PICCOLO FESTIVAL DI CASI LIRICI
PER NON MORIRE
AN O R M A

  MILANO TEATRO ALLA SCALA 1831
CASTA DIVA
OPERA COMPLETA LIBRETTO PRIMA DEL 1831 DOPO IL 1831 500 PAROLE
AL DI LÀ DELL'OPERA

MEDEA: MITO, TRAGEDIA, MELODRAMMA
VII sec. a.C.
Esiodo, dalla Teogonia
431 a.C.
Euripide, Medea
I sec a.C.
Ovidio, Medea, tragedia
I sec.
Ovidio, Medea, Eroidi
I sec.
Ovidio, Medea, Metamorfosi
I sec. Seneca, Medea, tragedia
1634
Corneille, Medea
1797
Cherubini, Medée
1909
Cherubini, Medea
1953-1972
Callas, Medea di Cherubini
1959
Maiano, I figli di Medea
1969
Pasolini, Medea
1988
von Trier, Medea
2002
Cingano, Eros, maternità, magia e distruzione: Medea dai mille volti
2011
Gallo, La sindrome di Medea
2022
Naitza, L'isola di Medea
2022
Marinucci, La sindrome di Medea
2023
Riviello/Cioni: Pazza Medea


2023
Piccola fenomenologia degli attanti mitici e fiabeschi

CINQUECENTO PAROLE
PER NORMA

Casta diva, è la dea vergine della luna, Artemide per i greci, Diana per i latini, signora dei boschi, cacciatrice. Vergine come Athena/Minerva ed Estia/Vesta, circondata da ninfe che devono mantenersi vergini. Nessun uomo deve violare con lo sguardo la nudità di Diana quando si immerge nel bagno: se accade la punizione è terribile. Atteone, che ha visto Artemide per caso, viene trasformato in cinghiale; i suoi cani non lo riconoscono e lo sbranano, mentre il cacciatore cercando di chiamarli per nome, grugnisce.
Come può Norma, sacerdotessa del tempio della Casta Diva, vergine dea lunare, rivolgersi alla dea lunare (Selene, Cinzia, sono tutti nomi della Luna e di Artemide) quando ha un amante segreto, un romano, straniero e nemico, dal quale ha avuto due figli?
Una contraddizione che Maria Callas esprime con la voce, il volto, il corpo nel concerto di Parigi, 1958.
Artemide, la dea che vive nei boschi e rappresenta il femminile selvaggio, irrompe sulla scena e sovverte l'ordine patriarcale quando viene violata, sia uccidendo chi pur involontariamente ha posato lo sguardo sul suo corpo senza veli, sia perseguitando le ninfe del suo seguito se hanno perso la verginità cedendo all'amore di un uomo. La dea lunare pregata da Norma è la divinità del femminile più potente, come tale separato dalla civiltà patriarcale: l'uomo non ha potere su questa creatura indomabile, a meno che non sia lei stessa a mettersi a sua disposizione. (La locuzione richiama le parole che Rosy Bindi rivolse a Silvio Berlusconi in TV: Sono una donna che non è a sua disposizione)
Qualcosa della donna è escluso dall'ecumene, dal patriarcato fallocentrico, qualcosa che ha come dea Artemide, Diana per i latini. Molte figure della mitologia greca e medievale hanno una potenza che possono mettere a disposizione del loro amato, purché, illudendosi di esserne padrone, non infranga il patto col quale ha preso questa donna: di esserle fedele, come nella storia di Pollione e Norma, di tenerla come sua sposa, come in quella di Giasone e Medea, di non violare un suo divieto, come in quella del principe di Lusignano e Melusina.
Il patto viene regolarmente violato: se vinto dalla pulsione scopica lo sposo va a vedere Melusina, i loro figli continuano a vivere e la sposa scompare senza dar traccia di sé. Se invece il patto viene violato perché l'amato intende sposare un'altra, la furia della potente sposa può annientare tutti i personaggi e tornare alla sua origine anteriore al patriarcato. Nella tragedia di Euripide il finale è nefasto e irrimediabile per Giasone, che perde i figli e le nuove nozze, per la sua promessa sposa e per il re di Corinto padre di lei. Medea, dopo aver ucciso i figli, ne porta con sé i corpi sul suo carro trainato da draghi volanti, e viene accolta dal re di Atene Egeo, padre di Teseo.
Racconta il mito che Egeo si gettò in mare quando credette che il figlio fosse perito nell'impresa di sconfiggere il Minotauro a Creta, e da allora si chiamò Egeo il mare greco. Lo stesso mare in cui volle che fossero sparse le sue ceneri il soprano, la Divina Callas, della quale ricordiamo i cento anni dalla nascita.
Noi non crediamo che l'essere umano di sesso femminile abbia doti e risorse segrete che l'essere umano di sesso maschile non ha. Crediamo che la cultura nella quale bene o male viviamo, la civiltà umana, sia costruita sulla polarizzazione dei due sessi: linea dell'I Ching intera per il maschile, linea spezzata per il femminile. Corpo pieno e sporgente con il pene, corpo cavo con la vagina. Pieno/Vuoto, Attivo/Passivo, Sole/Luna (In alcune lingue e in alcune mitologie e in alcune lingue, come il tedesco, i sessi dei due luminari sono invertiti: die Sonne e der Mond. Ma aspetto di conoscere miti o lingue che attribuiscono lo stesso sesso ai due astri, alle luci del giorno e della notte. Il mondo si illumina per la presenza delle due luci, gli esseri umani e gli animali e le piante si riproducono per la compresenza di individui o parti femminili e maschili.
I greci avevano un dio primigenio, coevo di Caos, Gaia/Terra e Tartaro/Inferi, il quarto venuto ad essere, tutto d'oro, che rende molli le giunture per l'emozione dell'amore spingendo all'unione esseri umani e divini, immortali e mortali. Poi avevano una dea che spingeva all'unione maschi e femmine, esseri umani, animali e piante, nata dal seme del padre Urano/Cielo quando il figlio suo Cronos gli aveva tagliato il membro scagliandolo in mare. Il primo padre, genitore della stirpe degli dei titani, si era ritratto in alto e da allora non era più sceso sulla madre sposa Gaia Terra per avvolgerla dappertutto ammantato di stelle e generare con lei creature divine, tracotanti, bellissime, potenti e prepotenti. Ma dal suo membro cullato dalle onde del mare mai stanco, del colore del vino - forse i Greci erano daltonici, ma in ogni caso poeti - era nata una fanciulla, la bellissima Afrodite, che portata dalle onde giunse a Citera, e dove camminava spuntavano erbe e fiori.


TRAMA

ANTEFATTO
L'azione si svolge nelle Gallie, all'epoca della dominazione romana. Nell'antefatto la sacerdotessa Norma, figlia del capo dei druidi Oroveso, è stata l'amante segreta del proconsole romano Pollione, dal quale ha avuto due figli, custoditi dalla fedele Clotilde all'insaputa di tutti.

ATTO PRIMO
La vicenda si svolge nelle Gallie, all'epoca dell'invasione Romana
Nella foresta sacra dei Druidi il gran sacerdote Oroveso annuncia l'arrivo di Norma, la sacerdotessa sua figlia, che compirà il sacro rito in omaggio alla divinità lunare.
Intanto Pollione, segreto amante di Norma da cui ha avuto due figli, incontra l'amico Flavio e gli confida di essersi innamorato di un'altra sacerdotessa (Adalgisa) e di voler con lei fuggire alla volta di Roma, temendo l'ira e la vendetta di Norma.
I guerrieri Galli esortano Norma ed Oroveso a dare l'ordine di sterminare gli oppressori romani, ma Norma, quale interprete della volontà divina, asserisce che l'ora della rivolta non le è ancora stata comunicata dagli dèi. Intona quindi una preghiera alla luna, al termine della quale congeda l'assemblea dei Galli, che si allontana invocando il giorno della vendetta.
Nella sacra foresta rimane solo Adalgisa, subito raggiunta da Pollione che la invita ad abbandonare le sue divinità e a seguirlo a Roma; la fanciulla, alfin convinta, promette di fuggire con lui l'indomani.
Nella sua abitazione, Norma confida a Clotilde d'aver appreso che Pollione è richiamato in patria: teme che il proconsole abbia intenzione d'abbandonarla e le affida i due figli per poter rimaner da sola ma la raggiunge Adalgisa che, ignorando la relazione tra Norma e Pollione, le confida il suo colpevole amore senza rivelare l'identità dell'amato; narra il primo incontro e Norma commossa, al ricordo del suo idillio con Pollione, scioglie Adalgisa dai suoi voti e la congeda, invitandola a vivere liberamente con l'amato.
All'arrivo inatteso del proconsole, Norma comprende che è proprio lui l'uomo amato dalla fanciulla ed in preda al furore, la mette in guardia contro l'infedeltà del romano.
Adalgisa, sconvolta dalle rivelazioni, rimprovera Pollione di averla ingannata e rifiuta di seguirlo.
I Druidi, intanto, richiamano Norma alla celebrazione dei sacri riti; Pollione si allontana, furente, e Adalgisa informa Norma che intende rinunciare al proprio amore.

ATTO SECONDO
Nella abitazione di Norma
Norma decide di vendicarsi uccidendo i due bambini avuti da Pollione; ma quando entra, nottetempo, nella stanza in cui dormono brandendo un pugnale, il sentimento materno prevale. Fa chiamare Adalgisa e le affida i figli , pregandola di condurli all'accampamento romano: lei ha deciso di morire.
Adalgisa, disperata, tenta di dissuaderla, e promette di intercedere in suo favore presso il proconsole romano, al quale ella ha definitivamente rinunciato; commossa, Norma l'abbraccia e le assicura la sua eterna amicizia.
Nella foresta intanto, Oroveso annuncia ai guerrieri galli la prossima partenza di Pollione, che verrà sostituito da un proconsole ancor più temibile; ma invita tutti ad attendere con pazienza l'ora dell'insurrezione dato che Norma non ha ancora dato il responso.
Norma spera ancora che Pollione possa tornare al suo amore, ma Clotilde la dissuade, rivelandole che il proconsole è deciso a rapire Adalgisa e a condurla a Roma.
Sconvolta e desiderosa di vendetta, Norma chiama a raccolta i guerrieri galli, annunciando loro che è giunta l'ora di ribellarsi a Roma.
Poco dopo Pollione, sorpreso nel sacro recinto delle vergini, viene arrestato e condotto al tempio; Norma vorrebbe ucciderlo ma poi, mossa a pietà, allontana tutti col pretesto d'interrogare il prigioniero, per scoprire l'identità della sacerdotessa sua complice.
Rimasti soli, Norma lo supplica di tornare al suo amore ma Pollione rifiuta, poi, di fronte alla minaccia di uccidere i due figli e mandare al rogo Adalgisa, accetta le condizioni impostegli. Rientrano i guerrieri e i sacerdoti e Norma annuncia loro d'aver scoperto il nome della donna spergiura e traditrice: tra lo stupore e la costernazione generale accusa se stessa del misfatto, e ordina che venga eretto il rogo sul quale andrà a morire.
Prega Oroveso di prendersi cura dei figli (“Deh, non volerli vittime”) e si avvia verso il rogo, mentre Pollione, straziato dal rimorso e resosi conto d'amare ancora quella donna generosa e sublime, decide di seguirla unendosi al suo tragico destino. (http://www.liricamente.it/trama-opera.asp?opera=norma)





CASTA DIVA

Parigi Palais Garnier 1958; https://www.youtube.com/watch?v=s-TwMfgaDC8, h 00:07:13. Ultimo accesso, 14/08/2023.
Fra le notizie in calce al video si legge che al 2/12/20 le visualizzazioni erano 17.985.608.

