ADALINDA GASPARINI              PSICOANALISI E FAVOLE

FIABE ITALIANE ANTICHE, REGIONALI E ALLOGLOTTE

GIOVAN FRANCESCO STRAPAROLA

LA POAVOLA

ITALIANO VENETO
1551-1553


LA POAVOLA

TRADUZIONE ITALIANA PER BAMBINI
1996


In Boemia, piacevoli donne, non è gran tempo che si trovò una vecchiarella, Bagolana Savonese per nome chiamata. Costei, essendo poverella ed avendo due figliuole, l’una de quai Cassandra, l’altra Adamantina s'addimandava, volse di quella poca povertá, che ella si trovava avere, ordinare i fatti suoi e contenta morire. E non avendo in casa né fuori cosa alcuna di cui testare potesse, eccetto che una cassettina piena di stoppa, fece testamento e la cassettina con la stoppa lasciò alle figliuole, pregandole che dopo la morte sua pacificamente insieme vivessero. Le due sorelle, quantunque fussino povere de’ beni della fortuna, nondimeno erano ricche de’ beni dell’animo, ed in vertù ed in costumi non erano inferiori all’altre donne. Morta adunque la vecchiarella e parimente sepolta, Cassandra, la qual era la sorella maggiore, prese una libra di quella stoppa, e con molta solecitudine si puose a filare, e filata che fu, diede il filo ad Adamantina sua sorella minore, imponendole che lo portasse in piazza e lo vendesse, e del trato di quello comperasse tanto pane, acciò che ambe doe potessero delle sue fatiche la loro vita sustentare. Adamantina tolto il filo e postolo sotto le braccia, se n’andò in piazza per venderlo secondo il comandamento di Cassandra, ma venuta la cagione e la opportunitá, fece il contrario di quello era il voler suo e della sorella, perciò che s’abbatté in piazza in una vecchiarella che aveva in grembo una poavola, la piú bella e la piú ben formata che mai per l’adietro veduta si avesse. Laonde Adamantina avendola veduta e considerata, di lei tanto se invaghì, che piú di averla che di vendere il filo pensava. Considerando adunque Adamantina sopra di ciò, e non sapendo che fare né che dire per averla, pur deliberò di tentare sua fortuna, sì abbaratto la potesse aere. E accostatasi alla vecchia, disse:
– Madre mia, quando vi fusse in piacere, io baratterei volontieri  con la poavola vostra il filo mio -.
La vecchiarella, vedendo la fanciulla bella, piacevole e tanto desiderosa della poavola, non volse contradirle, ma preso il filo, la poavola le appressentò. Adamantina avuta la poavola, non si vide mai la più contenta, e tutta lieta e gioconda a casa se ne tornò.
A cui la sorella Cassandra disse:
– Hai tu venduto il filo?
– Sì, – rispose Adamantina.
– E dov’è il pane che hai comperato? – disse Cassandra.
A cui Adamantina, aperto il grembiale di boccato che denanzi teneva sempre, dimostrò la poavola che barattata aveva. Cassandra, che di fame si sentiva morire, veduta la poavola, di sí fatta ira e sdegno s’accese, che presa Adamantina per le trecce, le diede tante busse, che appena la meschina si poteva movere. L’Adamantina pacientemente ricevute le busse, senza far difesa alcuna, meglio che seppe e puoté con la sua poavola in una camera se n’andò.
Venuta la sera, Adamantina, come le fanciullette fanno, tolse la poavola in braccio, e andossene al fuoco; e preso dell’oglio de la lucerna, le unse lo stomaco e le rene, indi rivoltata in certi stracci che ella aveva, in letto la mise, ed indi a poco, andatasene a letto, appresso la poavola si coricò. 
Né appena Adamantina aveva fatto il primo sonno, che la poavola cominciò chiamare:
– Mamma, mamma, caca -.
E Adamantina destata, disse:
– Che hai, figliuola mia? –
A cui rispose la poavola:
– Io vorrei far caca, mamma mia -.
Ed Adamantina:
– Aspetta figliuola mia – disse.
E levatasi di letto, prese il grembiole che il giorno dinanzi portava, e glielo pose sotto dicendo:
– Fa caca, figliuola mia -; e la poavola, tuttavia forte premendo, empí il grembiole di gran quantità di danari. Il che vedendo Adamantina destò la sorella Cassandra, e le mostrò i danari che aveva cacati la poavola. Cassandra vedendo il gran numero de denari, stupefatta rimase, Iddio ringraziando che per sua bontà nelle lor miserie abbandonate non aveva, e voltatasi alla sorella, le chiese perdono delle busse che da lei a gran torto ricevute aveva, e fece molte carecce alla poavola, dolcemente basciandola e nelle braccia strettamente tenendola.
Venuto il chiaro giorno, le sorelle fornirono la casa di pane, di vino, di oglio, di legna e di tutte quelle cose che appartengono ad una ben accomodata famiglia. E ogni sera ungevano lo stomaco e le rene alla poavola, e in sottilissimi pannicelli la rivoglievano, e sovente se la voleva far caca le dimandavano. Ed ella rispondeva che sí, e molti danari cacava.
