica di Heracles era toglierli i buoi, e l'eroe cominciò uccidendo Euritione e Orto. Il pastore di Hades, Menezio, avvertì Urlante, dotato di tre teste e sei braccia, che andò a sfidare Heracles, ma nonostante l'aiuto di Hera, sempre ostile all'eroe, fu ucciso. 



V



VECCHIAIA (gr. Gheras, Gera) divinità. Figlia della sola Notte 367.

Secondo un mito la vecchiaia e la morte erano contenute con tutte le pene nel vaso di Pandora, e giunsero con lei agli esseri umani che prima non le conoscevano.

* Geriatria, cura dei vecchi; gerontologia, branca della medicina che riguarda la vecchiaia.


VECCHIO, VECCHIO DEL MARE, v. NEREO


VELOCECAVALCANTE (gr. Ippothoe, Ippothoe) divinità, nereide. Figlia di Doris e Nereo, 406.

VELOCECORRENTE (gr. Ochyroe, Ociroe) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 567.

Come figlia del centauro Chirone, Ociroe ha il dono della preveggenza e per questo rivela al padre e ad Esculapio il proprio destino. Viene perciò trasformata in cavalla dagli dei, in quanto colpevole di aver rivelato il futuro agli uomini.


VENERE v. AFRODITE


VENTI (gr. Anemoi) divinità. Figli di Aurora e Astreo, Zefyros, Boreas e Notos, 596.

Sono tre i venti impetuosi discendenti di Aurora e Astreo, o quattro, secondo un altro mito, uno per ogni punto cardinale. Esiodo dice di Zefyros, vento occidentale e primaverile, lieve e sempre favorevole, di Boreas, settentrionale, invernale, più forte, che porta la neve, e infine di Notos, meridionale, umido e legato all'autunno, che porta nuvole e nebbia. Manca in Esiodo il vento orientale, Euro, rappresentato con la pelle scura, come un Etiope, che porta l'estate.
Questi venti sono conoscibili e hanno un senso divino per gli esseri umani, a differenza dei venti cattivi e violenti che Tifeo genera dalla sua prigione sotterranea. Nell'ordinamento del mondo a ogni vento fu assegnata una diversa direzione, perché smettessero di infuriare combattendosi:

Euro si trasse all'Aurora, nei regni d'Arabia e di Persia,
tra le montagne irraggiate dal sole che s'alza il mattino;
vespero e i lidi che il sole riscalda calando la sera
sono vicini allo Zeffiro; Boreas orribile invase
l'Orsa e la nordica Scizia, e l'Austro, ch'addensa le nubi,
bagna di pioggia l'opposta regione.
(Metamorfosi, I, vv. 61-66)


* Anima, soffio vitale, dagli effetti visibili, eppure di per sé invisibile: come il vento. In molte lingue spirito, anima e vento sono nominati con le stesse parole: un alito di vento, il soffio della vita.

VESTA v. FIAMMA


VIOLA (gr. Ianthe, Iante) divinità, oceanina. Figlia di Ostrica e Oceano, 551.


VIPERA (gr. Echidna) mostro. Figlia di Spadadoro e Bellafluente, vive in una grotta profonda, lontana dagli dei e dagli uomini, 476; si annida sottoterra tra gli Arimi e non invecchia mai, 488.

