LICHENE
Il padre di Stella
l'aveva costruita come casa per
l'estate sul
promontorio argilloso che domina il lago Huron. In famiglia la
chiamavano
sempre «il villino estivo». Vedendola per la prima volta,
David si meravigliò che non
possedesse né il fascino
nodoso del legno
di pino né la grazia raccolta che la definizione
evocava. Ragazzo di città, proveniente, come dicevano i
genitori di Stella,
da «un ambiente diverso», che poteva saperne,
David, di villini estivi? L'edificio era ed è una costruzione alta e sobria, in
legno dipinto di
grigio: copia
esatta delle vecchie cascine della zona, sebbene forse un po' meno
solida. Ha
di fronte i ripidi calanchi., non tanto solidi a loro volta, ma
che fino a oggi hanno retto, e un
lungo precipizio di scalini che
scende
alla spiaggia. Sul retro c'è un piccolo orto
cintato, dove Stella coltiva vari ortaggi con considerevole talento
e
dedizione, un breve vialetto sabbioso, e una giungla
di rovi di more selvatiche.
Quando l'auto di David
svolta nell'ingresso, dai cespugli emerge Stella,
con in mano un
colino pieno di more. È una donna piccola e
grassa,
bianca di capelli, in jeans e maglietta sporca.
Sotto, non porta nulla che sostenga o contenga qualsiasi parte del corpo, per quanto
David
riesce a vedere.
-
Guarda
Stella come
si è ridotta, - dice David furente. - Sembra un troll.
Catherine, che non
l'ha mai conosciuta, ribatte cortesemente: - Be'. Sarà
piú vecchia.
-
Piú
vecchia di chi,
Catherine? Della casa? Del lago? Piú vecchia del gatto ?
C'è un gatto
che dorme sul sentiero che costeggia l'orto.
Un
gattone rosso con le orecchie
mutilate in battaglia e un occhio
velato di grigio. Si chiama Hercules e risale ai
tempi di
David.
- Piú
vecchia e basta, -
replica
Catherine con un moto di sfida.
Anche quando intende provocare, risulta docile. - Hai
capito
cosa
intendo.
David
è convinto che Stella l'abbia
fatto apposta. La sua non
è solo rassegnazione di fronte al naturale declino
fisico, oh
no, è molto di più. A Stella è sempre piaciuto
strafare. Ma non
soltanto a
lei. C'è proprio un tipo di donna che sente il bisogno
di esplodere
dall'involucro femminile a quell'età, di ostentare
grasso o una scandalosa
magrezza, di coltivare porri e peli sulla faccia, di non
nascondere gambe
grosse e piene di
varici, quasi con allegria, come se da sempre non
aspettasse che
questo. Androfobe, sin dal principio. Anche se di questi tempi una
cosa del genere non si può dire a voce alta.
David
ha parcheggiato troppo vicino ai
rovi, troppo per Catherine,
almeno, che è appena scivolata fuori dall'auto
dalla
parte del
passeggero e già si ritrova nei guai. E piuttosto sottile,
ma
indossa un abito con la sottana lunga e ampia e le maniche
abbondanti: un vestito di garza di cotone, di un rosa
che sfuma dal
pallido al carico, stropicciato da decine di piccole
pieghe irregolari simili
a rughe. Grazioso, niente da dire,
ma decisamente inadatto al regno di Stella. I rovi
di more
vi si impigliano dappertutto, e Catherine è costretta a districarsi continuamente.
- Certo,
David, che potevi anche lasciarle
un po' di spazio
in piú, - dice
Stella.
Catherine
ride per sdrammatizzare
l'imbarazzo. - Non
fa niente.
Tutto a posto, davvero.
- Stella, Catherine, - dice
David, presentandole.
- Prendi
qualche mora, Catherine, - ribatte Stella premurosamente.
- David?
David
scuote il capo, Catherine invece
ne prende un paio. - Buone,
- commenta.
- Ancora
calde di
sole.
- A me viene male soltanto a
guardarle ormai, - dice Stella.
Da
vicino, l'aspetto di Stella migliora
un po'; ha la carnagione
liscia e abbronzata, un taglio di capelli da bambina e grandi
occhi
castani. China su di lei, Catherine appare alta, esile e ossuta, coi
capelli biondi e la pelle
delicata. Talmente delicata da non sopportare nemmeno un filo di
trucco, una pelle
che si
arrossa facilmente per raffreddori, cibi piccanti, emozioni. Di recente,
Catherine ha
cominciato a usare ombretti
azzurri e mascara nero, cosa che David giudica un
errore.
Scurire quei ciuffi radi di ciglia ha l'effetto di sottolineare
l'azzurro
acquoso di occhi che sembrano inadatti a tollerare la luce del giorno,
e l'aridità della pelle
tutto intorno. Al primo incontro con Catherine, circa un anno e mezzo
fa, David
le aveva
dato poco piú di trent'anni. Riconosceva in lei
molte tracce della ragazza che era
stata; si innamorò del suo incarnato chiaro e della
fragilità che le conferiva
la statura.
Da allora è invecchiata. Del resto, è oggettivamente
piú vecchia
di
quanto avesse pensato: si avvicina ai quaranta.
- Ma
che ne fai? -
chiede Catherine a Stella. - Marmellata
?
- Ne
ho già fatti piú o meno cinque milioni di vasetti, - risponde
Stella. - Uso
quegli stupidi barattoli con il
coperchio rivestito
di stoffa a quadretti e li distribuisco a tutti i vicini troppo pigri o troppo
furbi per
mettersi a raccogliere le more.
Certe volte mi chiedo perché non lascio che i
copiosi frutti
di madre Natura marciscano tranquilli nella vigna.
- Altro
che vigna, - interviene
David. - Qui
si tratta di quei
maledetti rovi che andrebbero
estirpati e poi bruciati. Allora
sí che ci sarebbe il posto per parcheggiare.
Stella
si rivolge a Catherine: - Ma
lo senti? Parla ancora come un marito.
Stella e David sono stati
sposati ventun anni. Da otto sono
separati.
- Quant'è
vero, David, -
dice
Stella, contrita. - Dovrei
ripulire
un po'. Ho una bella lista di cose che non trovo
mai il
tempo di fare. Avanti, entrate; io vado a cambiarmi.
- Dovremo
fermarci alla bottiglieria, - dice
David. - Non ce
l'ho fatta prima.
Una
volta all'anno, d'estate, David
viene a trovarla, cercando
di arrivare il piú vicino possibile al compleanno
del padre
di Stella. Gli porta immancabilmente lo stesso regalo: una bottiglia di whiskey
scozzese.
Quest'anno il suocero compie novantatre
anni. Sta a poche miglia da li, in una casa
di riposo
dove Stella può fargli visita due o tre volte alla settimana.
- Devo
solo darmi una lavata, - dice
Stella. - E
mettermi addosso qualcosa
di
colorato. Non per papà: ormai è completamente
cieco. Ma ho la sensazione
che agli altri piaccia vedermi
vestita di rosa, di celeste o che so io; li mette
di buon umore,
come se vedessero una mongolfiera. Voi due intanto avete
giusto il
tempo di bere qualcosa. Anzi, perché non versate
un bicchiere anche a me?
Procedono
in fila indiana sul sentiero
verso casa. Hercules
non si sposta.
- Che scansafatiche di un
gatto, - dice
Stella. - Sta
diventando
pigro come papà.
Secondo te dovrei ridipingere la facciata, David?