Avenne che una sua vicina, essendo andata in casa delle due sorelle e avendo veduta la loro casa in ordine di ciò che le faceva mestieri, molto si maravigliò, né si poteva persuadere che sí tosto fussero venute sí ricche, essendo giá state sí poverissime, e tanto piú conoscendole di buona vita e sí oneste del corpo loro che opposizione alcuna non pativano. Laonde la vicina dimorando in tal pensiero, determinò di operare sí che la potesse intendere dove procedesse la causa di cotanta grandezza. E andatasene alla casa delle due sorelle, disse:
– Figliuole mie, come avete fatto voi a fornire sí pienamente la casa vostra, conciosiacosa che per lo adietro voi eravate sí poverelle? –
A cui Cassandra, che era la maggior sorella, rispose:
– Una libra di filo di stoppa con una poavola barattata abbiamo, la quale senza misura alcuni danari ci rende -.
Il che la vicina intendendo, nell’animo fieramente si turbò, e tanta invidia le crebbe, che di furargliela al tutto determinò. E ritornata a casa, raccontò al marito come le due sorelle avevano una poavola che dí e notte le dava molto oro e argento, e che al tutto de involarla determinato aveva. E quantunque il marito si facesse beffe delle parole della moglie, pur ella seppe tanto dire che egli le credette. Ma disselle:
– E come farai tu a involargliela? –
A cui la moglie rispose:
– Tu fingerai una sera di essere ebbriaco e prenderai la tua spada e correrammi dietro per uccidermi, percotendo la spada nelle mura; e io fingendo di aver di ciò paura fuggirò su la strada, ed elle, che sono compassionevoli molto, mi apriranno, e io chiuderommi dentro la loro casa, e resterò presso loro quella notte, e io opererò quanto che io potrò -.
Venuta adunque la sequente sera, il marito della buona femina presa la sua arruginita spada, e percotendo quando in questo muro quando in quel altro, corse dietro alla moglie, la quale piangendo e gridando ad alta voce fuggì fuori di casa. Il che udendo le due sorelle, corsero alle finestre per intendere quello che era avenuto e cognobbero la voce della loro vicina, la quale molto forte gridava, e le due sorelle, abbandonate le finestre, scesero giú a l’uscio e, apertolo, la tirorono in casa. E la buona femina dimandata da loro per che cagione il marito cosí irato la seguiva, le rispose:
– Egli è venuto a casa sí inbalordito dal vino, che non sa ciò che si faccia, e perché io lo riprendeva di queste sue ebbrezze, egli prese la spada e corsemi dietro per uccidermi. Ma io piú gagliarda di lui ho voluto fuggire per minor scandalo, e sonommi qui venuta -.
Disse l’una e l’altra sorella:
- Voi, madre mia, avete fatto bene e starete questa notte con esso noi, acciò non incorriate in alcun pericolo della vita, e in questo mezzo il marito vostro padirá l’ebbrezza sua -.
E apparecchiata la cena, cenarono insieme, e poscia unsero la poavola e se n’andorono a riposare. Venuta l’ora che la poavola di cacare bisogno aveva, disse:
– Mamma, caca -.
 E Adamantina, segondo l’usanza le poneva sotto il pannicello mondo e la poavola cacava danari con grandissima maraviglia di tutte. La buona femina che era fuggita, il tutto vedeva e molto suspesa restava, e parevale un’ora mille anni di furarla e di poter operare tal effetto.
Venuta l’aurora, la buona femina, dormendo ancora le sorelle, chetamente si levò di letto, e senza che Adamantina se n’avedesse, le furò la poavola  che vi era appresso, e destatele, tolse licenza di andar a casa, dicendole che la pensava ch'oramai il marito poteva aver digesto il vino sconciamente bevuto. Andatasene adunque a casa la buona donna disse lietamente al marito:
– Marito mio, ora noi abbiamo trovato la ventura nostra: vedi la poavola -; e un’ora mille anni le pareva che venisse notte per farsi ricca.
Sopragiunta la buia notte, la donna prese la poavola, e fatto un buon fuogo, le unse lo stomaco e le rene, e infasciata in bianchi pannicelli nel letto la pose, e spogliatasi ancora ella appresso la poavola si coricò. Fatto il primo sonno, la poavola si destò, e disse:
– Madonna, caca -; e non disse: «mamma, caca»,  perciò che non la conoscea, e la buona donna, che vigilante stava aspettando il frutto che seguir ne doveva, levatasi di letto e preso un panno di lino bianchissimo, glielo puose sotto, dicendo:
– Caca, figliuola mia, caca -.
La poavola fortemente premendo, in vece di danari, empí il panno di tanta puzzolente feccia ch'appena se le poteva avicinare. Allora disse il marito:
– Vedi, o pazza che tu se’, come ella ti ha ben trattata, e sciocco sono stato io a crederti tale pazzia -.
