Io penso che
sarà un ottimo evento. Diremo
cose non ordinarie e ciò
potrà risultare un
ottimo fattore di risveglio. (C. Licitra Rosa
ad A.
Gasparini, e-mail del 12 agosto
2017)
Io
penso davvero che l'impegno da te
profuso per la psicoanalisi
nell'evento che stai organizzando
con mezzi artigianali per così dire
sia l'indice chiaro della tua
profonda dedizione alla causa
dell'uomo. Abbastanza smarrito e
disorientato oggi. È molto bello che
a far da cornice sia la tua Firenze
la capitale mondiale dell'umanesimo,
ovvero di ciò che può essere oggi la
causa dell'uomo. Ti esprimo grande vicinanza. (Carmelo
Licitra Rosa, c.s., e-mail del 28
settembre 2017)
Io
penso sia stata una delle
manifestazioni più belle in ambito
psicoanalitico. Un rinascimento. (Anna
Barracco, e-mail a Laura Cioni del 2
ottobre 2017)
The slow-science manifesto The Slow Science Academy,
2010. Berlin Il manifesto della scienza lenta (tr.
it. nostra)
We are scientists. We don’t blog. We
don’t twitter. We take our time.
Siamo scienziati. Non siamo blogger.
Non twittiamo. Ci prendiamo il nostro tempo
Don’t get us wrong:
we do say yes to the accelerated science of the
early 21st century;
we say yes to the constant flow of
peer-review journal publications and their
impact;
we say yes to science blogs and media
& PR necessities;
we say yes to increasing specialization
and diversification in all disciplines;
we also say yes to research feeding back
into health care and future prosperity.
All of us are in this game, too.
However, we maintain that this cannot be all.
Non ci fraintendere:
diciamo sì alla scienza accelerata dell'inizio
del XXI secolo;
diciamo sì al flusso costante di riviste
peer-review e al loro impatto;
diciamo sì ai blog scientifici e a quanto è
necessario nei media e nelle pubbliche
relazioni;
diciamo sì alla specializzazione e alla
diversificazione crescenti di tutte le
discipline;
diciamo sì anche agli effetti pratici della
ricerca sulla salute e sulla prosperità del
futuro.
Anche noi siamo della partita.
E però manteniamo salda l'idea che questo non
possa essere tutto.
Science needs time to think.
Science needs time to read, and time to fail.
Science does not always know what it might be at
right now.
Science develops unsteadily, with jerky moves
and unpredictable leaps forward;
at the same time, however, it creeps about on a
very slow time scale,
for which there must be room and to which
justice must be done.
Slow science was pretty much the only science
conceivable for hundreds of years;
today, we argue, it deserves revival and needs
protection.
Society should give scientists the time they
need,
but more importantly,
scientists must take their time.
La scienza ha bisogno di tempo per
pensare.
La scienza ha bisogno di tempo per leggere e di
tempo per sbagliare.
La scienza non sa in ogni momento che cosa sia
giusto.
La scienza cresce in modo discontinuo, con mosse
brusche e imprevedibili scatti in avanti; eppure
allo stesso tempo procede strisciando
su una
lentissima scala temporale, per questo deve
avere le condizioni giuste e deve esserle resa
giustizia.
La scienza lenta è stata per molti secoli la
sola scienza immaginabile;
oggi, lo affermiamo, merita una rinascita e ha
bisogno di protezione.
La società dovrebbe dare agli scienziati il
tempo di cui hanno bisogno,
ma, cosa ancora più importante,
gli scienziati devono prendersi il loro tempo.
We do need time to think.
We do need time to digest.
We do need time to misunderstand each other,
especially when fostering lost dialogue between
humanities and natural sciences.
We cannot continuously tell you what our science
means;
what it will be good for;
because we simply don’t know yet.
Science needs time.
Abbiamo bisogno di tempo per
pensare.
Abbiamo bisogno di tempo per digerire..
Abbiamo bisogno di tempo per fraintenderci,
specialmente quando alimentiamo il dialogo
perduto fra scienze umane e scienze naturali.
Non possiamo dire di continuo cosa significa la
nostra scienza;
né a cosa servirà;
perché semplicemente ancora non lo sappiamo.
La scienza ha bisogno di tempo.
Bear with us, while we think.
Pazientate con noi, mentre
pensiamo.
Manifesto presente sul sito di Paola
Verrucchi (relatrice al Piccolo festival, prima
sessione) http://paolaverrucchi.weebly.com/-beyond.html.
Tratto dal sito: The Slow Science Academy,
2010. Berlin, Germany - academy@slow-science.org
[mail inattiva] - http://slow-science.org/.
Siti consultati il 15/07/17.
Adalinda Gasparini
LA PSICOANALISI O LA SCIENZA LENTA /
PSYCHOANALYSIS OR THE SLOW SCIENCE
commento al Manifestodella scienza lenta
zoom consigliato: 100%
La psicoanalisi è lenta, in molti
sensi.
Un'analisi
che non si interrompa nel momento in cui un
sintomo disturbante scompare dura molti anni. Ai
tempi di Freud durava meno, ma le sedute erano
quattro ogni settimana, mentre ora sono una o due.
I maligni dicono che il ritmo di tre o quattro
sedute ogni settimana oramai è accettato obtorto
collo solo dagli aspiranti analisti.
L'inconscio ha un ritmo, o, meglio, molti ritmi,
che alterna senza chiederci il permesso. Non
conosce, come ci ha insegnato Freud, il tempo, la
morte, l'altro. Non rende conto a istituzioni o
persone, nemmeno alla persona di cui è
l'inconscio. Vita e morte sono per l'inconscio
concetti relativi, sembra concepire quelli che per
la coscienza sono opposti un po' come Eraclito,
divenuto l'oscuro dopo Platone - nemmeno un
tuffatore delio, scriveva Socrate, ne tocca il
fondo.
Psychoanalysis is slow, in many
respects.
An analytical treatment which does not cease once
a disturbing symptom disappears, goes on for
many years. In Freud's time, it lasted much less,
but the sessions were four each week, while now
they are one or two. Gossipers say that only
aspiring analysts will accept the forced rhythm of
three or four session per week.
The unconscious has its own rhythm, or rather many
different rhythms, and it skips from one to the
other without asking us for our permission. Freud
taught us that it does not know time, death, or
the other. It does not care for institutions or
people, not even for the person whose unconscious
it is. Life and death are relative concepts for
the unconscious; it seems almost as if it has read
Heraclitus, and agrees with him - even though
after Plato he had become the obscure,
so much so that it is said that Socrates joked
that only a Delian diver would have been able to
dive to his deepest depth.
Ma non c'è nessun fondo inaccessibile,
bensì l'adozione di uno schema di pensiero che non
evita la contraddizione quando insiste e non si fa
sciogliere, come il nodo di Gordio. Per questo si
immagina un fondo, un fondo che non si tocca.
Alessandro sapeva che chi non avesse sciolto quel
nodo non avrebbe conquistato l'Oriente, e lo
tagliò con la spada. Il gesto di Alessandro sulla
via dell'India è simile a quello di Edipo sulla
via di Tebe: gli eroi civilizzatori sono tali
perché sanno tagliare corto, con una spada e con
un pensiero affilati. O con un bisturi.
But there is no inaccessible deepest
depth. Rather, there is a mental frame which
does not avoid contradiction when the latter is
entrenched and will not be loosened, like the
Gordian knot. This is why we imagine a depth, an
unreachable bottom. Alexander the Great knew that
were this knot not loosened, the Orient would
never have been conquered. And so he cut it with
his sword. Alexander's gesture on his way to India
is similar to Oedipus' answer to the riddle of the
Sphynx on his way to Thebes. Civilizing heroes are
such because they know how to cut questions short,
with a sword and a cutting word. Or with a
scalpel.
La
loro storia ci dice che sono conquistatori,
solutori di enigmi e contraddizioni, come ci dice
della tragedia che non possono evitare. Quel che
hanno conquistato lo perdono, il loro regno si
dissolve. Il cammino eroico è la traccia dell'uomo
nella sua storia. Nella nostra storia. Edipo corre
da Corinto a Tebe, corre assassinando Laio, corre
cercandone l'assassino, e trova se stesso.
Alessandro corre per il mondo intero, eroe delle
culture occidentali e orientali. Ma il loro regno
si dissolve. L'eroe muore giovane, o perde quel
che ha conquistato. Si potrebbe dire che è vittima
di quel che ha conquistato.
Their stories tell us that they are conquerors,
solvers of riddles and contradictions. But they
also tell us of the tragedy they cannot avoid.
They lose what they have conquered, and their
kingdoms dissolve. The path of heroes is the track
of man in his own history. In our history. Oedipus
runs from Corinth to Thebes, he runs while he is
murdering Laius, he runs while he is looking for
his father's killer, and finds himself. Alexander
runs all over the known world, a hero for both
western and eastern cultures. But both their
kingdoms eventually dissolve. The hero dies young,
or he loses what he has conquered. It could be
said that he is the victim of what he has
conquered.
Chi può misurare quanto si cammina in
un'analisi? La sola cosa che conta è la
testimonianza di chi l'ha fatta, che per quanto mi
risulta la considera il miglior investimento di
tempo e denaro della sua vita. La mia è
un'esperienza di oltre trent'anni, ai quali vanno
aggiunti quelli delle mie analisi personali e
didattiche, prima di cominciare a esercitare
questo mestiere. Cosa sono trent'anni? un soffio.
L'inconscio non conosce il tempo, come le fiabe: Cuntu 'un porta tempu,
dicevano a Giuseppe Pitrè le sue narratrici
analfabete. Se è vero, ed è vero, trent'anni o un
mese di esperienza hanno lo stesso valore. Ma non
è vero, perché trent'anni di tempo hanno un peso,
in un contesto pubblico, dove ci si muove al ritmo
della coscienza.
A
parte la lunga durata di ogni vera analisi, la
lentezza riguarda anche il movimento teorico della
psicoanalisi. Ci si può appassionare, come me, ai
lavori di Klein e Bion, di Lacan e Dolto, fra gli
italiani a quelli di Fornari e Fachinelli, ma non
si può contestare quel che Fachinelli diceva degli
psicoanalisti dopo Freud: che nella migliore delle
ipotesi avevano esplicitato qualcosa che era già
presente in Freud, come fra pieghe chiuse, che
dopo di lui sono state utilmente aperte.
Who can measure how far we go in
analytical treatment? The only thing that matters
is the testimony of those who have taken part in
it. As far as I know, they consider it the best
investment of time and money of their lives. I
have had over thirty years' experience, to which
one must add those of my personal and training
analytical periods. But what are thirty years? An
instant. The unconscious does not know time, in
the same way as fables and literature. If it is
true - and true it is - thirty years of
experience, or one month, have the same value. But
it is also not true, because thirty years have
their weight in a public context in which we move
to the rhythms of consciousness.