- Sì.
- Papà
diceva sempre ogni sette anni. Non so: sto prendendo
in
considerazione l'ipotesi di far mettere un rivestimento.
Mi proteggerebbe meglio
dal vento. Da quando sverno
qui, a volte ho l'impressione di vivere dentro una voliera.
Stella abita in questa
casa tutto l'anno. In principio, uno o
l'altro dei
figli stava spesso con lei. Ma adesso Paul studia Scienze
forestali nell'Oregon e Deirdre insegna inglese in una scuola
di lingue
in Brasile.
- Ma
secondo te si riesce a trovare una tinta come questa in
un
rivestimento? -
chiede
Catherine. -
È un colore
bellissimo,
cosí, un po' sbiadito dal tempo.
- Io
avevo in mente una tinta panna, - dice
Stella.
Sola in questa casa, in
questa comunità, Stella conduce una
vita piena,
di quando in quando caotica. Lo prova il disordine che li circonda
mentre procedono attraverso il portico
posteriore
e la cucina per arrivare in soggiorno. Ci sono
ad esempio alcune piante che
sta rinvasando e i barattoli
di cui parlava: non li regala tutti, spiega; alcuni li tiene per
il mercatino
e per la fiera d'autunno. C'è l'attrezzatura per il vino e infine,
nel lungo soggiorno che affaccia sul
lago,
la sua macchina da scrivere, circondata da mucchi di libri e pile di carta.
- Sto
scrivendo le mie memorie, - dice Stella. Rovescia lo
sguardo in
direzione di Catherine. - Sono
pronta a smettere
per una cifra in contanti. No,
David, scherzo, sto scrivendo
un articolo sul vecchio faro -. E
indica il faro a Catherine.
- Se ti metti
proprio sull'angolo, da
questa finestra riesci
a
vederlo. Faccio un pezzo per
Oltre
che
- Giusto
per mettere alla prova la nostra ingegnosità, - dice.
- Mai
cessare di mettersi alla prova.
E questa non è che
la parte piú o meno organizzata della sua
vita. Tra i
suoi amici ce n'è per tutti i gusti. Gente che si
è ritirata qui dopo la
pensione, e abita in cascine rimodernate
o villini estivi attrezzati per
l'inverno; persone piú giovani
di varia provenienza che si sono sistemate in
zona, rilevando vecchie fattorie malandate delle quali i contadini nati
e
cresciuti da queste parti non hanno piú voglia di occuparsi.
E il
dentista gay del paese con il suo amico.
- Ormai
vige una fantastica tolleranza, qui da noi, - grida
Stella
che è scomparsa in bagno e
comunica quell'informazione
alzando la voce a coprire lo scroscio dell'acqua. - Non
cerchiamo
di accoppiare i sessi a tutti
i costi. Il che è meglio per
noi mogli a riposo. Siamo grosso modo una mezza
dozzina.
Una fa la tessitrice.
Dalla cucina, David
strilla: - Non
trovo l'acqua tonica.
- Ce
l'ho in lattina. Sono per terra, vicino al frigo. Questa donna ha le sue
pecore. La
tessitrice, dico. Ha il suo arcolaio. Fila la lana e poi la tesse.
- Oh,
Gesú, -
fa
David pensieroso.
Stella ha chiuso il
rubinetto; arrivano rumori d'acqua.
- Immaginavo
che questa ti sarebbe piaciuta. Come vedi, non
sono poi
tanto stramba. Io mi limito a fare la marmellata.
Un
attimo dopo, esce dal bagno avvolta
in un asciugamano
e dice: - Il
mio bicchiere dov'è? - I lembi superiori del telo
sono ripiegati sotto un
braccio, quelli inferiori ondeggiano, pericolosamente
sciolti. Accetta un gin tonic.
- Lo
bevo mentre mi vesto. Ho due nuovi completini estivi.
Uno rosa
carico e uno turchese. Posso alternarli o abbinarli.
Sono stupenda, comunque.
Catherine arriva dal
soggiorno per prendere il suo drink, e butta
giú i
primi due sorsi come se fosse un bicchiere d'acqua.
- Mi
piace questa casa, - sentenzia con leggera
veemenza. - Dico
davvero. È
cosí primitiva e senza pretese. Piena di luce.
Ho cercato di capire che cosa mi
ricorda e finalmente lo so.
Avete presente quel vecchio film di Ingmar Bergman,
quello
della famiglia che si trasferisce sull'isola per le vacanze? In una
bella casa
malandata. La protagonista sta impazzendo. Mi ricordo
che al tempo avevo
pensato: «Ecco come dovrebbero
essere le case di villeggiatura, ma non lo sono mai».
- Era
quello in cui Dio è un elicottero, - dice
David. - E
lei amoreggiava col fratello sul
fondo della barca, giusto?
- Be',
ho paura che qui non sia mai successo niente di cosí
interessante, -
dice
Stella da sopra la parete della
stanza da
letto. - Devo
dire che i
film di Bergman non mi entusiasmano.
Li ho sempre trovati un po' tetri e nevrotici.
- Da
queste parti le conversazioni tendono a diventare pubbliche,
- dice
David a Catherine. - Hai
notato che non un
solo pannello
divisorio arriva fino al soffitto? Tranne quello del bagno, grazie a
Dio. Il che ravviva parecchio la
vita
famigliare.
- Ogni
volta che io e David volevamo farci una confidenza,
ci
toccava mettere la testa sotto le coperte, - dice
Stella.
Esce dalla stanza con addosso un paio di pantaloni elasticizzati
turchese
e una camicetta smanicata, a fiori e foglie turchese
su fondo bianco. Se non altro,
sembra che si sia messa
un reggiseno. Si intravede una spallina color carne
che le incide
la curva della spalla.
- Ti
ricordi quella sera a letto? - dice.
- Quando
parlavamo
di cambiare la macchina e ci
chiedevamo quanto consumasse
il modello tal dei tali, ora non so piú quale. Comunque,
papà è
sempre stato fanatico di automobili, sapeva
tutto, e all'improvviso sentiamo che
dice: «Fa i dodici con
un litro» o giú di lí, come se fosse sull'altro
lato
del letto.
Naturalmente non era cosí, se ne stava coricato in camera
sua. David
reagí da vero signore; si limitò a ribattere: «Grazie
infinite », come se papà
avesse partecipato al discorso dal
principio.
Quando David esce dalla
bottiglieria in paese, trova Stella
con il
finestrino abbassato; sta chiacchierando con una coppia
che gli
presenta come Ron e Mary. Devono avere passato da un pezzo i
sessanta, ma sono
abbronzati e in gran forma.
Indossano pantaloni scozzesi identici, felpa bianca e cappellino
scozzese.
- Molto
piacere, - dice
Ron. - Cosí
è venuto quassú a vedere come se la passa
chi sa vivere, eh ? - Ha
il tono di voce
gioviale di
chi potrebbe accennare per scherzo una mossa di pugilato. - Quando
pensa di andare in pensione e raggiungerci
?
Alla
domanda David si chiede cosa possa
aver raccontato in giro
Stella a proposito della loro separazione.
- Non
è ancora arrivata l'ora della pensione per me.
- Ci
vada prima che può. Prenda esempio da noi. Siamo parecchi
qui a
esserci sfilati dalla solita routine: sgobbare e fare soldi per poi
spenderli.
- Non
è il mio caso, - dice David. - Sono un
impiegato statale.