Ma la moglie, contrastando col marito, con giuramento affermava sé aver veduta con gli occhi propi gran somma di danari per lei cacata. E volendo la moglie riservarsi alla notte seguente a far nuova isperienza, il marito, che non poteva col naso sofferire il tanto puzzore che egli sentiva, disse la maggior villania alla moglie che mai si dicesse a rea femina del mondo; e presa la poavola, la gittò fuori della finestra sopra alcune scopazze che erano a rimpetto della casa loro.
Avenne che le scopazze furono caricate d’alcuni contadini lavoratori di terre sopra di un carro; e senza che alcuno se n’avedesse, fu altresí messa la poavola sul carro, e di quelle scopazze fatto fu alla campagna un lettamaro da ingrassare a suo luoco e tempo il terreno.
Occorse che Drusiano re, andando un giorno per suo diporto alla caccia, venne una grandissima volontà di scaricare il soperchio peso del ventre, e smontato giù del cavallo, fece ciò che naturalmente gli bisognava. E non avendo con che nettarsi, chiamò un servente che gli desse alcuna cosa, con la quale si poteva mondare. Il servente andatosene al lettamaro e ricercando per dentro se poteva trovar cosa ch’al proposito fusse, trovò per aventura la poavola, e presala in mano, la portò al re. Il quale senza alcun sospetto tolse la poavola, e postasela dietro alle natiche per nettare messer lo perdoneme, trasse il maggior grido che mai si sentisse. Imperciò che la poavola con e’ denti gli aveva presa una natica, e sí strettamente la teneva, che gridare ad alta voce lo faceva. Sentito da’ suoi il smisurato grido, subito tutti corsero al re, e vedutolo che in terra come morto giaceva, tutti stupefatti restarono, e vedendolo tormentare dalla poavola, si posero unitamente insieme per levargliela dalle natiche, ma si affaticavano in vano, e quanto piú si sforzavano de rimovergliela, tanto ella gli dava maggior passione e tormento, né fu mai veruno che pur crollare la potesse non che indi ritrarla. E alle volte con le mani gli apprendeva e’ sonagli e sí fatta stretta gli dava che gli faceva vedere quante stelle erano in cielo a mezzo il giorno. Ritornato l’affannato re al suo palazzo con la poavola alle natiche taccata e non trovando modo né via di poterla rimovere, fece fare un bando che s’alcuno, di qual condizione e grado essere si voglia, si trovasse a cui bastasse l’animo la poavola da le natiche spiccargli, che gli darebbe il terzo del suo regno, e se poncella fusse, qual si volesse, per sua cara e diletta moglie l’apprenderebbe, promettendo sopra la sua testa di osservare tanto quanto nel bando si conteneva.
Intesosi adunque il bando, molti concorsero al palazzo con viva speranza di ottenere lo constituto premio. Ma la grazia non fu concessa ad alcuno che traere gli la potesse, anzi come alcuno se gli avicinava, ella gli dava piú noia e passione. Ed essendo il travagliato re sí fieramente tormentato, né trovando rimedio alcuno al suo incomprensibile dolore, quasi come morto giaceva.
Cassandra e Adamantina, che grandissime lagrime sparse avevano per la loro perduta poavola, avendo inteso il pubblicato bando, vennero al palazzo e al re s’appresentarono. Cassandra, che era la sorella maggiore, comenciò far festa alla poavola e li maggiori vezzi che mai far si potesse. Ma la poavola, stringendo i denti e chiudendo le mani, maggiormente tormentava il sconsolato re. Adamantina, che alquanto stava discosta, si fece avanti e disse:
– Sacra Maestá, lasciate che ancora io tenti la ventura mia -; e appresentatasi alla poavola disse: – Deh, figliuola mia, lascia omai cheto il mio signore, né gli dar più tormento; – e presala per i pannicelli, accarecciolla molto.
La poavola, che conosciuta aveva la sua mamma, la quale era solita a governarla e maneggiarla, subito dalle natiche si staccò, e abbandonato il re, saltolle nelle braccia. Il che vedendo il re tutto attonito e sbigottito rimase, e si puose a riposare, perciò che molte e molte notti e giorni dalla passione grande che egli sentita e provata aveva, mai non aveva potuto trovar riposo. Ristaurato Drusiano re dallo intenso dolore e delle gran morse risanato, per non mancare della promessa fede, fece venire a sé Adamantina, e vedendola vaga e bella giovanetta, in presenza de tutto il popolo la sposò, e parimenti Cassandra, sua sorella maggiore orrevolmente maritò, e fatte solenni e pompose feste e trionfi, tutti in allegrezza e tranquilla pace lungo tempo vissero.
La poavola, vedute le superbe nozze di l’una e l’altra sorella, e il tutto aver sortito salutifero fine, subito disparve. E che di lei n’avenisse, mai non si seppe novella alcuna. Ma giudico io che si disfantasse come nelle fantasme sempre avenir suole.