Maria Callas esprime con tutta la sua vita, la sua voce, la sua interpretazione, la donna intera, a ogni età, fragile e forte, impossedibile e pronta a dedicare tutta se stessa a un uomo, diva mondiale e tenera come una donna innamorata.
Tutto questo è presente in massimo grado nel recital di Palais Garnier del 1958, in questa preghiera alla dea lunare della sacerdotessa che non è più vergine. Quando ha le braccia congiunte Callas potrebbe cullare un bambino per addormentarlo. Anche se sappiamo che nessuno, piccolo o grande, potrebbe addormentarsi a questo canto.
Ma la Luna capirà, anche se la donna deve morire, o attraversare qualcosa come la morte per vivere le due parti del femminile che la cultura patriarcale scinde da sempre. Noi cerchiamo di capire, e capiamo anche la paura, l'incomprensione, il fallimento. Lo viviamo nel lavoro analitico, lo viviamo nella nostra storia, lo viviamo perfino preparando questo Piccolo festival. Per non morire...




NORMA
Io nei volumi arcani
leggo del cielo: in pagine di morte
della superba Roma è scritto il nome…
Ella un giorno morrà; ma non per voi.
Morrà pei vizi suoi:
qual consunta morrà. L’ora aspettate,
l’ora fatal che compia il gran decreto.
Pace v’intimo… e il sacro vischio io mieto.


(Falcia il vischio: le sacerdotesse lo raccolgono in canestri
di vimini. Norma si avanza
e stende le braccia
al cielo. La luna splende in tutta la sua luce. Tutte si prostrano)

NORMA
Io nei volumi arcani
leggo del cielo: in pagine di morte
della superba Roma è scritto il nome…
Ella un giorno morrà; ma non per voi.
Morrà pei vizi suoi:
qual consunta morrà. L’ora aspettate,
l’ora fatal che compia il gran decreto.
Pace v’intimo… e il sacro vischio io mieto.

NORMA E MINISTRE
Casta diva, che inargenti
queste sacre antiche piante,
a noi volgi il bel sembiante
senza nube e senza vel.
Tempra tu de’ cori ardenti,
tempra ancor lo zelo audace,
spargi in terra quella pace
che regnar tu fai nel ciel.


Teneri figli… in questo sen concetti,
da questo sen nutriti… essi, pur dianzi
delizia mia… ne’ miei rimorsi istessi
raggio di speme… essi nel cui sorriso
il perdono del ciel mirar credei!…
Io, io li svenerò?… di che son rei?
(Silenzio)
Di Pollïon son figli:
ecco il delitto. Essi per me son morti;
moian per lui. N’abbia rimorso il crudo,
n’abbia rimorso, anche all’amante in braccio,
e non sia pena che la sua somigli.
Feriam…
(S’incammina verso il letto; alza il pugnale; essa dà
un grido inorridita: i figli si svegliano)
Feriam…Ah! no… son figli miei!… miei figli!
(Li abbraccia e piange)
Clotilde!
(A. II, Sc. 1)

Poi fa venire Adalgisa, le affida i figli e le dice di portarli al loro padre, a Roma, che lei perdona.

ADALGISA
E tu?…Lo amai… quest’anima
sol l’amistade or sente.
NORMA
O giovinetta!… E vuoi?…
ADALGISA
Renderti i dritti tuoi,
o teco al cielo e agli uomini
giuro celarmi ognor.
NORMA
Hai vinto… hai vinto… abbracciami.
Trovo un’amica ancor.
A DUE
Sì, fino all’ore estreme
compagna tua m’avrai:
per ricovrarci insieme
ampia è la terra assai.
Teco del fato all’onte
ferma opporrò la fronte,
finché il mio core a battere
io senta sul tuo cor.
(Partono)
(A. II, Sc. 4)

OROVESO
Va’, infelice!
NORMA (incamminandosi)
Va’, infelice!Padre!… addio.
POLLIONE
Il tuo rogo, o Norma, è il mio.
A TRE
NORMA e POLLIONE
Là più puro, là più santo
incomincia eterno amor.
OROVESO
Sgorga alfin, prorompi, o pianto;
sei permesso a un genitor.
CALA IL SIPARIO



OPERA COMPLETA

Online la registrazione effettuata nel 1955 a Milano, al Teatro alla Scala, direttore Tullio Serafin.
Insieme a Maria Callas, Franco Corelli,  Christa Ludwig, Nicola Zaccaria.
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala, maestro del coro: Norberto Mola. 
LP Edition 1972. https://www.youtube.com/watch?v=tGy0ZDoVIR0; h 02:41:25; ultimo accesso 14/08/2023.

La Norma ebbe la sua prima il 26 dicembre 1831 alla Scala. Destinata a diventare la più amata fra quelle di Vincenzo Bellini, subì un fiasco clamoroso, sia per circostanze legate all'esecuzione, sia per la presenza di una claque avversa a Bellini e al soprano, Giuditta Pasta. Anche l'inconsueta severità della drammaturgia e l'assenza del momento più sontuoso, il concertato che tradizionalmente chiudeva il primo dei due atti, sconcertarono il pubblico milanese.
Il soggetto, ambientato nelle Gallie al tempo dell'antica Roma, presenta evidenti legami con il mito di Medea. Fedele a questa idea di classica sobrietà, Bellini adottò per Norma una tinta orchestrale particolarmente omogenea, relegando l'orchestra al ruolo di accompagnamento della voce. (Da wikipedia)




LIBRETTO

Norma. Tragedia lirica in due atti. Libretto di Felice Romani. Musica di Vincenzo Bellini. Edizione a cura di Emanuele Bonomi, con guida musicale all'opera. Venezia: Teatro La Fenice 2019;
https://www.teatrolafenice.it/wp-content/uploads/2019/03/NORMA.pdf; ultimo accesso 14/08/2023.

(NORMA in mezzo alle sue ministre. Ha sciolti i capegli,
la fronte circondata di una corona di verbena,
ed armata la mano d’una falce d’oro. Si colloca sulla
pietra druidica e volge gli occhi d’intorno come
inspirata. Tutti fanno silenzio)
(A. I, Sc. IV)


PRIMA DEL 1831


1831 Alexandre Soumet, Norma ou l'infanticide

Norma. Tragédie en cinq actes et  en verses par M. Alexandre Soumet de l'Académie Française, representée pour la premiére fois, sur le Théatre Royal de l'Odéon par les Comédiens Ordinaires du Roy, le 6 avril 1831. Paris, J.-N. Barba, Libraire 1831.

Lo scrittore francese Alexandre Soumet (Castelnaudary 1788 - Parigi 1845) già Uditore del Consiglio di stato napoleonico, poi bibliotecario (Saint-Cloud, Rambouillet, Compiègne), quindi, dal 1824, membro dell'Académie française. Più che con i suoi poemi (L'incrédulité, 1810; Jeanne d'Arc, 1825; La divine épopée, 2 voll., 1840), ottenne notorietà con le tragedie Clytemnestre (1822), Saül (1822), Cléopâtre (1824), Une fête de Néron (1830), Norma (1831; da questa F. Romani trasse un libretto per l'omonima opera di V. Bellini) che lo mostrano scrittore di transizione fra classicismo e romanticismo.


Pollione dice a Flavio che ama Adalgisa e non sopporta più Norma.
Flavio: Il a tout oublié, ses devoirs, sa patrie,
            Et l'insensé, Norma, t'accuse de folie. (A. I, Sc. 1, finale)

Clotilde: Votre epoux...
Norma: Pollion n'est pas.
Clotilde: Mais sa foi...
Norma: Il peut me la reprendre, et notre hymen précaire,
S'il est inscrit au ciel, ne l'est pas sur la terre. (A. I, Sc. IV)

Norma: Guérit-il de l'amour ton Dieu du coeurs souffrans?
Clotilde: Il l'apaise, et sa croix veille sur les enfans.
Norma: Mon appui reste aux miens. Connais-tu sur la terre
Une divinité plus forte qu'une mère?

Agénor (a Clodomir) Notre mort cou^terai trop de larmes amères,
Oui, la mort des enfans brise le coeur des mères.
Nous faisons tout l'orgueil de la no^tre... et toujours
Son amour tutélaire a veillé sur nos jours.
C'est elle! un dieu propice auprès de nous l'envoie...
[hanno fatto lo stesso terribile sogno, nel quale una festa di matrimonio si trasformava in una carneficina, nella quale i due bambini erano le vittime sull'altare)

A. II sc. 4
Norma a Pollione: A qui dois-tu le jour, ta gloire, tes lauriers?
Quelle voix jusqu'ici maitrisa nos guerriers?
Tu n'es rien, j'ai tout fait.
(Pollione le risponde schernendo il potere di Irminsul, e dice che insorgano pure i barbari con i loro falsi dei:)
Et voyons si vos dieux, grossissant la tempète,
Jetteront sur mes pas un écueil qui m'arrète. 
u


DOPO IL 1831


2012 Maurizio Melai, Due versioni di "Norma" a confronto: dalla tragedia di Alexandre Soumet al libretto d'opera di Felice Romani

Due versioni di "Norma"..., In Poetarum Silva, poetarumsilva.com (Testo completo); ultimo accesso 17/09/2023

Felice Romani e Vincenzo Bellini, attenti osservatori del panorama letterario francese, cominciano a lavorare sulla tragedia di Soumet probabilmente nel luglio dello stesso anno, come testimonia una lettera di Bellini del 23 luglio: “Ho scelto di già il soggetto per la nuova mia opera ed è una tragedia intitolata Norma ossia l’infanticidio di Soumet adesso rappresentata a Parigi e con esito strepitoso…”
L’opera conosce la sua prima rappresentazione alla Scala di Milano il 26 dicembre 1831, dopo soli cinque mesi di lavoro del librettista e del compositore. Il melodramma italiano giunge al Théâtre-Italien a Parigi quattro anni più tardi, ma è immediatamente sospeso a causa delle accuse di plagio formulate proprio da Soumet. Si dovrà attendere il 1845 per una fortunata ripresa dell’opera agli Italiens, ripresa di cui Gautier rende conto il 24 febbraio 1845: “L’interdiction qui pesait sur Norma a été levée enfin. M. Alexandre Soumet a compris qu’une belle musique n’ôtait rien à une belle tragédie, et que, puisqu’il fallait prendre les idées quelque part, il était naturel qu’on les cherchât là où elles sont, c’est-à-dire chez les poètes.” (dal testo sopra citato)





2017 Paolo Mascari, Callas ovvero Norma

Norma non è un ruolo, non è un’opera, non è un melodramma. Essa è, se fosse possibile definirla con completezza, un monumento, un patrimonio culturale, frutto del genio artistico di Vincenzo Bellini, che sfugge a qualsiasi etichetta o classificazione. Questa inafferrabilità è il destino comune a tutte le grandi opere frutto dell’ingegno umano le quali, una volta create, divengono enormi e indefinibili. Ma un’opera musicale, non è un’opera d’arte come tutte le altre, infatti non avrebbe senso senza un interprete che la renda viva... (P. Mascari)

https://ierioggidomaniopera.com/2017/09/20/maria-callas-ovvero-norma/; ultimo accesso 14/08/2023

Nel testo Paolo Mascari descrive una particolare corrispondenza di Callas col ruolo di Norma. Norma ha alle spalle, e davanti a sé, Medea, la maga che poteva modificare il corso della Luna, che Callas ha interpretato per Pasolini. Ma Callas è anche Tosca, cantante lirica che non capisce perché debba essere punita, non avendo mai fatto male ad anima viva.
Vivere insieme due ruoli può uccidere la donna letteralmente: questo  è vero per Callas e per i quattro personaggì lirici che abbiamo scelto. Poi è Traviata, che resta sola a morire - Alfredo arriva un po' tardino - ed è Butterfly che muore sola, per consentire al figlio di viver con onore. A Pinkerton, impavido marine, tocca l'ultima battuta, inutile come la promessa di Alfredo. Tosca sola dopo aver tentato di salvare l'amato, sola
sceglie la morte.