Di
quelli che si intascano i soldi dei contribuenti e cercano di faticare il
meno
possibile.
- Non
è vero! -
lo rimprovera Stella, con coniugale autorevolezza. - Lavora
al
provveditorato agli studi e si dà molto
da fare. Solo che non lo ammetterebbe
mai.
- Un
imboscato statale! - gracida
Mary esultante. - Lavoravo
anch'io nella pubblica amministrazione a Ottawa - secoli fa - e
ci chiamavano
imboscati statali anziché impiegati
statali.
Mary
non è affatto grassa, ma il suo
mento ha subito un processo
che di solito riguarda il mento delle donne
obese. È smottato in una
serie di anelli che le scendono sul collo.
- Scherzi
a parte, -
dice Ron. - Qui
si vive che è una meraviglia. Lei
non immagina quante cose troviamo da fare. Le giornate
non sono mai abbastanza
lunghe.
- Ha
molti interessi? - domanda
David. È serissimo
adesso,
rispettoso e attento.
Il tono di voce mette in
guardia Stella che cerca di sviare Mary.
- Hai
poi deciso
che cosa fare di quella stoffa che hai comprato
in Marocco?
-
Macché. Ci verrebbe un vestito
stupendo ma non sarebbe
proprio il mio stile. Va a finire che ne faccio un
copriletto.
- Ci
sono così tanti passatempi che uno
può andare avanti
all'infinito, - dice
Ron. -
Prenda lo sci, per esempio. Di fondo. Siamo stati
fuori ben
diciannove giorni nel solo mese di febbraio. Tempo magnifico,
quest'anno. Non serve
neanche
prendere la macchina. Ti infili gli sci nel viale
di casa.
- Cerco
anch'io di coltivare i miei
interessi, - dice
David. - Sono
convinto che mantenga giovani. - Altro che, non c'è
dubbio !
David
infila una mano nella tasca
interna della giacca. Estrae
qualcosa che tiene racchiuso nel palmo, e lo
mostra a Ron
con un sorrisetto sprezzante.
-
Ecco qua uno dei miei interessi, - dice.
- Volete
vedere cosa ho mostrato a Ron ?
- dice
David poco
dopo. Stanno
costeggiando la scogliera, diretti alla casa di riposo.
- No,
grazie.
-
Spero che l'abbia apprezzato, - esclama
cordiale
David.
Si
mette a cantare. Lui e Stella si sono
conosciuti cantando
madrigali all'università. O comunque cosí la racconta
Stella.
Cantavano anche altri generi, non soltanto madrigali. - David
era uno
sbarbatello pelle e ossa con una voce soave da tenore, e io un
maschiaccio
robusto con il vocione da contralto, - ama
dire Stella. -
Non poté farci
nulla. Era destino.
- O,
Mistress mine, where are you roaming?
- intona
David,
che
conserva tuttora un bel timbro da tenore.
O, Mistress mine, where are you roaming?
O, Mistress mine, where are you roaming?
O, stay and bear, your true love's coming,
O, stay and bear, your true love's coming,
Who can sing, both High and Low.
Giú
sul lido, da un capo all'altro della proprietà
di Stella, lunghe scogliere basse imbracate in reti metalliche si
allungano
fin dentro
l'acqua. Servono a proteggere la riviera dall'erosione.
Su una di queste
pareti rocciose è seduta Catherine,
lo sguardo fisso sul lago, con la brezza che le
gonfia il vestito
leggero e le scompiglia i capelli lunghi. Sembra quasi in
posa per una
fotografia. O per una pubblicità, pensa Stella: un prodotto molto
intimo e magari un po'
sgradevole, oppure
qualcosa di rispettabilissimo e altisonante, tipo
assicurazione
sulla vita.
- Volevo proprio
chiederti, - dice
Stella. - Ha
qualche problema agli occhi?
- Agli
occhi? - fa
David.
- Alla
vista. Mi sembra che faccia fatica a mettere a fuoco da vicino. Non so come
spiegare.
Stella e David sono
davanti alla finestra del soggiorno. Di ritorno
dalla
casa di riposo, si sono versati entrambi qualcosa di fresco da
bere. Durante
il tragitto verso casa, si sono parlati appena, ma il loro
silenzio non aveva un sapore ostile.
Si sentono purificati e abbastanza socievoli.
- Non
ha nessun problema agli occhi, che io sappia.
Stella
va in cucina, tira fuori il
tegame per l'arrosto e si mette
a preparare la carne di maiale con spicchi d'aglio e foglie
di salvia
fresca.
- Sai,
le donne hanno un odore particolare, - dice David, dalla
porta del
soggiorno, - quando
si
accorgono che non le desideri
piú. Un odore rancido.
Stella rigira la carne
rumorosamente.
- Bisogna
che mi decida a far cambiare tutte quelle reti, - dice.
- In
certi punti si sono sfilacciate come ragnatele. Dovresti
vedere.
La forza dell'acqua. Riesce a consumare anche il
metallo. Devo organizzare un
piccozza-party quest'autunno. Basta
fare un mucchio di roba da mangiare e invitare una
squadra
di uomini assicurandosi che ce ne siano abbastanza e che siano abbastanza robusti.
Da queste
parti facciamo tutti cosí.
Infila
in forno l'arrosto e si sciacqua
le mani.
-
Era di Catherine che mi parlavi
l'estate scorsa, giusto? Quella
che secondo te tendeva a essere un po' svampita.
David
fa un mugugno. -
Cosa
dicevo?
- Che
tendeva a essere svampita -. Stella si muove senza grazia,
mentre
tira fuori patate, mele, cipolle.
- Dài,
su, dimmi, - insiste
David, entrando in cucina per starle
alle
calcagna. - Dimmi
che cosa
dicevo.
- Tutto
lí, davvero. Non ricordo nient'altro.
- Stella.
Ripetimi tutto quello che dicevo di lei.
- Ti
assicuro che non mi ricordo.
Si
ricorda eccome, ovviamente. Ricorda
il tono esatto con cui
diceva «ha la tendenza a essere un po' svampita». La
fierezza
e l'ironia
della sua voce. Al colmo di un amore, è un classico
per lui parlare della donna
amata con tenero disprezzo,
per non dire stupore. Gli piace dire che è una
follia, che non capisce, che vede benissimo come la persona in questione
non
sia affatto il suo tipo. Eppure, eppure, eppure. Eppure è
piú forte di lui,
irresistibile. Aveva raccontato a
Stella che Catherine credeva negli
oroscopi, che era vegetariana,
e che dipingeva quadri bislacchi pieni di figurine sottili
chiuse dentro
bolle di plastica trasparente.
- L'arrosto,
- esclama
Stella, improvvisamente allarmata.
-
Mangerà la carne?
- Cosa?
- La
mangerà, C atherine, la carne?
- Magari non tocca cibo.
Potrebbe essere con la testa tutta
da un'altra
parte.
- Comunque
preparo anche un pasticcio di mele e cipolle.
Lo faccio
abbastanza sostanzioso. Al limite mangia quello.
L'estate
scorsa, David aveva detto: - E
una superstite degli hippy di una volta.
Non si è
manco accorta che quei tempi
sono passati. Secondo me non ha mai letto un giornale.
Non ha
la piú pallida idea di cosa succeda nel mondo. A meno che non
glielo dica
una cartomante. Il suo concetto di realtà è questo.
Non credo che sia in grado di
consultare una cartina. È puro
istinto.