Tanto, tanto tempo fa, nel paese di Roccaraso, viveva  una povera filatrice con le sue figlie che erano belle e gentili, la maggiore si chiamava Gina e la più piccola Gemma.
Un brutto giorno la filatrice sentì che era giunta la sua ora, e siccome possedeva soltanto una cassettina di stoppa, chiamò le  figlie e diede loro quella misera eredità, raccomandando che  si volessero sempre bene.
Dopo la morte della madre le due sorelle avevano bisogno di guadagnare qualcosa per comprare un po' di pane, e allora Gina prese una libbra di stoppa e svelta svelta si mise a filare;  quando ebbe finito chiamò Gemma e la mandò al mercato perché vendesse il filo e con il ricavato comprasse del pane.
Gemma lo prese, se lo mise sotto il braccio e andò in piazza per venderlo come gli aveva detto Gina, ma mentre cercava un  compratore incontrò una vecchina che aveva in grembo una bambola di pezza così bella e graziosa che non se ne era mai visto l'uguale. Gemma si mise a guardarla, e non si muoveva più di lì,  ma non sapeva come dire e come fare per averla. Alla fine si avvicinò alla vecchina e le disse: "Nonnina, se siete contenta, mi piacerebbe cambiare il mio filo con la vostra bambola". La vecchina, vedendo che la bella fanciulla  aveva tanto desiderio della bambola, rispose: "Voglio accontentarti perché sei così gentile", e gliela diede.
Gemma prese la bambola, e, felice come non era mai stata, tornò  a casa. Sua sorella le chiese: "Hai venduto il filo che avevo  filato?", "Sì", rispose Gemma, "E dov'è il pane che hai comprato?", continuò Gina, e allora Gemma aprì il suo grembiule bianco e le fece vedere la bambola Poavola che aveva avuto in cambio del filo. Gina, che si sentiva morire di fame, a quella  vista di arrabbiò tanto che perse la testa dalla collera, e prendendo sua sorella per le trecce le diede tante botte che la poverina dopo non riusciva quasi più a muoversi. Ma Gemma non disse nulla, sopportò le botte e andò in una camera, sola con la sua Poavola.
Quando venne la sera, Gemma andò vicino al focolare, e come facevano le mamme con i bambini appoggiò la Poavola su un pannicello di lana, la spogliò e con un po' d'olio della lucerna le unse lo stomaco e il pancino, massaggiandola pian pianino. Poi la vestì per la notte, la mise a letto e si distese accanto a lei.
Gemma non aveva ancora fatto il primo sonno quando la Poavola cominciò a chiamare: "Mamma, mamma, cacca!", lei si svegliò e le  chiese: "Che cos'hai bambina mia?". La Poavola  rispose: "Mammina, io vorrei fare la cacca", e Gemma dicendo: "Aspetta, bambina mia", andò a prendere il suo grembiule bianco e glielo mise sotto dicendo: "Fa' la cacca, bambina mia". La bambola Poavola spinse un po' e riempì il grembiule di monete d'oro.
Gemma allora svegliò sua sorella e le fece vedere il tesoro fatto dalla bambola, e Gina, incantata da quelle monete d'oro, ringraziò la buona sorte che non le aveva dimenticate nella loro povertà, e chiese perdono a Gemma delle botte che le aveva dato il giorno prima; infine fece tante carezze alla Poavola, baciandola e cullandola tra le sue braccia.
Al mattino le due sorelle andarono a comprarsi pane, olio, vino,  legna e tutto quello che ci vuole in una casa senza miseria, poi a sera unsero il pancino e lo stomaco alla Poavola e la misero a letto. E come la sera prima la Poavola chiese di fare i suoi bisogni e riempì il grembiule di monete d'oro. Così le due sorelle dedicavano alla Poavola tutte le cure, e quando le chiedevano se voleva fare la cacca la bambola rispondeva sempre di sì.
Ma un giorno una vicina andò a fare una visita alle due sorelle,  e vedendo com'era piena la loro dispensa si accorse che in quella casa al posto della miseria era entrata molta ricchezza. Domandò alle sorelle: "Bambine mie, come avete fatto a comprare tutte queste cose, voi che eravate così povere fino a poco tempo fa?"