Apart from the long duration of every true
analysis, slowness also pertains to the
theoretical development of psychoanalysis. It is
possible to become fascinated with the works of
Klein and Bion, of Lacan and Dolto, of the
Italians Fornari and Fachinelli, as I did; but we
must admit what Fachinelli said of all
psychoanalists after Freud: that in the best of
scenarios, they had only made explicit something
already implicitly present in Freud, as if between
closed folds which were usefully opened up after
his death.
Ma vogliamo considerare i casi
clinici, i cinque più celebri e commentati, più
volte riscritti: psicoanalisti di chiara fama
hanno anche dato voce a Dora o a Sergei Pankejeff,
come se la loro esistenza potesse essere
indipendente da Freud, dalla sua scrittura.
Possiamo dire di aver progredito rispetto a Freud?
I nostri pazienti guariscono meglio di coloro - ma
di uno Freud ha solo letto le Memorie - ai quali è
dedicato il nostro Piccolo festival?
Ricordiamo le dubbie guarigioni o le anomalie
dei cinque casi di Freud per chi ancora non li
conoscesse:
But we will consider the five clinical
cases more famous and commented, many times
rewritten. Eminent psychoanalysts gave moerover
voice to Dora or Sergei Pankajeff, as if their
existence cold be independent from Freud and his
writings.
Can we say that we advanced in comparison to
Freud? Do our patients recover better than the
four patients - Freud read only the memoirs of one
of them - to which our Little Festival is devoted?
Let us remember the dubious recoveries or the
anomalies of Freud's five Cases, for those readers
who are not familiar with them.
Dora (Ida Bauer)
interruppe la sua analisi dopo tre mesi;
il Piccolo Hans (Herbert Graf) era un
bambino di cinque anni, figlio di un ammiratore di
Freud, al quale riferiva le fobie, i comportamenti
e le parole di Hans: Freud gli suggeriva come
aiutarlo a liberarsi dalle fobie;
L'Uomo dei Lupi
(Sergei Pankejeff) dopo l'analisi con Freud non
stava bene, e continuò l'analisi con un'allieva di
Freud; Freud raccomandò ai suoi allievi e colleghi
viennesi di sostenere economicamente il giovane
russo che da ricco e nobile si era trovato povero
dopo la rivoluzione, e per tutta la sua lunga vita
questo paziente rimase legato strettamente
all'ambiente psicoanalitico, presentandosi
come L'uomo dei lupi;
l'Uomo dei Topi (Ernest Lanzer), è fra
questi cinque casi il solo la cui analisi, durata
undici mesi, sia considerata riuscita; ma siccome
il paziente morì al fronte nella prima guerra
mondiale, non possiamo essere sicuri che non
avrebbe più accusato disturbi;
Dora (Ida Bauer)
suspended her analysis after three months;
Little Hans (Herbert Graf) was the
five year old son of an admirer of Freud's work,
who reported to the analyst the phobias,
behaviours, and words of the boy, while Freud gave
him suggestions as to how to help the child get
rid of his phobias;
Wolf Man (Sergei Pankajeff) still had
not recovered after his analysis with Freud, and
continued his treatment with one of Freud's
students; Freud recommended to his students in
Vienna to lend economic support to the young
Russian noble, because following the Revolution he
had lost all his vast riches; for the rest of his
life, this patient remained closely tied to the
psychoanalytical circles, even introducing himself
as the Wolf Man;
Rat Man (Ernest Lanzer), whose
analysis - which lasted eleven months - is the
only one to have been considered successful; but
the man died fighting in the First World War, and
we can thus not be certain that he would not have
presented any further symptoms in the future;
il Presidente Schreber
è l'autore di un diario nel quale descrive la sua
psicosi paranoica, morto in manicomio pochi mesi
dopo che Freud pubblicò il suo saggio su di lui.
Morì nel 1911 nell'Ospedale di Lipsia.
Imbarazzante
per gli analisti che di questi cinque grandi casi
di Freud non ce ne sia uno per il quale possiamo
vantare l'efficacia del lavoro psicoanalitico? Sì,
se la psicoanalisi fosse quello che molti
vorrebbero: una scienza neopositivistica che come
tale promette certi risultati e non altri,
dedicandosi a certi particolari casi clinici e non
ad altri.
President Schreber, who
authored a Memoir in which he described his
paranoid psychosis, died in an Insane Asylum only
a few months after Freud published his case.
Is it not embarrassing for us analysts that
of all five of Freud's greats cases we cannot find
a single one to serve as a poster for the efficacy
of psychoanalytical work? Of course, it would be
embarrassing if psychoanalysis were what many
would want it to be: a neo-positivistic science
which, as such, promises certain results over
others, and dedicates itself to certain clinical
cases and not others.
La psicoanalisi è, come ha
sempre pensato Freud, una scienza. Una scienza che
viene dopo la fine della separazione fra scienze
umane e scienze esatte. Questa distinzione ha
valenze paradossali: le prime sono inesatte e le
seconde disumane? Oppure, quando si definiscono scienze
dell'uomo e scienze della natura,
si intende forse che le prime non riguardano la
natura - l'uomo ne sarebbe estraneo? - e le
seconde non riguardano l'uomo?
Psychoanalysis, as Freud always
thought, is a science. It is a science which dates
from after the end of the separation between the
human sciences and the hard sciences. This
separation implies paradoxical effects: are the
former flaccid sciences, and the latter inhuman?
Or, rather, when we say human sciences in
opposition to natural sciences, do we
perhaps mean that the former have nothing to do
with nature - are we saying that humans are
outside of nature? - and the latter have nothing
to do with human beings?
A parte gli scherzi. L'illusione
dell'esattezza è tramontata per le scienze del
Novecento, e la psicoanalisi fin dalla sua nascita
è sia una disciplina che una pratica che non
procede se non nella riduzione dell'ybris
conoscitiva che pure caratterizza il suo eroe, il
suo attante protagonista, Edipo.
Le
considette scienze umane, tramontato - chi
potrebbe ormai non vederlo? - il tempo delle
scienze positivistiche con le loro sorti
magnifiche e progressive, si sono ritradotte con
uno sforzo più epimeteico che
prometeico in discipline o scienze
neopositivistiche, che continuano a promettere
risultati, anche se meno trionfanti. La
psicoanalisi somiglia molto di più, per temi,
problemi, ricchezza, passione, contrasti,
resistenze, alle scienze che, nascendo nel campo
delle scienze dure, dove la matematica vanta un
primato, non hanno bisogno di conquistare quarti
di nobiltà scientifica.
Jokes aside. The illusion of exactness
has fallen for the sciences of the 20th
century. Since its inception, psychoanalysis has
been both a discipline and a practice which cannot
proceed except through the elision of the hubris
of knowledge which nonetheless characterizes its
main hero, its seductive protagonist, Oedipus.
Now that the age of positivistic science with its
magnificent and ever-progressing fate has been
eclipsed - who could be so blind as not to see
this? - the so-called human sciences have recycled
themselves, through a struggle typical of
Epymetheus rather
than Prometheus, into neo-positivistic
disciplines or sciences, which continue to promise
results, even if with less pomp. Psychoanalysis is
much more similar - in terms of issues, problems,
fecundity, passion, contrasts, and oppositions -
to those sciences which, having been born of the
hard sciences, have no need to conquer even an
ounce of scientific pedigree for themselves.
Si è voluto questo Piccolo
Festival per raccontare come noi
psicoanalisti non ci vergogniamo di non costruire
tabelle e scale, di non disporre di manuali o
test, e nemmeno di non poter vantare risultati
dimostrabili.
Ricordo,
ai tempi di Spazio Zero, quando si discuteva
dell'istituendo Albo degli psicologi, della lista
degli Psicoterapeuti, delle nascenti Scuole di
Psicoterapia, che una volta Pier Francesco Galli
ci faceva notare come noi psicoanalisti, se da un
lato ci sentiamo forti, conoscendo e vedendo cose
che restano oscure per gli altri, pur riguardando
tutti, dall'altro lato dobbiamo sopportare una
debolezza cronica: se un paziente non ricava
benefici dal nostro lavoro è sicuramente colpa
nostra, se invece risolve certi sintomi o trova un
gusto di vivere che prima non aveva mai
assaporato, in un primo momento ci possiamo
sentire utili, e orgogliosi del nostro lavoro,
certo, ma ben presto ci domandiamo se quella
persona non avrebbe potuto, con un po' di fortuna,
ottenere gli stessi risultati anche senza di noi.
E non possiamo non pensare che sarebbe stato
possibile.
We put together this Piccolo
Festival to tell of how we psychoanalysts
are not ashamed of not drafting tables and charts,
of not relying on handbooks and manuals, and of
not being able to boast demonstrable results.
During the times of Spazio Zero, when we were
debating on the proposed institution of the
Italian National Register of Psychologists, of its
section of Psychoterapists, of the emerging
Psychoterapy Schools, I remember how one time Pier
Francesco Galli pointed out to us how we
psychoanalysts on the one hand feel strong, as we
can see things that are obscure for most others
even though they impact all of us, but on the
other hand we must bear a cronic weakness: if a
patient does not get better due to our work, it is
certainly our fault; but if the patient resolves
certain symptoms or discovers a taste for life he
or she had not previously known, we might well at
first believe that we have been useful and may
even feel proud of our work, but we soon wonder
whether that person would not have reached the
same results without us. And we cannot but think
that it might well have been the case.
I cinque grandi casi di Freud fanno di
questa incertezza la loro forza. Per questo sono
stati amati dai grandi scrittori, per la scrittura
di questi casi probabilmente a Freud fu assegnato
il premio Goethe per la letteratura nel 1930.
Perché l'incertezza della psicoanalisi, che
ricorda quella di un bel titolo di Roger Caillois,
L'incertitude qui vient des
rêves, è l'incertezza della vita, la
vaghezza della nostra intelligenza, e ancor più
dei nostri sentimenti, dei nostri attaccamenti e
dei nostri distacchi, e di quelli degli altri, con
i quali sempre abbiamo a che fare. Anche quando -
e forse soprattutto quando - impariamo a vivere e
pensare in solitudine. Quando smettiamo di
chiedere ai genitori e a chi per transfert prende
il loro posto - come i nostri formatori - di
rimediare alle nostre mancanze o di assumersene la
colpa e quando smettiamo di dare ai figli - e a
chi per transfert ne prende il posto, come gli
allievi - il compito di giustificare la nostra
esistenza
Freud's five great Cases draw
their strength from this uncertainty. It is for
this reason that these cases have been loved by
many great writers. And it was probably for this
same reason that in 1930 Freud was honoured with
the Goethe Prize for German Literature. It is
possible to argue that the uncertainty of
psychoanalysis - which reminds us of a fine book
by Roger Caillois, L'incertitude qui vient
des rêves(The
UncertaintyThat Comes from Dreams)
- is the uncertainty of life, the vagueness of
our intelligence, and even more of our feelings,
of our attachments and of our detachments, and of
those of others, with which we always have to
deal. It happens if we learn to live and think on
our own. It happens when when we stop asking our
parents - or our masters who take their
place by transfert - to amend our defects or to
take their blame. It happens if when we stop
giving our childrens - or our pupils who
take their place by transfert - the task to
justify our existence
Il fisico quantico procede
teoricamente riconoscendo un non saputo che non
promette di chiarirsi una volta illuminato dalla
luce del nostro intelletto. In matematica si opera
con i numeri immaginari (rappresentati
con la lettera greca iota). L'unità immaginaria è
la radice quadrata di -1 e permette di estendere
il campo dei numeri reali al campo dei numeri
complessi. Operando con queste grandezze che
neppure l'intuizione può figurarsi, si ottengono
risultati concreti. Senza i numeri immaginari e
complessi il computer sul quale sto scrivendo e
sul quale tu stai leggendo non esisterebbe. Come
non esisterebbe la liberazione da un'angoscia che
imprigiona in un gioco di famiglia perverso un suo
membro, condannandolo a una vita priva di
orizzonte, senza lavorare tenendo conto
dell'inconscio, e di quanto, essendo immaginario,
ha effetti assai concreti.