Vuoi sapere che cosa ha fatto? E
andata
fino in Irlanda
per vedere il Libro di Kells. Aveva sentito dire che era lí.
Perciò è scesa dall'aereo a
Shannon, e ha chiesto al primo che le capitava indicazioni per
andare a vedere
il Libro di Kells.
E il colmo è che l'ha trovato!
Stella
gli chiese come quella creatura
svampita avesse messo
insieme i soldi del viaggio per l'Irlanda.
- Be',
ha un lavoro, -
le
aveva risposto David. - Una
specie
di lavoro. Insegna arte a scuola, part-time. Chissà
che diavolo
insegna a
quei poveretti. Probabilmente a dipingere secondo
l'oroscopo.
Ora
invece dice: -
Ho
conosciuto un'altra. Non l'ho ancora
detto a
Catherine. Secondo te l'ha capito? Io credo di sí.
Credo che se lo senta.
E
appoggiato al ripiano della cucina, e
guarda Stella intenta
a sbucciare le mele. Infila una mano nella tasca
interna
della giacca e, senza lasciare a Stella il tempo di distogliere lo sguardo, le
mette sotto il
naso una foto scattata con la
polaroid.
- Ecco la mia nuova
ragazza, - dice.
- Sembra
un lichene, -
commenta
Stella, interrompendo il gesto del coltello. - Solo
che è un po'
troppo scuro. Mi ricorda
del muschio su un sasso.
- Dài,
Stella, non fare la scema. Chi vuoi prendere in giro?
Si vede benissimo. Le vedi le gambe?
Stella
depone obbediente il pelapatate e
strizza gli occhi. C'è
un seno appiattito in lontananza, verso la linea
dell'orizzonte.
E le gambe aperte in primo piano. Sono proprio spalancate - lisce,
dorate, statuarie
come colonne. Nel mezzo,
la macchia scura che Stella ha chiamato muschio, o lichene.
In
realtà assomiglia piú al pelo di un animale a cui siano
stati mozzati
testa, coda e arti. La scura pelliccia morbida
di uno sventurato roditore.
- Ah,
sí, adesso la vedo, - commenta piena di buon
senso.
- Si
chiama Dina. Dina, senza l'acca finale. Ha ventidue anni.
Stella
non vuole chiedergli di mettere
via la foto, e neppure
di levargliela da sotto gli occhi.
- È
una monella, -
dice
David. -
Proprio una gran monella! E andata a scuola dalle monache.
Niente di peggio delle
ragazze educate dalle suore, quando si mettono in
testa di scatenarsi.
Frequentava il liceo artistico dove insegna Catherine.
Si è
ritirata. Adesso lavora in un cocktail bar.
- Non
mi sembra un lavoro cosí scandaloso. Anche Deirdre ha
fatto la
cameriera in un cocktail bar per un po' ai tempi dell'università.
- Ma
Dina non è come Deirdre.
Finalmente,
la mano che tiene la foto si
abbassa, e Stella riprende
il coltellino e torna a sbucciare le mele. David
però non
ritira la foto.
Fa il gesto, ma poi cambia idea.
- Quella streghetta! - commenta.
- Mi sta
dannando l'anima.
Quando
parla della ragazza, assume, secondo
Stella, un tono
di voce particolarmente artefatto. Ma chi è lei in fondo per dire che cosa di David
è artefatto e
che cosa no? Quella voce singolare
è piuttosto acuta, monotona, insistente e
segnata da una
dolcezza
calcolata, cattiva. Contro chi è indirizzata questa
cattiveria? Contro Stella,
Catherine, la ragazza, se stesso
?
A
Stella sfugge un sospiro piú rumoroso ed esasperato di quanto
fosse
nelle sue intenzioni. Posa una mela sbucciata a metà. Raggiunge il
soggiorno e si mette alla finestra.
Catherine sta scendendo
dalla scogliera. O quantomeno ci
prova. Le si è impigliato il vestito nella rete metallica.
- Quel bel vestitino
d'altri tempi le sta creando un mucchio
di problemi
oggi, -
commenta Stella,
sorprendendo se stessa
per la cadenza sgradevole e per la nota malevola
del suo tono
di voce.
- Stella,
vorrei che mi tenessi questa foto. - Tenerla
io?
- Ho paura di mostrarla a
Catherine, altrimenti. Continuo a
sentire l'impulso di farlo. Temo che potrei.
Catherine
si è districata e li ha intravisti
alla finestra. Saluta
con la mano, e Stella le risponde.
- Ne
avrai certamente delle altre, - dice
Stella. - Fotografie,
intendo.
- Non
con me. Non è che voglia ferirla.
- E allora non farlo.
- È
lei che mi esaspera. Mi ciondola intorno con quegli sguardi afflitti. Si
impasticca.
Prende degli euforizzanti. Beve. A volte ho la sensazione che la
cosa migliore
sarebbe assestarle
la mazzata decisiva. Il colpo di grazia. Coup de gràce, Catherine.
Ecco
fatto. Una sola batosta. Ma poi ho paura di come potrebbe reagire.
- Euforizzanti,
- ripete
Stella. - Sai
che euforia.
- Parlo
sul serio, Stella. Quella roba ti ammazza.
- Non
è certo acqua fresca.
- Molto
spiritosa.
- Non
intendevo fare una battuta. Però, tutte le volte che mi scappa qualcosa del
genere, fingo
di averlo detto apposta. Ci
tengo ad accaparrarmi tutto il merito.
A
cena, queste tre persone si sentono
meglio di quanto ciascuna
di loro avesse sperato. David, perché si è ricordato che
c'è una cabina
telefonica davanti alla bottiglieria. Stella, perché sta sempre
meglio dopo
aver cucinato con buon successo una cena. Le ragioni del
miglioramento di
Catherine sono
invece di origine chimica.
La
conversazione non risulta impacciata.
Stella racconta storie apprese durante le ricerche per il suo articolo,
avventure
di naufragi
sui Grandi Laghi. Catherine si intende abbastanza
di naufragi. Un suo fidanzato - un suo ex fidanzato - faceva il sommozzatore.
David vuole
mostrarsi galante e
sostiene di essere geloso di costui, dicendo che non ha
nessuna
voglia di ascoltare il racconto delle sue gesta subacquee. Magari è la
verità.
Dopo
cena, David annuncia di avere
bisogno di fare due passi.
Catherine gli accorda il permesso di andare. - Va'
pure,
- dice
tutta allegra. -
Non
abbiamo bisogno di te. Stella e io ce la caveremo
benissimo anche
da sole.
Stella
si domanda da dove arrivi la voce
nuova di Catherine,
quel tono tra l'impertinente, il civettuolo e il
cretino. Non
può essere l'alcol. Qualsiasi sostanza abbia assunto, l'ha elettrizzata,
anziché smorzarla. È
bastata una breve folata di brezza chimica a spazzare via strato su
strato di
sottile mortificazione,
timori, speranze, convenevoli titubanti.
Ma
quando Catherine si alza e cerca di
sparecchiare, diventa
palese che la sferzata di energia non riguarda
anche il fisico.
Catherine va a sbattere in uno spigolo del ripiano. A Stella
viene in
mente un mutilato. Non grave, uno che abbia perso la punta delle dita
di mani e piedi. Stella non può perderla
di vista,
e deve essere pronta a prenderle i piatti prima che le scivolino di mano.