Rischia solitudine e morte ogni donna che tenta di vivere sia come madre e sposa s,ia come artista o sacerdotessa, vale a dire  senza mai rinunciare a mettere sulla scena della vita le due parti del femminile scisse dall'ordine patriarcale. 



2020 Marina Abramović, Seven Deaths of Maria Callas: Burning

Opéra national de Paris, Palais Garnier, Seven Deaths of Maria Callas_ Burning, 2021;
https://www.youtube.com/watch?v=7QoWCunToO0; ultimo accesso 14/08/2023

Marina Abramović/Norma va a morire vestita da uomo mentre Willem Dafoe/Pollione, che sceglie di morire con lei, indossa l'abito laminato che era di lei. A un livello interpretativo il soprano, qui come negli altri melodrammi italiani di cui parliamo, sostiene i valori - e la cultura - patriarcale più del tenore. Ma a un altro livello realizza un grado massimo e nuovo di femminilità e di umanità: Norma è la sacerdotessa pronta a morire per difendere l'onore della propria comunità e la pace con Roma, ed è allo stesso tempo madre e donna gelosa, amante del console Pollione, rappresentante dei romani dominatori. Potrebbe evitare il rogo se accusasse la rivale Adalgisa, invece sceglie di rendere pubblica la sua scelta segreta, di essere sacerdotessa e madre e donna innamorata.
Non a caso le leggi antiche pretendevano la verginità e la castità nelle sacerdotesse: ancora oggi le suore, essendo spose di Gesù, devono vivere in castità. Si ricorda la storia della Monaca di Monza, narrata da Manzoni nei Promessi Sposi; ispirato al caso vero di Marianna de Leyva y Marino. Costretta per sottrarle l'eredità materna a entrare in convento come Suor Virginia Maria, ebbe due figli dal conte Gian Paolo Osio. L'amante amato fu condannato a morte per gli omicidi commessi per difendere la sua relazione, e Marianna fu condannata a passare il resto della sua vita murata viva in una cella angusta.

Tornando a Norma, la straordinaria ininterrotta popolarità  del melodramma italiano non può significare solo uno scambio di ruoli, come nella lettura della performer serba. L'estremo sacrificio di Norma significa, insieme all'impossibilità di vivere i due ruoli della donna da sempre rigidamente separati nel patriarcato, l'affermazione del desiderio irrinunciabile di viverli entrambi.
Se in Burning di Marina Abramović riconosciamo la difesa della civiltà attuata dalla donna anziché dall'uomo - dal soprano anziché dal tenore -, nella Norma di Belllini sentiamo sia l'amore per l'uomo e la tenerezza per i figli, sia la potenza della sacerdotessa che invoca la dea lunare perché conceda la pace.
Pensiamo
in particolare all'interpretazione della preghiera alla dea lunare di Maria Callas nel concerto del 1958 a Parigi.

Il riferimento mitologico di Norma a Medea ci fa ricordare la maga della Colchide, il cui padre era figlio del Sole e fratello della potentissima Circe, che  aveva il potere di modificare il corso della Luna, l'astro della dea invocata da Norma. 




AL DI LÀ DELL'OPERA
MEDEA: MITO, TRAGEDIA E MELODRAMMA


VII sec. a. C, Esiodo, Teogonia, vv. 993-1002

Nella Teogonia Esiodo parla dell'eroe Giasone, di Medea, e del loro figlio Medeo, senza alcun riferimento alla feroce vendicatrice figlicida:

La bella figlia fanciulla del re
Aiete rallevato dagli eterni,
rapì a suo padre il figlio di Esone,
assecondando degli dèi il consiglio,
dopo avere compiuto le fatiche,
di lacrime grondanti, comandate
dal grande re superbo tracotante,
il dissennato Pelias scellerato.
Assolto il compito il figlio di Esone,
molti dolori avendo sopportato
sulla nave veloce giunse a Iolco,
con la bella Medea, occhi lucenti,
che volle come sua fiorente sposa.
Sottomessa in amore da Giasone,
di popoli pastore, mise al mondo
Medeo, che fu allevato dal filiride
Chirone in mezzo ai monti, come volle    
la mente aperta del sovrano Zeus.
(trad. nostra)



431 a.C. Euripide, Medea, tragedia

Nella traduzione di Ettore Romagnoli (1928). Testo integrale online. Wikisource


Medea       Mai non divenga un uom turpe felice,
                  né mai beato chi mi strugge il cuore!
                  (Secondo episodio)

Medea       Odiami: aborro la tua voce amara.
Giasone
    Ed io la tua; ma separarci è facile.
Medea
       Come? Che devo fare? Anch'io lo agogno.
Giasone:
    Fa’ che i miei figli io seppellisca e lagrimi.
Medea
       No certo: seppellirli io stessa intendo,
                  con le mie mani. Nel sacrario d’Era,
                  Diva d’Ascrèa, li porterò, ché niuno
                  dei nemici l’insulti, e non profani
                  le tombe loro. E in questo suol di Sísifo
                  sacre istituirò feste, e cortei,
                  per espiare questa orrida strage.
                  Alla terra mi reco io d’Erettèo,
                  e con Egèo, figliuolo di Pandíone
                  abiterò: tu, com’è giusto, morte
                  farai da tristo, ché sei tristo: avranno
                  amaro fine le tue nuove nozze.
                  (Esodo, vv. 1374-1385)

Vedi anche il testo greco integrale con la traduzione di G. Ghiselli (2008)



  



I sec. a.C. Ovidio, Medea, tragedia

Servare potui: perdere an possim rogas?
 Ho potuto salvarti, chiedi se posso distruggerti?

La tragedia giovanile di Ovidio è perduta, resta questo verso nel quale risuona la straordinaria profondità psicologica di Ovidio. L'ordine gerarchico patriarcale ha bisogno del femminile indomito come quello di Medea e Melusina, sia per conquistare il vello d'oro, che cura ogni male, sia per fondare un dominio e iniziare una dinastia regale. Il patriarcato non si fonda su un misconoscimento della potenza femminile, ma su una scissione fra la parte della creatura femminile che nutre e custodisce i figli e lo sposo sottomettendosi alla sua legge e al suo desiderio, e la parte che eccede l'ordine maschile, portando sia ricchezza che distruzione. Ipotizziamo qui che il femminile scisso e allontanato dall'ecumene sia quanto dell'umano non si sottomette a nessun ordine. Qualcosa del femminile? O piuttosto qualcosa rimosso nel femminile, assegnato e assunto dal femminile, per liberare il maschile dall'ambivalenza strutturale della psiche e rendere possibile una società ordinata, gerarchica e fallocratica? Indomita è l'infanzia, indomita la follia, indomita l'estasi...
Indomita l'arte, indomita Maria Callas.






I sec. Ovidio, Lettera di Medea a Giasone, Eroidi


[Esule, povera, disperata, Medea si rivolge
al nuovo sposo, se le cure del regno gli lasciano tempo].
1 Ma io tempo per te lo avevo, benché regina dei Colchi,
quando chiedevi che la mia arte ti venisse in aiuto.
Allora le sorelle che dispensano i fili degli uomini
dovevano svolgere i fusi del mio destino.
5 Allora Medea poteva morire bene;
tutta la vita vissuta da allora non è che castigo.
Ahimè! Perché il legno del Pelio, spinto da braccia
giovanili, cercò il montone di Frisso?
Perché noi Colchi vedemmo Argo, la nave
10 di Magnesia e voi, ciurma greca, beveste l’acqua del Fasi?
Perché i tuoi biondi capelli mi piacquero più del giusto,
e la tua bellezza e la grazia finta della tua lingua?
O almeno, dopo che la nuova nave era giunta
alla nostra riva, portando uomini audaci,
15 l’ingrato figlio di Esone non fosse andato
premunito contro i fuochi e le corna dei tori.
Avrebbe gettato i semi, e sarebbero sorti altrettanti
nemici, e il coltivatore sarebbe morto del suo raccolto.
Quanta perfidia sarebbe morta con te, scellerato!
20 Quante sciagure sarebbero state risparmiate alla mia persona!
(Dalle Eroidi, XII, Lettera di Medea a Giasone; ultimo accesso 19/09/2023)



I sec. Ovidio, Medea, dalle Metamorfosi

1 Iamque fretum Minyae Pagasaea puppe secabant,
  perpetuaque trahens inopem sub nocte senectam
  Phineus visus erat, iuvenesque Aquilone creati
  virgineas volucres miseri senis ore fugarant,
 5 multaque perpessi claro sub Iasone tandem
  contigerant rapidas limosi Phasidos undas.

  dumque adeunt regem Phr
ixeaque vellera poscunt
  lexque datur Minyis magnorum horrenda laborum,
  concipit interea validos Aeetias ignes
10 et luctata diu, postquam ratione furorem
  vincere non poterat, 'frustra, Medea, repugnas:
  nescio quis deus obstat,' ait, 'mirumque, quid hoc est,
  aut aliquid certe simile huic, quod amare vocatur.
 
nam cur iussa patris nimium mihi dura videntur?
15 sunt quoque dura nimis! cur, quem modo denique vidi,
  ne pereat, timeo? quae tanti causa timoris?

  excute virgineo conceptas pectore flammas,
  si potes, infelix! si possem, sanior essem!
  sed trahit invitam nova vis, aliudque cupido,
20 mens aliud suadet: video meliora proboque,
  deteriora sequor. quid in hospite, regia virgo,
  ureris et thalamos alieni concipis orbis?
  haec quoque terra potest, quod ames, dare. vivat an ille
  occidat, in dis est. vivat tamen! idque precari
25 vel sine amore licet: quid enim commisit Iason?
  quem, nisi crudelem, non tangat Iasonis aetas
  et genus et virtus? quem non, ut cetera desint,
  ore movere potest? certe mea pectora movit.
  at nisi opem tulero, taurorum adflabitur ore
30 concurretque suae segeti, tellure creatis
  hostibus, aut avido dabitur fera praeda draconi.
  hoc ego si patiar, tum me de tigride natam,
  tum ferrum et scopulos gestare in corde fatebor!
  cur non et specto pereuntem oculosque videndo
35 conscelero? cur non tauros exhortor in illum
  terrigenasque feros insopitumque draconem?
  di meliora velint! quamquam non ista precanda,
  sed facienda mihi. -- prodamne ego regna parentis,
  atque ope nescio quis servabitur advena nostra,
40 ut per me sospes sine me det lintea ventis
  virque sit alterius, poenae Medea relinquar?
  si facere hoc aliamve potest praeponere nobis,
  occidat ingratus! sed non is vultus in illo,
  non ea nobilitas animo est, ea gratia formae,
45 ut timeam fraudem meritique oblivia nostri.