E Gina le rispose: "Abbiamo scambiato una libbra di filo con la bambola Poavola, che ci fa tutte le monete d'oro che vogliamo".  La vicina a queste parole fu colpita da un feroce attacco d'invidia, ma fingendo di essere contenta per la loro fortuna salutò Gina e Gemma e se ne tornò a casa. Raccontò al marito la storia della bambola che faceva monete d'oro, e gli disse che doveva trovare il modo di rubarla. Il marito dapprima non voleva  credere che una bambola facesse diventare ricchi, ma fu tentato dall'avidità e chiese alla moglie: "Dì un po', come vorresti fare a prendergliela?". "Faremo così," disse la vicina, "domani sera tu fai finta di essere ubriaco e mi rincorri con la spada sguainata urlando che mi vuoi ammazzare, io scappo di casa e busso alla loro porta supplicandole di darmi rifugio; Gina e Gemma sono gentili e non mi diranno di no. Mi inviteranno a dormire da loro e io troverò il modo di impadronirmi di quella bambola".
Così fecero, e quando la vicina bussò alla loro porta gridando: "Soccorso, soccorso, mio marito mi vuol uccidere!" le sorelle corsero ad aprire e la fecero entrare. Lei raccontò che il  marito era ubriaco e che rischiava la vita se tornava in casa prima che gli fosse passata la sbronza, così fu invitata a cena, e dopo un po' andarono tutte a letto.
A una certa ora la Poavola cominciò a chiamare: "Mamma, mamma,  cacca!", Gemma come al solito la mise sul suo grembiule bianco e  la Poavola faceva monete d'oro con grande soddisfazione delle due sorelle. La vicina guardava tutta la ricchezza che usciva dal corpicino della bambola e non vedeva l'ora di rubarla e portarsela a casa. Così appena fece giorno prese la Poavola, se la nascose sotto il vestito, svegliò le sorelle dicendo che ormai il marito doveva aver digerito il vino e se ne andò.
Quando rientrò in casa disse al marito: "Ora siamo ricchi,  guarda la bambola Poavola!". E appena fu sera massaggiò la pancia  e lo stomaco alla bambola con l'olio caldo come aveva visto fare dalle sorelle, la mise a letto e si coricò accanto a lei. Dopo il primo sonno la Poavola chiamò: "Signora, signora, cacca!", la vicina prese un bel grembiule bianco, e ce la mise sopra dicendo: "Caca, caca pure, bambina mia!". La bambola spinse e riempì il grembiule di tanta popò che tutta la casa si riempì di puzzo.  Allora il marito disse: "Sei ben sistemata, credulona! e io sciocco che avevo creduto a questa storia fantastica!". La moglie protestò che l'aveva vista con i suoi occhi fare tante monete d'oro,   ma il marito continuava a prenderla in giro, lei voleva riprovare a fargliela fare la notte dopo, ma il marito si arrabbiò, e siccome non sopportava più quella puzza prese la bambola e la buttò dalla finestra. La Poavola finì su un mucchio di spazzatura e dopo un po' passarono dei contadini che caricarono quella spazzatura su un carro e la portarono in campagna.
Da quelle parti qualche giorno dopo passò il re che andava a caccia, e siccome gli venne voglia di fare un bisogno scese da cavallo e si mise dietro il mucchio di spazzatura. Non avendo nulla per pulirsi, ordinò a un servitore di trovargli qualcosa  che facesse al caso suo, e quello vedendo una vecchia bambola di  pezza gliela diede. Il re prese la bambola senza pensarci, ma appena se la accostò tra le natiche fece un urlo fortissimo,  perché la Poavola gli si era attaccata dietro con i denti, e continuava a morderlo facendolo piangere dal dolore.
Tutti i cortigiani accorsero, e videro che il re giaceva a terra come colpito a morte, allora guardarono cos'aveva, e vista la  Poavola provarono a staccargliela, ma non c'era nulla da fare, perché più la tiravano, più lei stringeva i denti sulla natica del re, e anzi via via con le manine gli dava delle strizzate sul davanti che lo facevano urlare come se lo scannassero.
Così caricarono su un carro il re che si sentiva consumare dal dolore e lo portarono a palazzo, da dove lui fece pubblicare questo bando:

Chiunque, di qualunque età e condizione sociale,
riuscirà a liberare le natiche del re
dalla bambola Poavola

avrà questa ricompensa:
se è  maschio, un terzo del regno,
se è femmina, il re la prenderà in isposa.


Tanti si presentarono, attratti dalla ricompensa e convinti che il compito non fosse poi tanto difficile, ma nessuno riuscì a staccare la bambola, anzi ad ogni tentativo il povero re urlava di dolore perché la Poavola lo mordeva più forte e gli dava quelle strizzatine che gli facevano vedere le stelle.
Gina e Gemma, che stavano a piangere da quando la Poavola era scomparsa, un giorno seppero del bando e andarono dal re. Gina riconobbe la bambola, la salutò e le fece tanti complimenti e moine, ma la Poavola stringendo i denti e le manine continuava a tormentare il povero re. Allora Gemma, che era rimasta in disparte, si fece avanti e disse: "Maestà, vorrei provare a liberarvi dalla bambola"; poi cominciò a carezzare la Poavola dicendo: "Bella bambina mia, lascia stare ora il mio signore, non vedi che gli fai tanto male? suvvia, non farlo più soffrire". La Poavola, che aveva riconosciuto la sua mammina, quella che le aveva sempre voluto bene, si staccò dal re e le saltò tra le braccia.
Il re, pieno di meraviglia per tutto quello che era successo, finalmente potè riposarsi, perché erano giorni e giorni che non poteva chiudere occhio, poi, riprese le forze e guarito dai morsi  della Poavola, fece chiamare Gemma, e visto che era una fanciulla molto bella e piena di cortesia fu ben contento di mantenere la  sua promessa, facendo anche sposare Gina  con uno dei suoi migliori cavalieri. Furono celebrate le nozze in grande allegria,  con feste che durarono giorni e giorni in tutto il reame, e tutti vissero per sempre felici e contenti.
La Poavola, avendo visto questo bel matrimonio, e come tutto aveva avuto un lieto fine, disparve  e nessuno ne ha più saputo nulla. Ma c'è chi crede che potrebbe riapparire, come un sogno o una fantasima.


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TESTO Giovan Francesco Straparola (1554–1557) Le piacevoli notti. A cura di Donato Pirovano. Roma: Salerno Editrice, 2000. 2 Tomi. Notte quinta, Favola II. Tomo I, pp. 344–355.
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TRADUZIONE
© Adalinda Gasparini 1996, da Giovan Francesco Straparola (1554–1557) Le piacevoli notti. Notte quinta, favola II.
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IMMAGINE
https://www.pinterest.it/pin/352617845823596441/; ultimo accesso 4 maggio 2024
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ALTRE VERSIONI