Quantum physicists proceed with their
theory, acknowledging an un-known which gives no
guarantee of clearing away once it has been shone
upon by the light of our intellect. Mathematicians
work with imaginary numbers (represented by the
Greek letter iota). Theimaginaryunitisthesquarerootof-1andextendsthefieldofrealnumberstocomplexnumbers. By
operating with these values that cannot even be
represented by intuition, it is possible to obtain
results that are concrete. They are in fact so
concrete, that without imaginary and complex
numbers it would have been impossible to assemble
the computer on which I am writing and you are
reading.
Similarly, there would be no chance of breaking
away from the perverted family games that so often
imprison one of their members, condemning him or
her to live lives devoid of any horizon, if there
was not the chance to work together through
constant reference to the unconscious: something
imaginary, and thus with very concrete effects.
Desideravo fare un esempio per
descrivere il dialogo, tanto difficile da
ritrovare, eppure indispensabile, e bellissimo
quando si realizza, fra scienze umane e scienze
naturali. Ovvero fra chi ha ereditato tutti i
quarti di nobiltà conferiti alle scienze da
Platone in poi e chi invece da allora non può
vantarne. Ricordiamo che la poesia si muova
nell'area dove il mezzo è la lingua naturale, e
solo questa.
My wish was
to make an example to describe the dialogue,
which is often very difficult to come across,
but indispensable - and wonderful when it
finally takes place - between the human
sciences and the hard or natural sciences. This
dialogue connects those who inherited the scientific
pedigree conferred to the hard sciences from Plato
onwards and those who cannot boast that same Greek
pedigree. For example, poetry moves in
the area where the only medium is the natural
language of speech.
Oggi, sabato 15 luglio 2017, mi è
capitato che cercando di ordinare quel che serve a
organizzare il Piccolo festival, ho
tradotto il manifesto della slow-science e i
pensieri sono usciti dallo stabbio riferibile alla
scatola cranica e sono andati al pascolo brado.
Today, Saturday, 15th
July 2017, while I was trying to arrange what
is needed to organize
the Piccolo Festival, I started, by
chance, to translate the
slow-science manifesto. Thoughts
started to come out of the stable contained in
the skull box and trotted over to a grassy
pasture.
Devo ringraziare Paola Verrucchi, sul
cui sito ho trovato il manifesto della
slow-science. La devo ringraziare per la
partecipazione ai nostri incontri del mercoledì
sui casi di Freud, per i vantaggi che ci ha
portato il rigore della sua apertura mentale e
l'apertura del suo rigore scientifico. Credo che
basterebbe non avere paura di trovarsi in
difficoltà, smettere di svalutarci a vicenda: chi
ha vecchi quarti di nobiltà scientifici e chi non
li ha hanno molte cose da dirsi, e possono
confortarsi nel cammino nuovo che stanno
percorrendo. Ma l'insicurezza e l'attaccamento a
quarti di nobiltà di svariati generi e consistenze
è immensa, e superarla è una fortuna e un
esercizio praticato da una minoranza. In campo umanistico
- come nella psichiatria e nelle psicoterapie - ci
si dedica al faticoso e ingrato lavoro volto a
ottenere uno o più quarti di nobiltà con i metodi
neo-positivistici, mentre in campo scientifico
si teme che un contatto stretto con chi non ha
quarti di nobiltà possa far precipitare i propri.
Ma i quarti di nobiltà conferiti dai nostri padri
greci si stanno dissolvendo, lentamente o a
scatti, con esiti imprevedibili quanto quelli
della scienza.
Let me thank
Paola Verrucchi, on whose website I found the
slow-science manifesto. Let me thank
her for her participation in our Wednesday
meetings in which we discussed about Freud's
Cases. She offered us the boons of a rigorous
yet openmind. All we need, I
think, is to stop worrying
about floundering, and stop scolding each
other: those who are part of the old
scientific aristocracy, and those who are
not have many things to say to each other,
and they can comfort one another on the new
path they are going down. But the insecurity, and the enduring
attachment to old aristocracies of various
kinds and consistencies is immense, and
overcoming it is a fortune and exercise known
only by a minority.In
the humanistic fields - like
psychiatry and psychotherapy - scholars and
professionals dedicate themselves to the
laborious and ungrateful job of obtaining a
few ounces of nobility through neo-positivist
methods. In parallel, in the scientific field,
scholars fear that close contact with those
who hold no noble title at all may pull them
down.But the nobility conferred by our
Greek fathers is fading, sometimes slowly and
sometimes in rapid jolts, with outcomes that
are unpredictable, like those of science
itself.
Noi psicoanalisti abbiamo i difetti di
entrambi i campi, e di entrambe sognamo di avere i
pregi. Qualcosa ne dovremo pur fare. Anche il 29 e
il 30 settembre e il 1° ottobre, nel convento
francescano di San Salvatore a Firenze.
A
proposito del linguaggio naturale, la sua potenza
è tale che nominando numeri non dotati di
esistenza concreta i matematici li chiamano immaginari.
Numeri inconcepibili, inesistenti, eppure
operativi, necessari, come non sono intuibili gli
spazi a n>4 dimensioni...
We
psychoanalysts share the weakness of both
these fields as well as we dream to share
their strength. We have to do something about
this. We will try on the 29th and 30th of
September and on the 1st October, in the
Franciscan Convent of San Salvatore al Monte
alle Croci, in Florence.
With regard to natural language, its power is
such that in naming numbers with no concrete
or tangible existence, mathematicians call
them imaginary. These inconceivable
numbers are non-existent, and yet they are
operational, necessary, and also
non-deducible, like the n>4 dimensional
spaces...
Sapere
che ci sono, e che hanno effetti concreti, è
lasciare una concezione passata. Freud pensava che
riconoscere l'esistenza dell'inconscio potesse
bastare per cominciare a esercitare la
psicoanalisi. Ma riconoscerla è accettare una
ferita che non si rimargina: a meno che Parsifal
non trovi il Sacro Calice del Graal. Se non fosse
una favola. Se le favole fossero vere.
Proviamo a eliminare tutte le favole, i miti, le
leggende, i romanzi, le storie: tutto il nostro
mondo svanirebbe più rapidamente che con una
guerra atomica.
To know that they exist, and that they have
practical effects, means leaving behind a way
of thinking that was precious in the past.
Freud thought that recognizing the existence
of the unconscious was a sufficient step with
which to begin practicing psychoanalysis. But
recognizing the unconscious means accepting a
wound that does not heal: unless Parsifal finds the Holy Chalice
of the Grail.If it were not a
fairy tale.If fairy tales were
true. Let us try to
eliminate all the fables, the myths, the
legends, the novels, the stories: all our
world would vanish faster than if there was an
atomic war.
Per concludere questa che nelle
intenzioni di chi scrive doveva essere una
noticina di commento al Manifesto della Slow-Science,
devo ricorrere a una mia osservazione che lega
Esiodo - il primo poeta che parla in prima
persona, presentandosi nella sua stessa opera - e
Freud, il primo scienziato che partendo dalla sua
biografia ha dato forma a una disciplina tuttora
praticata, talmente feconda che ha dato qualcosa
al lessico quasi di ogni abitante della terra che
legga qualche libro.
All'inizio
della Teogonia - poco più di mille versi
antichi di ventisette secoli - quando le nove
fanciulle di Zeus/Luce-diurna e Mnemosine/Memoria,
le Muse, chiamano lui, Esiodo, mentre pascola le
sue pecore ai piedi del monte Elicona, gli dicono:
To conclude
this note, that in my intentions had to be a
brief comment on the Slow-Science
Manifesto, I need to recall an
observation of mine that ties Hesiod - the
first poet who speaks in person, presenting himself
in his own work - with Freud, the first
scientist who, starting from his
autobiography, gave shape to a discipline that
is still practiced, so fruitful that it gave something to
the lexicon of almost every inhabitant of the
earth who has read at least a few books.
At the
beginning of the Theogony -
just over a thousand ancient verses dating
from twenty-seven centuries ago - when the
Muses - the nine girls of
Zeus/Light-of-Day and Mnemosine/Memory -
speak to the Author, Hesiod, while he is
grazing his sheep at the foot of the
Elicona Mountain,they
tell him:
A
Esiodo le muse
non promettono
la verità, ma
storie che
sanno di
verità e
storie vere,
che gli
diranno,
perché a sua
volta le
racconti,
senza dargli
alcuna
certezza di
distinguere le
une dalle
altre. Per la
poesia non fa
differenza.
Per i sintomi
neppure: una
malattia
psicosomatica
rovina la vita
quanto una
malattia di
origine
virale, per
non ricordare
da quali
fattori
indomabili
dipendano la
fragilità o la
forza con la
quale
resistiamo
agli attacchi
quotidiani di
virus e
batteri.
Due sono i
tipi di storie
che raccontano
le Muse, che
vale la pena
sentire e
cantare, tanto
che Esiodo
lascia subito
il gregge per
seguirle e diventa
poeta.
The Muses do not promise truth to
Hesiod, but stories that have the flavour of truth
and of true stories.They will tell him their
stories, so that he can tell them in turn:
they do not give him any certainty of being able
to distinguish the true ones from the others. For
poetry this does not make any difference. And it
also makes no difference with regard to symptoms:
a psychosomatic illness can ruin life just as much
as a viral disease, not to mention the untameable
factors on which depend the fragility or the strength with
which we resist the daily attacks of viruses
and bacteria.
There are two kinds of stories told by
the Muses which are worth hearing and
singing: Hesiod does not ask for anything
more, and he immediately leaves his flock
to follow them and become a poet.
Le
prime enciclopedie delle favole - i miti
erano compresi
nelle favole -
contenevano
tutti i tipi
di storie
tranne quelle
vere,
che
comprendevano:
1. le
descrizioni
scientifiche;
2. le storie
della propria
religione,
considerate
rivelazione
divina; 3. le
storie alle
origini della
propria
civiltà.
The first encyclopedias of
fables - myths used to be included in
favole - contained all kinds of stories
except real ones, which included: 1.
scientific descriptions;2. stories concerning the author's
religion, considered divine revelation;3. stories concerning the origins
of the author's civilization.