  et dabit ante fidem, cogamque in foedera testes
  esse deos. quid tuta times? accingere et omnem
  pelle moram: tibi se semper debebit Iason,
  te face sollemni iunget sibi perque Pelasgas
 50 servatrix urbes matrum celebrabere turba.
  ergo ego germanam fratremque patremque deosque
  et natale solum ventis ablata relinquam?
  nempe pater saevus, nempe est mea barbara tellus,

  frater adhuc infans; stant mecum vota sororis,
55 maximus intra me deus est! non magna relinquam,
  magna sequar: titulum servatae pubis Achivae
  notitiamque soli melioris et oppida, quorum
  hic quoque fama viget, cultusque artesque locorum,
  quemque ego cum rebus, quas totus possidet orbis,
60 Aesoniden mutasse velim, quo coniuge felix
  et dis cara ferar et vertice sidera tangam.
Ormai i Minii solcavano l'onde del mar su la nave
Argo ed avevano visto già Fineo, che grama traeva
la sua vecchiezza con gli occhi coperti di notte perenne;
ed i figliuoli di Borea aveva fugato l'Arpie
dalla presenza del vecchio infelice; e con molti disagi
erano giunti, alla fine, condotti dal grande Giasone.
alle veloci correnti del Fasi dall'acque fangose.
Mentre dal re se ne vanno e chiedono il vello di Frisso,
è loro imposto un orribile patto di gravi fatiche.
Arse frattanto la figlia d'Eeta d'amor violento
e lungamente lottò; ma, poiché non poté superare
con la ragione la folle passione, "Combatti Medea,
inutilmente!" tra sé così disse; "non so quale nume
a me s'opponga, e prodigio sarebbe se questo che sento
non è la cosa che dicono amore o qualcosa che certo
è somigliante all'amore. Perché troppo duro mi pare
ciò che mio padre comanda? Da vero che troppo si chiede!
Perché pavento che muoia Giasone, che la prima volta
or ho veduto? Qual è la cagione di tanto timore?
Misera, scuoti dal seno virgineo l'ardore che senti,
se tu lo puoi! Se potessi, di certo più saggia sarei;
ma contro voglia mi trae una forza nuovissima e strana:
altro desidera il cuore, e ben altro la mente consiglia!
vedo il mio meglio e l'approvo, ma seguo il peggiore partito!
Vergine regia, perché mai t'infiammi per uno straniero?
perché desideri barbare nozze? La terra nativa
anche può darti chi tu puoi amare. Che viva Giasone
o che perisca, codesto è in potere dei numi. Ma viva!
Quale delitto commise? L'età, la prosàpia, il valore,
chi, se non è spietato, non commuoverebbe? Se il resto
anche mancasse, chi non si commuove a vederne l'aspetto?
Certo il mio cuore è toccato. E se non lo soccorro, dal fuoco
sarà bruciato dai tori, combatter dovrà coi nemici
che sorgeranno dal suolo, funesta semente!, o feroce
preda sarà dell'ingordo dragone. Se tollero questo,
confesserò che son nata di tigre e ch'ho il cuore di ferro
o di macigno. E perché non lo miro nell'atto che muore
e non contamino gli occhi con simile vista? Ed i tori
ed i terribili serpi che nacquer dal suolo e l'insonne
drago perché contro lui non aizzo? Deh facciano i numi
quello ch'è meglio! ma debbo operare, non punto pregare.
Tradirò il regno paterno e sarà non so quale straniero
salvo per opera mia, perché senza me che lo salvo,
spieghi le vele con vento propizio e si sposi altra donna
e si riserbi al castigo Medea? Se pensa di fare
questo e propormi altra donna, che muoia l'ingrato Giasone!
Ma non l'aspetto di certo, non la nobiltà del suo cuore,
non la bellezza e la grazia son tali da farmi temere
o che m'inganni o si scordi di quello che faccio per lui.
Fede, del resto, mi giurerà prima, e davanti agli dei
voglio che il patto mi giuri. Cosa temi tu, tu sicura?
rompi gli indugi e t'affretta! Sarà debitore per sempre
a te Giasone, che ti sposerà con le tede solenni,
e salvatrice per tutta la Grecia ti celebreranno
Tutte l'elleniche madri. Ma dunque rapita dai venti
potrò lasciar la sorella e il fratello ed il padre e gli dei
e la mia terra natale? Ma barbaro è il padre, la terra
barbara dove son nata, e piccolo è ancora il fratello
bella sorella con me sono i voti, e mi regna nel petto
il più possente dei numi. Non lascio né pur grandi cose,
ma cose grandi conseguo. la gloria d'avere salvato
la gioventù della Grecia, la vista di luoghi più belli,
nuove città di cui qui, tra di noi, pur risuona la fama,
l'arte e la gran civiltà, e Giasone per cui io darei
tutte le cose che il mondo possiede; e, sposata con lui,
lieta e diletta agli dei toccherò con il capo le stelle.
Wikisource, Liber Septimus;
ultimo accesso 19/09/2023
Traduzione di Ferruccio Bernini, Bologna 1983;
vol I, pp. 275-279.

La profondità di comprensione di Medea di Ovidio, già presente in quell'unico verso tramandato dalla sua tragedia giovanile dedicata a Medea è insuperabile. Ci piacerebbe avere la forza e la sensibilità necessarie per spiegare la passione di Medea: nel senso di aprire le pieghe del testo, come in una gonna o in un sipario, non nel senso di forzarne il senso per arricchire il nostro album di interpretazioni, dedicate ai pazienti, alle fiabe e a noi stesse. Per ora abbiamo abbastanza ardire da porre una domanda: non c'è sempre nella passione irresistibile dell'innamoramento qualcosa di materno? o, meglio, potrebbero la potenza massima dell'innamoramento e della maternità avere la stessa matrice inconscia? Medea vuole che Giasone viva, non può resistere a questo desiderio, del quale pure non spiega le ragioni neanche a se stessa, se non descrivendo la bellezza e la nobiltà di lui l'eroe civilizzatore, il protettore dell'ecumene, come unica prova della bontà di quel che sente. 

                                       'O cui debere salutem
 165 confiteor, coniunx, quamquam mihi cuncta dedisti
  excessitque fidem meritorum summa tuorum,
  si tamen hoc possunt (quid enim non carmina possunt?)
  deme meis annis et demptos adde parenti!'
  nec tenuit lacrimas: mota est pietate rogantis,
 170 dissimilemque animum subiit Aeeta relictus;
  nec tamen adfectus talis confessa 'quod' inquit
  'excidit ore tuo, coniunx, scelus? ergo ego cuiquam
  posse tuae videor spatium transcribere vitae?
  nec sinat hoc Hecate, nec tu petis aequa; sed isto,
 175 quod petis, experiar maius dare munus, Iason.
  arte mea soceri longum temptabimus aevum,
  non annis revocare tuis, modo diva triformis
  adiuvet et praesens ingentibus adnuat ausis.'
 
  Tres aberant noctes, ut cornua tota coirent
180 efficerentque orbem; postquam plenissima fulsit
  ac solida terras spectavit imagine luna,
  egreditur tectis vestes induta recinctas,
  nuda pedem, nudos umeris infusa capillos,
  fertque vagos mediae per muta silentia noctis
185 incomitata gradus: homines volucresque ferasque
  solverat alta quies, nullo cum murmure saepes,
  inmotaeque silent frondes, silet umidus aer,
  sidera sola micant: ad quae sua bracchia tendens
  ter se convertit, ter sumptis flumine crinem
190 inroravit aquis ternisque ululatibus ora
  solvit et in dura submisso poplite terra
  'Nox' ait 'arcanis fidissima, quaeque diurnis
  aurea cum luna succeditis ignibus astra,
  tuque, triceps Hecate, quae coeptis conscia nostris
195 adiutrixque venis cantusque artisque magorum,
  quaeque magos, Tellus, pollentibus instruis herbis,
  auraeque et venti montesque amnesque lacusque,
  dique omnes nemorum, dique omnes noctis adeste,
  quorum ope, cum volui, ripis mirantibus amnes
200 in fontes rediere suos, concussaque sisto,
 stantia concutio cantu freta, nubila pello
 nubilaque induco, ventos abigoque vocoque,
 ipereas rumpo verbis et carmine fauces,
 vivaque saxa sua convulsaque robora terra
205 et silvas moveo iubeoque tremescere montis
 et mugire solum manesque exire sepulcris!
 te quoque, Luna, traho, quamvis Temesaea labores
 aera tuos minuant; currus quoque carmine nostro
 pallet avi, pallet nostris Aurora venenis!
210 vos mihi taurorum flammas hebetastis et unco
  inpatiens oneris collum pressistis aratro,
  vos serpentigenis in se fera bella dedistis
  custodemque rudem somni sopistis et aurum
  vindice decepto Graias misistis in urbes:
215 nunc opus est sucis, per quos renovata senectus
  in florem redeat primosque recolligat annos,
  et dabitis. neque enim micuerunt sidera frustra,
  nec frustra volucrum tractus cervice draconum
  currus adest.' aderat demissus ab aethere currus.
220 quo simul adscendit frenataque colla draconum
  permulsit manibusque leves agitavit habenas,
  sublimis rapitur subiectaque Thessala Tempe
  despicit et certis regionibus adplicat angues:
  et quas Ossa tulit, quas altum Pelion herbas,
225 Othrysque Pindusque et Pindo maior Olympus,
  perspicit et placitas partim radice revellit,
  partim succidit curvamine falcis aenae.
  multa quoque Apidani placuerunt gramina ripis,
  multa quoque Amphrysi, neque eras inmunis, Enipeu;
230 nec non Peneos nec non Spercheides undae
  contribuere aliquid iuncosaque litora Boebes;
  carpsit et Euboica vivax Anthedone gramen,
  nondum mutato vulgatum corpore Glauci.
  Et iam nona dies curru pennisque draconum
235 nonaque nox omnes lustrantem viderat agros,
  cum rediit; neque erant tacti nisi odore dracones,
  et tamen annosae pellem posuere senectae.
  constitit adveniens citra limenque foresque
  et tantum caelo tegitur refugitque viriles
240 contactus, statuitque aras de caespite binas,
  dexteriore Hecates, ast laeva parte Iuventae.
  has ubi verbenis silvaque incinxit agresti,
  haud procul egesta scrobibus tellure duabus
  sacra facit cultrosque in guttura velleris atri
245 conicit et patulas perfundit sanguine fossas;
  tum super invergens liquidi carchesia mellis
  alteraque invergens tepidi carchesia lactis,
  verba simul fudit terrenaque numina civit
  umbrarumque rogat rapta cum coniuge regem,
250 ne properent artus anima fraudare senili.
 Quos ubi placavit precibusque et murmure longo,
 Aesonis effetum proferri corpus ad auras
 iussit et in plenos resolutum carmine somnos
 exanimi similem stratis porrexit in herbis.
255 hinc procul Aesoniden, procul hinc iubet ire ministros
 et monet arcanis oculos removere profanos.
 diffugiunt iussi; passis Medea capillis
 bacchantum ritu flagrantis circuit aras
 multifidasque faces in fossa sanguinis atra
260 tinguit et infectas geminis accendit in aris
  terque senem flamma, ter aqua, ter sulphure lustrat.
  Interea validum posito medicamen aeno
  fervet et exsultat spumisque tumentibus albet.
  illic Haemonia radices valle resectas
265 seminaque floresque et sucos incoquit atros;
  adicit extremo lapides Oriente petitos
  et quas Oceani refluum mare lavit harenas;
  addit et exceptas luna pernocte pruinas
  et strigis infamis ipsis cum carnibus alas
270 inque virum soliti vultus mutare ferinos
  ambigui prosecta lupi; nec defuit illis
  squamea Cinyphii tenuis membrana chelydri
  vivacisque iecur cervi; quibus insuper addit
  ova caputque novem cornicis saecula passae.
275 his et mille aliis postquam sine nomine rebus
  propositum instruxit mortali barbara maius,
  arenti ramo iampridem mitis olivae
  omnia confudit summisque inmiscuit ima.
  ecce vetus calido versatus stipes aeno
280 fit viridis primo nec longo tempore frondes
  induit et subito gravidis oneratur olivis:
  at quacumque cavo spumas eiecit aeno
  ignis et in terram guttae cecidere calentes,
  vernat humus, floresque et mollia pabula surgunt.
285 quae simul ac vidit, stricto Medea recludit
  ense senis iugulum veteremque exire cruorem
  passa replet sucis; quos postquam conbibit Aeson
  aut ore acceptos aut vulnere, barba comaeque
  canitie posita nigrum rapuere colorem,
290 pulsa fugit macies, abeunt pallorque situsque,
  adiectoque cavae supplentur corpore rugae,
  membraque luxuriant: Aeson miratur et olim
  ante quater denos hunc se reminiscitur annos.
  Viderat ex alto tanti miracula monstri
295 Liber et admonitus, iuvenes nutricibus annos
  posse suis reddi, capit hoc a Colchide munus.

