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Si può pensare a una geometria delle fiabe soggiacente a ogni interpretazione, che rende possibile la loro descrizione da parte di qualunque ermeneutica? Perché le favole sono dotate di un grado massimo di democrazia, che le fa viaggiare attraverso il tempo e lo spazio, fra bambini e adulti, fra finissimi letterati e narratori analfabeti?
Cosa consente ai loro motivi di intrecciarsi, combinarsi, sciogliersi, fra oriente e occidente, alla corte del Re Sole o del Califfo Harun ar-Rashid come nei suq e nelle aie contadine? Perché possono essere uno strumento di grande valore nel lavoro di educazione e di cura?
La loro docilità all'interpretazione è insieme la loro indipendenza dall'interpretazione stessa, e racconta qualcosa che ci accomuna tutti: possiamo ascoltarle in modo da capire qualcosa di più della nostra mente, della nostra unicità che è simultaneamente la nostra comunanza?