Vale
la pena
osservare che:
1. quel che
era scienza ai
tempi di
Paracelso è
oggi una
favola - che
il nuovo
essere fosse
completamente
contenuto
nello sperma e
che nel grembo
materno si
limitasse a
crescere,
come il seme
di grano nella
terra;
2. quel che è
rivelazione
divina per i
cattolici,
come la
verginità di
Maria anche
dopo il parto,
è una favola
per gli atei;
3. la
fondazione di
Roma ad opera
di Romolo e
Remo figli del
dio Marte è
oggi un mito.
Ma è un mito
anche l'esistenza
di un'antica e
perduta lingua
indoeuropea -
matrice delle
lingue dei
popoli più
evoluti,
ovvero europei
-
di cui
il sanscrito
sarebbe
l'esempio più
antico (vedi:
Semerano, La favola dell'indoeuropeo). La
nostra
capacità di
dimenticare e
di ricostruire
miti e favole,
attribuendo
loro la
qualifica di
verità, è
talmente
grande che
risorgono
perfino miti
che non sono
mai stati
verità
scientifiche,
per
insanguinare
il mondo, come
il mito di
una razza
indoeuropea
superiore alle
altre.
It is worth
noting that:
1. what used to be considered science in the
day of Paracelsus is now a tale - for example
the conviction that a new being was completely
contained in the sperm and that it grew in the
maternal womb like wheat seeds in the earth; 2. what is divine
revelation to Catholics, like the virginity of
Mary even after childbirth, is a fairy tale
for atheists; 3. that the foundation of Rome by
Romulus and Remus, sons of the god Mars, is a
myth today.
In fact, the existence of a lost ancient
Indo-European language - matrix of the languages of the most evolved people, i.e. the
Europeans - of which Sanscrit would be the
most ancient example is also a myth (see: Semerano,
La favola dell'indoeuropeo). But our ability to forget and rebuild
myths and stories, giving them the status of
truth, is so great that even myths that have
never been scientific truths rise again, to
ruin the world, like the myth of an
Indo-European breed superior to the others.
Ma
la
conclusione
che intendevo
porre a questa
pagina
riguarda
un'altra cosa,
una novità
epocale
introdotta da
Freud, che
cambia
definitivamente
la partizione
enunciata
dalle nove
Muse, che a
partire da
Esiodo ha
consentito di
collocare le
storie dalla
parte del
falso o del
vero,
lasciando ai
poeti
l'oscillazione
fra i due
ambiti.
Esiodo
presenta un
alto grado di
civiltà,
perché ci
dice, per
bocca delle
Muse, che
distinguere il
vero dal
falso, la
storia vera o
la vera
scienza dalla
favola, è
un'attività
nella quale
l'uomo non
smette di
esercitarsi,
ma che non
smette mai di
essere avvolta
dall'incertezza.
O dalla
vaghezza.
But the
conclusion I meant to write to this note is
different, and it regards a radically new
category introduced by Freud, which
definitively changes the partition enunciated
by the nine Muses: Hesiod had a high degree of
civilization because he was aware that
distinguishing the truth from falsehood, true stories or true
sciences from myths or fairy tales is an
activity that is always practiced by mankind,
but it never ceases to be wrapped in
uncertainty.Or to be
characterized by vagueness.
Prima di Freud esistevano dunque
storie false che sapevano di vero e storie vere.
Il cambiamento introdotto da Freud è testimoniato
in modo impeccabile dai cinque casi di cui
parleremo nel Piccolo Festival, recitandoli,
commentandoli, accostandovi il vero e il falso di
altre discipline: i casi di Freud - e lui stesso
come caso centrale della psicoanalisi - sono
storie vere che sembravano false, di cui Freud ha
mostrato la verità. Ma una volta raccontate
e pubblicate, le storie cliniche continuano a
oscillare tra il vero e il falso, tra
stabilità scientifica e vaghezza letteraria.
Forse è per
questo che
oggigiorno noi
psicoanalisti
diamo raramente
alle stampe casi clinici: se Freud fosse
veramente il nostro modello dovremmo essere poeti
e scienziati
insieme.
Before Freud,
we had false stories which rang of truth, and
stories that were true. The change introduced
by Freud is exhaustively testified to in the five
cases we are going to talk about in the Piccolo
Festival, enacting them, commenting on
them, and comparing them to truth and
falsehood in other disciplines: Freud's cases
- and he himself as the central case of
psychoanalysis - are true storiesthat seemed false, of which Freud
showed the truth.But once told and published, Freud's
clinical stories continue to swing between
true and false, between scientific stability
and literary vagueness. Perhaps for this
reason today psychoanalysts very rarely
publish clinical cases: if Freud is our model
we should be at the same time poets and
scientists.
La mossa di Freud, di mostrare la
verità di storie che sembravano false - come la
verità nell'isteria - fa sì che i letterati
abbiano amato e amino Freud, perché gli scrittori
e i poeti, come Esiodo, sanno che dipende dalle
misteriose intenzioni dell'inconscio - dove altro
potrebbero ormai abitare le Muse? - la storia che
si va a raccontare, nella quale il vero e il falso
si mescolano e cambiano proporzione a seconda di
chi legge e del tempo in cui se ne fa la lettura.
Freud ha esteso il campo della letteratura. Ma
così facendo ha aperto un nuovo campo alla
scienza, una scienza lenta che somiglia a quelle
scienze che come la psicoanalisi sono nate col
secolo breve, il cui valore non sarà garantito da
antichi quarti di nobiltà, ma dal rigore, dalla
passione e dalla costanza dell'amore per la verità
che sempre si nasconde e sempre si rivela.
Freud's
move of showing the truth of stories that
seemed false - like the truth of hysteria -
provoked the love of poets and novelists for
him and his work, because writers and poets,
like Hesiod, know that the story they are
going to tell depends on the mysterious
intentions of the Unconscious -
where else could the Muses now live?In every story truth and falsehood
mingle and change proportion according to the
reader and the time when the story is being
read.
Freud extended the field of literature. But in doing so he opened up a new
field of science, a slow science that
resembles those sciences that, like
psychoanalysis, were born with the short
century, whose value will not be
guaranteed by ancient nobility, but by
rigor, passion and constancyof
love for the truth that always hides and
always reveals itself.
NOTA
SU EPIMETEO E PROMETEO
"Prevedere non è spiegare", è il
titolo di un libro intervista al
matematico René Thom ("Predire n'est pas
expliquer", 1991).
Sono stata sciocca e/o superficiale finché
pensando al mito dei fratelli Prometeo ed
Epimeteo consideravo intelligente l'uno -
colui che vede prima - e sciocco l'altro -
colui che vede dopo.
Prometeo/che-vede-a-priori assecondò
Epimeteo/che-vede-a-posteriori che gli
chiese di esser lui a distribuire le virtù
fra tutti gli animali.
Epimeteo, come sappiamo, distribuì tutte
le virtù fra gli animali, e quando si
presentò l'uomo per ricevere la sua parte,
non aveva più nulla, né una folta
pelliccia, né grande velocità nella corsa,
né potenza irresistibile negli arti.
L'uomo era nudo. Per questo Prometeo andò
a rubare il fuoco per noi esseri umani.
Prometeo per una volta era stato imprevidente
e per questo aveva escogitato un
rimedio, a sue spese?
Oppure si tratta di una verità sull'uomo,
ancora feconda, come tante dei nostri
padri greci? Se il dono del fuoco deriva
dalla previdenza - Prometeo - quanto
dall'imprevidenza - Epimeteo -, la verità
di un caso clinico, irriducibile alla
scansione della narrativa classica non
meno che alla sua impossibilità, vale a
dire sia prevedibile che imprevedibile, in
quanto ordinabile a-posteriori, appartiene
all'ordine prometico/epimeteico che ci ha
portato dove siamo. Inclusa l'aquila che
rode il fegato di Prometeo, al quale in
ogni caso ricresce. Il procedimento
scientifico esige di perdere il fegato e
di ritrovarlo. Bisogna spaventarsi per
ritrovare il coraggio. In ogni analisi che
si rispetti accade più volte, a entrambi i
personaggi in gioco. (AG)
L'importanza dei fratelli titani per il
genere umano torna nel mito di Deucalione
e Pirra, una coppia senza figli, i soli
esseri umani sopravvissuti dopo il
diluvio, ai quali fu concesso di far
rivivere la stirpe degli uomini gettando
dietro di sé le ossa della madre -
i sassi. Perché Deucalione era figlio di
Prometeo e Pronoe, Pirra figlia di
Epimeteo e Pandora. Non seguiamo la pista
di Pronoe, il cui nome significa
Previdenza, degna sposa di Prometeo, e di
Pandora, il cui nome significa tutti-doni,
dono degli dei che insieme alla sua
bellezza irresistibile porta agli uomini
la morte e le malattie, degna degna sposa
di Epimeteo.
Dal
Protagora di Platone
Protagora, sofista di
Abdera, nel dialogo che porta il suo
nome, illustra
la propria tesi col mito di Epimeteo e
Prometeo: Zeus, per render loro
possibile vivere in società, ha
distribuito aidos e
dike a
tutti gli uomini. Gli uomini hanno
bisogno della cultura e
dell'organizzazione politica perché
sono creature prive di doti naturali,
come artigli, denti e corna,
immediatamente funzionali ai loro
bisogni. Tutti partecipano di queste
due virtù "politiche". Ma esse non
vanno viste come connaturate all'uomo,
bensì come qualcosa di sopravvenuto,
qualcosa che è stato trasmesso in
maniera consapevole, e non
semplicemente attribuito in un
processo cieco, "epimeteico", del
quale si può render conto soltanto ex
post: per questo è possibile insegnare
aidos e
dike
agli uomini, mentre non si può
"insegnare" a un toro ad avere corna e
zoccoli.