"Moglie, a cui debbo la vita, confesso, benché m'abbia dato
tutto e sorpassi il credibile quello che per me facesti,
se l'incantesimo può (che non panno i tuoi nobili carmi?)
scema a me gli anni di vita e li aggiungi alla vita del padre"
E non si tenne dal pianto: l'amor filiale di lui,
che la pregava, commosse Medea, e le corse al pensiero
l'animo suo differente e il triste abbandono d'Erta!
Quel che sentì tuttavia non lo confessò e rispose:
"Qual mai empio desio t'uscì dalle labbra, o Giasone?
Ma che ti pare ch'io possa ad un altro girare una parte
della tua vita? Non Ecate permetterebbe mai questo;
e non è giusto, no, quello che chiedi; ma dono maggiore
di quel che chiedi, Giasone, io voglio tentare di darti.
Mi proverò a rinnovare la longevità di tuo padre
non co' tuoi anni, ma con la magia, se pure m'assiste
Ecate, diva triforme, e seconda propizia l'impresa."
Perché la luna giungesse le corna e compisse l'intero
giro, mancavan tre notti, allorquando rifulse nel cielo
tonda e guardò con l'intera figura la terra di sotto.
Uscì di casa Medea succinta le vesti, coi piedi
nudi e con nude le chiome disciolte sugli omeri, e a mezza
notte vagò per i cupi silenzi senz'altre compagne:
l'alta quiete sopiva la gente, gli uccelli e le fiere,
non sussurravan le siepi, tacevano immote le fronde,
l'umido cielo taceva e brillavano solo le stelle.
Ella tendendo nel cielo le braccia tre volte si gira
sopra se stessa tre volte e tre volte si spruzza le chiome con acqua
presa dal fiume e tre volte gridando, sul duro terreno
inginocchiata, fe' questa preghiera: "Tu, Notte, custode
fida di arcani; voi, stelle lucenti, che insieme alla luna
dopo venite del sole diurno; tu, diva triforme,
che consapevole delle mie imprese mi vieni in soccorso
e sei maestra nell'arte che incanta; tu, Terra, che dai
l'erbe possenti; e voi, Aure, coi Venti coi Monti coi Fiumi
e con i Laghi; e voi, Numi dei boschi e dell'ombra notturna,
tutti mi siate propizi, vi prego! con l'opera vostra,
quando lo chiedo, ritornano i fiumi alle loro sorgenti
con gran stupor delle rive, ed i mari, che sono procellosi,
placo e, se sono tranquilli, li turbo col canti; le  nubi
fugo e rimeno, ed i venti discaccio, se voglio, e richiamo;
faccio scoppiare con ritmiche voci le fauci dei serpi;
vivi divelgo i macigni e le querce dai luoghi nativi;
sbarbo le selve e le muovo e comando che tremino i monti
e che muggisca la Terra e che lascino l'ombre le tombe;
anche te, Luna, giù traggo, per quanto di Temese i bronzi
scemino le tue fatiche; a' miei carmi anche il carro del Sole
impallidisce e l'Aurora a' miei magici filtri si sbianca.
Voi mi smorzaste le fiamme dei tori ed il collo gravaste,
insofferente di peso, col vomere curvo; volgeste voi
a tremendo conflitto gli anguigeni contro se stessi;
voi addormiste il dragone che sempre vegliava e mandaste
dopo ingannato il custode, quel vello ne' greci paesi.
Ora m'occorrono filtri coi quali l'età si rinnovi
e si rinnovino gli anni tornando nel fiore primiero.
E li darete1 Non vidi le stelle rifulgere indarno
e non indarno è disceso ora il carro tirato dai draghi
agile al volo" - e disceso davvero era il carro dall'aria! -
Sopra vi monta palpando le teste dei draghi frenati,
scuote con ambo le mani le briglie leggere e si leva
alta nell'aria e di stinge, di sotto, la Tessala Tempe.
Verso regioni ben note piegando i serpenti ella osserva
l'erebe dell'Ossa, del Pelio sublime, dell'Otri, del Pindo
e dell'Olimpo maggiore del Pindo e ne svelle una parte,
quelle che crede opportune, e ne taglia con falce di bronzo.
Anche le piacciono l'erbe, che sovra le sponde produce
folte l'Apìdano, e quelle che danno l'Anfriso e l'Enìpeo.
Anche ne diedero alcune il Penèo e lo Sperchio e le rive,
che sono giuncose, del lago di Bebe. Raccolse pur l'erba
vivificante d'Antèdone euboica, non anco famosa
per il prodigio di Glauco, che vide mutate le membra.

Per nove giorni girando e per notti altrettante sul carro
tratto dai serpi volanti, ella aveva veduto ogni campo,
quando tornò, e i serpenti, che sol eran stati toccati
da quell'odore, mutarono tutte le squame di prima.
Come fu giunta, sostò su la soglia del tetto regale
e restò fuori all'aperto sfuggendo il contatto degli altri;
e due altari costrusse di piote, per Ecate l'uno,
quello di destra, e per la Giovinezza quell'altro a sinistra.
Poi ch'ebbe cinto gli altari di fronde silvestri e verbene,
poco distante scavata la terra con duplice fossa,
fa il sacrificio, e sgozzando due agnelle di nero mantello,
sparge di sangue le fosse spaziose. Vi versa poi sopra
tazze di vino e di tiepido latte, pronuncia parole,
chiama gli dei di sotterra, Plutone signore dell'ombre,
e la regale consorte Proserpina da lui rapita,

perché non privino tosto di spirto le membra del vecchio.
Dopo che li propiziò col sussurro di linghe preghiere,
fece portare alla luce il debole corpo di Esone,
poi l'assopì con l'incanto nel sonno profondo e lo stese
simile a un morto su l'erbe, che stavano sopra agli altari.
Quindi comanda che vadano lungi Giasone e i ministri
e li ammonisce che gli occhi profani distolgan dal rito
misterioso. AL comando obbediscon. Con sparse le chiome,
come Baccante, Medea  va intorno agli altari fumanti,
tinge le torce multifide dentro la fossa di sangue
e così intrise le accende su l'are e va intorno tre volte
a lui con fiamme, tre volte con acqua e tre volte con zolfo.
Filtro possente fra tento ribolle nel vaso di bronzo,
che gorgogliando biancheggia di tumide spume balzanti.
Fervono nella caldaia le radiche svelte nei piani
della Tessaglia coi fiori coi semi coi sughi funesti:
bollono pietre raccolte nell'ultimo Oriente e le sabbie
inumidite dal flusso e riflusso del mare: v'aggiunse
anche le brine raccolte di notte con piena la luna.
Ali infiamate di strige mischiò con le carni e i budelli
anche di lupo mannaro che suole mutare l'aspetto,
d'uomo prendendo la forma. Né pure mancâr nel miscuglio
squame sottili di libico serpe, e di cervo longevo
fegato, e d'una cornacchia vissuta per novecent'anni
anche v'aggiunse la testa col becco. Poiché di codesti
ingredienti e mill'altri, che punto non so nominare,
ebbe composto la barbara il dono promesso al vegliardo,
rimescolò con un ramo già secco d'ulivo maturo
tutto voltando sossopra. Nel vaso di bronzo bollente
ecco quell'arido ramo diventa da prima
verde, poi dopo non molto si copre di fronde novelle
e d'improvviso si carica tutto di gravide ulive.
Dove il bollor fa cadere le spume dal vaso di bronzo,
dove le fervide gocce ricadono sopra la terra,
tutto fiorisce, e germogliano i fiori e le tenere erbette.
Come ciò vide Medea, brandita la spada, la gola
squarcia del vecchio, e lasciando che fuori ne venga il senile
sangue riempie le vene di succhi. Poiché per la bocca
o per la gola li bevve il vegliardo, la barba e i capelli,
non più canuti, divennero neri: sparì d'improvviso
la macilenza, sparì lo squallore, sparì della pelle
l'avvizzimento, s'empiron le rughe di carne e le membra
lussureggiarono. Esone rimane stupito e ricorda
d'essere stato così nel passato quarant'anni prima.
­Dioniso aveva veduto dall'alto sì grande prodigio
ed avvisando che gli anni potevano ringiovanire
per le sue proprie nutrici, ne chiese in regalo a Medea.