-
Hai fatto caso ai capelli? - dichiara
Catherine. La voce le
va su e giú come la ruota di un luna park: un
susseguirsi di tuffi
e
impennate. - Se
li tinge.
- David? - ribatte
Stella, sinceramente stupita.
- Ogni
volta che se ne ricordava, buttava
indietro la testa,
di modo che tu non riuscissi a vedere bene. Secondo
me temeva
che dicessi qualcosa. Ha un po' paura di te. In realtà, sono
molto
naturali.
- Non
me ne ero accorta in effetti.
- Ha
cominciato un paio di mesi fa. Io gli
dicevo, Ma David,
che cosa importa? Avevi già qualche capello bianco quando
mi sono
innamorata di te, come fai a pensare che possa
darmi fastidio adesso?
L'amore è strano; fa fare strane cose.
David è proprio un uomo sensibile,
una persona vulnerabile
-.
Stella
mette in salvo un bicchiere di vino, in pericolo tra
le dita di
Catherine. - Può
rendere le persone cattive. L'amore può rendere
cattivi. Se hai la sensazione di dipendere
da un
altro, puoi metterti a trattarlo male. Lo vedo succedere in David.
A
cena hanno bevuto idromele. Stella non
aveva ancora assaggiato la produzione di quest'anno e adesso pensa che
è riuscita
davvero bene: asciutta e
frizzante al punto giusto. Sembrava
champagne. Controlla se ne è rimasto un poco
nella bottiglia. Piú o meno mezzo bicchiere. Se lo versa,
appoggia
il
bicchiere dietro il miscelatore, e risciacqua la bottiglia.
- Vivi
bene qui, - dice
Catherine.
- Vivo
bene. Sí.
-
Sento che ci sarà un cambiamento nella
mia vita. Sono innamorata
di David, ma mi sono sepolta dentro questo amore
per troppo tempo. Troppo. Mi
spiego? Ero là fuori a guardare
le onde e ho cominciato a ripetermi «m'ama, non m'ama».
Lo faccio spesso. Poi ho
pensato, Ma non c'è fine alle
onde, a differenza di quello che succede con i
petali delle
margherite. O persino con le mie impronte, se mi metto a contarle fino
alla
fine del marciapiede. Ho pensato, Alle onde
non c'è mai fine, mai e poi mai. E
allora ho capito che era
un messaggio per me.
- Lascia
stare le pentole, Catherine. Ci
penso io dopo. Come
- M'ama,
non m'ama, -
dice Catherine. - Funziona
cosí.
All'infinito. Era questo che cercavano di comunicarmi le onde.
- Toglimi
una curiosità, - dice
Stella. - Tu
credi agli oroscopi?
- Vuoi
sapere se me ne sono mai fatta fare uno? No, non proprio.
Conosco gente che l'ha fatto. Ci ho anche pensato. Ma
suppongo di
non fidarmi abbastanza da aver voglia di spenderci
dei soldi. Do un'occhiata
agli oroscopi sul giornale, qualche volta.
- Tu
leggi il giornale?
- Solo certe parti. Mi
arriva a casa. Non lo leggo tutto.
- E
mangi la carne. A cena hai mangiato maiale.
Sembra
che a Catherine non dia fastidio
questa specie di interrogatorio,
anzi che non ci faccia nemmeno caso.
- Be', potrei vivere di
insalate, soprattutto in questo periodo
dell'anno. Ma ogni tanto mangio anche un po' di carne.
Sono una
specie di vegetariana a intermittenza. Era squisito,
quell'arrosto. Ci hai
messo dell'aglio?
- Aglio,
salvia e rosmarino.
- Una
delizia.
- Mi
fa piacere.
All'improvviso
Catherine si siede, e
allarga le lunghe gambe
come un maschiaccio, lasciandoci sprofondare in mezzo
il vestito.
Hercules, che per tutta la cena ha sonnecchiato sulla
sedia vuota,
all'altro capo del tavolo, spicca un salto deciso
e le atterra giusto in grembo.
Catherine
scoppia a ridere: - Pazzo
di un gatto.
- Se
ti dà fastidio, non hai che da buttarlo giú.
Ormai
libera dal compito di sorvegliare
Catherine, Stella
si mette a lavare e impilare i piatti, sciacquare i
bicchieri, sparecchiare
la tavola, scuotere la tovaglia, pulire il piano di lavoro.
Si sente
soddisfatta e piena di energia. Beve un sorso di idromele. Le
passa in mente
il motivo di una canzone e
finché non affiorano anche alcune parole, non si rende conto
che si tratta della stessa
canzone che prima cantava David.
What's
to come is stili unsure!
Catherine
russa lievemente e ha un
sussulto del capo. Hercules
non si spaventa, ma cerca di sistemarsi meglio,
affondando le unghie dentro il vestito di lei.
-
Ero io che russavo? - domanda Catherine.
- Ti
ci vuole un caffè, -
dice Stella. -
Resisti.
Forse è meglio
se non ti addormenti subito.
-
Sono stanca, - ribatte
testarda Catherine.
- Lo
so. Ma è meglio che tu non dorma
subito. Resisti, devi
buttare giú un po' di caffè.
Stella
estrae dal cassetto uno
strofinaccio, lo inzuppa d'acqua
fredda e lo appoggia sul viso di Catherine.
- Ecco,
cosí, - dice
Stella. - Ora
tienilo tu,
io intanto preparo
il
caffè. Non vogliamo di certo che tu piombi nel sonno
qui, sei
d'accordo? Altrimenti David attacca la solfa. Si metterebbe a dire che
è stata
colpa del mio idromele, della cena, della mia compagnia, o che so io.
Resisti,
Catherine.
Nella
cabina telefonica, David compone
il numero di Dina.
Poi si ricorda che è una interurbana. Deve chiamare
il centralino.
Fa il numero, si informa sul costo della telefonata,
e si svuota le tasche di
tutti gli spiccioli. Raduna un dollaro
e trentacinque centesimi in quarti di dollaro e monete da dieci e li
prepara
sulla mensola. Ricomincia a comporre il numero. Gli tremano le
dita; ha le
mani sudate. Gambe,
pancia e torace sono in preda a un'agitazione crescente. Al primo
squillo nel piccolo appartamento di Dina gli si torcono le budella.
Questa è pura follia. Incomincia a
far scendere le monete da venticinque.
-
Le dirò io quando inserire il denaro,
- dice
l'operatore. - Signore?
Le dico
io quando mettere le monete -.
I
pezzi da
venticinque precipitano con clangore nel vano del
resto e David
fatica a recuperarli. Il telefono squilla di nuovo, sulla
cassettiera
di Dina, in un caos di cosmetici, calze, perline e
catene, orecchini di piume, un
assurdo bocchino, una collezione
di giocattoli a molla. Gli pare di averli davanti
agli occhi:
il ranocchio verde, l'anatra gialla, l'orso marrone -
tutti della
stessa misura. Orsi e rane delle stesse dimensioni. Come pure certi mostri
spaziali,
copiati dai personaggi di un film.
Quando li si carica, i giocattoli cominciano a
sferragliare e
sbandare sul pavimento o sul tavolo, sputando scintille dalla
bocca. A Dina
piace organizzare gare tra loro, oppure sistemarne un paio in rotta di
collisione. Poi si mette a squittire, e a strillare tutta eccitata,
mentre li
guarda procedere sulle
loro traiettorie imprevedibili.
- A
quanto pare non risponde nessuno, signore.
- Lasci
suonare ancora.