"Ci fu un tempo in cui esistevano
gli dei, ma non le stirpi mortali. Quando
giunse anche per queste il momento fatale
della nascita, gli dei le plasmarono nel
cuore della terra, mescolando terra, fuoco
e tutto ciò che si amalgama con terra e
fuoco. Quando le stirpi mortali stavano
per venire alla luce, gli dei ordinarono a
Prometeo e a Epimeteo di dare con misura e
distribuire in modo opportuno a ciascuno
le facoltà naturali. Epimeteo chiese a
Prometeo di poter fare da solo la
distribuzione: "Dopo che avrò distribuito
- disse - tu controllerai". Così, persuaso
Prometeo, iniziò a distribuire. Nella
distribuzione, ad alcuni dava forza senza
velocità, mentre donava velocità ai più
deboli; alcuni forniva di armi, mentre per
altri, privi di difese naturali,
escogitava diversi espedienti per la
sopravvivenza. [321] Ad esempio, agli
esseri di piccole dimensioni forniva una
possibilità di fuga attraverso il volo o
una dimora sotterranea; a quelli di grandi
dimensioni, invece, assegnava proprio la
grandezza come mezzo di salvezza. Secondo
questo stesso criterio distribuiva tutto
il resto, con equilibrio. Escogitava mezzi
di salvezza in modo tale che nessuna
specie potesse estinguersi. Procurò agli
esseri viventi possibilità di fuga dalle
reciproche minacce e poi escogitò per loro
facili espedienti contro le intemperie
stagionali che provengono da Zeus. Li
avvolse, infatti, di folti peli e di dure
pelli, per difenderli dal freddo e dal
caldo eccessivo. Peli e pelli costituivano
inoltre una naturale coperta per ciascuno,
al momento di andare a dormire. Sotto i
piedi di alcuni mise poi zoccoli, sotto
altri unghie e pelli dure e prive di
sangue. In seguito procurò agli animali
vari tipi di nutrimento, per alcuni erba,
per altri frutti degli alberi, per altri
radici. Alcuni fece in modo che si
nutrissero di altri animali: concesse
loro, però, scarsa prolificità, che diede
invece in abbondanza alle loro prede,
offrendo così un mezzo di sopravvivenza
alla specie. Ma Epimeteo non si rivelò
bravo fino in fondo: senza accorgersene
aveva consumato tutte le facoltà per gli
esseri privi di ragione. Il genere umano
era rimasto dunque senza mezzi, e lui non
sapeva cosa fare. In quel momento giunse
Prometeo per controllare la distribuzione,
e vide gli altri esseri viventi forniti di
tutto il necessario, mentre l’uomo era
nudo, scalzo, privo di giaciglio e di
armi. Intanto era giunto il giorno fatale,
in cui anche l’uomo doveva venire alla
luce. Allora Prometeo, non sapendo quale
mezzo di salvezza procurare all’uomo, rubò
a Efesto e ad Atena la perizia tecnica,
insieme al fuoco - infatti era impossibile
per chiunque ottenerla o usarla senza
fuoco - e li donò all’uomo. All’uomo fu
concessa in tal modo la perizia tecnica
necessaria per la vita, ma non la virtù
politica. [322] Questa si trovava presso
Zeus, e a Prometeo non era più possibile
accedere all’Acropoli, la dimora di Zeus,
protetta da temibili guardie. Entrò allora
di nascosto nella casa comune di Atena ed
Efesto, dove i due lavoravano insieme.
Rubò quindi la scienza del fuoco di Efesto
e la perizia tecnica di Atena e le donò
all’uomo. Da questo dono derivò all’uomo
abbondanza di risorse per la vita, ma,
come si narra, in seguito la pena del
furto colpì Prometeo, per colpa di
Epimeteo. Allorché l’uomo divenne
partecipe della sorte divina, in primo
luogo, per la parentela con gli dei, unico
fra gli esseri viventi, cominciò a credere
in loro, e innalzò altari e statue di dei.
Poi subito, attraverso la tecnica,
articolò la voce con parole, e inventò
case, vestiti, calzari, giacigli e
l’agricoltura. Con questi mezzi in origine
gli uomini vivevano sparsi qua e là, non
c’erano città; perciò erano preda di
animali selvatici, essendo in tutto più
deboli di loro. La perizia pratica era di
aiuto sufficiente per procurarsi il cibo,
ma era inadeguata alla lotta contro le
belve (infatti gli uomini non possedevano
ancora l’arte politica, che comprende
anche quella bellica). Cercarono allora di
unirsi e di salvarsi costruendo città;
ogni volta che stavano insieme, però,
commettevano ingiustizie gli uni contro
gli altri, non conoscendo ancora la
politica; perciò, disperdendosi di nuovo,
morivano. Zeus dunque, temendo che la
nostra specie si estinguesse del tutto,
inviò Ermes per portare agli uomini
rispetto e giustizia, affinché fossero
fondamenti dell’ordine delle città e
vincoli d’amicizia. Ermes chiese a Zeus in
quale modo dovesse distribuire rispetto e
giustizia agli uomini: «Devo distribuirli
come sono state distribuite le arti? Per
queste, infatti, ci si è regolati così: se
uno solo conosce la medicina, basta per
molti che non la conoscono, e questo vale
anche per gli altri artigiani. Mi devo
regolare allo stesso modo per rispetto e
giustizia, o posso distribuirli a tutti
gli uomini?« «A tutti - rispose Zeus - e
tutti ne siano partecipi; infatti non
esisterebbero città, se pochi fossero
partecipi di rispetto e giustizia, come
succede per le arti. Istituisci inoltre a
nome mio una legge in base alla quale si
uccida, come peste della città, chi non
sia partecipe di rispetto e giustizia».
[323] Per questo motivo, Socrate, gli
Ateniesi e tutti gli altri, quando si
discute di architettura o di qualche altra
attività artigianale, ritengono che spetti
a pochi la facoltà di dare pareri e non
tollerano, come tu dici - naturalmente,
dico io - se qualche profano vuole
intromettersi. Quando invece deliberano
sulla virtù politica - che deve basarsi
tutta su giustizia e saggezza - ascoltano
il parere di chiunque, convinti che tutti
siano partecipi di questa virtù,
altrimenti non ci sarebbero città. Questa
è la spiegazione, Socrate. Ti dimostro che
non ti sto ingannando: eccoti un’ulteriore
prova di come in realtà gli uomini
ritengano che la giustizia e gli altri
aspetti della virtù politica spettino a
tutti. Si tratta di questo. Riguardo alle
altre arti, come tu dici, se qualcuno
afferma di essere un buon auleta o esperto
in qualcos'altro e poi dimostri di non
esserlo, viene deriso e disprezzato; i
familiari, accostandosi a lui, lo
rimproverano come se fosse pazzo. Riguardo
alla giustizia, invece, e agli altri
aspetti della virtù politica, quand’anche
si sappia che qualcuno è ingiusto, se
costui spontaneamente, a suo danno, lo
ammette pubblicamente, ciò che nell’altra
situazione ritenevano fosse saggezza -
dire la verità - in questo caso la
considerano una follia: dicono che è
necessario che tutti diano l’impressione
di essere giusti, che lo siano o no, e che
è pazzo chi non finge di essere giusto.
Secondo loro è inevitabile che ognuno in
qualche modo sia partecipe della
giustizia, oppure non appartiene al genere
umano. Dunque gli uomini accettano che
chiunque deliberi riguardo alla virtù
politica, poiché ritengono che ognuno ne
sia partecipe. Ora tenterò di dimostrarti
che essi pensano che questa virtù non
derivi né dalla natura né dal caso, ma che
sia frutto di insegnamento e di impegno in
colui nel quale sia presente. Nessuno
disprezza né rimprovera né ammaestra né
punisce, affinché cambino, coloro che
hanno difetti che, secondo gli uomini,
derivano dalla natura o dal caso. Tutti
provano compassione verso queste persone:
chi è così folle da voler punire persone
brutte, piccole, deboli? Infatti, io
credo, si sa che le caratteristiche degli
uomini derivano dalla natura o dal caso,
sia le buone qualità, sia i vizi contrari
a queste. Se invece qualcuno non possiede
quelle qualità che si sviluppano negli
uomini con lo studio, l’esercizio,
l’insegnamento, mentre ha i vizi opposti,
viene biasimato, punito, rimproverato."
(Platone, Protagora, 320 C - 324 A)
CAILLOIS, CARTESIO E L'INCERTEZZA
CHE VIENE DAI SOGNI
L'incertitude
qui vient des rêves - L'incertezza
che viene dai sogni
L'incertitude des rêves - L'incertezza dei sogni
Il titolo è ispirato a un passaggio del
brano conclusivo delle Meditazioni di
Cartesio (Meditationes
de Prima Philosophia, in
qua dei existentia, &
animae humanae a corpore
distinctio, demonstratur),
al quale corrisponde più la traduzione italiana
del titolo (L'incertezza
dei sogni), che
il titolo originale: L'incertezza
che viene dai sogni.
Se
l'incertezza riguarda la natura dei sogni
o del sonno, si può ancora cercare di
rimuoverla come undelirio
notturno dell'uomo normale.
Ma se l'incertezza riguarda la percezione
cosciente e i suoi confini,
si apre una riflessione
inquietante. O, almeno, confinante con
tutto ciò che ci si presenta come unheimliche. Seguono
alcune citazioni da Cartesio, che
possono aiutarci a
capire la portata della questione.
Come psicoanalista
chi scrive osserva
come il primato dell'Affeckt
sui processi razionali
metta radicalmente in
crisi l'autonomia del soggetto,
la padronanza del suo
io. L'io
non deve essere
indebolito, ma messo
in grado di
accettare la
sua
debolezza, non
come una condanna, ma come la fragilità
della pianta, che se fosse dura come la
roccia non potrebbe crescere né fiorire.
Dalle
Meditazioni di Cartesio, una frase che
Caillois pone in esergo al capitolo
d'inizio, Une tentative
d'égarement - Un
tentativo di distrazione -.
In corsivo la parte che ha ispirato a
Caillois il suo titolo.
Etenim scio nihil inde periculi vel
erroris interim sequuturum, & me plus
aequo diffidentiae indulgere non posse,
quandoquidem nunc non rebus agendis, sed
cognoscendis tantùm incumbo. (Testo Meditatio I,11,
qui e nelle citazioni latine seguenti,
testo originale del 1641)
Car
je suis assuré que cependant il ne peut
y avoir de péril ni d'erreur en cette
voie, et que je ne saurais aujourd'hui
trop accorder à ma défiance, puisqu'il
n'est pas maintenant question d'agir,
mais seuIement de méditer et de
connaître. (Méditation
I, 11, qui e nelle citazioni
seguenti in francese, traduzione di Duc
de Luynes del 1647)
[Perché sono certo che ora non possono
esserci né pericolo né errore in questo
modo,] e che oggi non saprei
concedere troppo alla mia diffidenza,
dato che ora non si tratta di agire, ma
solo di meditare e di conoscere. (Meditazione
I, 11; qui e nelle citazioni seguenti in
italiano, tr. nostra)
Praeclare sane, tanquam non
sim homo qui soleam noctu dormire, &
eadem omnia in somnis pati, vel etiam
interdum minùs verisimilia, quàm quae isti
vigilantes. Quàm frequenter verò usitata
ista, me hîc esse, togâ vestiri, foco
assidere, quies nocturna persuadet, cùm
tamen positis vestibus jaceo inter strata!
Atqui nunc certe vigilantibus oculis
intueor hanc chartam, non sopitum est hoc
caput quod commoveo, manum istam prudens
& sciens extendo & sentio; non tam
distincta contingerent dormienti. Quasi
scilicet non recorder a similibus etiam
cogitationibus me aliàs in somnis fuisse
delusum; quae dum cogito attentius, tam
plane video nunquam certis indiciis
vigiliam a somno posse distingui, ut
obstupescam, & fere hic ipse stupor
mihi opinionem somni confirmet.