 

Ivi, Wikisource, Liber Septimus;
ultimo accesso 07/11/2023
Ivi, pp.285-291


Come Fafner nell'Anello del Nibelungo di Wagner



Obbligo del velo nei paesi islamici con governi fondamentalisti. I lunghi capelli della donna hanno molto fascino e molti significati. Nelle Mille e una notte la donna non si mostra mai senza velo in presenza di estranei. Accettando il vincolo del matrimonio la donna rinuncia ai poteri che il patriarcato non può comprendere nella casa e nella città.
In Val Padana negli anni Sessanta molte donne anziane portavano un fazzoletto scuro annodato sulla nuca che nascondevano i capelli: le donne sposate dovevano portarlo prima dell'ultima guerra. Analogamente lo sposo svelava la sposa solo dopo che aveva pronunciato il sì durante la cerimonia nuziale. Anche le bambine e le donne dovevano indossare un velo leggero sul capo per entrare in chiesa.
I capelli lunghi sono di solito prerogativa della donna come le lunghe unghie. Forse non è estraneo al fascino legato ai capelli e alle unghie lunghe il fatto che sia i capelli che le unghie continuino a crescere dopo la morte. E i capelli e le unghie si devono tagliare a luna crescente, se si vuole che crescano e si rinforzino. Analogamente le depilazioni vanno effettuate a luna calante perché crescano meno forti e rapidi.
Regole analoghe riguardano la semina: ciò che dà una parte edibile sottoterra va seminato a luna calante, in modo che l'energia nella parte che esce dalla terra sia minore e si concentri nella parte sotterranea - patate e carote, ad esempio. I vegetali che si raccolgono sopra la terra vanno invece seminati a luna crescente, come le piante da fiore.   














I sec. d. C. Medea, Seneca, tragedia

Medea invoca gli dèi delle tenebre e giura vendetta. Dopo aver ucciso il fratello Apsirto e ingannato il padre Eeta, in Colchide, per seguire Giasone a Corinto, è stata ormai abbandonata dal condottiero degli Argonauti. Le nozze con Creusa, figlia del re Creonte, sono infatti imminenti.
Il coro prega gli dèi affinché siano propizi, in vista del matrimonio.
Udendo il canto nuziale, Medea grida alla nutrice il proprio dolore, giustificando Giasone e scaricando ogni colpa su Creonte, verso il quale vuole riversare la vendetta. Nonostante la nutrice predichi prudenza e dica alla donna di fuggire, Medea rimane ferma nelle sue intenzioni.
Anche con Creonte, che le intima di lasciare Corinto, Medea lamenta le sue sventure. Dice di accettare il bando cui è costretta, ma chiede di poter abbracciare un'ultima volta i due figli avuti da Giasone. Creonte le concede un giorno.
Il coro rimpiange l'età dei padri, epoca in cui gli uomini vivevano in modo spartano e « ognuno radeva pigramente la propria costa o invecchiava nel proprio campo, non conoscendo altri beni che quelli del suolo natio »[1], rimproverando a Giasone la sua ambizione.
Dopo un nuovo breve colloquio con la nutrice, Medea incontra Giasone. Gli rinfaccia l'ingratitudine, mentre anch'egli la prega di prendere la via dell'esilio, preoccupato per l'ira di Creonte e del re tessalo Acasto, il cui padre Pelia è morto in seguito a un inganno di Medea. Giasone teme soprattutto per i figli; appurato ciò, la figlia di Eeta comprende di aver individuato il punto debole dell'Argonauta.
Il coro ricorda la tragica fine degli Argonauti, che hanno sfidato il mare e subito un'inesorabile vendetta.
Medea prepara un manto avvelenato da far indossare alla sposa. Chiamati a sé i figli, lo consegna loro affinché lo portino a Creusa.
Il dono fatale è costato la morte a Creusa e al padre: l'incendio divampato nella città resiste all'acqua, che anzi alimenta le fiamme. Medea vuole portare a compimento la vendetta; nonostante qualche fugace momento di esitazione, uccide uno dei due figli, poi, salita sul tetto del palazzo reale, trafigge anche l'altro, questa volta sotto gli occhi di Giasone. (Wikipedia; ultimo accesso 05/11/2023)





1634 Corneille, Medea, tragedia

Corneille a inséré quelques éléments nouveaux notamment au niveau des personnages. Le dramaturge ajoute, par exemple, le personnage d'Égée. Cet ajout est une inspiration de la Médée d'Euripide. Toutefois, Corneille étoffe davantage ce personnage en le rendant amoureux de Créuse. Cet amour est à sens unique. Égée permet de créer, avec Jason et la princesse, un triangle amoureux qui complexifie l'intrigue. Le dramaturge insère ensuite des personnages nouveaux. Nous pouvons citer Créuse qui possède alors un véritable rôle sur scène. Elle n'est plus seulement un objet ou simplement citée. Ensuite, Corneille crée le personnage de Pollux qu'il établit comme étant l'ami et le confident de Jason. Ces changements permettent à l'auteur d'atténuer la culpabilité de Médée par rapport à Sénèque. En effet, ces personnages apportent une diversité de points de vue sur l'héroïne tragique. Ainsi, il est plus délicat pour le spectateur de condamner Médée. Dans l’œuvre de Sénèque, le spectateur est obligé de la condamner. Chez Corneille, ce choix devient plus difficile car il a en sa possession une multitude d'opinions. Enfin, autre détail, il nomme la « Nourrice » – nom chez Sénèque – Nérine. La création et l'insertion de nouveaux personnages vont dans le sens d'une tragédie plus « psychologique ».
Corneille insère aussi des péripéties qui complexifient les événements menant aux crimes finaux et permettent de justifier la vengeance de Médée et donc d'atténuer ainsi sa culpabilité. Son crime devient plus supportable, moins horrifiant que celui de Sénèque.
Tout d'abord, la première péripétie rajoutée par Corneille est le fait que ce soit Créon qui enlève ses enfants à Médée afin de les mettre sous la garde de sa fille Créuse.
Ensuite, Créuse exige la robe de Médée, seul bien qu'elle possède depuis sa fuite de Colchide. Ce n'est pas Médée qui la lui donne délibérément. Corneille fait donc moins agir Médée ; ce sont les autres personnages qui font avancer l'intrigue. Ces actes justifient donc en partie la vengeance de Médée. Ainsi, à la différence de Sénèque, Médée n'est plus haïe dans sa totalité, le lecteur est partagé.
Une autre invention majeure concerne la mort de Jason. En effet, ce dernier se suicide sur scène. Chez Sénèque, tout comme dans le mythe, Jason ne meurt pas à la suite de ces événements. Cette invention augmente le pathétique de la tragédie.
À la différence de Sénèque, Corneille ne montre pas sur scène l'infanticide. Celui-ci est commis hors-scène, tandis que les deux meurtres (ceux de Créon et Créuse) sont effectués sur scène, aux yeux de tous. L'infanticide est moralement plus condamnable que le meurtre parce que le coupable tue sa descendance, une partie de lui-même. Corneille a donc préféré faire preuve de bienséance sur ce point. (Wikipedia; ultimo accesso 05/11/2023)



Charles André van Loo (1760)
Mademoiselle Clairon en Médée



1797 Le 23 Ventôse Ann V.e, Médée, Tragédie. Paroles de Hoffmann - Musique de Chérubini.

Libretto dell'opera online:

Médée, Tragédie. Paroles de Hoffmann - Musique de Chérubini. Répreséntée sur le Théâtre Feydeau a Paris le 23 Ventôse Ann V.e. A Paris, chez Huet, Éditeur de Pièces de Théatre etulù de Musique, rue Vivienne, N.°8. An. V.e 1797
ultimo accesso 05/11/2023.

L'opera in tre atti è ispirata alla tragedia di Euripide, a quella di Seneca e alla versione secentesca di Corneille. Opera buffa, ovvero con ampi recitativi, fu presto dimenticata in Francia, mentre nell'Ottocento ebbe successo sia in Germania che in Italia, con i recitativi musicati.


SCENA FINALE

Jason: Mes fils! Rends-moi mes fi
ls!

Médée: Ils ont suivi mon frère
Adieu! Dans Iolcos va trai^ner la misère;
De rivage en rivage errant, désespéré,
En tous lieux fugitif, en tous lieux abhorré,
Va cacher les remords de ton ame éperdue.
Que les mères par-tout fremissent à ta vue!
Plus heureuse que toi, je vais dans les enfers
Par des chemins connus, pour moi toujours ouverts:
Après mille tourmens je t'y verrai descendre,
Et sur les bords du Styx mon ombre va t'attendre.

[Scende nell'abisso con le tre eumenidi, che la prendono.
Il fuoco sale e avvolge tutto, il popolo porta via con sé Giasone]

Coro: Justes ciel! l'enfer se découvre à nos yeux!
Fuyons, fuyons de ces funestes lieux.

Quand le choeur et Jason sont sorti de la scène, le palàis achève de s'écrouler; tout le théatre est en feu, et n'offre plus que ruines et incendie. FIN (p. 48, cit.)




1909 Medea, musiche di Cherubini, testo di Hoffmann. Traduzione italiana di Carlo Zangarini e recitativi di Lachner.

Atto I
La scena si svolge a Corinto, nel palazzo del Re Creonte. Glauce sta terminando, aiutata da due ancelle, i preparativi per il suo matrimonio con Giasone. Questi ha ripudiato Medea, potente maga e sua prima consorte. Lei a suo tempo l'aveva aiutato nell'impresa di rubare il Vello d'oro, tradendo la sua stessa famiglia, e dalla loro unione erano nati due figli. Medea riesce ad entrare nel palazzo di Creonte e lì incontra Giasone, al quale chiede il ritorno in seno alla famiglia. Visto però il suo rifiuto lei lo maledice e giura vendetta.

Atto II
La scena si svolge all'interno del palazzo del Re. Medea vuole vendicarsi nonostante la sua ancella Neris cerchi di convincerla a lasciare Corinto. Quando il re ordina a Medea di abbandonare immediatamente la città lei ottiene ancora un giorno da passare con i suoi figli. Incontra ancora Giasone e insieme rievocano i felici momenti del loro amore. Infine Medea ordina all'ancella Neris di recare in dono a Glauce il manto e il diadema che ella ebbe da Apollo.

Atto III
La scena si svolge tra il palazzo e il tempio. Neris accompagna i due figli al cospetto della loro madre Medea. Dal tempio giungono voci e lamenti: Creonte e Glauce sono morti perché i doni di Medea erano avvelenati. La folla furente si scaglia contro Medea, ma questa, con Neris e i due figli, si rifugia nel tempio. Giasone accorre per arrestarla, ma Neris esce sconvolta dicendo che Medea ha ucciso i figli nel tempio. Viene Medea, con in mano il pugnale insanguinato e dice a Giasone di aver compiuto una giusta vendetta. Sconvolto dal dolore egli muore e Medea rientra nel tempio, mentre questo sta andando in fiamme. (Medea, Cherubini, wikipedia
; Traduzione italiana di Carlo Zangarini e recitativi di Lachner)
 

La prima rappresentazione italiana è del 1909, MIlano, Teatro alla Scala.

Dal sito l'Orchestra Virtuale del Flaminio, col patrocinio dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia
https://www.flaminioonline.it/Guide/Cherubini-Guide.html; ultimo accesso: 03/11/2023

Dal libretto la sintesi del finale, sostanzialmente coincidente con la sintesi di wikipedia riportata sopra:

Médée, circondata dalle Eumenidi (le Furie), esce dal tempio; ha ancora in mano la lama insanguinata e si presenta allo sposo giustificando il proprio gesto con la sua giusta vendetta. Le sue maledizioni si arrestano soltanto quando intorno a lei si levano le fiamme, che poi circondano il tempio e l'intera scena, nel terrore generale.