Il bagno di Dina, in
comune con un'altra ragazza, è in fondo
al corridoio.
Se fosse lí, magari dentro la vasca, quanto le ci
vorrebbe per decidere se
andare a rispondere o no? David stabilisce di contare altri dieci
squilli, a
partire da adesso.
- Ancora
niente, signore.
Altri
dieci.
- Signore,
vuole magari provare piú tardi?
David aggancia,
perché gli è venuta un'idea. Subito compone
deciso il numero del servizio informazioni.
- Quale
città, prego ?
- Toronto.
- Dica
pure, signore.
Chiede
il numero di un certo Michael
Read. No, non conosce
l'indirizzo. Dispone soltanto del nome - quello dell'ultimo,
e
magari non del tutto ex, fidanzato di lei.
- Non
trovo nessuno a nome Michael Read.
- D'accordo.
Provi a guardare Reade, R-E-A-D-E.
In
effetti c'è un M. Reade, su Davenport
Road. Non è proprio
Michael, ma almeno ha l'iniziale M. Allora provi a ricontrollare.
C'è per caso un M. Read? Read? Sí. Sí, ecco qui
un M. Read, in Simcoe Street. E poi
un altro M. Read, R-E-A-D,
su Harbord. Ma perché non l'ha detto prima? Sceglie
Harbord
d'istinto. Non è molto lontano da casa di Dina. La centralinista
gli recita il numero. David cerca
di memorizzarlo.
Non ha niente per scrivere. Gli sembra essenziale non farselo ripetere
una
seconda volta. Non deve far
sapere che si trova dentro una cabina telefonica senza carta
e penna. Gli
pare che la natura disperata e segreta della sua ricerca risulti
già abbastanza evidente, e che in
qualsiasi momento
potrebbero interrompere la conversazione senza permettergli di ottenere
ulteriori
informazioni sul conto di M. Read
o Reade che sia, di Harbord come di Simcoe o di Davenport.
E
adesso deve ricominciare tutto da
capo. Il prefisso di Toronto.
Anzi, no, prima l'operatore. Il numero memorizzato.
Presto,
prima di perdere la pazienza o di scordare il numero. Se Dina dovesse
rispondere, che le direbbe? Ma è
improbabile
che risponda lei, anche se è lí. Risponderà M.
Read. A quel
punto David dovrà chiedere di
parlare con Dina. Forse però non con la sua voce. Magari
nemmeno con una voce maschile.
In passato
riusciva a fare voci diverse al telefono. Una volta è riuscito a
ingannare
perfino Stella.
Forse
potrebbe imitare una donna, con un
timbro acuto. Oppure
un
bambino, una ipotetica sorella minore. C'è
Dína?
- Come
dice, signore?
- No,
niente. Mi scusi.
- Ecco,
sta suonando. Le farò sapere quando cominciare a
inserire le monete.
E
se M. Read fosse una donna? Niente
affatto Michael Read.
Ma Mary Read, per esempio. Un'anziana pensionata. Una
ragazza in
carriera. Come mai mi telefona? Molestie sessuali. Dovrebbe ripassare
dal Servizio elenco
abbonati. Provi
M. Read di Simcoe Street. Provi M. Reade di Davenport. Continui a
provare.
- Mi
dispiace. Sembra che non risponda nessuno.
Il
telefono continua a squillare
nell'appartamento, o la casa,
o nel monolocale di M. Read. David si appoggia contro
la
mensola metallica, su cui ha posato le monete. Un'auto si è
fermata nel
parcheggio della bottiglieria. I due passeggeri a
bordo lo stanno osservando. E chiaro
che aspettano di poter
usare il
telefono. Fortunato com'è, ora passeranno di lí pure
Ron e Mary.
Dina
abita sopra il negozio di merce
indiana d'importazione.
Ha sempre i vestiti e i capelli che sanno di curry,
noce
moscata e incenso mescolato a quello che secondo David è
il suo odore
speciale, di sigarette, erba e sesso. Si tinge di nero
corvino.
Sulle guance si disegna una striscia di un colore
violento e ogni tanto si trucca
gli occhi di rosso mattone. Una
volta ha cercato di avere una parte in un film
prodotto da
gente che conosceva. Non l'ha avuta perché le faceva senso tenersi un ratto
addomesticato in
mezzo alle gambe. Questo
insuccesso l'ha mortificata.
Ora
David suda, non perché cerchi di
coglierla in fallo, ma perché ha bisogno di coglierla e basta,
di sentire la
sua giovane
voce arrochita, con quei tremori inconsapevoli e le immancabili
oscenità. Anche
se udirla, al momento, significa
sapere che l'ha tradito. Certo che l'ha tradito. Lo fa
in continuazione.
Se solo rispondesse (David si è quasi scordato
che a rispondere semmai
dovrebbe essere M. Read), potrebbe
sfogarsi urlando, insultandola e, se dovesse
proprio toccare
il fondo, come di certo succederebbe, potrebbe implorarla.
È
disposto ad accettare di tutto. Qualsiasi cosa. A cena,
chiacchierando amabilmente con Stella e Catherine, non
ha mai
smesso di scrivere il nome Dina col dito sotto il piano del tavolo di
legno.
La gente non ha pazienza
con questo genere di struggimento,
e perché
dovrebbe del resto? Chi ne soffre deve fare a meno della
comprensione altrui, rinunciare alla dignità,
contenere
i danni. E come se non bastasse, qualcuno si prenderà
pure la
briga di farti sapere che il tuo non è vero amore.
Questi accessi di desiderio e
dipendenza, venerazione e attaccamento
morboso, queste trasformazioni terrificanti sebbene
auspicate, non sono vero amore.
Stella gli diceva sempre
che a lui l'amore non interessava. -
E
nemmeno il sesso, peraltro. Io sono convinta che a te del sesso non
importi
niente, David. Secondo me, ti importa una cosa sola: comportarti da
gran
canaglia.
Il
vero amore: vale a dire continuare a
vivere con Stella, oppure
sistemarsi definitivamente con Catherine. Un autentico
esperto in
fatto di Vero Amore poteva essere Ron, del premiato
binomio Ron-Mary.
David
sa bene quello che fa. Questo è il
lato interessante della
questione, secondo il punto di vista già espresso da David.
Sa bene che Dina
in fondo non è così incontenibile, spudorata e
maledetta come lui ama
dipingerla, e come lei stessa a
volte finge di essere. Nel giro di una decina d'anni,
la vita folle
di oggi non
l'avrà né distrutta né trasformata in una puttana
di lusso. Sarà una donna
come tante, circondata da una nidiata
di figli, alla lavanderia a gettoni.
L'incantevole appellativo
d'altri tempi che adotta per definirla, e cioè
« sgualdrina»,
in realtà non le calza - almeno
non piú di quanto quello
di «hippy»
avesse a che fare con Catherine, della quale ormai non sopporta
nemmeno il
pensiero. David sa bene che prima
o poi, se Dina permetterà alla propria maschera di
incrinarsi,
lui sarà
costretto ad andare oltre. E comunque lo dovrà
fare lo stesso: dovrà andare
oltre.
Tutto
questo lo sa e si osserva, ma
tale consapevolezza unita
all'osservazione non ha alcun effetto sul suo intestino in subbuglio,
sulle sue
sollecite ghiandole sudorifere, sulle sue
fervide preghiere.
- Signore?
Vuole continuare a provare?