Dalla sua congiunzione con Tifone nascono figli mostruosi e violenti, con Urlante poi genera i cani Orto e Cerbero, l'Hydra di Lerna, e la Chimera, la Sfinge e il Leone Nemeo. Partorita in una grotta da Bellafluente, Vipera aveva come padre Spadadoro, nato con Pegaso dalla testa tagliata di Medusa, ed era una bellissima ninfa nella parte superiore del corpo, mentre dalla vita in giù era un serpente orribile.
Nelle leggende medievali e in tante fiabe di tutti i tempi, fino alla celebre Sirenetta di H. C. Andersen, non è difficile incontrare una bellissima donna che impone al suo sposo di non vederla quando si immergerà nel suo bagno: la fata medievale Melusina il sabato assume la sua forma primitiva, che è la stessa di Vipera. Nelle fiabe la coda di pesce vale come rappresentazione di un potere femminile, che non trova espressione fino a quando non hanno luogo l'incontro e le nozze con un essere umano. Se da una parte l'essere femminile che detiene questo potere conferisce a chi sposa potere e ricchezza - Melusina rende grande la stirpe dei Lusignano, discendenti suoi e dello sposo umano -, dall'altra la fata rassicura lo sposo sulla sua fedeltà a patto che le lasci il suo segreto. Questo segreto, che ha la sua lontana fonte mitica in Artemide che si bagna con le sue ninfe fra i boschi, tabù per gli esseri umani, somiglia al segreto sul piacere femminile nell'amore, che Hera non vorrebbe fosse rivelato a Zeus. Il segreto riguarda la potenza fallica del femminile che il dominio patriarcale, maschile, non deve conoscere, perché non potrà mai farlo suo, né assoggettare la donna che lo detiene. Questa potenza femminile, rappresentata con una parte del corpo che corrisponde alle creature acquatiche, o agli uccelli, come gli abiti di piume che, indossati, permettono di alzarsi in volo, vive lontana dalla civiltà, fra i boschi o nelle profondità marine o in regni che solo chi ha le ali può raggiungere. Quando una creatura dotata di prerogative non umane, come il corpo serpentino dalla vita in giù, che accomuna Vipera, le sirene e Melusina, si unisce in matrimonio con un mortale, la curiosità porta immancabilmente lo sposo, prima o poi, a infrangere il divieto: a quel punto la sposa fugge, e non potrà più essere ritrovata.
Accade solo in qualche fiaba che il protagonista, dopo un lunghissimo viaggio oltre i confini delle terre conosciute, ritrovi e riconquisti la sua sposa, essendo divenuto partecipe, iniziato, a mondi che restano sconosciuti a tutti gli altri esseri umani.

Echidna, Ordine dei Monotremi


VITTORIA (gr. Niche) divinità, una dei quattro Gelidi. Generata da Brivido e Pallante, 606.

* Nike, nome delle calzature sportive, che negli USA si pronuncia nik, mentre in Europa viene pronunciato come una parola inglese, naik. Accade che studenti universitari durante gli esami parlano della celebre statua greca alata come Naik di Samotracia. Un altro esempio, come Titanic, Titanico, da Titano, che si pronuncia Taitènic, di come una parola greca entri nel vocabolario inglese per tornare in quello italiano con la pronuncia inglese. Nicheofobia, paura patologica di vincere, a causa della quale, ad esempio, un tennista conduce l'intero incontro per poi perdere agli ultimi game.


VORACITÀ (gr. Ate) divinità. Figlia della sola Discordia, sorella e compagna di Illegalità, 375.

La coppia delle due sorelle Voracità e Illegalità rimanda a pulsioni orali, perché la mancanza di legge è mancanza di limite, come la voracità non riconosce alcun confine all'incorporazione, del cibo, e di tutto ciò che non ci appartiene.



VULCANO v. HEFESTOS





W





X

XANTE v. BIONDA



Y



Z




ZEPHYROS dio, vento. Figlio di Aurora e Astreo, 380; diverso, come i suoi fratelli, dai terribili venti generati da Tifeo che distruggono senza senso, 870.

Soffia da Occidente e porta i fiori e l'aria propizia della primavera.

In quella parte ove surge ad aprire
Zefiro dolce le novelle fronde
di che si vede Europa rivestire...
(Divina Commedia, 3, XII, 46-48)

ZELO (gr. Zelos) divinità, una dei quattro Gelidi. Generata da Brivido e Pallante, 606.

*La parola greca, come la corrispondente latina zelus, significa spirito di emulazione, e può quindi designare, come componenti diverse di esso, contesa, rivalità, gara, gelosia, ambizione.