(Meditatio I, 5)
Toutefois j'ai ici à
considérer que je suis homme, et par
conséquent que j'ai coutume de dormir et
de me représenter en mes songes les
mêmes choses, ou quelquefois de moins
vraisemblables, que ces insensés,
lorsqu'ils veillent. Combien de fois
m'est-il arrivé de songer, la nuit, que
j'étais en ce lieu, que j'étais habillé,
que j'étais auprès du feu, quoique je
fusse tout nu dedans mon lit? Il me
semble bien à présent que ce n'est point
avec des yeux endormis que je regarde ce
papier; que cette tête que le remue
n'est point assoupie; que c'est avec
dessein et de propos délibéré que
j'étends cette main, et que je la sens:
ce qui arrive dans le sommeil ne semble
point si clair ni si distinct que tout
ceci. Mais, en y pensant soigneusement,
je me ressouviens d'avoir été souvent
trompé, lorsque je dormais, par de
semblables illusions. Et m'arrêtant sur
cette pensée, je vois si manifestement
qu'il n'y a point d'indices concluants,
ni de marques assez certaines par où
l'on puisse distinguer nettement la
veille d'avec le sommeil, que j'en suis
tout étonné; et mon étonnement est tel,
qu'il est presque capable de me
persuader que je dors. (Méditation I,
5)
A questo punto devo
considerare che sono un uomo e che ho
l'abitudine di dormire e di
rappresentarmi in sogno le stesse cose,
talora meno verosimili,
di quelle che a quei pazzi capitano
da svegli. Quante volte mi
è capitato di sognare,
la notte, che ero in
questo posto, che
ero vestito, che ero accanto al fuoco,
nonostante fossi spogliato a giacere nel
mio letto? In questo momento mi par bene che non
è di certo con occhi
addormentati che guardo
questo foglio, che questo capo che
era muovo non è
affatto assopito, che è con piena determinazione e
deliberato proposito che
distendo questa mano e la sento:
quel che accade nel sogno non mi pare
affatto chiaro e distinto come tutto
quello che sto provando ora. Ma
pensandoci attentamente, mi torna alla
memoria di esser spesso stato
tratto in inganno, mentre
dormivo, da simili illusioni.
E fermandomi su questo
pensiero, vedo con chiarezza che non
ci sono indici
che permettano di arrivare
a una conclusione,
né e segni
sufficientemente certi che
ci permettano di
distignuere nettamente il sonno dalla
veglia, e me ne meraviglio,
e la mi meraviglia è tale che quasi
riuscirei a convincermi che
sto dormendo. (Meditazione
I, 5)
Atque
haec consideratio plurimum juvat, non modo
ut errores omnes quibus natura mea obnoxia
est animadvertam, sed etiam ut illos aut
emendare aut vitare facile possim. Nam
sane, cùm sciam omnes sensus circa ea,
quae ad corporis commodum spectant, multo
frequentius verum indicare quàm falsum,
possimque uti fere semper pluribus ex iis
ad eandem rem examinandam, & insuper
memoriâ, quae praesentia cum
praecedentibus connoctit, &
intellectu, qui jam omnes errandi causas
perspexit; non amplius vereri debeo ne
illa, quae mihi quotidie a sensibus
exhibentur, sint falsa, sed hyperbolicae
superiorum dierum dubitationes, ut risu
dignae, sunt explodendae. Praesertim summa
illa de somno, quem a vigiliâ non
distinguebam; nunc enim adverto permagnum
inter utrumque esse discrimen, in eo quòd
nunquam insomnia cum reliquis omnibus
actionibus vitae a memoriâ conjungantur,
ut ea quae vigilanti occurrunt; nam sane,
si quis, dum vigilo, mihi derepente
appareret, statimque postea dispareret, ut
fit in somnis, ita scilicet ut nec unde
venisset, nec quo abiret, viderem, non
immerito spectrum potius, aut phantasma in
cerebro meo effictum, quàm verum hominem
esse judicarem. Cùm verò eae res
occurrunt, quas distincte, unde, ubi,
& quando mihi adveniant, adverto,
earumque perceptionem absque ullâ
interruptione cum totâ reliquâ vitâ
connecto, plane certus sum, non in somnis,
sed vigilanti occurrere. Nec de ipsarum
veritate debeo vel minimum dubitare, si,
postquam omnes sensus, memoriam &
intellectum ad illas examinandas
convocavi, nihil mihi, quod cum caeteris
pugnet, ab ullo ex his nuntietur. Ex eo
enim quòd Deus non sit fallax, sequitur
omnino in talibus me non falli. Sed quia
rerum agendarum necessitas non semper tam
accurati examinis moram concedit, fatendum
est humanam vitam circa res particulares
saepe erroribus esse obnoxiam, &
naturae nostrae infirmitas est
agnoscenda. (Meditatio, VI, 24)
Et certes cette considération
me sert beaucoup, non seulement pour
reconnaître toutes les erreurs auxquelles
ma nature estr sujette, mais aussi pour
les éviter, ou pour les corriger plus
facilement: car sachant que tous mes sens
me signifient plus ordinairement le vrai
que le faux, touchant les choses qui
regardent les commodités ou incommodités
du corps, et pouvant presque toujours me
servir de plusieurs d'entre eux pour
examiner une même chose, et outre cela,
pouvant user de ma mémoire pour lier et
joindre les connaissances présentes aux
passées, et de mon entendement qui a déjà
découvert toutes les causes de mes
erreurs, je ne dois plus craindre
désormais qu'il se rencontre de la
fausseté dans les choses qui me sont le
plus ordinairement représentées par mes
sens. Et je dois rejeter tous les doutes
de ces jours passés, comme hyperboliques
et ridicules, particulièrement cette
incertitude si générale touchant le
sommeil, que je ne pouvais
distinguer de la veille: car à présent j'y
rencontre une très notable différence, en
ce que notre mémoire ne peut jamais lier
et joindre nos songes les uns aux autres
et avec toute la suite de notre vie, ainsi
qu'elle a de coutume de joindre les choses
qui nous arrivent étant éveillés. Et, en
effet, si quelqu'un, lorsque je veille,
m'apparaissait tout soudain et
disparaissait de même, comme font les
images que je vois en dormant, en sorte
que je ne pusse remarquer ni d'où il
viendrait, ni où il irait, ce ne serait
pas sans raison que je l'estimerais un
spectre ou un fantôme formé dans mon
cerveau, et semblable à ceux qui s'y
forment quand je dors, plutôt qu'un vrai
homme. Mais lorsque j'aperçois des choses
dont je connais distinctement et le lieu
d'où elles viennent, et celui où elles
sont, et le temps auquel elles
m'apparaissent et que, sans aucune
interruption, je puis lier le sentiment
que j'en ai, avec la suite du reste de ma
vie, je suis entièrement assuré que je les
aperçois en veillant, et non point dans le
sommeil. Et je ne dois en aucune façon
douter de la vérité de ces choses-là, si
après avoir appelé tous mes sens, ma
mémoire et mon entendement pour les
examiner, il ne m'est rien rapporté par
aucun d'eux, qui ait de la répugnance avec
ce qui m'est rapporté par les autres. Car
de ce que Dieu n'est point trompeur, il
suit nécessairement que je ne suis point
en cela trompé. Mais parce que la
nécessité des affaires nous oblige souvent
à nous déterminer, avant que nous ayons eu
le loisir de les examiner si
soigneusement, il faut avouer que la vie
de l'homme est sujette à faillir fort
souvent dans les choses particulières, et
enfin il faut reconnaître l'infirmité et
la faiblesse de notre nature. (Méditation VI, 24)
E certo queste considerazioni molto mi
servono, non solo per riconoscere tutti
gli errori ai quali è soggetta la mia
natura, ma anche per evitarli,
o per correggerli più
agevolmente: perché sapendo che
tutti i imiei sensi mi indicano più
facilmente il vero che il falso,
toccando le cose che riguardano gli
agi e i disagi dei corpi, e potendomi
quasi sempre servire della
maggior parte di questi per esaminare
la stessa cosa, e oltre a questo,
potendo fare uso della mia memoria
per legare e congiungere le
conoscenze presenti alle passate, e della mia comprensione
che ha già scoperto tutte le
cause dei miei errori, non devo ormai dubitare
oltre che si trovi del falso
nelle cose che più
ordinariamente si
rappresentano grazie ai miei
sensi. E devo
respingere tutti i dubbi dei giorni
passati, come iperbolici e ridicoli, in
particolare questa generale
incertezza relativa
al sonno, che non potevo
distinguere dalla veglia: perché ora
vi riconosco una notevolissima
differenza, nel fatto che
la nostra memoria non può mai
legare e congiungere i nostri
sogni gli uni agli altri e con
tutto il resto della nostra vita,
come è invece solita congiungere le cose
che ci accadono quando siamo
svegli. E in effetti, se
qualcuno, da sveglio, mi
apparisse d'improvviso
e d'improvviso
sparisse, come le immagini che vedo
dormendo, così che mi resti impossibile
osservare da dove vengono, né dove vadano,
non sarebbe senza ragione che lo considererei
uno spettro o un fantasma
che si è formato nel mio cervello,
simile a quelli che vi si
formano quando dormo, invece che a un
uomo vero. Ma quando percepisco
cose di cui so distintamente la
provenienza, e dove si trovano, e il
tempo nel quale mi sono appase e che,
senza alcuna interruzione, posso
legare il sentimento che mi hanno
suscitato, con quel che segue del
resto della mia vita, sono del
tutto rassicurato
del fatto che le percepisco da
sveglio, niente
affatto da addormentato. E io
non devo avere alcuna specie
di dubbio nei confronti di
quelle cose, se dopo aver
fatto appello a tutti i miei
sensi, alla mia memoria e alla
mia comprensione
per esaminarle, non deriva
da nessuna di esse qualcosa che non si rifiuti di stare accanto a quel che mi viene dalle
altre.
Perché dal fatto che Dio
non è ingannatore deriva
necessariamente che io su questo non sono
ingannato Ma siccome la necessità delle
faccende ci obbliga spesso a concludere,
prima che abbiamo avuto agio di esaminarle
con tanta cura, bisogna ammettere che la
vita dell'uomo è soggetta a fallire
molto spesso nelle cose particolari,
e che infine bisogna riconoscere l'infermità e la
debolezza della nostra natura.
(Meditazione
VI, 24)
.
IL FOLLE COME CARICATURA O
SPECCHIO DEFORMANTE DEL NORMALE
RIFLESSIONI A LATO DI SCHREBER
Adalinda Gasparini
Ich weiß nicht, ob
Sie das geheime Band zwischen der
„Laienanalyse“ und der „Illusion“
erraten haben. In der ersten will
ich die Analyse vor den Ärzten, in
der anderen vor den Priestern
schützen. Ich möchte sie einem
Stand übergeben, der noch nicht
existiert, einen Stand von
weltlichen Seelsorgern, die Ärzte
nicht zu sein brauchen und
Priester nicht sein dürfen. (Freud
und Pfister, Briefe 1909‑1939 [25.XI.1928]
Frankfurt: Fischer Verlag 1963)
Non so se ha
indovinato il legame segreto tra
"l'analisi laica" e "l'illusione".