La
casa di riposo dove si erano recati
poco prima si chiama
Residenza Balsamo di Gilead. Prende il nome da un albero,
un tipo
di pioppo molto diffuso nelle vicinanze del lago.
La costruzione, un imponente
edificio in pietra fatto costruire
da un milionario dell'Ottocento, risulta attualmente deturpata
da
rampe di scale antincendio.
Un coro di voci
provenienti dai gruppi di sedie a rotelle
disposte sul prato antistante la villa chiamava Stella. Lei rispondeva
snocciolando vari nomi di battesimo, e deviando di
proposito per andare a
stringere mani e distribuire baci. Vibrando
qua e là, come un colibrí
gigantesco.
Quando
raggiunse di nuovo David, si
mise a cantare:
I’m your
little sunbeam, short and stout, Turn me over, pour me out!
Poi
trafelata disse: - In
effetti non
dice sunbeam,
dice
teapot.
Non credo
che troverai papà molto cambiato. Solo che adesso
è
completamente cieco.
Lo
condusse lungo i corridoi dalle
pareti verdi, con falsi controsoffitti
bassi (per ridurre le spese di
riscaldamento), i quadri
dipinti in serie, l'immancabile odore di disinfettante - e d'altro. Nella veranda
sul retro,
solo, sedeva suo padre,
avvolto in varie coperte e legato alla sedia a
rotelle perché non cadesse.
Il
vecchio disse: -
David?
Il suono pareva provenire
da una grotta umida sprofondata
negli abissi del suo corpo, anziché articolato da labbra, lingua
e
mandibole. Infatti, non le si vedeva muovere. Anche
la testa era ferma.
Stella
si mise dietro la sedia e gli
cinse il collo. Lo sfiorava con grande delicatezza.
- Sí,
è David, papà, - disse.
-
L'hai
riconosciuto dal passo?
Il
padre non diede risposta. David si
chinò per toccare le mani
del vecchio che non erano fredde come si aspettava,
ma tiepide
e asciutte. Vi depose sopra la bottiglia di whiskey.
- Attento. Non riesce a
reggerla, - lo
avvisò Stella
sottovoce.
David tenne le proprie mani sulla bottiglia, mentre Stella
gli
avvicinava una sedia, di modo che potesse accomodarsi
di fronte a
suo padre.
- Il
solito regalo di tutti gli anni, - disse
David.
Il
padre emise un mugugno di assenso.
- Vado a prendere dei
bicchieri, - disse
Stella. - Bere
all'aperto
è contro il regolamento, ma di solito riesco
a convincerle a chiudere un occhio. Dirò che stiamo
festeggiando.
Per abituarsi alla vista
del suocero, David si sforzava di
considerarlo uno sviluppo post-umano, una novità della specie.
La longevità
non l'aveva solo conservato in vita, l'aveva trasformato. La pelle era
grigio-bluastra, a chiazze
blu scuro,
gli occhi velati di bianco, il collo solcato da delicate
cavità,
come un vaso di vetro fumé. Dalle profondità di quel collo vennero altri suoni,
un tributo
alla conversazione. L'offerta
si riduceva all'essenza di ciascuna sillaba:
fradice vocali tenute insieme a stento dalle consonanti attigue.
- Tanto...
traffico?
David descrisse le
condizioni della viabilità sull'autostrada
e sulle statali. Raccontò al suocero di avere da poco
cambiato la macchina, e
di averne presa una giapponese. In un primo
tempo, gli disse, il consumo di
benzina era ben lontano
da quello pubblicizzato. Lui però aveva sporto reclamo, deciso a
non cedere, e
aveva riportato l'auto al concessionario. Dopo vari tentativi di
intervento,
la situazione era migliorata parecchio e al momento i consumi.
erano soddisfacenti,
sebbene
non coincidessero ancora con quelli promessi.
Questa
conversazione parve gradita. Il
suocero sembrava seguirla.
Annuiva, e sulla sua faccia oblunga, bluastra
e postumana
comparvero tracce di antiche espressioni. Il segno di un'acuta attenzione
composta, il
sospetto nei riguardi della pubblicità,
delle vetture straniere e dei rivenditori
d'auto. Si insinuò
perfino il vago accenno del dubbio - come
ai vecchi tempi
- che
David non sapesse cavarsela a
gestire questioni del
genere. E subito dopo il sollievo nel constatare che
ci era riuscito.
Agli occhi del suocero, David non avrebbe mai cessato
di essere
qualcuno che sta imparando a diventare un uomo,
e che potrebbe non farcela
mai, non raggiungere mai la fermezza
e il controllo necessari, la conveniente delimitazione dell'ambito
di manovra.
David, che preferiva il gin al whiskey,
leggeva romanzi, non capiva niente di mercato
azionario,
chiacchierava con le donne, e aveva cominciato la propria
carriera
come insegnante. David, che aveva sempre guidato utilitarie, e per
giunta straniere. Ma ormai
questo particolare
problema era superato. Le auto di piccola cilindrata non
significavano
piú niente di ciò che indicavano un tempo.
Perfino quassú, sul lago Huron,
alle estreme propaggini della
vita, certi cambiamenti erano stati registrati, certe trasformazioni
assimilate anche da un uomo ormai incapace sia di
vedere sia di stringere con
forza il pugno.
- Sai
qualcosa della... Lada?
Fortuna vuole che un
collega di David abbia una Lada e che
svariati
intervalli e pause pranzo se ne siano andati in noiose
discussioni sui pregi e i
difetti di quella vettura e sulla
difficoltà di reperire i pezzi di
ricambio. David riferí tutto
questo e il suocero sembrò soddisfatto.
- Gray.
Dort. Una Gray-Dort. La prima macchina che ho guidato.
In Yonge
Street. Faceva i novanta. Novanta chilometri.
A... A...
all'ora.
- Figurati
se in Yonge Street può aver guidato una Gray-Dort ai novanta all'ora, -
commentò
Stella
dopo aver riportato il
padre e la sua bottiglia in camera, averlo salutato ed essersi di nuovo
avviata
con David lungo i corridoi verdi.
-
Quando
mai? E quale Gray-Dort ?
Erano
uscite di produzione
ben prima che lui avesse messo da parte i soldi per comprarsi
una
macchina. E non si sarebbe mai fidato con l'auto di un altro. -
È una sua fantasia. Ha raggiunto lo
stadio in
cui le fantasie sono lo svago migliore: risistemare il passato facendo in modo che
capiti tutto
quello che si sarebbe voluto. Chissà se ci arriveremo anche
noi. E quali
saranno le tue
fantasie ricorrenti, David? No, non me lo dire.
- E
le tue? - chiese
David.
- Che
tu non te ne fossi andato? Che tu non avessi mai avuto neppure voglia di.
farlo?
Scommetto che credi sarebbero
queste le mie, ma io non ci giurerei. Papà è stato
cosí contento, David. Per lui, la visita di un uomo conta di
piú. Sai,
credo che
se facesse mente locale su noi due, sarebbe costretto
a stare dalla mia parte,
ma non fa nulla, tanto non deve
starci a pensare.