ZEUS (lat. Juppiter, Giove) dal manto caprino (gr. Egioco) che porta l'egida, pelle di capra che dava una protezione tale da rendere invincibile chi la indossava o la poneva sullo scudo, secondo un mito era la pelle della capra Amaltea, che aveva nutrito Zeus bambino a Creta; Cronide, figlio di Cronos Tempo; grande padre, perché è sovrano ordinatore del cosmo per gli dei e per gli esseri umani; Olimpio, sovrano venerato nel tempio della città di Olimpia. Rivolte al suo altare danzano le Muse, 7; celebrato dalle Muse, 17, 87; padre di Athena, 22; padre delle Muse, 44, 54, 66, 97, 135, 140, 1523, 1612; ride la sua dimora al canto delle Muse, 76; le Muse lo celebrano all'inizio, alla fine e in tutto il canto, perché è il più grande, 87; le Muse rallegrano la sua mente cantando per lui, 93; innamorato di Memoria giace con lei per nove notti, generando le nove Muse, 99, 104; le Muse vanno verso di lui che ha vinto con la forza del fulmine il padre Cronos, e poi ha diviso il potere con gli altri dei, 127; i suoi prediletti, gli esseri umani che nutre, diventano re, 140, 161; i Ciclopi gli donano le sue armi invincibili, il tuono, il fulmine e la saetta, 233; Pegaso vola fino alla sua casa, dove dimora, per portargli il tuono e il fulmine, 457; padre di Heracles, 505; sposo amante di Hera, 521; i Gelidi non vivono mai lontani da lui, 608, 612; convoca tutti gli dei per invitarli a combattere al suo fianco contro i Titani, 616; promette di dare loro giusti onori e parte del potere, 625; quando Brivido per prima si allea con lui, la ricompensa tenendo sempre al suo fianco i suoi figli e istituendo il giuramento Orcos nel suo nome e sulle sue acque, 631; mantiene tutto quello che promette a tutti gli dei, 636; concede a Hecate grandi privilegi e non le toglie nessuna signoria di quelle che aveva da prima, 649, 668, 675; dà a Hecate il privilegio di nutrire i bambini consacrati a lei, 713; generato da Fluente e Cronos, ultimo nato dopo Fiamma, Demetra, Hera, Hades e Poseidon ctrl; grande pensatore, sotto al suo tuono trema tutta la Terra, 726; è suo destino spodestare il padre Cronos, 741; avvicinandosi il suo parto, la madre Fluente cerca un modo per salvarlo dal padre Cronos con l‘aiuto di Cielo e Terra, 747; la madre Fluente, consigliata da Terra e Cielo, dà a Cronos invece di Zeus neonato una pietra fasciata, e la Terra lo porta a Creta, dove cresce a velocità prodigiosa, 762; libera i Ciclopi dal seno della Terra, dove li aveva imprigionati il padre Cielo, e i Ciclopi gli donano le sue armi invincibili, 798, 806; Epimeteo accoglie per primo la donna irresistibile formata da Zeus, 817; costringe il padre Cronos a sputare la pietra ingoiata al suo posto e tutti i suoi fratelli e sorelle, poi pone la pietra a Pito, 792; punisce il superbo Menezio scagliandolo nel Buio, 820; costringe Atlante a sostenere la volta celeste, 828; punisce Prometeo incatenandolo nei sotterranei infernali, 833; senza opporsi alla sua volontà suo figlio Heracles libera Prometeo, 843, 