Ma non coincide con le ultime parole di Medea, né con le parole presenti nel libretto. Leggiamo qualche parola dal libretto succitato:

ATTO I

Medea: Spergiuro! osi tu rinfacciarmi i miei crimini?
Non sono anche i tuoi? E non è stato per te
Che ho immolato tante vittime auguste?
Come il tuo, forse che il mio cuore ha mancato
alla sua fede?
Solo per te ho tradito, abbandonato mio padre,
per te ho assassinato, straziato mio fratello;
e quando Pelias è sceso nella tomba,
parla, è stato per me che un pio parricida
nel petto di questo vegliardo ha piantato il coltello?
Ecco i miei attentati; io li riconosco, perfido;
non mi lascerà mai il loro crudele ricordo;
ma paventa; la loro fonte non si è ancora prosciugata;
Al di sopra di tutto io metterò il mio piacere,
e tu ti pentirai di avere abusato di me;
e se io ho osato tanto per dimostrarti la mia fede,
che cosa non oserei per vendicarmi di te?
(Scena VII)

ATTO II

Giasone ha preso i figli con sé e a Medea che lo supplica di darli a lei glieli concede solo per il giorno che Creonte le ha concesso prima del definitivo esilio.
Neride le propone di abbracciare per l'ultima volta i suoi bambini, ma Medea le risponde che non li ama più: in loro vede solo il loro padre (A. II)

A III
Neride, come Suzuki, manda i bambini dalla madre

Medea: Figli miei! è dunque così, voi mi costringete!
La natura è più forte e io cedo alla sua legge.
O momenti dolorosi! O momenti pieni di incanto!
Dolcezza inesprimibile! O allarme mortale!
Il mio debole cuore è in preda a mille sentimenti,
si apre a tutti i piaceri, soffre tutti i tormenti.

Medea a Giasone: Essi hanno seguito mio fratello, addio!
Va a trascinare la tua miseria nella Iolchide,
errando disperato di piaggia in piaggia,
fuggiasco in ogni luogo, in ogni luogo aborrito!
Va a nascondere i rimorsi della tua anima perduta!
Che le madri ovunque tremino alla tua vista!
Più felice di te io me ne vado nell'aria!
Per cammini conosciuti, a me sempre aperti!
Negli Inferi ben presto io ti vedrò discendere,
e sulle rive dello Stige la mia ombra ti attenderà!   
 

(Con queste parole ella si invola nell'aria. Una esplosione di fuoco esce dal tempio e si diffonde dappertutto. Il popolo si disperde per mettersi in salvo.)




1953, 1957, 1961,1971-72, Maria Callas interpreta Medea nell'Opera di Cherubini

Medea è stato uno dei ruoli leggendari di Maria Callas, portato in trionfo in tutti i teatri del mondo, fino alla consacrazione cinematografica nel film diretto da Pierparolo Pasolini (1969). Non sempre si ricorda, però, che la riproposizione dell’opera del fiorentino Luigi Cherubini (1797), di fatto uscita dal repertorio, fu il  frutto della politica culturale del Maggio Musicale Fiorentino, che la resuscitò nell’edizione del 1953. E non sempre si sottolinea il fatto che Maria Callas (anzi, Maria Meneghini Callas: un personaggio ancora non toccato e trasformato dalla sua fama mondana) trovò proprio al Comunale di  Firenze il teatro che ebbe il coraggio di investire sulla sua inusuale voce e sul suo talento di interprete. Si deve infatti alla geniale intuizione di Francesco Siciliani, direttore artistico del Maggio dal 1949, se Maria Callas inaugurò, qui a Firenze, quella che sarebbe stata non solo una straordinaria carriera, ma una presenza sconvolgente nella storia dell’opera lirica. E fu Siciliani che capì come le risorse vocali e il temperamento di quella giovane praticamente sconosciuta avrebbero potuto rendere giustizia ad un personaggio come quello della maga della Colchide, la figlia del Sole condannata a provare le passioni troppo umane di madre e di sposa tradita. (Toscana Eventi & News; ultimo accesso, 05/11/2023)

1953, a Firenze; con Carlos Guichandut, Mario Petri, Fedora Barbieri. Orchestra e coro del Maggio musicale fiorentino, direttore Vittorio Gui. Opera completa, audio, h: 02:09:23; ultimo accesso 18/09/2023.
Maggio 1953, dal vivo III atto
; ultimo accesso 05/11/2023

1953, a Milano; con Gin
o Penno, Maria Luisa Nache, Fedora Barbieri, Giuseppe Modesti; direttore Leonard Bernstein
Opera completa, audio, h: 02:08:56; ultimo accesso 18/09/2023

1957, a Milano; con Mirto Picchi, Renata Scotto, Miriam Pirazzini, Giuseppe Modesti; direttore Tullio Serafin, Registrazione Ricordi. Atto II, finale, audio; h: 00:09:58; ultimo accesso 18/09/2023.

1958-1961, Photos from 4 performances: Dallas (1958), Covent Garden (1959), Epidaurus (1961) and Teatro alla Scala (1961)
Sound from the Covent Garden performance; h: 00:42:16; ultimo accesso 22/09/2023.

1961, con Jon Vickers, Ivana Tosini, Giulietta Simionato, Nicolai Ghiaurov, direttore Thomas Schippers
Video excerpts  h 00:06:34 ; ultimo accesso 18/09/2023.

1971-72. Masterclass at the Juilliard School, Dei tuoi figli la madre
h: 00:15:44; ultimo accesso 16/08/2023


La riscoperta dell'opera di Cherubini si legò, negli anni cinquanta del XX secolo, all'interpretazione di Maria Callas, che la riportò sulle scene nel 1953, prima al Teatro Comunale di Firenze e poi alla Scala, e la interpretò nuovamente negli anni successivi sia in Italia che all'estero. La sua interpretazione del personaggio è rimasta paradigmatica: la grande intensità drammatica fu tale da 
indurre Pier Paolo Pasolini ad affidare al soprano il ruolo di attrice protagonista nell'omonimo film.
Anche Theodor Dreyer aveva chiesto a Callas di interpretare Medea nel film di cui aveva preparato la sceneggiatura, film realizzato su quella sceneggiatura da Lars von Trier nel 1988.





1959, I figli di Medea, teledramma

I figli di Medea, Alida Valli (Medea e la madre del bambino) ed Enrico Maria Salerno (il padre del bambino), film TV, YouTube h. 00:54:50

Soggetto e sceneggiatura sono di Vladimiro Cajoli, che, avendo ben presente la trasmissione radiofonica statunitense The War of the Worlds (1938), presentò il suo lavoro al Concorso Nazionale Originali Televisivi della Rai del 1959 e vinse il primo premio. Fu quindi proposto ad Anton Giulio Majano che accettò di dirigerlo.
Il film per la televisione, presentato come un vero sceneggiato ad ambientazione mitologica, veniva interrotto bruscamente dal rapimento del figlio dell'improbabile coppia formata da Alida Valli ed Enrico Maria Salerno, da parte dello stesso padre. L'evento venne percepito come reale come era avvenuto nel 1938 con The War of the Worlds di Orson Welles.

Il bambino necessitava della somministrazione periodica di un medicinale salvavita, ma l'attore padre rifiutava di rivelare dove lo teneva nascosto. Chiedeva di parlare alla televisione, e gli veniva concesso perché in questo modo i telespettatori avrebbero potuto telefonare al numero 696 in caso di avvistamento dell'attore mentre entrava nell'abitazione dove nascondeva il figlio. Il padre rapitore accusa la madre di aver scelto di fare l'attrice e non la madre - il loro bambino, afferma a un certo punto, non sa nemmeno cosa sia una madre.

I telespettatori inondarono il centralino dell'Ospedale delle Molinette di Torino, che rispondeva al numero 696, di telefonate apprensive e/o di segnalazioni sul presunto avvistamento dell'attore con il figlio, nonostante i fatti rappresentati in diretta sul piccolo schermo fossero esplicitamente ambientati a Roma. Anche la sede della Rai fu tempestata di telefonate. Gli autori erano quindi riusciti a far credere ai telespettatori che si trattasse del figlio di Alida Valli ed Enrico Maria Salerno, rapito nella realtà, e che il rapimento non facesse quindi parte del teledramma.

Enrico Maria Salerno nel suo monologo parlava dei mezzi di comunicazione e di informazione e del loro uso distorto, monologo che veniva bruscamente interrotto dall'annuncio del ritrovamento del fanciullo e dall'intervento in scena delle forze dell'ordine che arrestavano l'attore. Tutto sembrava tornato alla normalità, ma un nuovo collegamento in diretta si rendeva necessario: Enrico Maria Salerno aveva estratto una pistola e minacciava di togliersi la vita.

L'attore/padre riprendeva quindi il suo monologo verso le telecamere, che però si interrompeva quando si addormentava per effetto di un sedativo somministratogli a sua insaputa nel bicchier d'acqua che aveva chiesto.

(Tratto da wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/I_figli_di_Medea; ultimo accesso: 20/10/2023)

Il disordine nella società, l'ingiustizia, la pericolosa influenza dei giornali e della televisione, sono connessi all'accusa che il padre rivolge a Medea/Alida Valli: di non aver fatto la madre.
SI pone qui come altrove l'impossibilità per la donna di essere riconosciuta allo stesso tempo come buona madre e come artista - attrice in questo caso. La disperazione, che può giungere al suicidio, del protagonista maschile è un'accusa contro l'ingiustizia - c'è anche qualche citazione dal Vangelo - che pare intollerabile per la distanza della donna dal suo ruolo di madre e moglie devota. (AG)





1969 Pier Paolo Pasolini, Medea, film

Film completo, h 01:51:01; ultimo accesso 15/08/2023

Sei come una pietra preziosa che viene violentemente frantumata in mille schegge per poi essere ricostruita di un materiale più duraturo di quello della vita, cioè il materiale della poesia. (Pier Paolo Pasolini)

Di seguito Maria Callas intervistata su "Medea" per 'Fuori Orario' 1969
trascritte dall'
intervista completa che si trova su Youtube, h. 00:07:42; ultimo accesso: 3/11/2023
 
D.: La Medea le era già stata offerta dal regista danese Dreyer...
R.: Sì, sì, sì...
D.: Perché ha scelto Pasolini?
R.: Sa, quello è un po' il destino. Pasolini è giovane, Dreier era un po' tanto vecchio e purtroppo è morto nel frattempo.
D.: Come vede il suo personaggio?
R.: Come Medea.
D.: Si considera una Medea perfetta?
R.: Non mi considero mai perfetta.


Sulla vicenda di Maria Callas protagonista della Medea di Pasolini, vedi anche  la pagina di Maria Callas, in questo stesso sito.




1988: Lars von Trier, Medea, film

Preview, YouTube Movies  h 00:03:22
Film completo h 01:16:22

Medea è un film per la televisione danese del 1988 diretto da Lars von Trier, basato su una sceneggiatura che Carl Theodor Dreyer, maestro spirituale del regista, aveva preparato ma mai girato, ispirato dall'omonima tragedia di Euripide. (Wikipedia)


Il film è molto crudo, difficile vederlo senza inorridire, quando, ad esempio, i due bambin fuggono avendo compreso quale destino li attende, ma la mamma li riprende e li impicca. La ferocia femminile, di solito rimossa dalle idealizzazioni della maternità, qui torna perturbante. Alla fine Medea siede sul pavimento di una nave che la porterà lontano da Giasone. Da Egeo? All'uccisione dei propri figli si sopravvive anche se non si è psicotiche? Anche se non si ha a disposizione un carro trainato da draghi volanti?
Lars von Trier e Carl Theodor Dreyer rispondono di sì.