Da una parte voglio proteggere
l'analisi dai medici, dall'altra
dai sacerdoti. Vorrei affidarla a
una specie che ancora non esiste,
una specie di curatori di anime di
questo mondo, che non abbiano
bisogno di essere medici e non
debbano essere preti. (Freud,
lettera al Pastore Pfister, 25
novembre 1928; tr. nostra)
1. PREMESSA AUTOBIOGRAFICA
Scrivere per Schreber un testo per Ai
tempi del caso, quinta e ultima
sessione della domenica, è stata una
avventura affettiva e intellettuale al
quadrato, all'interno dell'avventura
affettiva, intellettuale, gruppale,
organizzativa, logistica, rappresentata
dal Piccolo Festival dei casi di Freud.
Non riesco a non confessare, o
manifestare, la presenza della follia
nella mia vita fin da sempre, in due serie
di eventi irregolarmente intrecciate.
La prima serie comincia con la storia del
nonno Lino, il mio nonno paterno, che
aveva avuto una prima crisi di psicosi
diagnosticata come maniaco-depressiva nel
1945, seguita alla morte del figlio
minore, Rino, capo partigiano al quale
sono intitolate la scuola elementare di
Concordia sulla Secchia (MO) e una
via di Modena, ucciso nel febbraio dello
stesso anno da un partigiano, si disse per
errore (a questo proposito si può vedere
il mio romanzo Nino. La Valle Rossa).
Il nonno e la nonna sono stati parte
integrante della famiglia, dal 1953,
quando avevo due anni e mio padre li ha
invitati a vivere con noi sollevandoli,
come diceva lui, dalle fatiche dei campi,
e occupandosi del nonno nelle sue crisi
periodiche, prima a cadenza biennale, poi
settennale, facendolo curare a sue spese
in una clinica fiorentina dove i metodi,
che andavano dalla camicia di forza
all'elettrochoc, erano però più umani di
quelli del Lazzaretto di Reggio Emilia,
dal quale i malati difficilmente uscivano
una volta ricoverati. Dove, fra l'altro,
era entrato per non uscirne mai più un
fratello della nonna paterna prima della
seconda guerra mondiale, del quale non so
altro che poche frasi di pietà e
rassegnazione della nonna Linda, di cui
porto il nome. Porto il nome anche della
nonna materna, Ada, empolese, rimasta
vedova a 24 anni, incinta di mia madre,
che sarebbe nata pochi mesi dopo la morte
del nonno Giovanni, già malato di
tubercolosi, stroncato dall'epidemia di
Spagnola nel Natale 1921, nella quale
morirono anche suo padre, suo fratello e
sua sorella. La prima serie della follia
riguarda il lato materno, un cugino di mia
madre, schizofrenico, come voleva la
diagnosi emessa a San Salvi quando lui era
appena adolescente, intorno al 1950 e lo
ricoverarono, la famiglia concorde però
l'attribuiva a suo padre, il carabiniere
promesso sposo della zia Ida, che dopo
averlo legittimato alla nascita era
sparito per sempre nel suo paese in
Sardegna. Il Tatantonio, come si era
sempre chiamato, perché non era mai uscito
dalla sua condizione di minorità, anche se
è vissuto fino alla fine degli anni
Novanta, viveva con la famiglia allargata
della Nonna Ada, dove i miei genitori
vissero Firenze dal 1949 al 1953. In
quella casa, dove sono nata, oltre ad
abitarvi il Tatantonio fu ospitato anche
il nonno Lino prima di uno dei suoi
ricoveri a Villa dei Pini. Mi raccontavano
ridendo e piangendo che una mattina la
nonna Ada, che chiamavano refugiumpeccatorum
perché ospitava tutti, alzandosi trovò
il nonno che officiava la sua follia
davanti al mobile della saletta da pranzo
sulla quale aveva allestito un
altare, ponendoci le fotografie di Rino,
suo figlio partigiano morto, e di Pietro,
figlio della nonna Ada, egualmente morto,
saltato in aria col treno sul quale
tornava in Italia dalla Grecia dov'era
come soldato, in un attentato partigiano,
e aveva allestito un altare con tutte le
candele e candeline che aveva trovato
nell'affollatissimo appartamento di via
Milanesi 49, con bicchierini e oggetti
vari che erano rimasti come misera
testimonianza di una antebellica ricchezza
perduta, e altre piccole stoviglie e
soprammobili che venivano dal
postbellico commercio all'ingrosso
di casalinghi avviato da mio padre in
società con un fratello della nonna Ada.
Questa storia si nutre di ricordi: il
nonno Lino pallido che saluta da una
finestra di Villa dei Pini me di tre anni
e la mamma incinta di mio fratello, perché
quel giorno non poteva scendere. Anni
dopo, il nonno Lino si è chiuso
nel gabinetto a pian terreno della nostra
casa di Concordia e piange e parla, e io e
mio fratello, di solito litiganti, ci
prendiamo per mano e saliamo le scale
interne per dirlo alla mamma, e la mamma
non fa nulla, dice che non dobbiamo
preoccuparci "Il nonno è malato". Sul
Tatantonio a San Salvi, da dove per tanto
tempo la zia Ida lo prelevava per venire a
passare un mesetto di vacanza da noi nella
Bassa Modenese, con un viaggio in treno e
in taxi punteggiato dalle sue ossessioni.
Di questo qualcosa ho già scritto e
pubblicato, e siccome è anche online non
mi pare il caso di ripeterlo (vedi Ziaìda
e Tatantònio - Il fardello di grazia.
Storie del Tato e della Zia),
perché preferisco passare alla seconda
serie di fenomeni, che ha come
protagonista mio padre, figlio maggiore di
una famiglia di contadini, uno dei tre
nuclei di una famiglia patriarcale di
proprietari orgogliosi di non aver
padroni, ma abbastanza poveri da dover
emigrare - il mio bisnonno con il figlio
maggiore, il mio nonno paterno - nei mesi
invernali a lavorare in un grande albergo
di Ginevra, il nonno già a undici anni
come cameriere e suo padre come cocchiere.
Ma il bisnonno militava nell'anarchia, e
il nonno era socialista e leggeva romanzi,
ne leggeva tanti che la mattina non si
alzava all'ora della mungitura come
i suoi fratelli minori. Mio padre era il
primo della classe e siccome un compagno
meno bravo di lui continuò a studiare dopo
la sesta elementare mentre lui non poteva
farlo, era così arrabbiato con le mucche
che doveva governare, così ignoranti da
pisciare proprio subito dopo che lui aveva
pulito la stalla, che una volta a una di
loro diede un morso sulla coda.
Vena di sublimazione o vena di follia?
Nessuno ha mai pensato di ricoverare mio
padre, né me, ma io credo di aver
ereditato la vena di follia di cui mio
padre, a differenza del nonno che pure
leggeva non solo romanzi ma tutto quello
che gli capitava sotto mano, dal
quotidiano del babbo al mio Corriere dei
Piccoli, ha fatto qualcosa, diplomandosi
ed entrando da vero innamorato
nell'immensa famiglia della cultura, di
ogni tempo e di ogni luogo, varcando la
magica soglia del mondo classico, dei
latini e dei greci, abbastanza da
convincermi che aveva meritato la
cittadinanza della cultura umanistica, il
posto più bello e nobile del mondo, e che
non c'era né scopo di formazione da
preferire a quello di farne parte, né
altro luogo dal quale un essere umano -
meglio maschio che femmina - potesse
dispiegare al meglio le sue virtù ed
elargirle generosamente al suo prossimo.
Non c'è bisogno che dica quale mistero
gaudioso e doloroso ha costituito questa
convinzione del campo della cultura come
luogo esistente, nel quale lui, mio padre,
era entrato e dal quale aveva scelto di
uscire per l'imperativo morale -
categorico, kantiano - di provvedere alle
necessità della sua famiglia d'origine
prima e della sua - della nostra - poi.
Siamo figli di un sogno, è difficile
accettarlo, ma una volta che lo capiamo
usciamo dall'incubo di scoprire che ci
hanno cresciuto con un imbroglio, nel
quale potevano credere e non credere - la
proporzione delle due varianti ha qualche
peso, ma uno/una psicoanalista e un
robusto transfert su questo aspetto
possono modificare vantaggiosamente le
proporzioni in una misura che potrebbe
apparire miracolosa, e invece del miracolo
ha solo la parvenza per chi ignora che la
mente è fatta di sogni, anche se non si
credesse che tutta la materia sia un
sogno, come fece dire al suo vecchio mago
Prospero il grande Bardo, non potendo
certo immaginare quanto sarebbe stato
citato, né che anticipava poeticamente la
concezione della materia della meccanica
quantica. La disciplina nata con Max
Planck nel 1900, lo stesso anno che figura
sulla prima edizione della Traumdeutung,
torna nei nostri discorsi intorno al Piccolo
Festival, al quale però partecipa
anche in anima e corpo, con Paola
Verrucchi, che parlerà nella prima
sessione..
2. IL GINOCCHIO DI PSICHE E IL
BASTONE DI FREUD
Molti anni fa, ai tempi di
Spazio Zero, ho sentito Giacomo Contri
raccontare questo aneddoto. Freud,
costretto a lasciare Vienna occupata dai
nazisti, malato di cancro e vicino alla
morte, passeggia con Anna in Hide Park e
si ferma sotto una statua di Psiche. Alza
il bastone da passeggio, dà un colpetto
sul suo ginocchio, e le chiede: "Psyche,
was du willst? Psiche, cosa vuoi?". Poi si
volta verso la fedelissima Anna e dice :
"Psiche, interrogata, non risponde".
Ma non pare ci sia una statua di Psyche in
Hyde Park. Forse è successo in un altro
parco, dove Freud passeggiava con Anna? O
l'ha inventato Contri a Spazio Zero, forse
a Padova, o a Bologna o a Milano?
L'aneddoto è bello, comunque sia.
Non significa che Freud è consapevole dei
limiti della sua teoria, ma che Psyche di
per sé non risponde, perché siamo noi a
farla parlare. Vale a dire che non c'è un
dato oggettivo psichico che possiamo udire
o scoprire ponendo la giusta domanda o
percorrendo il giusto sentiero, via regia,
autostrada, sentiero. Ricordo Eraclito: il
logos dell'anima è un abisso, il cui
fondo non si tocca neppure percorrendo
ogni via. Perché prende forma quando
noi gli mettiamo addosso un abito, è una
nostra creazione, e come tale funziona. La
psicoanalisi funziona perché lo
psicoanalista, come Freud, come vediamo
nei cinque casi del Festival, descrive la
propria azione. E' una magia - una potente
mitologia, scrive Wittgenstein - ma non fa
riferimento a energie telluriche o aeree,
né a un essere soprannaturale col quale il
sacerdote, il mago, o il fattucchiero,
avrebbero un rapporto privilegiato.
Leggendo i casi di cui parleremo nel
Festival emerge la vaghezza del metodo,
dei suoi presupposti, dei suoi risultati.
Emerge un soggetto, Freud, che rinuncia
all'arte medica del suo tempo, che non
vuole essere l'officiante di una qualunque
chiesa, e che come tale muove i fiumi
segreti dell'essere, Acheronta.