848; dividendo il bue offerto in sacrificio Prometeo prepara le due parti per ingannare Zeus e far avere agli uomini le carni e le interiora, 857; rimprovera Prometeo di aver fatto due parti poco equilibrate, 865, 869; Prometeo lo incita a scegliere la parte che gli piace di più, 876; Zeus comprende l'inganno e progetta mali per gli esseri umani, 880; prende con le sue mani la parte che sembra migliore e arde di collera vedendo l'inganno, 883; rimprovera Prometeo per la sua arte ingannevole, 893; toglie il fuoco agli uomini ai quali è toccata la parte migliore nei sacrifici, 898; si incollerisce quando vede che per opera di Prometeo il fuoco è tornato a brillare tra gli uomini, 909; per far pagare il fuoco agli uomini forma la donna irresistibile che porta malanni, forgiata da Hefestos e ornata da Athena secondo il suo progetto, 917, 928, 961; non si può ingannare e raggirare la sua mente, 979; libera i Centimani e ne fa i suoi alleati nella guerra contro i Titani, 996, 1020, 1063; Zeus libera tutta la sua terribile potenza nell'ultima battaglia contro i Titani, 1088; le sue armi incendiarie colpiscono dappertutto i nemici, 1122; ordina che i Titani siano sepolti per sempre in una terribile prigione sotterranea, 1154; pone come loro guardiani i Centimani, 1163, 1285; in caso di lite fra gli dei olimpici, invia Arcobaleno ad attingere l'acqua di Styx per i giuramenti solenni, 1238; quando ha vinto per sempre i Titani, Terra genera con Tartaro Inferno il terribile Tifeo, 1291; col suo sguardo ampio e acuto scorge appena in tempo il potentissimo Tifeo e si scatena contro di lui con le sue armi invincibili, facendo tremare e bruciare Terra, Cielo, Mare e Inferno, 1322, 1329, 1346; consigliati dalla Terra, gli dei lo spingono a regnare e lui distribuisce secondo giustizia onori e signorie, 1395; per prima sposa prende Metis, 1397; genera con lei Athena, poi, per consiglio di Terra e Cielo, la incanta con delle favole e la divora per impedirle di generare un figlio maschio, che lo spodesterebbe, e Metis da dentro gli indica il bene e il male, 1407, 1518; la sua seconda sposa è Norma e genera con lei le Ore, 1421; genera con Norma anche le Fate Nere, alle quali assegna il potere di assegnare agli uomini il loro destino, 1427; si unisce con Ampialegge e genera con lei le Grazie, 1432; si unisce con la sorella Demetra e genera con lei Persefone, che con il suo consenso verrà rapita da Hades, 1437, 1442; si unisce con Memoria e genera con lei le Muse, 1444; si unisce con Occulta e genera con lei Diana e Apollo, 1449; sposa finalmente Hera e genera con lei Giovinezza, Ares e Soccorrente, 1456; dalla sua testa nasce Athena, 1457; si unisce con Maia e genera Hèrmes, 1480; si unisce con Semele e genera Dionisos, 1482; si unisce con Alcmena e genera Heracles, 1488; rende immortale Arianna, sposa di Dionisos, 1495; dà Giovinezza diviene sposa di Heracles reso immortale, 1502; secondo i suoi progetti Medeo, figlio di Medea e Giasone fu allevato dal centauro Chirone, 1582.