Se non fosse per la nostra esperienza clinica con donne che hanno vissuto l'interruzione della loro gravidanza desiderata, a causa di gravi malformazioni del feto, o per l'interruzione della sua crescita e della sua vita dovuta a cause accidentali, se non avessimo visto l'angoscia tragica di donne che subiscono questa esperienza, anche se sanno  di non averne responsabilità né colpa, non avremmo messo online questi fotogrammi tratti dal film di Lars von Trier.

Il tema di Medea è quasi impossibile da affrontare, per questo la donna che vive l'esperienza di interrompere una gravidanza desiderata rischia una solitudine terribile, e una crisi della presenza che ci costringe a pensare affrontando un dolore spesso privo di parole.
La mitica tragica Medea prende talmente sul serio la legittimazione di Giasone, che crede nei valori del patriarcato fallocentrico più di Giasone stesso. Fino alla fine l'eroe Giasone non riconosce che senza l'appoggio della donna la sua potenza si dissolve. Per questo, per ignorare questa funzione di base della donna per l'uomo, è necessario il dominio maschile sulla donna, l'accettazione di questo dominio da parte della donna, e l'esclusione dall'ecumene di quanto della donna non è domato né domabile. Così si accendonpo i roghi della Santa Inquisizione, per un rito estraneo alla liturgia cattolica, o per un velo messo male o dimenticato.





1993, Philadelphia, film

Sequenza dal film "Philadelphia" (1993) di Jonathan Demme; h. 00:04:13
Andrew Beckett (Tom Hanks) ascolta Maria Callas nell'Andrea Chenier di Giordano, La mamma morta, spiegando e traducendo i versi all'avvocato Joe Miller (Denzel Washington).





2002, Ettore Cingano, Eros, maternità, magia e distruzione: Medea dai mille volti

Il saggio di Ettore Cingano si trova alle pagine 77-93 in: Adriano Guarnieri, Medea, opera-video in tre parti liberatamente ispirata a Euripide; Fondazione Teatro La Fenice di Venezia, 2002, pp. 174; Saggio molto ben fatto, per il rigore, per l'ampiezza di riferimenti, per l'assenza di ogni forma di moralismo o di sottomissione a qualsivoglia ordine gerarchico. https://www.teatrolafenice.it/wp-content/uploads/2019/03/MEDEA.pdf

In un volume pubblicato venti anni fa, Duarte Mimoso-Ruiz recensiva circa duecentonovanta opere di vario genere incentrate sul mito di Medea a partire dal XIII secolo, escludendo l'antichità; da allora il numero è notevolmente cresciuto. (Ettore Cingano, p. 77)




2011 Dr. Agata Gallo, La sindrome di Medea, forma di alienazione genitoriale

Alienazione genitoriale. Un terribile abuso contro i bambini
3. La sindrome di Medea. Chi la causa, area scientifica, pubblicazioni. A cura della dott.ssa Agata Gallo.
http://www.alienazione.genitoriale.com/la-sindrome-di-medea-dott-ssa-agata-gallo/; ultimo accesso: 17/09/2023

Piccola nota: Medea non è figlia di Circe, come scrive A. Gallo. Circe è sorella di Eeta, padre di Medea, ed entrambi sono figli del Sole. Non è necessario avere fatto studi classici per saperlo, basta cercare qualche minuto online.


2015 Vincenzo Cascone Il sogno di Medea, documentario

Il sogno di Medea; cinemaitaliano.info; ultimo accesso 25/09/2023 

Il sogno di Medea. Centro Studi - Archivio Pier Paolo Pasolini - Bologna; h: 00:18:44

Io le dirò che non soltanto non vedo differenza fra l'Edipo e Medea, ma non vedo differenza nemmeno fra Accattone e Medea, e non vedo differenza nemmeno fra il Vangelo e Medea. [...]
Il tema, come sempre nei miei film, è una specie di rapporto ideale, e sempre irrisolto,  tra un mondo povero e plebeo, diciamo sottoproletario, e mondo colto, borghese, storico.
[...] Medea è l'eroina di un mondo sottoproletario, arcaico, religioso. Giasone invece è l'eroe di un mondo razionale, laico, moderno. Il loro amore rappresenta il conflitto fra questi due mondi. (Pier Paolo Pasolini)







2022 Sergio Naitza, L'isola di Medea. Pasolini e Callas, l'amore obliquo. Documentario

Quasi 50 anni dopo riemerge – attraverso i ricordi e gli aneddoti dei componenti della troupe e degli amici più cari – il racconto di un amore impossibile. Un’indagine su due anime sensibili, e in quel momento fragili, che seppero creare un rapporto artistico e umano profondo, delicato e speciale.


Presentazione

Trailer; h: 00:02:05



2023 Erica Marinucci, La sindrome di Medea

La sindrome di Medea indica una condizione in cui la madre uccide, anche psicologicamente e non necessariamente fisicamente, il proprio figlio come atto di  vendetta nei confronti dell’altro genitore.
Questa interpretazione metaforica viene coniata nel 1988 dallo psicologo Jacobs il quale, portando su un piano figurato l’infanticidio, sostiene che la sindrome di Medea sia: “il comportamento materno finalizzato alla distruzione del rapporto tra padre e figli dopo le separazioni conflittuali.”
Cos’è la sindrome di Medea, dunque? Secondo la lettura di Jacobs ha a che fare con l’alienazione genitoriale, definita dallo psichiatra R. Gardner come “un disturbo che insorge quasi esclusivamente nel contesto delle controversie per la custodia dei figli. In questo disturbo, un genitore (alienatore) attiva un programma di denigrazione contro l’altro genitore (genitore alienato).”
Si tratta dunque di fattori che vengono scatenati da una crisi di coppia portata alle estreme conseguenze, per cui il genitore strumentalizza il figlio per vendetta e in cui la triangolazione familiare e la rabbia cieca sono il sintomo di una difficoltà a elaborare ciò che sta avvenendo. Questo provoca talvolta tragiche conseguenze come l’infanticidio, argomento di questo articolo. (
Da Unobravo: La sindrome di Medea. Cpsa si nasconde dietro un infanticidio?; ultimo accesso 10/11/2023)




2023 Roberto Riviello, Pazza Medea. Interprete Laura Cioni

Laura Cioni, protagonista di
Pazza Medea, ci parla del suo personaggio

Alla domanda su quanto le sia servita la sua formazione psicanalitica per entrare nella mente di Medea, Laura Cioni risponde:

È impossibile entrare nella mente di chiunque. È da questa impossibilità che nasce la psicoanalisi come tentativo di restituire, ricostruire possibili sensi alle nostre sofferenze, abiezioni, bizzarrie. Possibili. Ricostruire non equivale a penetrare, comprendere non è sciogliere un mistero. Però, se le congetture sono buone, dal teatro, come dall’analisi, si esce con la sensazione che qualcosa di vero sia stato toccato, l’effetto ha in genere il sapore del sollievo e della bellezza. Se gli spettatori sono usciti con uno di questi sapori forse ho compreso qualcosa
.
(L'Arno.it, 13 giugno 2023)

Premio Energheia 2023. Eternità del mito. Pazza Medea di Roberto Riviello con Laura Cioni, attrice
Con video girato a Matera, h. 00:37:58

Pazza Medea, Eternità del mito YouTube h. 00:37:57; ultimo accesso 10/11/2023

Pazza Medea. L'intervista al regista Roberto Riviello e all'attrice Laura Cioni
Youtube h 00:02:51; ultimo accesso 10/11/2023




2023 Piccola fenomenologia degli attanti mitici e fiabeschi

Osserviamo spesso che da parte di più o meno celebri psi- viene fatto un uso disinvolto dei personaggi della mitologia classica per sostenere la propria teoria. La vitalità del mito non dipende dal tempo, e può essere un'operazione feconda ispirarsi a Medea per dar vita a nuovi personaggii: è il caso di Norma. Meno sopportabile è invece che si rinarrino miti classici facendo muovere personaggi come Medea o Telemaco per sostenere le proprie teorie o convinzioni. I personaggi dei miti e delle fiabe ridotti a figurine sono inefficaci, come animali imbalsamati rispetto alle creature vive, vitali come sono ininterrottamente da millenni. Non conosciamo altri che Richard Wagner capace di trasferire in nuove narrazioni - è il caso dell'Anello del Nibelungo - personaggi di mitologie diverse, senza imbalsamarli o cannibalizzarli.
Gli attanti mitici e fiabeschi appartengono a popoli apparentati fra loro e a ogni popolo della terra. Possono migrare, essere invitati e ospitati degnamente, ma sfuggono a ogni tentativo di colonizzazione lasciando solo spoglie inerti, tornando nel loro Paese immaginario che possiamo visitare, ma non possedere, esserne ispirati, non colonizzarlo.

Prendiamo ad esempio la trasposizione di Medea operata da Pasolini, che le toglie lo sfondo pre-ellenico magico e divino, abitato da figure non appartenenti all'ordine culturale di Giasone e degli Argonauti, e lo sostituisce con lo sfondo arcaico e precapitalistico sfruttato dalla cultura patriarcale greca, assimilata alla nostra. (Vedi sopra, le parole di Pasolini)    
L'operazione consente a Pasolini di mostrare l'alienazione della società capitalistica e la tragica distruzione della cultura popolare di Medea. Il mito diventa insignificante nel momento in cui lo sfondo originario di Medea perde il re Eeta, numinoso figlio del dio Sole. Medea che si lascia morire nel fuoco appiccato da lei stessa, somiglia alla terribile governante della precedente padrona di casa, nel finale di Rebecca. La prima moglie (Hitchcock, US 1940)
La tragedia è diversa dal mito, in ogni caso Euripide (V sec. a.C.) non riduce la potenza arcaica del personaggio né umanizza la sua natura prossima a quella divina, senza la quale tutta la storia perde significato: la Medea di Euripide abbandona la scena salendo sul suo carro portato da draghi volanti, dono del Sole, padre di suo padre . Come Melusina e altri personaggi appartenenti a domini immaginari che precedono l'ordine patriarcale fallocentrico, Medea ha una potenza necessaria all'ordine patriarcale - Giasone senza il suo aiuto non conquisterebbe il vello d'oro. Chi, anche per caso, vede questa potenza fuori dall'ecumene, deve morire, come Atteone quando vede Artemide che si bagna. Se pensiamo a Melusina, il suo sposo, i cui discendenti concepiti con lei saranno i reali di Francia, rompendo la promessa di non cercare di vederla durante il bagno scopre la sua natura arcaica, e la perde per sempre. Melusina, che ha una coda di pesce come le sirene, disordinata ovvero non ordinata dal patriarcato, non può vivere se non per un tempo limitato nell'ecumene fallocentrico. In questo senso, Giasone è attore e vittima della sua stessa cultura. Quel che però il mito dice senza esitazioni è che Medea e Melusina, come le dee e le fate, non possono morire.

(A meno che, provenienti da miti e favole appartenenti a spazi e tempi diversi, le creature divine non si ritrovino nella Götterdämmerung di Wagner, sulla quale almeno per ora non osiamo far commenti)

 


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Ultima revisione: 10/11/2023