Alla
casa di riposo, Stella pareva avere
recuperato in parte lo
smalto e l'agilità di un tempo. Le attenzioni riservate al padre,
e perfino
al contingente in sedia a rotelle, restituivano
ai suoi movimenti una certa
grazia rispettosa, e alla sua voce
una specie di malinconia. David ebbe una visione di lei com'era
dodici o
quindici anni prima. La vide avanzare su un prato
a una festa fuori città, reggendo
in mano una teglia. Indossava
un prendisole. Al tempo diceva sempre di essere
troppo
grassa per mettersi i pantaloni, anche se era la metà di quello
che è
diventata. Chissà perché quell'immagine gli. piaceva
tanto. Stella che avanza sul
prato, con i capelli illuminati
dal sole - i
pochi grigi che aveva allora la facevano solo apparire biondo cenere - e
le spalle nude
abbronzate, e che distribuisce
saluti cordiali ai vicini, ride, e millanta
chissà quali sventure
ai fornelli. Ovviamente il piatto che ha cucinato si rivelerà
squisito, ma lei
non portava soltanto cibo, bensí anche lo spirito della festa
atteso da tutti
gli invitati. La sua straripante socievolezza fungeva da catalizzatore.
E David
non
provava alcuna irritazione nei suoi confronti, sebbene ci fossero
volte in
cui certamente le qualità di Stella lo infastidivano. Le
sue impetuose
impazienze ad esempio, le esagerazioni,
quel modo innocente e scherzoso
di andare a caccia di
comprensione. A beneficio dello spasso altrui,
l'aveva sentita
romanzare aneddoti della loro vita privata, le piccole disavventure e i dispetti
dei bambini,
le visite dal veterinario per
il gatto, la prima sbronza del figlio, la
persecuzione della falciatrice
elettrica, l'impresa di tappezzare il
corridoio del piano
rialzato. Una moglie affascinante, fantastica in società, con
una
prospettiva talmente ironica sulle cose. Certe volte era un vero ciclone. Tua
moglie è un ciclone.
Ebbene,
lui la perdonava - l'amava
-- vedendola
avanzare
su quel prato. In quel preciso
momento, con il piede scalzo
lui stava strofinando il freddo polpaccio scuro e depilato, un
tantino
pungente, della moglie di un altro vicino, appena uscita dalla piscina e
avvolta in un
lungo e propizio accappatoio
scarlatto. Una bruna senza figli, accanita
fumatrice, incline
- almeno
in quella
fase della loro relazione -
a
silenzi enigmatici.
(La sua prima amante, la prima durante il matrimonio con Stella.
Rosemary. Nome
dolce e tenebroso, per una
donna rivelatasi invece alla fine petulante e
ordinaria).
Ma
non si trattava solo di quello.
L'inatteso trasporto provato
per Stella cosí com'era, l'insolita sensazione di
sentirsi in
pace con
lei, non dipendevano semplicemente dall'attività illecita del
suo alluce.
Sembrava profonda, questa rivelazione
sul conto di lui e di Stella, sul loro
essere dopo tutto indissolubilmente
legati, tanto che finché fosse riuscito a
sentirsi
cosí benevolo nei suoi confronti, ciò che faceva in
segreto e
in separata sede l'avrebbe
compiuto in un certo senso con la benedizione di lei.
Ma
in seguito si scopri che Stella non
condivideva affatto
la tesi. E tanto legati in fondo non erano, o, se lo
erano, si
trattava di un vincolo che gli toccò comunque spezzare. Siamo stati insieme
cosí tanto tempo,
gli disse Stella cercando di scherzarci sopra, non si potrebbe
cercare di
tagliar corto adesso? Non si capacitava, probabilmente non
riusciva ancora
a capire,
che proprio quella era una delle ragioni che lo impedivano.
Questa donna dai
capelli bianchi che gli cammina
accanto nei corridoi di una casa di riposo si
portava appresso
un
tale fardello, non solo di vecchi segreti sessuali, ma anche
delle
elucubrazioni su Dio che lo tenevano sveglio nel cuore
della notte, dei suoi vari
dolori al petto di natura psicosomatica,
delle sue difficoltà di digestione, dei suoi
piani di
evasione che al tempo prevedevano anche la presenza di lei
e
riguardavano posti come l'Africa o l'Indonesia. Tutta la sua
esistenza,
ordinaria e straordinaria -
addirittura
certi dettagli
di cui era improbabile che Stella fosse al corrente - sembravano
raccolti dentro la sua
persona. David non avrebbe
mai potuto sentirsi leggero, mai provare in segreto il
senso
liberatorio della
conquista, al fianco di una donna che sapeva
cosí tante cose. Si era gonfiata,
con tutto quello che sapeva.
Ma David la abbracciò ugualmente. Si abbandonarono
entrambi,
senza riserve.
Nel
corridoio avanzava intanto una
ragazza, spingendo un carrello: era cinese o forse vietnamita, minuta
come una
bambina
nella sua uniforme verde chiaro e in compenso truccata su
guance e
labbra. Sul carrello c'erano bicchieri di carta e caraffe
di
plastica piene di succo d'arancia e d'uva.
- E
l'ora del succo di frutta, - ripeteva
la ragazza col suo grazioso cantilenare
indifferente. -
L'ora del succo. Arancia. Uva.
Succo di frutta -. Non
fece caso a David e Stella, ma loro
due si
sciolsero dall'abbraccio e ripresero a camminare. David
provò in
effetti un leggero, anzi un leggerissimo disagio all'idea
di essere
stato sorpreso tra le braccia di Stella da una donna
giovane e carina. La
sensazione non fu forte, anzi gli attraversò
appena il pensiero per un
istante, ma Stella, oltrepassando
la soglia della porta che lui le teneva aperta,
disse: - Non
te
la prendere,
David. Potrei essere tua sorella. Potrebbe pensare che stessi consolando
tua sorella. Maggiore,
s'intende.
- Madame
Stella, l'illustre indovina.
Era curioso, il modo in
cui si dicevano queste cose. Un tempo
si
scambiavano battute amare e cattive e fingevano, pronunciandole,
di trovarle
vagamente spassose, sincere, quasi cordiali. Adesso il
tono fasullo di allora si è depositato
sul fondo,
insinuandosi negli interstizi di ogni sentimento acuto,
perciò
l'amarezza, sebbene identica, risulta stantia, formale, superflua.
A
furia di stare al sole è sbiadita,
ovviamente. Stella si ferma
a guardarla, con lo straccio della polvere in mano. La
giornata
è bellissima. Le finestre sono aperte, la casa piacevolmente
in ordine,
e una gustosa zuppa di pesce sobbolle sul fornello. Stella si accorge che il
pelo nero della foto è
scolorito
in grigio. Un grigio fra l'azzurro e il verdastro. Le torna in
mente quello
che ha detto vedendola per la prima volta. Ha detto che era un lichene.
Anzi,
no, che sembrava un lichene.
Ma aveva capito subito che cos'era. Adesso le pare
addirittura
di averlo saputo da quando David aveva infilato la mano dentro la tasca.
Aveva sentito la vecchia
caverna riaprirsi
dentro di sé. Ma aveva tenuto duro. Aveva detto:
«Lichene» E
ora, guarda, le sue parole sono diventate realtà. Il contorno
del
seno è svanito. Impossibile riconoscere in quelle
un paio di gambe. Il nero è
diventato grigio, la tinta arida e
tenue di un vegetale misteriosamente
nutrito dalle rocce.
Colpa
di David. L'ha lasciata lí al
sole.
Le
parole di Stella sono diventate
realtà. Questo pensiero le
tornerà spesso in mente: una sospensione inattesa, un
mancamento improvviso
del cuore, una breve fitta ribelle nel fluire
di giorni e notti che lei
ininterrottamente manda avanti.
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