Terzo sovrano dopo Urano Cielo, padre di Cronos, e dopo Cronos Tempo, suo padre, Zeus deriva il suo potere da un atto di forza: come Cielo che per mantenere il suo dominio imponeva ai figli Titani di non venire alla luce, come Cronos che evira il padre Cielo per prendergli il dominio e che divora i propri figli per mantenerlo. Zeus costringe Cronos Tempo a risputare i fratelli, con la forza ma anche con l'astuzia, e imprigiona il padre nel Tartaro Inferno, o lo esilia. Ma il suo modo di mantenere il potere non si basa solo sulla forza e sull'astuzia: Zeus divide il potere sia con i fratelli, assegnando a Poseidon il dominio delle acque e ad Hades il dominio del sotterraneo infernale, sia con i Titani che Cielo aveva imprigionato sottoterra e che Cronos aveva prima liberato e poi imprigionato nuovamente: sono i Centimani e i Ciclopi che lo aiutano a vincere i Titani, i fratelli del padre che non vogliono che abbia il massimo potere. Le unioni amorose di Zeus con divinità e donne mortali sono proporzionali alla sua posizione di dio degli dei in un pantheon patriarcale.

Se consideriamo la violenza fra generazioni come il conflitto relativo all'assunzione del potere di governare il mondo intero, possiamo osservare che Zeus è il primo dio che domina attraverso la rinuncia al potere assoluto. Il patto tra generazioni diverse rappresenta il riconoscimento dell'esistenza dei genitori da parte dei figli e dei figli da parte dei genitori: nessun ordine è possibile senza questo riconoscimento. Nella Teogonia pare questo il tema centrale, insieme alla nascita, al venire ad essere, degli dei, che è anche il venire all'essere delle cose e delle parole con sui si nominano: Gaia Terra è il nostro pianeta, madre di tutti, solcata dalle belle vie, prodigiosa, come è la divinità primigenia, come è la parola con la quale ancora chiamiamo ad essere concetti e teorie (v. la Teoria di Gaia, elaborata da chimici e biologi a partire dagli anni Novanta del secolo scorso). Leggiamo con attenzione le prerogative che Zeus lascia a Brivido, nel cui nome e sulle cui acque giurano gli dei, e lo stesso Zeus: nominare Brivido giurando significa rinunciare a mentire, quindi accettare volontariamente un limite, e questa è una novità rispetto alla storia che precede Zeus. Oppure vediamo come Zeus lascia a Hecate, figlia di Stella e Perse, a loro volta figli di due diverse coppie di Titani, quindi in qualche modo sua cugina, tutti i domini che aveva ricevuto dalle generazioni precedenti: mantenendo una parte del dominio di tutti gli altri dei, Hecate si trova nell'ordine di Zeus con prerogative singolari, che valgono come un riconoscimento di forze sulle quali Zeus può regnare solo lasciando intatta la loro natura originaria, indipendente dal suo ordine. Le Fate Nere, secondo Esiodo, intorno al duecentesimo verso, vengono generate dalla Notte, e, sempre secondo Esiodo, intorno al novecentesimo, hanno Zeus come padre, Norma Temi come madre e le Ore come sorelle: a loro comunque Zeus lascia la facoltà di filare e tagliare il destino degli esseri mortali. Quando stanno per tagliare il filo della vita di un suo figlio mortale, come Heracles, Zeus non può impedire questa morte. Nel frammento eracliteo Zeus limite sereno, il dio occupa la posizione del lògos, del lògos che nel Cristianesimo si farà carne, e si incarnerà nell'uomo-dio salvatore, Cristo. Inconcepibile per il filosofo greco, divino e umano si congiungono non nel mito di Zeus che ama donne mortali e genera semidei, ma per una rivelazione del Verbo, del Logos, del vero assoluto, rivelato, per il quale mortale e immortale coincidono, chiamando alla vita eterna tutti gli esseri umani.