FABULANDO
Vedi la carta di questa fiaba anche in Fabulando. Carta fiabesca della successione, progetto di Claudia Chellini e Adalinda Gasparini. Per accedere all'e-book e ad altre note sulla fiaba stessa: http://www.fairitaly.eu/joomla/Fabulando/Popoavola/Popoavola-IT.html.
COLLANA

Vedi questa fiaba anche in VENETO. Fiabe antiche e popolari d'Italia. Testi originali con traduzione a fronte a cura di Adalinda Gasparini e Claudia Chellini. Forlì: Foschi Editore 2018. Pp. 166-188.
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NOTE

Una poavola
C'era dunque una magica poavola, che nella lingua di Straparola significa bambola, come si comprende dalla favola. Quando il grande Basile scrisse il suo libro di favole, la prima raccolta del mondo, prese ispirazione da questa fiaba cinquecentesca per La papara,

Lilla e Lolla accattaro na papara a lo mercato che le cacava denare; l'è cercata 'm priesto da na commare e, trovanno lo contrario, 'nce l'accide e la ietta pe na fenestra; s'attacca a lo tafanario de no prencipe mentre faceva de lo cuorpo, né 'nce la pò scrastare nesciuno fora che Lolla, pe la quale lo prencipe se la piglia pe mogliere. (Trattenemiento primmo de la iornata quinta, http://www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_6/t133.pdf; consultato il 23 ottobre 2011: sito non più attivo a, 4 maggio 2024)

Forse Basile non sapeva che poavola significa bambola e per questo pensò a una papera? Certo pare improbabile che un'oca viva possa essere afferrata e usata come carta igienica, ma nelle fiabe può succedere questo e altro. Un fraintendimento fecondo, che non compromette la grazia della storia. Traendo la loro storia da Basile, i Fratelli Grimm continuarono a raccontare di un'oca d'oro.
Infine da ricordare la Gallina dalle uova d'oro di cui racconta Esopo, poi Fedro, e poi La Fontaine, per citare solo i più famosi, il cui proprietario, arricchito grazie all'uovo che quotidianamente gli dona, la uccide, per far sue tutte le uova che contiene, senza trovare altro che le normali interiora dell'animale. La morale che se ne trae è di evitare di essere avidi. Estendendo questa morale, la favola insegna che la fortuna viene senza averla conquistata e sparisce credendo di possederla. Come la grazia divina, come l'amore, come la vita stessa. Si possono custodire queste cose, come Adamantina fa con la sua poavola, non possederle. Bellissimo il finale di Straparola, con l'oggetto magico che si disfanta come alle fantasime accade di solito. 

Per una nota su questa fiaba vedi anche: http://www.fairitaly.eu/joomla/Fabulando/Fairinfo-IT.html#Popoavola.

Ma giudico io che si disfantasse come nelle fantasme sempre avenir suole.
Le fiabe iniziano e finiscono in un orizzonte umano, come sono umano i loro attanti soggetti. La magia si manifesta in mille modi cangianti, ci sono tanti motivi, ancorati a miti antichi e ricorrenti nella narrativa e nel cinema contemporaneo, ma alla fine l'attante soggetto non ha più bisogno della fata, la strega è vinta, l'orco è lontano, l'oggetto magico non è più nelle sue mani, la condizione teriomorfa o fitomorfa non tornerà, perché l'incantesimo è sciolto. Quando la vicenda si compie, gli esseri magici si dissolvono, per poi tornare in un'altra fiaba, magari in forma di oca. Si disfantano, come racconta Straparola, come il terrore o la piena gioia di un sogno notturno, come le ombre della notte che ci spaventano nel buio da bambini, perché sono fatti della stessa sostanza dei sogni. Una sostanza che alla fine si rivela intima alla nostra, senza per questo confondersi con l'orizzonte concreto, quotidiano, con la realtà comune a tutti nella quale viviamo. Per fortuna a volte si addensano e ci vengono in aiuto, per un tempo breve, delimitato come il racconto di una favola.

Abbiamo aggiunto nella nostra versione italiana per bambini un finale ottimistico, pensando alla Poavola, che, essendo una fantasima e disfantandosi, potrebbe ricomparire nella favolosa fantasia di qualche bambino che ha bisogno del suo aiuto, se come Adamantina sarà disposto a dare tutto ciò che possiede per averla









 © Adalinda Gasparini
Online dal  10 gennaio 2003
Ultimo aggiornamento 4 maggio 2023