Se Enea va a fondare Roma, altri - Giunone
- muovono Acheronta. Nel motto di Freud
c'è una riflessione essenziale per capire
il concepimento, la natura, e il futuro
della psicoanalisi. L'azione dell'uomo,
che ha istituito gli dei superi in alto
per poi avvicinarsi a loro ascendendo, ha
prodotto tutto quel che poteva produrre.
Li ha raggiunti, in bene e in male,
distruggendo con un gesto - il dito sul
pulsante dell'atomica - quanto il Dio
dell'Antico Testamento aveva distrutto col
diluvio. Li ha raggiunti anche salvando
vite che prima erano condannate, con la
medicina. Ha prolungato la durata della
vita, modificato l'eros, limitato e
incrementato le nascite. Il successo di
una specie è l'incremento dei suoi
componenti. La nostra specie vive un
successo mai raggiunto prima, anche se
questo successo rischia di distruggere il
suo stesso habitat. Distruggere e
preservare sono diventate prerogative
umane, malgestite, certo, ma nemmeno la
distruzione e il mantenimento divino -
mitico certo - erano gestite poi
tanto armonicamente. (Non è sorprendente,
così umana, l'affermazione del Dio
dell'Antico Testamento dopo il diluvio,
quando dice che non ne manderà più uno
come quello, senza dire perché? si è
pentito perché ha esagerato?).
Freud, e il Freud dei casi in grado
massimo, rinuncia ad essere medico e si
rifiuta di essere sacerdote di qualsiasi
entità superiore, incluso il dio più
moderno, la scienza. Che però è
successivamente stata detronizzata dal
dio-danaro, in una religione superstiziosa
scambiata per ateismo, che più e meglio
della scienza riduttiva e positivistica
riduce qualunque fenomeno umano a una cosa
che si può vendere, comprare,
barattare.
Freud si riferisce continuamente alla
scienza, ma per dire che quel che appare
poco scientifico nella sua teorizzazione
non potrebbe al momento esser detto
diversamente, e che il progresso
scientifico mostrerà il valore delle sue
osservazioni. Mai, assolutamente mai,
delinea per se stesso e gli psicoanalisti
contemporanei e futuri il compito di
rendere scientifica la psicoanalisi. Lo
psicoanalista deve procedere come lui,
saranno gli scienziati a fornirci le
'prove' scientifiche del valore dei nostri
procedimenti. E invece. E invece gli
psicoanalisti cercano - come un fungaiolo
i funghi o un erbaiolo i radicchi
selvatici - la prova scientifica delle
loro teorie.
Dimenticando che hanno un tovagliolo
magico come quello del Cunto
dell'Uerco di Basile. Che
disastro! gli esempi risibili sono sotto
gli occhi di tutti, anche se pensiamo al
più raffinato dei discendenti di Freud, a
Lacan. Quando pensa di aver trovato nella
topologia, in particolare nel campo dei
nodi, la formulazione scientifica delle
verità psicoanalitiche, se ne innamora, e
ottiene che un piccolo drappello lo segua
allontanandosi dalla realtà per somigliare
ai personaggi di una vecchia storiella. In
un vagone c'erano degli uomini, uno dei
quali, a turno, diceva un numero e tutti
gli altri ridevano di gusto. Il
viaggiatore curioso informandosi seppe che
viaggiavano insieme da talmente tanto
tempo che si erano già raccontati tutte le
barzellette che conoscevano. Per questo,
avendole numerate, ora si limitavano a
dirne il numero, e questo bastava per far
ridere tutti gli altri. Questa del resto è
l'impressione che fa ogni gruppo coeso di
noi psicoanalisti a chi assista ai nostri
discorsi senza un transfert che lo
posizioni come aspirante partecipante ai
lavori di quel gruppo,
Anch'io sono stata quel pubblico, mentre
ho cercato, e cerco ancora, certo, anche
con questo Piccolo festival dei Casi
di Freud, di non alimentare quel
pubblico, senza sapere se sia possibile
né, in caso positivo, se io ci possa
riuscire. Sono stata quel pubblico di più
istituzioni, tante quante se ne possono
contare con le dita di una mano. Quando ci
si accorge dell'amore totale, della totale
dipendenza avvolta più o meno bene da
passione culturale e professionale, che si
è portata o si porta a ciascuna di queste
istituzioni, più che vedendo bene
l'abbaglio per il quale altri e altre,
simili a noi, ne sono parte e fanno
proseliti, si prende atto della
ripetizione dell'amore infantile per i
genitori, della speranza che se
interpretiamo finalmente bene la parte che
ci chiedono di recitare, ci daranno quel
che ci pare abbiano promesso, obbedendo, o
quel che finora ci hanno rifiutato, noi
insegnando a loro quel che è buono e
giusto. Sbagliato chiamare illusione
questa speranza: se da vecchi perdiamo il
capo - ovvero lo ritroviamo diversamente -
chiamiamo mamma, più che babbo, tutti
quelli che abbiamo intorno, per ritrovare
la forza erotica originaria che lega le
generazioni, alimenta la cultura, e ci fa
vivere dalla culla alla tomba, prendendo
via via la forma dell'amore per un
estraneo o un'estranea, per i figli, per i
compagni di strada, per poi tornare
quell'amore immortale ogni volta che le
sue diverse declinazioni si esauriscono.
Non si tratta di un processo che si
risolve: si svela, come superiore alle
nostre intenzioni coscienti. Non se ne
guarisce, a meno che non si consideri la
morte la guarigione dalla vita. Ma
rinunciando a guarire si rinuncia alla
Terra Promessa, o al Cielo Promesso, per
cominciare a dedicare le nostre risorse
alla terra sulla quale poggiamo i piedi, e
al cielo, mutevole secondo le stagioni e i
climi, verso il quale possiamo sempre
levare lo sguardo.
Qui posso testimoniare la mia esperienza,
e quella dei casi che ho conosciuto in
oltre trent'anni di mestiere da
psicoanalista: chi fa questa rinuncia,
perché la sceglie chi vi è costretto -
sperimenta che si procede quando il
cammino a ritroso è sbarrato, come ha
scritto Freud concludendo Al di là del
principio di piacere. La sceglie
quando deve vuole e può farlo, non
desidera mai tornare indietro, per quanto
i vantaggi del cambiamento appaiano talora
così magri che a chi ci chiedesse perché
abbiamo fatto tanti sforzi non sapremmo
cosa rispondere.
Ma credo che la passione di comprendere,
di vedere oltre gli abbagli del familismo
infantile, abbia qualcosa di così umano e
umanizzante che si paga da sé, che ha un
valore senza bisogno che gli se ne
attribuisca uno: non è oggetto di
compravendita, non si traduce in danaro.
In passato saremmo probabilmente stati
credenti e avremmo spiegato l'investimento
riferendoci a un premio ultraterreno,
oggi, essendo atei, possiamo
dignitosamente restare in silenzio, senza
pensare che se non possiamo convincere il
nostro interlocutore della convenienza
della nostra scelta questo voglia dire che
non sia una buona scelta. Posso dire che,
cominciando da me stessa e continuando con
tutte le persone con le quali si è fatta o
si sta facendo una analisi abbastanza
lunga e approfondita, non si hanno dubbi
sul valore irrinunciabile di questo
passaggio.
Schreber, was du willst?
Il ginocchio del Presidente della Corte
d'Appello di Dresda non si trova, come non
ho trovato la statua di Psiche
dell'aneddoto citato. Ma anche se si
trovasse, non risponderebbe alla nostra
domanda, perché, essendo trapassato, non
avrebbe bisogno di raggiungere la città,
come Edipo e come noi, come Freud nella
sua lunga straordinaria vicenda a Vienna.
In questo senso non posso nascondere un
sottile disagio nei commenti sui casi di
Freud in genere, e su quello di Schreber
in particolare, scritti da psicoanalisti
dopo Freud. Per quanto siano acuti e
documentati - il privilegio dello
psicoanalista è presentarsi via via come
filosofo, filologo, epistemologo, ma è un
privilegio che imbarazza se non disgusta
filosofi, filologi ed epistemologi -
trascurano un dato inconfutabile: senza
Freud noi non conosceremmo Schreber, a
meno che Carl Gustav Jung,
che ne aveva avuta una delle
poche copie rimaste dopo il
rastrellamento della famiglia, non
ne avesse scritto lui anziché
lasciare a Freud questo onere e
questo onore. Resta da
chiedersi come mai, dopo il lavoro
di Freud, dopo la rottura che
sarebbe avvenuta di lì a poco,
Jung non
abbia applicato
alle
memorie di Schreber le sue teorie.
(Continuerà...)
Per
un mese circa mi sono dedicata a
Schreber, leggendo le sue Memorie
pubblicate da Adelphi con le
interessanti appendici che corredano
questa edizione, rimanendo stupefatta per
le finissime ed eleganti osservazione
giuridiche che Schreber faceva
dall'interno della Cucina del
diavolo, o il Castello del diavolo così
lui chiamava Sonnenstein, la casa di
cura che sarebbe diventata un luogo di
sterminio per il piano nazista di
eliminare tutti gli handicappati,
fisici o psichici, incenerendoli
a migliaia, con la malvagia collaborazione di
molti degli psichiatri che vi
lavoravano da prima.
Ho pensato a una
mezza dozzina di tracce belle
per le poche pagine che dovevo
scrivere per il Piccolo Festival,
una dozzina di volte ho
cominciato a scrivere,
fiduciosa, e una dozzina di
volte ho lasciato da parte quel
che avevo scritto. La mia
impressione era che tutti quelli
che avevano scritto su Schreber
dopo aver letto il suo
lunghissimo diario vi avessero
messo del loro, e
tornando alla normalità
quotidiana, dove Dio non
esiste, oppure, se esiste, non
fruga con i raggi dentro alle
sue creature, si fossero
fatti una ragione
della loro normalità e della
sua follia, plasmando con le
migliori intenzioni il loro Schreber,
perché riflettesse quel
che di meglio
avevano visto,
invece di una
perturbante
deformazione.
Alla vigilia del
Piccolo Festival non
ero ancora riuscita
a costruire un testo
accettabile, forse
la follia aveva
affermato i propri
diritti sulle mie
intenzioni.
Allora ho lasciato
la parola a Roberto
Calasso. Nessuno se
ne è lamentato. ("Nota sui
lettori di
Schreber"Daniel
Paul Schreber,Memorie
di un malato di
nervi, a
cura di Roberto
Calasso. Milano:
Adelphi 2007, pp.
536; pp. 501-512)
pagina on line dal 29 settembre 2017
ri-editata il 20 novembre 2020 in occasione
dell'evento Freud
a teatro, Ordine degli Psicologi della
Lombardia, responsabili Anna
Barracco e Dario
Forti
Nuovamente riletta e poco corretta in occasione
dell'evento Per non
morire. Piccolo Festival di casi lirici
previsto per l'11/11/2023
Ultima revisione: 10 settembre 2023