L'orizzonte mitico è l'orizzonte del racconto, nel quale la separazione tra mortali e immortali è una barriera e un limite, un discrimine che la condizione di sofferenza e di morte impedisce di eliminare. E il mito è lo sfondo immaginario dal quale si stacca come un germoglio, tornando ad affondarvi le proprie radici come nell'humus (in latino homo è da humus) che resta la sua matrice, come un resto materno, femminile, mai trasformabile complatamente. Per questo gli antichi romani sentivano il cristianesimo come estraneo, eppure seducente. Già molto prima del cristianesimo i misteri orfici ed eleusini permettevano di condividere, religiosamente, la speranza in un'esistenza concretamente possibile oltre la morte. A Zeus limite sereno, nell'orizzonte labirintico del mito, retto da una logica diversa da quella della coscienza, non è estraneo Zeus che non ha perso la tendenza a usare la forza, grazie alla quale ha ottenuto il potere esautorando il padre Cronos, divorando qualcuno come faceva lui, quando ingoia Métis, e cacciando come lui e come Cielo i Titani ribelli, con Prometeo e Tifeo, nelle viscere della Terra. Mentre Cielo e Cronos, quando regnano, sono descritti come prevalentemente dediti al mantenimento del potere, Zeus, una volta assunta la sovranità, appare come dio fecondatore, con una lista di spose divine, sia della sua generazione che della precedente, e umane, che non sfigura nemmeno se confrontata al catalogo di Don Giovanni. A differenza di Cronos e Cielo, Zeus e il fratello Poseidon sono padri che amano i loro figli, e se ne prendono cura, seguendoli e assistendoli: se sono mortali. Quando la fine della loro vita è decisa dalle Fate Nere, i figli di Zeus possono essere assunti in cielo, diventando immortali, o come nuove costellazione che eternano nello splendore del cielo notturno il loro nome e la loro forma. Zeus appare unico nel portare a compimento la gravidanza dei figli e nel darli alla luce. Athena, di cui è incinta Metis quando Zeus la incorpora, nasce da lui con una sorta di taglio cesareo, con Hefestos nella parte di chirurgo e la scure al posto del bisturi. Poi, quando Semele viene incenerita dalla visione di Zeus, il padre divino si cuce il feto nella coscia fino al termine della gravidanza. La straordinaria attività erotica di Zeus lo rende capace di assumere attitudini femminili, mentre Cielo e Cronos credevano di poter usare il seno delle loro spose, madri e sorelle, come prigione per i loro stesso discendenti, se ne temevano la forza. Accanto alla sua inarrestabile passione eterosessuale, Zeus partecipa anche del desiderio omoerotico, quando si innamora del bellissimo Ganimede, e lo rende immortale coppiere sull'Olimpo, dopo esserselo fatto portare da un'aquila.
Possiamo dire che Zeus rappresenta la potenza che pone limiti al proprio potere regale, distribuendo e condividendo le signorie e gli onori attraverso patti che rispetta sempre: a questa gestione del potere corrisponde una generatività senza pari per varietà. Attenuate da questa molteplicità erotica, le primitive tendenze incorporanti e imprigionanti dei suoi padri restano comunque presenti in Zeus, ma come in secondo piano. Interessante osservare come il signore e padre degli dei e degli uomini abbia come armi invincibili i più intensi fenomei atmosferici, i lampi e i tuoni dei temporali, dalla sonorità e dalla luminosità al tempo stesso intensissima e repentina, imprevedibile. Zeus è adunatore e dissipatore di nuvole, come un pastore che raccoglie le nuvole come pecore nell'ovile o le lascia andare al pascolo. Regolando pioggia e siccità, Zeus è signore della fecondità della Terra e quindi della vegetazione che fa prosperare gli uomini, e gli animali e le piante di cui gli uomini si nutrono. Lo stato del tempo meteorologico è fonte di analogie continue con lo stato d'animo, l'umore degli esseri umani: buono e cattivo, arido o fluido, radioso o tetro, alto o basso, depresso o euforico... Di fatto l'astrologia con Claudio Tolomeo nei primi secoli della nostra era si struttura come previsione, o divinazione, del tempo, sia in rapporto ai lavori agricoli e alle attività umane, regolate dalle mutazioni atmosferiche, sia come previsione e divinazione della natura psichica e fisica del soggetto, dei suoi umori, fluidi che regolano il suo stato d'animo, analoghi a quelli che regolano l'avvicendarsi delle stagioni.

Nel mito greco come nell'Induismo, il signore del fulmine ha una sovranità superiore al signore del Sole: Indra è più potente di Surya, come suo figlio Arjuna è più potente di Carna. Allo stesso modo Zeus è più potente di Elios, il Sole. Non si tratta in questo gioco dell'importanza del Sole per la vita essere umano, certo non inferiore a quella del fulmine e della pioggia, ma di ciò che nel mito si rappresenta. Il Sole, che splende allo stesso modo sui buoni e sui cattivi, ha una natura illimitatamente generosa, mentre il fulmine incendiario, repentino e letale, può rappresentare la legge paterna che punisce i nemici o il malvagio, distinguendolo dagli innocenti. Il dio che governa è tale perché si può guardare alle sue azioni come rispondenti a una legge, volte a assegnare in base a queste premi o castighi, ordinando il cosmo.

Essendo la legge il principio regolatore della convivenza tra gli uomini, il dio che la rappresenta è il più potente, e il fulmine acquisisce il significato di prerogativa del sovrano Zeus ponendolo al di sopra dello splendente Sole, che elargisce a tutti i suoi doni.

* Dalla stessa radice di Zeus: dì, dio, diurno, giorno.

        


ZEUXO v. CONGIUNTA


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Ultimo aggiornamento 27 maggio 2024
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